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mercoledì 10 aprile 2024

La Valle dei Pianeti nella regione di Cufra in Libia.

 

La Valle dei Pianeti nella regione di Cufra in Libia è un luogo unico al mondo dove rocce e pietre nel deserto sembrano avere forme di pianeti e corpi celesti, creando un paesaggio simile allo spazio. Situata vicino ad Al-Uwainat Al-Gharbia, questa valle è poco conosciuta nonostante la sua bellezza straordinaria. Le enormi rocce sferiche, con un diametro medio di circa 10 metri, si trovano a circa 48,28 chilometri di distanza l'una dall'altra, e creano un'atmosfera spaziale per chi le visita. La valle, nota anche come "wan takufi" in lingua Tuareg, è caratterizzata da un terreno roccioso privo di acqua e coltivazione, rendendola unica e affascinante.

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lunedì 26 febbraio 2024

Blanet: esistono i pianeti che orbitano intorno ai buchi neri? - Angelo Petrone

La possibilità che esistano dei pianeti che orbitano intorno ai buchi neri è concreta.

Nell’infinita vastità dello spazio, dove le leggi della fisica sono sottoposte a prove estreme, si pongono domande che sfidano la nostra comprensione dell’universo. Una di queste domande affascinanti è se potrebbero esistere pianeti che orbitano attorno ai buchi neri. Questa idea potrebbe sembrare al di là della fantasia, ma gli sviluppi recenti nella nostra comprensione dei buchi neri e dei sistemi planetari ci portano a considerarla seriamente. Un buco nero è una regione dello spazio dove la gravità è così intensa che nulla, nemmeno la luce, può sfuggire alla sua attrazione. Tuttavia, ciò non significa che la presenza di un buco nero escluda la possibilità di esistenza di pianeti nelle sue vicinanze. In effetti, la presenza di un buco nero potrebbe persino favorire la formazione di pianeti intorno ad esso. La chiave per comprendere questa possibilità risiede nella cosiddetta “zona abitabile” attorno al buco nero. Questa zona si trova ad una distanza tale dal buco nero che le condizioni permettono la presenza di acqua liquida sulla superficie di un pianeta. Anche se la presenza di un buco nero potrebbe comportare intense radiazioni e turbolenze gravitazionali, una distanza sufficientemente grande potrebbe consentire la formazione e il mantenimento di pianeti in orbite stabili.

Le simulazioni al computer suggeriscono che, in certe circostanze, potrebbe addirittura verificarsi la formazione di pianeti rocciosi o giganti gassosi in orbite stabili intorno ai buchi neri. Questi pianeti potrebbero avere condizioni atmosferiche e climatiche uniche, influenzate dalle particolari caratteristiche del loro ambiente cosmico. Tuttavia, trovare evidenze dirette di pianeti in orbita attorno ai buchi neri rimane una sfida tecnologica significativa. Gli attuali metodi di osservazione astronomica potrebbero non essere sufficientemente sensibili per rilevare tali pianeti, specialmente considerando che potrebbero essere oscurati dalla luminosità del buco nero stesso. Nonostante le sfide, la possibilità di pianeti orbitanti attorno ai buchi neri continua ad intrigare gli astronomi e gli appassionati di astronomia. Questo concetto non solo stimola la nostra immaginazione, ma potrebbe anche offrire nuove prospettive sulla diversità dei sistemi planetari e sull’ampia gamma di condizioni che possono supportare la vita nell’universo. In definitiva, mentre continuiamo a esplorare le profondità dello spazio e a scoprire nuovi misteri dell’universo, la domanda se possano esistere pianeti in orbita attorno ai buchi neri rimane una delle più affascinanti e stimolanti da esplorare.

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venerdì 14 febbraio 2020

La loro nascita è scritta nella geometria orbitale. - Giuseppe Fiasconaro

Utilizzando l’imaging diretto e simulazioni al computer, una squadra internazionale di astronomi è riuscita a determinare che la geometria dell’orbita di 27 tra esopianeti giganti gassosi e stelle nane brune è diversa: circolare per i primi, più ellittica per le seconde. Questo viene interpretato come indicatore di un meccanismo di formazione differente, nonostante la similitudine in massa dei due tipi di corpi.
Immagine del sistema binario che contiene la nana bruna Gj 504 B (ingrandita nel riquadro in alto), ottenuta dalla telecamera Nirc2 del telescopio Keck II. La stella è lontana circa 40 volte la distanza terra-sole dalla sua stella ospite (la cui posizione è contrassegnata da una “x”) e ha un periodo orbitale di circa 240 anni. Il team è stato in grado di tracciare parte dell’orbita per vincolarne la forma. Crediti: Brendan Bowler (UT-Austin) / WM Keck Observatory
Le chiamano stelle fallite, una classe di oggetti più massicci dei pianeti giganti – hanno masse comprese tra le 13 e le 75 masse gioviane – non abbastanza, però, da accendere la fusione nei loro nuclei per brillare come vere stelle. Sono le nane brune, stelle per le quali oggi, attraverso imaging diretto, è possibile distinguerne la loro natura stellare in un sistema binario da quella di un pianeta con il quale condividono diverse caratteristiche, compresa la bassa luminosità. Tuttavia, il loro meccanismo di formazione, e ciò che lo differenzia rispetto a quello di esopianeti giganti gassosi, non è ancora ben chiaro.
Adesso, una squadra di astronomi guidata da Brendan Bowler dell’Università del Texas, ad Austin, utilizzando la tecnica dell’imaging diretto con il telescopio Keck Observatory e il Subaru Telescope, nelle Hawaii, oltre a simulazioni al computer, è riuscito a venirne a capo. «Un modo per arrivare a questo è studiare la dinamica del sistema, ovvero guardare le orbite», afferma Bowler.
E proprio studiando le orbite che alcune nane brune ed esopianeti giganti gassosi compiono attorno alle loro stelle ospiti in 27 sistemi, il team ha trovato una differente eccentricità di queste orbite – una misura di quanto essa sia circolare o allungata – nei due tipi di oggetti. Secondo i ricercatori è la chiave per comprendere il differente meccanismo di formazione di questi compagni delle loro stelle ospiti. «Anche se questi compagni hanno milioni di anni, l’impronta di come si sono formati è ancora codificato nella loro eccentricità odierna», dice a questo proposito Eric Nielsen, ricercatore all’Università di Stanford e membro del team.
Utilizzando la telecamera nel vicino infrarosso Nirc2 del telescopio Keck II del Keck Observatory, nonché il telescopio Subaru, il team di Bowler ha prima scattato immagini di pianeti giganti e nane brune mentre questi orbitano attorno alle loro stelle.
Orbite di 9 dei 27 corpi celesti, tra nane brune ed esopianeti giganti gassosi, che Bowler e il suo team hanno ottenuto tramite simulazioni. Crediti: Brendan Bowler (UT-Austin)
A questo punto, considerato che questi oggetti sono così distanti dalle loro stelle ospiti che un’orbita può richiedere anche centinaia di anni, per studiare le loro orbite hanno utilizzato un software, chiamato orbitize!, che usa le leggi del moto di Keplero per identificare quali tipi di queste orbite siano coerenti con le posizioni misurate, e quali no.
Il codice –  ovvero il software di simulazione –  genera diverse possibili orbite per ciascun corpo celeste. In particolare, il leggero movimento di ogni pianeta gigante o nana bruna forma un insieme di possibili orbite. Più piccolo è l’insieme, più gli astronomi si avvicinano alla vera orbita del compagno. E più immagini dirette di ciascun oggetto possiedono mentre esso orbita, più perfezioneranno la forma dell’orbita.
«Piuttosto che aspettare decenni o secoli affinché un pianeta completi un’orbita, possiamo ottenere dati in intervallo temporale più breve con misurazioni di posizione molto accurate», spiega Nielsen. «Una parte di orbitize!, che abbiamo sviluppato appositamente per adattarsi alle orbite parziali, ci ha permesso di trovare orbite anche per i compagni di più lungo periodo».
Distribuzione dell’eccentricità orbitali di pianeti giganti e nane brune. Un valore di 0,0 corrispondente a un’orbita circolare, mentre un valore  vicino a 1,0 è un’ellisse appiattita. Crediti: Brendan Bowler (UT-Austin)
Come si evince nel grafico accanto, il risultato principale di questo studio, pubblicato sulla rivista Astronomical Journal,  è che le geometrie delle orbite per i pianeti giganti e per le nane brune sono significativamente diverse: circolari per i primi, più ellittiche per le seconde.
Dati che i ricercatori interpretano con un diverso meccanismo di formazione: dal disco appiattito di gas e polvere che ruotava attorno alla stella ospite, per i giganti gassosi; da uno dei addensamenti di gas e polvere in cui si è divisa una nube più grande prima di collassare, per le nane brune. L’altro addensamento ha poi formato la stella ospite di un sistema binario.
In futuro, campioni più grandi e un monitoraggio continuo dell’orbita aiuteranno i ricercatori a stabilire se queste distribuzioni di eccentricità siano correlate ad altri parametri come la massa della stella ospite, la molteplicità e l’età.

sabato 8 febbraio 2020

ASTRONOMIA: Venere SUPERSTAR e 3 Pianeti in Congiunzione con la LUNA. Ecco Cosa Succederà in questo Mese. - Stefano Rossi

Il firmamento darà spettacolo in questo mese

Il cielo darà spettacolo in questo mese di febbraio. I protagonisti principali saranno i pianeti più importanti del sistema solare. In primis Venere che dopo la Luna è l'oggetto naturale più luminoso del cielo.
Ebbene, Venere come detto brillerà magnificamente subito dopo il tramonto e lo potremmo osservare quasi alto nel cielo verso Sudovest.


Oltre a Venere ci saranno anche Giove, Saturno e Marte che dal 18 febbraio si troveranno, poco prima dell'alba, quasi allineati e inoltre in congiunzione con la Luna (sia il 18 sia il 19 sia il 20).
Ultima congiunzione degna di nota e più facilmente visibile sarà quella tra Luna e Venere, prevista per il giorno 27 dopo il tramonto.

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lunedì 3 febbraio 2020

Ritratto di binaria con vampiro. - Maura Sandri


Rappresentazione artistica di un sistema stellare come quello dello studio in oggetto. Crediti: Nasa e L. Hustak.

Setacciando i dati d'archivio del satellite Kepler della Nasa, gli astronomi hanno scoperto una nova nana la cui luminosità è aumentata di 1600 volte in meno di un giorno. Il sistema binario è costituito da una nana bianca e da una compagna nana bruna, alla quale la nana bianca sta risucchiando materiale. Tutti i dettagli della scoperta su Mnras.
Il satellite Kepler della Nasa è stato progettato per trovare pianeti extrasolari, cercando stelle la cui luce si affievolisce al passaggio di un pianeta davanti alla stella stessa. Fortunatamente, lo stesso design lo ha reso uno strumento ideale per individuare altri oggetti astronomici transienti, ossia oggetti la cui luminosità aumenta o diminuisce nel tempo.
Una ricerca effettuata sui dati di archivio di Kepler, oggi in pensione, ha rivelato un’insolita esplosione da una nova nana precedentemente sconosciuta, che ha aumentato la sua luminosità di 1600 volte in meno di un giorno, prima di svanire lentamente.
Una nova nana è un tipo di variabile cataclismica, consistente in una stella binaria molto stretta in cui una delle componenti è una nana bianca che risucchia materia dalla sua compagna. In particolare, il sistema stellare in questione è costituito da una stella nana bianca con una compagna nana bruna, la cui massa è circa un decimo di quella della nana bianca. Una nana bianca è ciò che rimane del nucleo di una vecchia stella simile al Sole e contiene una massa pari a circa una massa solare in un raggio paragonabile a quello della Terra. Una nana bruna è un oggetto con una massa tra 10 e 80 volte la massa di Giove, non sufficiente per innescare la fusione nucleare al suo interno.
La nana bruna in oggetto orbita attorno alla nana bianca ogni 83 minuti, a una distanza di soli 400mila chilometri, pari a circa la distanza dalla Terra alla Luna. Sono così vicine che la forte gravità della nana bianca attrae il materiale della nana bruna, prosciugandola come farebbe un vampiro. Il materiale strappato alla stella va a formare un disco attorno alla nana bianca (noto come disco di accrescimento), sul quale scivola spiraleggiando verso la nana bianca stessa.
Questo evento è rimasto nascosto nell’archivio di Kepler fino a quando non è stato identificato da un team guidato da Ryan Ridden-Harper dello Space Telescope Science Institute (Stsci) di Baltimora, nel Maryland, e dalla Australian National University di Canberra, in Australia. «In un certo senso, abbiamo scoperto questo sistema per caso. Non eravamo specificamente alla ricerca di una super esplosione. Stavamo cercando qualsiasi tipo di transitorio», ha detto Ridden-Harper.
La scoperta – pubblicata lo scorso 21 ottobre 2019 sulla rivista Monthly Notices of the Royal Astronomical Society – è stata fatta con l’aiuto di un programma automatico che ha setacciato i dati di Kepler, come un detective che si occupa di cold case, per trovare indizi su esplosioni molto veloci e misteriose avvenute nell’universo. Il programma mira a rilevare eventi astronomici rari che si evolvono rapidamente, nel giro di ore o giorni, come esplosioni di raggi gamma da supernove, collisioni di stelle di neutroni o esplosioni che non si erano mai viste prima attraverso i telescopi ottici.

Dopo nove anni di raccolta di dati sullo spazio profondo, che hanno rivelato come il nostro cielo notturno sia pieno di miliardi di pianeti nascosti, il telescopio spaziale Kepler della Nasa è andato in pensione nel novembre 2018. Ha lasciato in eredità oltre 2600 esopianeti scoperti, molti dei quali potrebbero essere abitabili, e una miriade di dati che continuano ad essere setacciati alla ricerca, oltre che di nuovi pianeti, di fenomeni transienti come quello osservato nello studio in oggetto. Crediti: Nasa/Ames Research Center/W. Stenzel/D. Rutter
Ebbene, Kepler è stato in grado di catturare l’intero evento, osservando un lento aumento della luminosità seguito da una rapida intensificazione. In realtà, la teoria prevede un bagliore improvviso e il motivo per cui, in questo caso, si è verificato un avvio lento, rimane un mistero. Le teorie standard della fisica del disco di accrescimento non prevedono questo fenomeno, che è stato successivamente osservato in altre due esplosioni di nova nane. «Questi sistemi di nova nane sono stati studiati per decenni, quindi individuare qualcosa di nuovo è piuttosto difficile», ha dichiarato Ridden-Harper. «Vediamo dischi di accrescimento ovunque – dalle stelle appena formate ai buchi neri supermassicci – ed è quindi importante capirli».
È stato un puro caso che Kepler guardasse nella direzione giusta nel momento in cui questo sistema ha subito la super esplosione, aumentando la sua luminosità di oltre mille volte. In effetti, Kepler era l’unico strumento che avrebbe potuto testimoniarlo, poiché il sistema stellare, in quel momento, era troppo vicino al Sole, dal punto di vista della Terra. La rapida cadenza di osservazioni di Kepler, che ha preso dati ogni 30 minuti, si è rivelata cruciale per catturare ogni dettaglio dell’esplosione.
Le teorie suggeriscono che una super esplosione simile si inneschi quando l’accrescimento del disco raggiunge un punto di non ritorno. Man mano che accumula materiale, il disco cresce di dimensioni fino a quando il bordo esterno entra in risonanza gravitazionale con la nana bruna in orbita. Ciò potrebbe innescare un’instabilità termica, causando il surriscaldamento del disco. In effetti, le osservazioni mostrano che la temperatura del disco sale da circa 2700 – 5300 gradi Celsius, nel suo stato normale, a un massimo di 9700 – 11700 gradi Celsius, al picco dell’esplosione.
Questo tipo di sistema è relativamente raro, ne sono noti solo un centinaio. Un singolo sistema può andare avanti per anni o decenni senza esplosioni, il che rende una vera sfida riuscirne a catturarne uno nell’atto dell’esplosione. «Il rilevamento di questo oggetto fa sperare di trovare eventi ancora più rari nascosti nei dati di Kepler», ha dichiarato il coautore Armin Rest di Stsci. Il team prevede di continuare a setacciare i dati di Kepler, nonché quelli di un altro cacciatore di esopianeti, il Transiting Exoplanet Survey Satellite (Tess), alla ricerca di altri fenomeni transienti.
«Le continue osservazioni di questi sistemi stellari dinamici da parte di Kepler/K2, e ora di Tess, ci consentono di studiare le prime ore dell’esplosione, un dominio temporale quasi impossibile da raggiungere dagli osservatori terrestri», ha affermato Peter Garnavich dell’Università di Notre Dame, in Indiana.

domenica 8 dicembre 2019

Un pianeta gigante sta evaporando per colpa della sua stella.


Rappresentazione artistica del pianeta che sta evaporando per colpa della sua stella (fonte: University of Warwick/Mark Garlick)

Il primo del genere mai osservato.

Un pianeta gigante che sta evaporando per colpa della sua stella. Finora erano stati osservati solo piccoli pianeti andare incontro a questo destino e nessuno avrebbe mai sospettato che questa sorte potesse toccare anche a un pianeta delle dimensioni di Nettuno, per di più in rotazione intorno a una stella morente, una nana bianca che è l'equivalente di ciò che resterà del nostro Sole al termine della sua evoluzione. Pubblicata su Nature, la scoperta si deve ai ricercatori coordinati da Boris Gaensicke, dell'università britannica di Warwick.
La scoperta, che indica come anche le stelle moribonde possano ancora ospitare pianeti, è avvenuta per caso: mentre i ricercatori stavano studiando a 7.000 nane bianche censite dall'indagine Sloan Digital Sky Survey, ne hanno individuata una diversa da ogni altra a causa delle sottili variazioni nella sua luminosità. "Sospettavamo che in questo sistema avrebbe potuto esserci qualcosa di eccezionale - rileva Gaensicke - e abbiamo ipotizzato che potesse essere correlato a un residuo planetario".
I ricercatori hanno quindi osservato la stella, chiamata WDJ0914 + 1914, che si trova a circa 1.500 anni luce nella costellazione del Cancro, utilizzando il Very Large Telescope dell'Osservatorio Europeo Meridionale (Eso), in Cile. In questo modo hanno identificato le tracce di idrogeno, ossigeno e zolfo nel disco di gas che circonda la stella, in quantità simili a quelle che si trovano negli strati dell'atmosfera dei pianeti giganti del Sistema Solare.
Se un pianeta simile orbitasse vicino a una nana bianca calda, i suoi strati esterni evaporerebbero, accumulandosi in un disco, ed è proprio quanto accade intorno a WDJ0914 + 1914: con una temperatura di circa 28.000 gradi, la stella sta facendo evaporare il pianeta gigante, che perde oltre 3.000 tonnellate di materiale al secondo.

Quanti misteri ci nasconde ancora l'Universo in cui viviamo?
Direi che siamo agli esordi ed abbiamo ancora tanto da capire.
Cetta.

giovedì 31 gennaio 2019

L’anello mancante nell’evoluzione dei pianeti.

Rappresentazione artistica del corpo celeste scoperto ai confini del Sistema Solare, anello mancante nell’evoluzione dei pianeti. (fonte: Ko Arimatsu) © Ansa
Rappresentazione artistica del corpo celeste scoperto ai confini del Sistema Solare, anello mancante nell’evoluzione dei pianeti. (fonte: Ko Arimatsu)

Si trova ai confini del Sistema Solare.


Scoperto l’anello mancante nell’evoluzione dei pianeti: è un corpo celeste dal raggio di 1,3 chilometri che si trova nella culla degli asteroidi al confine del Sistema Solare, la fascia di Kuiper, vicino l’orbita di Plutone. L’esistenza di corpi celesti di queste dimensioni era stata prevista 70 anni fa, ma è la prima volta che uno di essi viene rilevato direttamente. I dettagli di questo oggetto lontano sono descritti sulla rivista Nature Astronomy da un gruppo dell’Osservatorio astronomico nazionale del Giappone, coordinato da Ko Arimatsu.
Gli astronomi lo hanno scovato grazie a due piccoli telescopi di 28 centimetri basati sull’isola giapponese di Miyako, nella Prefettura di Okinawa. Hanno, in particolare, studiato 2.000 stelle, fino a quando la luce di una di esse non è stata in parte oscurata, come una piccola eclissi, dal passaggio del corpo celeste. Secondo gli autori della ricerca, oggetti come quello scovato nella fascia di Kuiper rappresentano una fase di transizione nell’evoluzione dei pianeti, una tappa intermedia tra l’inizio della loro formazione, a partire da una nube di gas e polveri, e i pianeti finali come quelli che osserviamo nel Sistema Solare.
La fascia di Kuiper è una collezione di piccoli corpi celesti ghiacciati localizzati oltre l’orbita di Nettuno, e risalenti agli albori del nostro sistema planetario. Il più famoso dei suoi abitanti è il pianeta nano Plutone. Secondo i ricercatori in questa regione periferica del Sistema Solare oggetti della dimensione di poco più di un chilometro, come quello appena individuato, potrebbero essere più numerosi del previsto.

sabato 17 marzo 2018

Scoperti 15 mondi alieni al di fuori del Sistema Solare.

Raffigurazione di uno dei 15 nuovi mondi che orbitano intorno a piccole stelle fredde, le nane rosse (fonte Tokyo Institute of Technology) © Ansa

Raffigurazione di uno dei 15 nuovi mondi che orbitano intorno a piccole stelle fredde, le nane rosse (fonte Tokyo Institute of Technology) © ANSA/Ansa.


Uno di loro potrebbe avere acqua liquida.

Un gruppo di 15 nuovi pianeti si aggiunge alla folla di quasi 4.000 mondi scoperti negli ultimi anni oltre il Sistema Solare. Orbitano intorno a stelle piccole e fredde, le nane rosse. Uno di loro, battezzato K2-155d e distante circa 200 anni luce dal Sole, potrebbe essere una SuperTerra poiché il suo raggio è 1,6 volte maggiore di quello terrestre, e potrebbe avere acqua liquida perché si trova alla 'giusta' distanza dalla stella madre. È quanto emerge da due ricerche pubblicate sull'Astronomical Journal. 

nuovi mondi sono stati scovati dal gruppo dell'Istituto di Tecnologia di Tokyo coordinati da Teruyuki Hirano, grazie ai dati raccolti dal cacciatore di pianeti Kepler nel corso della sua ‘seconda vita’, la missione K2, e alle osservazioni fatte da telescopi terrestri come il Subaru alle Hawaii e il Nordic Optical Telescope (Not) in Spagna.

Le nane rosse sono le stelle più diffuse nell'universo: fredde e piccole, hanno massa tra 0,4 e 0,08 volte quella del Sole. 

I 15 pianeti sono stati scoperti grazie alle oscillazioni nella loro luminosità provocate dal transito dei pianeti davanti al loro disco. Secondo i ricercatori adesso è necessario misurare temperatura e raggio della SuperTerra K2-155d e, soprattutto, verificare se abbia un'atmosfera prima di poter affermare con certezza abbia acqua allo stato liquido. In questo potrà essere d'aiuto il potranno arrivare dal nuovo cacciatore di pianeti Tess (Transiting Exoplanet Survey Satellite) della Nasa, il cui lancio è previsto in aprile.


giovedì 23 febbraio 2017

Scoperto un sistema solare con 7 pianeti 'fratelli' della Terra.

Rappresentazione artistica della stella Trappist-1 con il suo sistema planetario (fonte: NASA/JPL-Caltech) © Ansa
Rappresentazione artistica della stella Trappist-1 con il suo sistema planetario (fonte: NASA/JPL-Caltech)


Potrebbero avere le condizioni per ospitare la vita.


Il più grande sistema planetario mai scoperto con tanti possibili 'sosia' della Terra, a nemmeno 40 anni luce dalla Terra. Mondi che potrebbero avere acqua liquida in superficie e forse le condizioni per ospitare la vita. La straordinaria scoperta, pubblicata sulla rivista Nature, si deve a un gruppo internazionale coordinato dall'università belga di Liegi. Aumenta così anche il numero dei pianeti esterni al Sistema Solare finora scoperti.

I pianeti ruotano intorno alla stella Trappist-1, molto più piccola e debole del nostro Sole. "E' un sistema planetario eccezionale, non solo perché i suoi pianeti sono così numerosi, ma perchè hanno tutti dimensioni sorprendentemente simili a quelle della Terra", spiega il coordinatore della ricerca, Michael Gillon. Utilizzando il telescopio Trappist, installato in Cile presso lo European Southern Observatory (Eso), i ricercatori hanno scoperto che tre dei sette pianeti dei Trappist-1 si trovano nella zona abitabile, cioè alla distanza ottimale dalla stella per avere acqua allo stato liquido. Potrebbero quindi ospitare oceani e, potenzialmente, la vita.

I sei pianeti più vicini alla stella sono paragonabili alla Terra per dimensioni e temperatura, hanno probabilmente una composizione rocciosa e si trovano in una zona in cui la temperatura è compresa fra zero e 100 gradi. Il sole di questo sistema planetario, Trappist-1, è una vecchia conoscenza per gli astronomi: era stato scoperto nel maggio 2016 insieme ai tre pianeti che si trovano nella fascia abitabile. 

Trappist-1, nella costellazione dell'Acquario, è una stella nana ultrafredda, con una massa pari all'8% del nostro Sole. In termini stellari quindi è molto piccola, solo un po' più grande di Giove. Gli astronomi ritengono che queste stelle nane possano ospitare molti pianeti di dimensione terrestre in orbite molto strette, rendendoli quindi promettenti obiettivi per la caccia alla vita extraterrestre, ma Trappist-1 è il primo di questi sistemi a essere stato scoperto. 

"La produzione energetica delle stelle nane come Trappist-1 è molto più debole di quella prodotta dal Sole. Perché ci sia acqua liquida in superficie, i pianeti dovrebbero essere in orbite più vicine di quanto vediamo nel Sistema Solare. Fortunatamente sembra che questa configurazione compatta sia proprio ciò che troviamo intorno a Trappist-1", spiega il co-autore della ricerca, Amaury Triaud, dell'università britannica di Cambridge. 

Molti dei sette i pianeti di Trappist-1, osservati anche con il telescopio spaziale Spitzer della Nasa, potrebbero avere acqua liquida in superficie, anche se le distanze orbitali rendono alcuni candidati più promettenti di altri. Modelli climatici suggeriscono che i tre pianeti più interni siano probabilmente troppo caldi per avere acqua liquida. E il pianeta più esterno è probabilmente troppo distante e freddo per averne. Ma quei tre pianeti che si trovano con le loro orbite giusto nel mezzo rappresentano per gli astronomi una sorta di Santo Graal poiché hanno le condizioni ideali per poter ospitare la vita.


Leggi anche: 

sabato 11 febbraio 2017

Ricostruita l'alba del Sistema Solare.

Ricostruita la storia delle nebulosa che ha dato origine al Sistema Solare (fonte: NASA/JHUAPL) © Ansa
Ricostruita la storia delle nebulosa che ha dato origine al Sistema Solare (fonte: NASA/JHUAPL)

Primi pianeti nati in 4 milioni di anni, 4,6 miliardi di anni fa.


Ricostruita l'alba del Sistema Solare. 
Per la prima volta è stato calcolato il momento in cui la nube di gas e polveri primitiva ha collassato, dando origine al Sole e ai pianeti. La struttura dei giganti del nostro sistema planetario si sarebbe formata entro i primi 4 milioni di anni dalla nascita del Sistema solare, avvenuta oltre 4,6 miliardi di anni fa. La scoperta, pubblicata sulla rivista Science, si deve a un gruppo di ricerca coordinato dal Massachusetts Institute of Technology.

Circa 4,6 miliardi di anni fa un'enorme nube di gas e polveri è collassata sotto il proprio peso, appiattendosi in un disco. La maggior parte della materia si è contratta al centro del disco dando origine al Sole, mentre il resto si è condensato per dare vita ai pianeti. Tutto questo era già noto, ma non sapevamo quando si fossero formati esattamente i pianeti.

Secondo Benjamin Weiss, del Mit, la struttura principale del nostro Sistema Solare, ovvero i giganti gassosi Giove e Saturno, si è formata nei primi 4 milioni di anni dal collasso della nebulosa, mentre il resto dei pianeti si è evoluto successivamente. Si tratta di una cifra più precisa rispetto alle precedenti stime, che collocavano l'epoca della formazione dei primi pianeti in un periodo compreso fra uno e dieci milioni di anni.

I ricercatori sono arrivati a questa conclusione studiando gli orientamenti magnetici in campioni incontaminati di meteoriti molto primitivi, come le angriti, che risalgono a circa 4,6 miliardi di anni fa. Si tratta di rocce ferrose, originate da asteroidi e considerate dagli studiosi dei registratori eccezionali dell'epoca di formazione del Sistema Solare. Il loro elevato contenuto di uranio ha permesso di determinarne con precisione l'età.

I ricercatori hanno analizzato quattro di questi meteoriti, caduti sulla Terra in luoghi e tempi diversi. Sono stati ritrovati in Brasile, Antartide, nel deserto del Sahara e tutti in uno straordinario stato di conservazione. Uno è stato scoperto in Argentina, "da un contadino intento a coltivare il suo campo", racconta Weiss. "Sembrava un manufatto indiano o una ciotola e il contadino lo ha tenuto nella sua casa per circa 20 anni, prima di decidersi a farlo analizzare, per scoprire che si tratta di un rarissimo meteorite".

giovedì 23 giugno 2016

Scoperto un pianeta 'neonato'.

Rappresentazione artistica del baby pianeta K2-33b contro il disco della sua stella (fonte: NASA/JPL-Caltech)Rappresentazione artistica del baby pianeta K2-33b contro il disco della sua stella (fonte: NASA/JPL-Caltech)


Ha appena 5 milioni di anni e somiglia a Nettuno


Scoperto un pianeta 'neonato', si trova attorno a una stella lontana 500 anni luce, si chiama K2-33b e somiglia al nostro Nettuno, ma si è formato appena 5 o 10 milioni di anni fa. A studiare in dettaglio il baby pianeta è stato il gruppo dell'Istituto di Tecnologia della California (Caltech) coordinato da Trevor David. La ricerca, pubblicata sulla rivista Nature, potrebbe chiarire molti dettagli sul processo di formazione dei pianeti.

Scoperto grazie al telescopio spaziale Kepler, il 'cacciatore' di pianeti della Nasa,il pianeta K2-33b può essere considerato un neonato rispetto alla Terra, che ha oltre 4,5 miliardi di anni. Con i suoi 5, o al massimo 10, milioni di anni di vita, K2-33b è il più giovane pianeta mai scoperto. "Così come possiamo capire in modo più facile come si sviluppa un corpo umano - ha spiegato Sasha Hinkley, dell'università di Exeter e fra egli autori del lavoro - se abbiamo la possibilità di studiarlo sin da quando è un bambino, dall'infanzia alla vita adulta, allo stesso modo la nostra comprensione dei pianeti potrà migliorare solo imparando di più durante le prime fasi della loro esistenza". 

Quello che è emerso dai dati è che K2-33b si trova molto vicino alla sua stella, impiega appena 5 giorni per completare un intero 'anno' e che le sue dimensioni sono all'incirca una volta e mezza il nostro Nettuno. Le osservazioni potrebbero portare molti altri dati interessanti, ad esempio farci capire se i pianeti, in particolare quelli gassosi, siano capaci di migrare verso orbite differenti da quelle su cui nascono andando così a trasformare il sistema solare appena formatosi.


http://www.ansa.it/scienza/notizie/rubriche/spazioastro/2016/06/20/scoperto-un-pianeta-neonato-_b0163645-4b4a-481b-a7d7-9f21057e81f4.html

martedì 17 maggio 2016

Sono tre i nuovi pianeti appena scoperti. - Enrico Ferrone

pianeti

Ora si sta studiando se esista la possibilità che si sia sviluppata una qualche forma di vita.
Lo scorso 2 maggio le principali agenzie di stampa internazionali hanno battuto la notizia della scoperta di tre esopianeti simili alla Terra, orbitanti attorno a una nana rossa. Un primo calcolo e molte illazioni lascerebbero pensare a condizioni di vita compatibili a quelle della nostra esistenza. Lo studio è stato ripreso dalle autorevoli pagine di Nature, una delle più antiche ed importanti riviste esistenti, forse quella considerata di maggior prestigio nell’ambito della comunità scientifica mondiale. La sua sede è a Londra. Lo abbiamo letto per questo.
Quelli individuati sono corpi celesti molto simili a quello che è il nostro habitat, con la particolarità di essere a circa 40 anni luce di distanza da noi: la scoperta è di un team di ricercatori guidato da Michaël Gillon, dell’Institut d’Astrophysique et de Géophysique dell’università di Liegi. Al di là delle battute scontate, la regione spaziale in cui avviene l’orbitazione è relativamente vicina al nostro pianeta, viste le distanze astronomiche pazzesche in cui si ragiona per la ricerca di elementi che possano ipotizzare condizioni similari a quelle del sistema solare e per quanto non vi è alcuna traccia apparente di vita, sono opportune delle riflessioni che possano chiarire la matrice della ricerca e l’efficacia della scoperta. I tre pianeti che qualcuno definisce troppo frettolosamente già abitabili, avrebbero caratteristiche del tutto simili alla nostra Terra e Marte ma con dimensioni che non si discostano molto da quelle di Venere, che è appena più piccola di Terra. Sono considerazioni che onestamente non eccitano la nostra fantasia per una serie di motivi che non tarderemo ad esporre. Perché è indubbio che la scoperta apre nuovi margini di studio; però ci conviene iniziare con quella che può rappresentare la prima origine dell’esistenza di un sistema solare: la stella madre. E abbiamo parlato di una particolare classificazione: la nana rossa. In astronomia, viene denominata così una stella piccola e relativamente fredda, ovvero al di sotto dei 3.500° K, la tipologia stellare più diffusa nell’universo ma a causa della loro bassa luminosità, le singole nane rosse non sono facilmente osservabili, tanto da risultare completamente invisibili a occhio nudo. In generale, le nane rosse trasportano l’energia prodotta nel nucleo verso la superficie tramite moti convettivi che risultano avvantaggiati rispetto ad altri metodi di trasporto energetico per l’opacità degli strati interni.
E comunque è sul piccolo sole classificato con la sigla 2MASS J23062928-0502285 che si punta l’attenzione degli astronomi che tengono sotto controllo il sistema con il telescopio belga Trappist (acronimo di TRAnsiting Planets and PlanetesImals Small Telescopes): un impianto robotico da mezzo metro di diametro che viene gestito all’Osservatorio dell’ESO di La Silla in Cile dall’Università di Liège, che sfrutta la maggior parte del tempo controllando la luce di circa 60 delle più vicine nane ultrafredde e nane brune, le stelle che non sono abbastanza massicce da avviare una fusione nucleare sostenuta nel nucleo, cercando evidenze di transiti planetari. Il bersaglio, denominato poi più semplicemente Trappist-1, in questo caso ha per massa circa l’8% di quella del Sole e la luminosità è pari allo 0,05%. In complesso Trappist-1, che è all’interno della costellazione dell’Acquario, è una stella debole e fredda e la sua luce diventa più fioca a intervalli regolari, indicando così i diversi oggetti che passano tra se stessa e la Terra. Le sue dimensioni sono approssimativamente quelle di Giove. Un dato importante che ha smantellato le vecchie teorie che ritenevano l’impossibilità che con queste dimensioni all’interno della nostra galassia si potessero ospitare dei sistemi planetari.
La scoperta ha quindi suscitato parecchio scalpore nella comunità scientifica e il team sta cercando di capire se su questi pianeti esista la possibilità che si sia sviluppata una qualche forma di vita. Ma data la distanza l’analisi sarà assai lunga e difficilmente quantizzabile. Tuttavia dai primi dati sembra che due dei pianeti hanno un periodo orbitale di 1,5 e 2,4 giorni terrestri, mentre il periodo del terzo è incerto, forse compreso tra 4,5 e i 73 giorni. «Periodi orbitali così brevi indicano che i pianeti si trovano da 20 a 100 volte più vicini alla loro stella rispetto alla distanza tra Terra e Sole. La struttura di quel sistema planetario è in scala, molto più simile al sistema delle lune di Giove che al sistema solare», ha dichiarato Michaël Gillon. Dati incontrovertibili che comunque quadrano con il nostro scetticismo in quanto l’unico punto di riferimento su cui confrontare le nostre teorie è quello in cui viviamo. Troppo poco nella immensa diversità interstellare. Ma Emmanuël Jehin, coautore dell’articolo, è entusiasta: «Questo è un vero cambiamento di paradigma per quanto riguarda la popolazione planetaria e un percorso alla ricerca della vita nell’universo. Finora l’esistenza di questi ‘mondi rossi’ in orbita intorno a stelle nane ultrafredde era solo teorizzata, ma ora abbiamo non già un singolo pianeta ma un sistema completo di tre pianeti intorno a una di queste fioche stelle rosse». Gillon, però insiste: «Perché stiamo sforzandoci di individuare pianeti di dimensione paragonabile alla Terra intorno alle stelle più piccole e più fredde del vicinato solare? La ragione è semplice: i sistemi intorno a queste stelle minuscole sono gli unici luoghi in cui possiamo rivelare la vita su un esopianeta di dimensioni terrestri con le tecnologie attuali. Se vogliamo trovare la vita da qualche altra parte nell’Universo, qui è dove dobbiamo iniziare a cercare».
Ora il James Webb Space Telescope di NASA/ESA/CSA il cui lancio è previsto nel 2018, si potrà studiare la composizione atmosferica di questi pianeti e di esplorare per la prima volta la presenza di acqua, di tracce di attività biologica. «È un passo gigante verso la ricerca della vita nell’Univierso», sostiene Julien de Wit, del Massachusetts Institute of Technology (MIT), che è coautore del lavoro pubblicato su Nature.
Questo studio apre una nuova strada nella ricerca di esopianeti, poiché circa il 15% delle stelle nei dintorni del Sole sono nane ultrafredde. Il Consiglio delle Ricerche Europeo e anche dall’Università di Liège ne hanno finanziato in gran parte la realizzazione ma ora si guarda avanti, con un progetto denominato Speculoos costituito da quattro telescopi robotici da un metro di diametro che verranno installati all’Osservatorio del Paranal per cercare, nei prossimi cinque anni, pianeti abitabili intorno a circa 500 stelle ultra-fredde.