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venerdì 26 luglio 2024

Verso la soluzione del problema dell’ultimo parsec. - Maura Sandri

Simulazione della luce emessa da un sistema binario di buchi neri supermassicci in cui il gas circostante è otticamente sottile (trasparente). Vista da 0 gradi di inclinazione, ovvero direttamente sopra il piano del disco. Crediti: Nasa's Goddard Space Flight Center/Scott Noble; d'Ascoli et al. 2018.

 Scoperto da tre ricercatori un legame tra alcuni degli oggetti più grandi dell’universo e quelli più piccoli: i buchi neri supermassicci e le particelle di materia oscura. I loro calcoli rivelano che è possibile superare l'annoso “problema dell’ultimo parsec” e arrivare alla fusione di buchi neri supermassicci considerando il comportamento delle particelle di materia oscura. Tutti i dettagli su Physical Review Letters.

Quando due galassie si fondono, è normale aspettarsi un’analoga sorte anche per i buchi neri supermassicci che risiedono nei loro centri. Tuttavia, tentando di modellare come ciò avviene, gli astronomi incontrano da anni un problema. Per avvicinarsi, i due buchi neri devono disperdere energia. All’inizio l’energia viene trasferita al materiale circostante, gas e polvere. Ma quando arrivano alla distanza di un parsec l’uno dall’altro – poco più di tre anni luce – sembra che non ci sia più abbastanza “materiale” su cui trasferire energia. E non si avvicinano più. In astrofisica, questa circostanza è nota come il problema dell’ultimo parsec.

Secondo un nuovo studio pubblicato su Physical Review Letters, quell’ultimo parsec può essere percorso considerando il comportamento, finora trascurato, delle particelle di materia oscura.

Nel giugno 2023, gli astrofisici annunciarono di aver rilevato un fondo di onde gravitazionali che permea l’universo, ipotizzando che provenisse da milioni di coppie di buchi neri supermassicci in fusione, ciascuno miliardi di volte più massiccio del Sole. Ma riecco il problema dell’ultimo parsec: le simulazioni teoriche non riescono a far superare loro quell’ultimo parsec. Come fanno, quindi, a fondersi?

Oltre a essere in conflitto con la teoria secondo cui i buchi neri supermassicci che si stanno fondendo sono la sorgente del fondo di onde gravitazionali, il problema dell’ultimo parsec è anche in contrasto con la teoria secondo cui i buchi neri supermassicci si sviluppano dalla fusione di buchi neri meno massicci.

«Noi mostriamo che l’effetto della materia oscura, precedentemente trascurato, può aiutare i buchi neri supermassicci a superare l’ultimo parsec di separazione e a fondersi», spiega il primo autore Gonzalo Alonso-Álvarez, del Dipartimento di Fisica dell’Università di Toronto. «I nostri calcoli spiegano come ciò possa avvenire, a differenza di quanto si pensava in precedenza».

Mentre i modelli precedenti hanno sempre escluso l’impatto della materia oscura sulle orbite dei buchi neri supermassicci, il nuovo modello rivela che le particelle di materia oscura interagiscono tra loro in modo tale da non disperdersi. La densità dell’alone di materia oscura rimane abbastanza alta da far sì che le interazioni tra le particelle e i buchi neri supermassicci continuino a degradare le orbite dei buchi neri, permettendo loro di fondersi. «La possibilità che le particelle di materia oscura interagiscano tra loro è un’ipotesi che abbiamo fatto noi, un ingrediente in più che non tutti i modelli di materia oscura contengono», dice Alonso-Álvarez. «La nostra tesi è che solo i modelli con questo ingrediente possono risolvere il problema dell’ultimo parsec».

Il rumore di fondo generato da queste colossali collisioni cosmiche è costituito da onde gravitazionali di lunghezza d’onda molto maggiore rispetto a quelle rilevate per la prima volta nel 2015 dagli astrofisici del Laser Interferometer Gravitational-Wave Observatory (Ligo). Quelle onde gravitazionali sono state generate dalla fusione di due buchi neri, entrambi di massa circa 30 volte superiore a quella del Sole.

Il fondo che interessa agli autori è stato rilevato negli ultimi anni dagli scienziati che operano con il Pulsar Timing Array, che rivela le onde gravitazionali misurando le minime variazioni nei segnali delle pulsar, stelle di neutroni in rapida rotazione che emettono forti impulsi radio. «Una previsione della nostra proposta è che lo spettro delle onde gravitazionali osservate dal pulsar timing array dovrebbe essere attenuato alle basse frequenze», sostiene James Cline della McGill University. «I dati attuali accennano già a questo comportamento e nuovi dati potrebbero confermarlo nei prossimi anni».

Oltre a fornire informazioni sulle fusioni di buchi neri supermassicci e sul segnale di fondo delle onde gravitazionali, il nuovo risultato offre una finestra sulla natura della materia oscura. «Il nostro lavoro rappresenta un nuovo modo per aiutarci a comprendere la natura particellare della materia oscura», afferma Alonso-Álvarez. «Abbiamo scoperto che l’evoluzione delle orbite dei buchi neri è molto sensibile alla microfisica della materia oscura e questo significa che possiamo usare le osservazioni delle fusioni dei buchi neri supermassicci per capire meglio queste particelle».

Ad esempio, i ricercatori hanno scoperto che le interazioni tra le particelle di materia oscura modellate spiegano anche le forme degli aloni galattici di materia oscura. «Abbiamo scoperto che il problema dell’ultimo parsec può essere risolto solo se le particelle di materia oscura interagiscono a una velocità tale da alterare la distribuzione della materia oscura su scala galattica», conclude Alonso-Álvarez. «Un risultato inaspettato, poiché le scale fisiche in cui avvengono i processi sono distanti tre o più ordini di grandezza».

https://www.media.inaf.it/2024/07/25/verso-la-soluzione-del-problema-dellultimo-parsec/?fbclid=IwY2xjawEQWaFleHRuA2FlbQIxMQABHT4R84kIiQlkXLp4G9KsLQmN38fSTSRCXaDrLwqTZBzRE7jNxrtEJc1C2g_aem_48shsv2cbMsacpHtn0jpPg

giovedì 27 giugno 2024

Un blazar nell’universo primordiale.

 

Il blazar è un buco nero di un miliardo di masse solari che ingoia grandi quantità di gas ionizzato emettendo nello spazio un getto di materia luminosa a velocità relativistica.

Novecento milioni di anni dopo il Big Bang, esisteva già un buco nero 1 miliardo di volte più grande del nostro sole. Quel buco nero ha risucchiato enormi quantità di gas ionizzato, formando un motore galattico – noto come blazar – che ha lanciato nello spazio un getto supercaldo di materia luminosa. 

Gli astronomi avevano già precedentemente scoperto prove di buchi neri supermassicci primordiali in “nuclei galattici radio attivi” o AGN RL leggermente più giovani. Gli AGN RL sono galassie con nuclei che appaiono estremamente luminosi ai radiotelescopi, il che è considerato una prova del fatto che contengono buchi neri supermassicci.

I Blazar sono un tipo unico di AGN RL che sputano due stretti getti di materia “relativistica” (quasi alla velocità della luce) in direzioni opposte. Questi getti emettono stretti fasci di luce a molte lunghezze d’onda diverse e devono essere puntati direttamente verso la Terra affinché possiamo rilevarli a distanze così vaste.

La scoperta di questo blazar sposta la data del più antico buco nero supermassiccio confermato entro il primo miliardo di anni di storia dell’universo e suggerisce che in quell’epoca esistessero altri buchi neri simili che non abbiamo rilevato.

Il blazar è un buco nero di un miliardo di masse solari che ingoia grandi quantità di gas ionizzato emettendo nello spazio un getto di materia luminosa a velocità relativistica.

Gli scienziati avevano già scoperto altri buchi neri all’interno dei nuclei di radiogalassie attive più giovani. Queste galassie vengono denominate RLAGN e sono galassie che presentano un nucleo extra luminoso in banda radio rilevabile dai radiotelescopi. Questa è considerata una prova che tali nuclei contengono un buco nero supermassiccio.

I blazar sono unici nel loro genere in quanto emettono due getti di materia a velocità relativistica in direzioni opposte. Questi getti generano sottili fasci di luce a molte lunghezze d’onda diverse e devono essere puntati esattamente verso la Terra per poter essere rilevati alle distanze cosmologiche.

La scoperta di un blazar prossimo all’epoca Big Bang suggerisce che potrebbero esserci altri oggetti simili cosi lontano nel tempo che ancora non sono stati rilevati.

Silvia Belladitta, dell’Istituto Nazionale Italiano per Astrofisica (INAF), a Milano, e coautrice diell’articolo sul blazar in questione, ha dichiarato in una nota: “Grazie alla nostra scoperta, siamo in grado di dire che nel primo miliardo di anni di vita dell’universo, esisteva un gran numero di enormi buchi neri che emettevano potenti getti relativistici“.

La scoperta di Belladitta e dei suoi co-autori conferma che esistevano blazar durante un’epoca della storia del nostro universo conosciuta come “epoca della reionizzazione” un periodo dopo una lunga era oscura post-Big Bang, quando iniziarono a formarsi le prime stelle e galassie.

I ricercatori ritengono difficile che a quell’epoca esistesse uno solo di questi oggetti, nel caso, infatti, sarebbe stato estremamente poco probabile scoprirlo, praticamente impossibile in un universo vasto come il nostro, quindi certamente ne esistono altri che attendono di essere scoperti.

I blazar hanno un raggio molto ristretto e solo per caso questo era puntato verso il nostro pianeta.

Secondo gli autori dello studio, questi blazar sono i semi dei buchi neri supermassicci che dominano oggi i nuclei delle grandi galassie nel nostro universo come Sagittario A *, il buco nero supermassiccio relativamente tranquillo posto al centro della nostra Via Lattea.

Osservare un blazar è estremamente importante. Per ogni fonte scoperta di questo tipo, sappiamo che ce ne devono essere almeno altri 100 simili, ma la maggior parte sono orientati in modo diverso e sono quindi troppo deboli per essere visti direttamente“, ha aggiunto Belladitta.

Queste informazioni aiuteranno gli astrofisici a ricostruire la storia di come e quando si sono formati questi mostruosi buchi neri e quindi a comprendere meglio la storia del nostro universo.

https://reccom.org/blazar-nelluniverso-primordiale/

venerdì 21 giugno 2024

Individuati 2 buchi neri attivi che si fondono alla distanza più lontana mai vista. - Denise Meloni

Due quasar superluminosi, o buchi neri attivi al centro di grandi galassie, furono trovati appena 900 milioni di anni dopo il Big Bang: la prima rilevazione mai vista di una coppia di quasar in fusione

 Gli astronomi hanno individuato due buchi neri attivi che si fondono alla distanza più lontana mai vista, appena 900 milioni di anni dopo il Big Bang.

La fusione di due buchi neri.

Questa è la prima volta che due buchi neri supermassicci luminosi vengono avvistati durante l’alba cosmica.

L’alba cosmica è il tempo che comprende il primo miliardo di anni dell’Universo. Durante questo periodo, circa 400 milioni di anni dopo il Big Bang, è iniziata l’epoca della reionizzazione, in cui la luce delle stelle nascenti ha privato l’idrogeno dei suoi elettroni, portando a un rimodellamento fondamentale delle strutture delle galassie.

I quasar sono i nuclei straordinariamente luminosi delle galassie attive nell’universo lontano, sono una forma estrema di ciò che gli astronomi chiamano “nuclei galattici attivi”, o AGN in breve. Una galassia attiva è quella in cui il buco nero supermassiccio centrale consuma grandi quantità di materia. La caduta di materia nel buco nero è così grande che tutta la materia non può entrare nel buco nero contemporaneamente e quindi forma una coda come un disco di accrescimento a spirale.

L’esistenza dei quasar che si uniscono nell’epoca della reionizzazione è stata anticipata da molto tempo” ha dichiarato l’autore principale dello studio, Yoshiki Matsuoka, astronomo dell’Università di Ehime in Giappone: “Ora è stato confermato per la prima volta”.

ricercatori hanno pubblicato i loro risultati su The Astrophysical Journal Letters.

Lo studio.

I buchi neri nascono dal collasso di stelle giganti e crescono nutrendosi incessantemente di gas, polvere, stelle e altri buchi neri nelle galassie stellari che li contengono. Se diventano abbastanza grandi, l’attrito fa sì che il materiale che si muove a spirale nelle loro fauci si surriscaldi e si trasformino in quasar, rilasciando i loro bozzoli gassosi con esplosioni di luce fino a un trilione di volte più luminose delle stelle più luminose.

Poiché la luce viaggia a una velocità fissa attraverso il vuoto dello Spazio, più gli scienziati guardano in profondità l’Universo, più luce remota intercettano e più indietro nel tempo vedono.

Precedenti simulazioni dell’alba cosmica hanno indicato che nubi fluttuanti di gas freddo potrebbero essersi coalizzate in stelle giganti destinate a collassare rapidamente, creando buchi neri. Man mano che l’universo cresceva, quei primi buchi neri potrebbero essersi rapidamente fusi con altri per seminarne di supermassicci ancora più grandi in tutto il Cosmo.

I buchi neri nascono dal collasso di stelle giganti e crescono nutrendosi incessantemente di gas, polvere, stelle e altri buchi neri nelle galassie stellari che li contengono. Se diventano abbastanza grandi, l’attrito fa sì che il materiale che si muove a spirale nelle loro fauci si surriscaldi e si trasformino in quasar, rilasciando i loro bozzoli gassosi con esplosioni di luce fino a un trilione di volte più luminose delle stelle più luminose.

Circa 300 quasar sono stati precedentemente trovati nell’epoca della reionizzazione, ma questi quasar scoperti di recente sono i primi ad essere scoperti in una coppia. I ricercatori li hanno trovati utilizzando la Hyper Suprime-Cam del telescopio Subaru, in cui sono apparsi come due deboli macchie rosse su uno sfondo di galassie e stelle.

Gli astronomi hanno poi effettuato delle riprese spettroscopiche e hanno confermato che la sorgente luminosa era una coppia di quasar a spirale.

Conclusioni.

I ricercatori hanno affermato che la loro scoperta li aiuterà a capire come i potenti fasci di luce dei quasar hanno scolpito le strutture dell’Universo che vediamo oggi.

Le proprietà statistiche dei quasar nell’epoca della reionizzazione ci dicono molte cose, come il progresso e l’origine della reionizzazione, la formazione di buchi neri supermassicci durante l’Alba Cosmica e la prima evoluzione delle galassie che ospitano i quasar“, ha concluso Matsuoka.

https://reccom.org/buchi-neri-attivi-fondono-distanza-piu-lontana/

venerdì 15 marzo 2024

Piccoli Quasar individuati da Webb potrebbero aiutare a risolvere una dei più grandi misteri dell’astronomia. - Dénise Meloni

 

Il telescopio Webb è riuscito ad identificare piccoli quasar rossi che potrebbero aiutare a rispondere a una delle più grandi domande aperte dell'astronomia.

Un nuovo studio ha utilizzato la spettroscopia per separare e studiare i piccoli quasar. I quasar sono buchi neri supermassicci che hanno assorbito una luminosità importante.

L’enigma dei buchi neri supermassicci che diventano quasar.

In una nuova ricerca effettuata utilizzando il James Webb Space Telescope (JWST), pubblicata su The Astrophysical Journal, un team di scienziati ha dimostrato di essere in grado di isolare ed esaminare un gruppo di piccoli punti rossi che si pensava fossero normali galassie.

È stato successivamente rivelato che quelle galassie potrebbero effettivamente ospitare quasar molto giovani o altrimenti detti buchi neri che risucchiano i corpi celesti circostanti fino a diventare tra i fenomeni più luminosi di tutto l’Universo.

I quasar non sono una novità, ma non sono ben compresi, e questo nuovo studio potrebbe aiutare a risolvere una delle più grandi domande aperte dell’astronomia.

Jorryt Matthee, astrofisico presso l’Istituto di Scienza e Tecnologia Austria (ISTA) e autore principale della nuova ricerca, ha riassunto il motivo per cui i buchi neri supermassicci che diventano quasar rappresentano un tale enigma per gli scienziati: “È come guardare un bambino di cinque anni alto due metri“, ha spiegato: “Qualcosa non quadra”. Fondamentalmente, sono troppo grandi per l’età del nostro Universo.

La scala cosmica del tempo è lunga e i buchi neri supermassicci possono avere un diametro di migliaia di anni luce. I quasar, tuttavia, si trovano nella fascia più piccola della classe di dimensioni dei buchi neri supermassicci: a volte hanno un diametro di pochi giorni, o circa 1.000 della distanza tra la Terra e il Sole.

Anche così, gli eventi che portano alla loro formazione possono richiedere miliardi di anni, in modo simile alla linea temporale prevista di 6 miliardi di anni per la completa fusione della Via Lattea e di Andromeda.

Il più antico quasar visibile ha più di 13 miliardi di anni, il che significa che doveva essere già un buco nero supermassiccio quando l’Universo era molto più giovane, almeno secondo la nostra attuale comprensione di come essi si formano. Subito dopo il Big Bang, l’Universo era significativamente diverso da come è oggi e ospitava una selezione di elementi molto più semplice e fenomeni molto più vasti e straordinari.

Di conseguenza, gli scienziati hanno teorizzato che i buchi neri supermassicci potrebbero essersi formati più rapidamente con un vantaggio potenziato dalla fisica da vortici di gas e nuvole. Sarebbe come dare a quel bambino di cinque anni il siero del super soldato di Capitan America: ovviamente sarà insolitamente alto.

Piccoli quasar rossi a causa della polvere cosmica.

In questo nuovo studio, i ricercatori hanno esaminato quei deboli punti rossi individuati nelle immagini del JWST e hanno scoperto che i piccoli quasar erano rossi a causa della polvere cosmica, che va di pari passo con la formazione di galassie e stelle.

La polvere cosmica è composta da materiali vitali. Questi materiali riempiono un anello cruciale mancante nella catena del ciclo di vita dei quasar e dovrebbero consentire agli astronomi di comprendere meglio come si formano questi fenomeni. Per estendere ulteriormente la metafora del “bambino gigante di cinque anni” di Matthee, questi sono i bambini di due anni che sono già un po’ più grandi di quanto dovrebbero essere in realtà.

JWST ha superato le aspettative nell’intercettare i piccoli quasar rossi.

Il rossore stesso aiuta anche gli scienziati a datare i piccoli quasar a un’età precedente rispetto a quelli più blu e più vecchi che si sono liberati della polvere cosmica. Inoltre, li posiziona come emergenti dai vorticosi vivai di stelle che non vengono registrati come rossi in questa osservazione.

Il JWST non è uno strumento specializzato per il rilevamento di oggetti spaziali di questo tipo, il che significa che i ricercatori sono rimasti piacevolmente sorpresi dal lavoro che hanno potuto svolgere senza bisogno di qualcosa di più adatto a questo particolare compito.

Lo strumento NIRCam del telescopio si è rivelato appena sufficiente, poiché la sua modalità spettroscopica consente agli scienziati di sintonizzarsi su aree specifiche dello spettro utilizzando un oggetto focale chiamato grism.

https://reccom.org/piccoli-quasar-aiutare-risolvere-mistero-astronomia/

domenica 10 marzo 2024

Buchi neri: l’IA rivela come crescono. - Arianna Guastella

Un nuovo studio, che utilizza l’apprendimento automatico, ha rivelato che la crescita dei buchi neri supermassicci nelle galassie richiede gas freddo oltre alle fusioni, sfidando le ipotesi precedenti e migliorando la nostra comprensione dell’evoluzione delle galassie.

I buchi neri supermassicci: giganti dormienti che si risvegliano.

Quando sono attivi, i buchi neri supermassicci svolgono un ruolo cruciale nel modo in cui si evolvono le galassie. Fino ad ora, si è pensato che la crescita fosse innescata dalla violenta collisione di due galassie seguita dalla loro fusione, tuttavia, una nuova ricerca condotta dall’Università di Bath ha suggerito che le fusioni tra galassie da sole non sono sufficienti ad alimentare un buco nero. Per spiegare la crescita di essi, è necessario un secondo ingrediente: un serbatoio di gas freddo a livello planetario situato al centro della galassia ospite.

Il nuovo studio, pubblicato sulla rivista Monthly Notice della Royal Astronomical Society, è stato il primo a utilizzare l’apprendimento automatico per classificare le fusioni galattiche con l’obiettivo specifico di esplorare la relazione tra le stesse, l’accrescimento di buchi neri supermassicci e la formazione stellare. Finora le fusioni sono state classificate (spesso erroneamente) esclusivamente attraverso l’osservazione umana.

Mathilda Avirett-Mackenzie, dottoranda presso il Dipartimento di Fisica dell’Università di Los Angeles Università di Bath e prima autrice del documento di ricerca, ha dichiarato: “Quando gli esseri umani cercano fusioni tra galassie, non sempre sanno cosa stanno guardando e usano molta intuizione per decidere se è avvenuta davveroAddestrando una macchina a classificarle, si ottiene una lettura molto più veritiera di ciò che stanno effettivamente facendo le galassie”.

La ricerca è frutto di una collaborazione tra i partner di BiD4BEST (Big Data Applications for Black Hole Evolution Studies), la cui rete innovativa fornisce formazione di dottorato sulla formazione dei buchi neri supermassicci.

buchi neri supermassicci sono una componente fondamentale delle galassie (per dare un senso di scala, la Via Lattea, con circa 200 miliardi di stelle, è solo una galassia di medie dimensioni), al centro di essa si trova un buco nero chiamato Sagittarius A*, che ha una massa di circa 4 milioni di volte quella del Sole.

Per gran parte della loro esistenza, i buchi neri supermassicci sono quiescenti, rimangono in uno stato di calma, con la materia che orbita intorno, e hanno un impatto minimo sulla galassia nel suo complesso. Tuttavia, per brevi periodi della loro esistenza (brevi solo in termini astronomici, con una durata di milioni o centinaia di milioni di anni), essi sfruttano la loro forza gravitazionale per attirare grandi quantità di gas verso di sé. Questo fenomeno, noto come accrescimento, genera un disco luminoso talmente intenso da poter eclissare l’intera galassia.

Sono queste brevi fasi di attività ad essere più importanti per l’evoluzione delle galassie, poiché le enormi quantità di energia rilasciata attraverso l’accrescimento possono influenzare il modo in cui le stelle si formano nelle stesse. Per una buona ragione, quindi, stabilire cosa provoca il movimento di una galassia tra i suoi due stati – quiescente e formazione stellare – è una delle più grandi sfide dell’astrofisica.

Active Galactic Nucleus Concept

Buchi neri, ispezione umana vs Machine Learning.

Per decenni, i modelli teorici hanno suggerito che i buchi neri crescono quando le galassie si fondono. Tuttavia, gli astrofisici che studiano da molti anni la connessione tra fusioni di galassie e crescita dei buchi neri hanno sfidato questi modelli con una semplice domanda: come possiamo identificare in modo affidabile le fusioni di galassie?

L’ispezione visiva è stato il metodo più comunemente utilizzato. I classificatori umani – esperti o membri del pubblico – hanno osservato le galassie e hanno identificato elevate asimmetrie o lunghe code di marea (regioni sottili e allungate di stelle e gas interstellare che si estendono nello spazio), entrambe associate alle fusioni delle stesse. Tuttavia, questo metodo di osservazione è dispendioso in termini di tempo e inaffidabile, poiché è facile per gli esseri umani commettere errori nelle loro classificazioni. Di conseguenza, gli studi sulle fusioni spesso forniscono risultati contraddittori.

Nel nuovo studio condotto da Bath, i ricercatori si sono posti la sfida di migliorare il modo in cui vengono classificate le fusioni studiando la connessione tra la crescita dei buchi neri e l’evoluzione delle galassie attraverso l’uso dell’intelligenza artificiale.

black hole in space elements of this image furnished by nasa 285461906

L’IA illumina i segreti dei buchi neri.

Gli scienziati hanno addestrato una rete neurale su fusioni di galassie simulate, quindi hanno applicato questo modello a quelle finora osservate nel cosmo.

In questo modo, sono stati in grado di identificare le fusioni senza pregiudizi umani e studiare la connessione tra fusioni di galassie e crescita dei buchi neri. Hanno anche dimostrato che la rete neurale supera i classificatori umani nell’identificarle.

Applicando questa nuova metodologia, i ricercatori sono stati in grado di dimostrare che le fusioni non sono fortemente associate alla crescita dei buchi neri. Le firme delle stesse sono ugualmente comuni nelle galassie con e senza buchi neri supermassicci in accrescimento.

Utilizzando un campione estremamente ampio di circa 8.000 sistemi di buchi neri in accrescimento – che ha permesso al team di studiare la questione in modo molto più dettagliato – si è scoperto che le fusioni portano alla crescita dei buchi neri solo in un tipo molto specifico di galassie, ovvero quelle contenenti quantità significative di gas freddo.

Questo ha dimostrato che le fusioni tra galassie da sole non sono sufficienti ad alimentare i buchi neri: devono essere presenti anche grandi quantità di gas freddo per consentire al buco nero di crescere.

Avirett-Mackenzie ha affermato: “Affinché le galassie possano formare stelle, devono contenere nubi di gas freddo in grado di collassare in stelle. Processi altamente energetici come l’accrescimento di un buco nero supermassiccio riscaldano questo gas, rendendolo troppo energetico per collassare o espellendolo fuori dalla galassia”.

La dottoressa Carolin Villforth, docente senior presso il Dipartimento di Fisica e supervisore della signora Avirett-Mackenzie a Bath, ha concluso: “Fino ad ora le fusioni sono state studiate allo stesso modo, attraverso la classificazione visiva. Con questo metodo, utilizzando classificatori esperti in grado di individuare caratteristiche più sottili, siamo riusciti a osservare solo un paio di centinaia di galassie, non di più. L’utilizzo dell’apprendimento automatico ha aperto un campo completamente nuovo e molto entusiasmante in cui è possibile analizzare migliaia di galassie alla volta”.

https://reccom.org/buchi-neri-l-ia-rivela-come-crescono/?fbclid=IwAR1VjOMuAp9HJEAvgnIXhBGU3OadubYJ7R_x5h5n4fSL5-nXh9oXkhqhRgs

lunedì 26 febbraio 2024

Blanet: esistono i pianeti che orbitano intorno ai buchi neri? - Angelo Petrone

La possibilità che esistano dei pianeti che orbitano intorno ai buchi neri è concreta.

Nell’infinita vastità dello spazio, dove le leggi della fisica sono sottoposte a prove estreme, si pongono domande che sfidano la nostra comprensione dell’universo. Una di queste domande affascinanti è se potrebbero esistere pianeti che orbitano attorno ai buchi neri. Questa idea potrebbe sembrare al di là della fantasia, ma gli sviluppi recenti nella nostra comprensione dei buchi neri e dei sistemi planetari ci portano a considerarla seriamente. Un buco nero è una regione dello spazio dove la gravità è così intensa che nulla, nemmeno la luce, può sfuggire alla sua attrazione. Tuttavia, ciò non significa che la presenza di un buco nero escluda la possibilità di esistenza di pianeti nelle sue vicinanze. In effetti, la presenza di un buco nero potrebbe persino favorire la formazione di pianeti intorno ad esso. La chiave per comprendere questa possibilità risiede nella cosiddetta “zona abitabile” attorno al buco nero. Questa zona si trova ad una distanza tale dal buco nero che le condizioni permettono la presenza di acqua liquida sulla superficie di un pianeta. Anche se la presenza di un buco nero potrebbe comportare intense radiazioni e turbolenze gravitazionali, una distanza sufficientemente grande potrebbe consentire la formazione e il mantenimento di pianeti in orbite stabili.

Le simulazioni al computer suggeriscono che, in certe circostanze, potrebbe addirittura verificarsi la formazione di pianeti rocciosi o giganti gassosi in orbite stabili intorno ai buchi neri. Questi pianeti potrebbero avere condizioni atmosferiche e climatiche uniche, influenzate dalle particolari caratteristiche del loro ambiente cosmico. Tuttavia, trovare evidenze dirette di pianeti in orbita attorno ai buchi neri rimane una sfida tecnologica significativa. Gli attuali metodi di osservazione astronomica potrebbero non essere sufficientemente sensibili per rilevare tali pianeti, specialmente considerando che potrebbero essere oscurati dalla luminosità del buco nero stesso. Nonostante le sfide, la possibilità di pianeti orbitanti attorno ai buchi neri continua ad intrigare gli astronomi e gli appassionati di astronomia. Questo concetto non solo stimola la nostra immaginazione, ma potrebbe anche offrire nuove prospettive sulla diversità dei sistemi planetari e sull’ampia gamma di condizioni che possono supportare la vita nell’universo. In definitiva, mentre continuiamo a esplorare le profondità dello spazio e a scoprire nuovi misteri dell’universo, la domanda se possano esistere pianeti in orbita attorno ai buchi neri rimane una delle più affascinanti e stimolanti da esplorare.

https://www.scienzenotizie.it/2024/02/07/blanet-esistono-i-pianeti-che-orbitano-intorno-ai-buchi-neri-4079587?utm_source=dlvr.it&utm_medium=facebook

lunedì 5 febbraio 2024

La transcensione: il destino delle civiltà aliene avanzate.

 

Per civiltà avanzate, potrebbe sembrare casa. (IvaFoto/Shutterstock.com)

L’ipotesi della transcensione suggerisce che le civiltà avanzate si avvicineranno ai buchi neri come destinazione finale, offrendo energia e vantaggi. Questo potrebbe spiegare perché non abbiamo ancora trovato segni di vita aliena.

Quando cerchiamo civiltà aliene nell’universo, spesso guardiamo allo sviluppo della vita sulla Terra per cercare indizi su cosa cercare. Ha senso farlo. Abbiamo trovato solo vita intelligente (più o meno) su questo pianeta, quindi è sensato cercare le stesse firme emesse dal nostro pianeta. Sappiamo che la vita sulla Terra dipende dalla presenza di ossigeno atmosferico e acqua liquida, quindi perché non cercare pianeti extrasolari nella zona abitabile intorno alle stelle dove può esistere acqua liquida e cercare su questi pianeti (se possibile) la presenza di ossigeno?

Ma nella ricerca di segni di vita intelligente, civiltà avanzate e tecnofirme, le cose sono un po’ diverse. Anche se il nostro pianeta è stato abbondante di ossigeno per miliardi di anni, abbiamo trascorso una parte significativamente più piccola di quel tempo inviando segnali casuali come le repliche di I Love Lucy nello spazio.

In termini cosmologici, non siamo stati una specie tecnologica per molto tempo e in quel periodo abbiamo progredito abbastanza velocemente e le nostre idee su che tipo di segnali cercare sono cambiate di conseguenza. Ad esempio, il passaggio da segnali analogici rumorosi a segnali digitali ci ha fatto pensare che gli alieni probabilmente non userebbero segnali analogici per molto tempo, rendendo improbabile che sia quel tipo di segnale che potremmo trovare.

Gli astronomi e i cacciatori di alieni cercano di guardare al nostro stesso sviluppo e a ciò che pensiamo possa essere possibile nel nostro futuro per cercare di restringere ciò che dovremmo cercare nel caso in cui le civiltà aliene si spostino ben oltre il nostro attuale livello di progresso.

In uno di questi esercizi, il futurologo John M. Smart ha proposto qualcosa chiamata ipotesi della transcensione.

“L’ipotesi della transcensione propone che un processo universale di sviluppo evolutivo guidi tutte le civiltà sufficientemente avanzate verso ciò che potrebbe essere chiamato ‘spazio interno’, un dominio computazionalmente ottimale di scale di spazio, tempo, energia e materia sempre più dense, produttive, miniaturizzate ed efficienti e, alla fine, verso una destinazione simile a un buco nero”, ha spiegato Smart in un articolo del 2012.

Anche se altamente speculativa – stiamo parlando di civiltà aliene forse milioni di anni – l’idea è che le specie avanzate si avvicineranno ai buchi neri. Potrebbe sembrare una terribile idea, ma ci sono prove che suggeriscono che i buchi neri potrebbero essere sfruttati come una enorme fonte di energia e offrire altre vantaggi a una civiltà avanzata, incluso come luogo di convergenza e fusione per civiltà avanzate.

“I buchi neri possono essere un destino evolutivo e un attrattore standard per tutte le intelligenze superiori”, ha continuato Smart, “poiché sembrano essere dispositivi ideali per calcolo, apprendimento, viaggio nel tempo in avanti, raccolta di energia, fusione di civiltà, selezione naturale e replicazione dell’universo. Nell’ipotesi della transcensione, le civiltà più semplici che riescono a resistere alla transcensione rimanendo nello spazio esterno (normale) sarebbero fallimenti evolutivi, che sono statisticamente molto rari nella fase finale del ciclo di vita di qualsiasi sistema biologico in sviluppo.”

Se corretta, questa ipotesi aiuterebbe a spiegare il paradosso di Fermi, ovvero perché non abbiamo ancora visto segni di vita aliena. Le specie avanzate potrebbero non trasmettere la loro posizione per molto tempo, prima di rivolgersi verso l’interno. Anche se altamente speculativo, l’articolo ci dà alcune cose da cercare.

“Se la transcensione è un vincolo evolutivo universale, allora senza eccezioni tutti i segnali di dispersione elettromagnetica iniziali e a bassa potenza (radar, radio, televisione) e successivamente le prove ottiche degli esopianeti e delle loro atmosfere dovrebbero cessare in modo affidabile man mano che ogni civiltà entra nelle proprie singolarità tecnologiche (emergenza di intelligenza e forme di vita postbiologiche) e riconosce di trovarsi su un percorso ottimale e accelerato verso un ambiente simile a un buco nero”, conclude Smart.

“Inoltre, l’optical SETI potrebbe presto consentirci di mappare un’area in espansione della zona abitabile galattica che potremmo chiamare zona di transcensione galattica, un anello interno che contiene civiltà transcese più antiche e un problema di pianeti mancanti poiché scopriamo che i pianeti con segni di vita si verificano con frequenze molto più basse in questo anello interno rispetto al resto della zona abitabile.”

L’articolo è pubblicato su Acta Astronautic

https://www.scienzenotizie.it/2024/02/02/la-transcensione-il-destino-delle-civilta-aliene-avanzate-0279276?utm_source=dlvr.it&utm_medium=facebook

mercoledì 5 gennaio 2022

Buchi neri - Affascinante Teoria. - Demian Cristian Hesse

 

Vorrei sottoporvi una teoria affascinante in cui si ipotizza che nei buchi neri avvenga sostanzialmente il contrario di quello che avviene nelle stelle.
Nelle stelle avviene per E=mc2 la trasformazione di una piccola quantita' di materia in una grandissima quantita' di energia, continuanamente fino ad esaurimento del comburente.
L'ipotesi sarebbe che sempre per E=mc2 nei buchi neri una enorme quantita' di energia venga trasformata in una piccola quantita' di materia, e che quindi con il passare dei millenni i buchi neri siano entita' astrofisiche che crescono a livello di materia cibandosi di tutta l'energia che trovano nel loro cammino e probabilmente anche di materia essendo che all'avvicinarsi a loro i pianeti e le stelle vengono distrutti poco prima di attraversare l'orizzonte degli eventi dalle estreme forze gravitazionali, per essere trasformati in energia e poi fagocitati, in una sorta di digestione metabolica che molto assomiglia a quella che compie il nostro corpo per produrre energia e subito consumarla.
In questa ottica nell'universo vi sono due flussi...quello stellare che produce energia dalla materia e quello dei buchi neri in cui si produce materia dall'energia.
Anche a livello vettoriale funzionano in maniera opposta, mentre una stella produce energia che proietta in tutte le direzioni verso l'esterno, il buco nero produrrebbe materia, catturando energia dall'esterno, compattandola e inmagazzinandola nel suo nucleo, creando appunto un luogo estremamente gravitazionale per la sua densita'.
In questa teoria le stelle, le nane bianche e le giganti rosse sono "organi" digestivi e propulsivi che come polmoni, stomaco e cuore digeriscono materia per produrre energia e fare si che l'universo funzioni e "irradiando" la sua caotica vitalita' ovunque, mentre i buchi neri sono come globuli bianchi, fegato, intestino e allo stesso tempo sistema immunitario, che raccolgono e compattano tutto cio' che circola liberamente e caoticamente riportando ordine (opponendosi al vettore dell'entropia) e allo stesso tempo come un qualcosa che protegge e riporta l'universo nella carreggiata della ciclicita' fatta di big bang e big crunch....eterna.
E' chiaro che nell'universo vi siano piu' stelle che buchi neri e quindi si potrebbe pensare che questa lotta di trasformazione ad un certo punto venga vinta dalle stelle, ma è anche vero che per entropia ad un certo punto le stelle si spegneranno lasciando tutto al buio e privo di materia da trasformare. Ma dall'altra parte, l'altra meta' della perfetta macchina universale fa si che i buchi neri aumentando la loro dimensione collidano fra di loro, fondendosi e creando nuovi buchi neri sempre piu' grandi.
Fino a quando fra miliardi e miliardi di anni, rimarra' solo un enorme buco nero che avra' fagocitato tutta l'energia trasformandola in materia supermateriacompressa in un solo punto, e dato che un buco nero di quelle dimensioni avra' aumentato il suo potere gravitazionale in maniera logaritmica, ci si puo' aspettare che arrivato al limite dell'assorbimento energetico iniziera' ad assorbire lo stesso tessuto spazio temporale, che trascinandolo a se come tirando un lenzuolo su cui sono collocati tutte le particelle rimanenti nel cosmo, con un moto di riduzione con crescita esponenziale o logaritmica. Questo riassorbimento portera' tutto ad unico punto....a quel punto l'entropia avra' raggiunto il limite massimo e la cosa dara' origine ad un nuovo big bang facendo ripartire tutto da capo.
In quel momento, prima del nuovo big bang, nell'universo non ci sara' piu' un fotone, tutto sara' materia e tutta concentrata in unico punto a densita' e pressione quasi infinita.
Prima del big bang il buio.
E poi di colpo tutta la luce possibile.
Una nuova esplosione che fara' ripartire tutto, un rinascimento energetico e di materia impazzita.
La ripartenza non portera' memoria della precedente entropia, essendo che essa stessa è legata allo scorrere del tempo... l'entropia è, in meccanica statistica, una grandezza che viene interpretata come una misura del disordine presente in un sistema fisico qualsiasi, incluso, come caso limite, l'Universo.
E quindi una funzione che è descrittiva di uno stato allineato al suo stesso funzionamento anche sull'asse del tempo....anzi soprattutto sull'asse del tempo.
Quindi uno stato entropico aumenta con il passare del tempo.
E qui arriviamo al dunque. Secondo le leggi della meccanica quantistica, cosa accade quando ci si avvicina all'orizzonte degli eventi di un buco nero...e nello specifico di un immenso buco nero che sta spegnendo ogni fotone e fagocitando anche il tessuto spazio temporale....cosa succede al tempo, che come abbiamo detto sviluppa parallelamente la dimensione entropica???...si annulla, annullando con se l'informazione del precedente universo.
Il tutto visto da fuori e ripetuto in eterno puo' fare pensare al pulsare di un cuore, al battito cardiaco ventricolare di un universo che nasce e muore ogni volta che il ciclo si ripete in una armonia stupenda....aurea....perfetta.
Ovviamente tutto questo porta alla conclusione, che i cicli di questo universo, che è sempre nuovo ogni volta, non hanno mai avuto un inizio, e non avranno mai una fine, proprio perchè l'informazione dell'entropia poco prima del successivo big bang non esiste gia' da migliaia di anni azzerata dall'incessante lavoro dei buchi neri che annullano il caos creato dalle stelle, nel loro irrefrenabile bruciare di vita, fino a minimizzarla poco prima del big crunch.
Stelle (polmoni, cuore e stomaco... produttori di energia) e Buchi neri (globuli bianchi, sistema immunitario, fegato e intestino...produttori e compattatori di ordine e materia)... due facce della stessa medaglia che perpetuano un perfetto equilibrio universale...
per sempre ...
e dopo ancora. 

https://www.facebook.com/groups/327721555160536/user/100008838520800

mercoledì 4 novembre 2020

30ENNE ASTROFISICO DI FONDI SCOPRE NOVITÀ SUL BUCO NERO DELLA GALASSIA. - Orazio Ruggieri

 

Si chiama Giacomo Fragione, 30 anni, originario di Fondi: un suo articolo di approfondimento scientifico sul buco nero gli è valso una importante pubblicazione.

Ancora la figura di un italiano brilla nel firmamento della scienza di tutto il mondo. E si tratta del giovanissimo e prestigioso astrofisico Giacomo Fragione di Fondi una cui pubblicazione, curata con il collega statunitense, prof. Abraham Loeb di Harvard, è terminata su una rivista americana specializzata, “The American Astronomical Society”, il giorno 1 ottobre scorso.

Si tratta di una ricerca condotta nell’ambito astrofisico e segna una tappa tanto significativa in questo campo scientifico. Il dott. Fragione, trenta anni appena e dopo alcune esperienze professionali in alcuni stati del mondo, tra i quali Israele, sta operando da qualche anno negli Stati Uniti d’America. E proprio la scrupolosa serietà con cui porta avanti le sue ricerche gli è valsa la proposta a occupare il ruolo di docente presso l’Università Northwestern di Chicago.

Comprensibile, quindi, la soddisfazione di parenti, colleghi, amici e concittadini perché il nome di un fondano ha riproposto, nella positività dei risultati, la fioritura di geni che si registra nella città pontina. Ed è significativo il fatto che sia stato estrapolato un passaggio del lavoro dei due studiosi per farne significativa contezza per quanti, seppur numericamente limitati per la particolarità di questa branca di cultura che vede pochi “iniziati” alla sua comprensione, hanno avuto la curiosità di cogliere il significato della nuova teoria. 

ESTRATTO – La rotazione del buco nero supermassiccio al centro della Via Lattea è stata finora scarsamente misurata. Poniamo un limite superiore alla rotazione di SgrA*, basato sulla distribuzione spaziale delle S-stelle, che sono disposte su due dischi inclinati di un angolo di circa 45° rispetto al piano Galattico. Richiedendo che la precessione di trascinamento non abbia avuto abbastanza tempo per mescolare il momento angolare orbitale delle S-stelle, lo spin del buco nero supermassiccio al centro della Via Lattea può essere limitato a meno di 0.1. Un limite superiore allo spin di SgrA* basato su orbite stellarti nelle sue vicinanze”.

Subito dopo l’inserzione sulla rivista specifica, la BBC nazionale di quel paese ha coinvolto i due in una esaustiva intervista, che ha raccolto un grande successo di ascolto.


https://latinatu.it/30enne-astrofisico-di-fondi-scopre-novita-sul-buco-nero-della-galassia/?fbclid=IwAR1Mr6jdpN_sgpfl1RqyM1HUSFl8V_N-7LUuiUy-okFAPrdBDuyP1nQ-HFM

sabato 31 ottobre 2020

Onde gravitazionali, in 7 mesi 'cinguettii' da 100 buchi neri. -

 

(Nella foto - Rappresentazione artistica di buchi neri che stanno per collidere (fonte: Simulating eXtreme Spacetimes Lensing (SXS)/Wikipedia)

Corrispondono a 40 collisioni, registrate da Virgo e Ligo.

Un centinaio di 'cinguetii' generati in sette mesi da 40 collisioni fra buchi neri, per un totale di un centinaio di quesi mostri cosmici: è il bilancio del nuovo catalogo dei segnali registrati tra aprile e ottobre 2019 dall'osservatorio americano Ligo e dall'europeo Virgo. I dati sono pubblicati sul sito ArXiv, che traccia gli articoli scientifici prima della revisione in vista della pubblicazione ufficiale.

Ci è voluto un anno intero ai ricercatori del network Virgo/Ligo per esaminare tutti i segnali gravitazionali e gli eventi cosmici registrati. Si tratta di 36 fusioni di buchi neri, una probabile fusione di un sistema binario di stelle di neutroni e due sistemi probabilmente composti da un buco nero e una stella di neutroni.



Dei 39 eventi presenti nel Catalogo, 13 sono pubblicati oggi per la prima volta, portando a 11 gli eventi di onde gravitazionali rilevati complessivamente da Ligo e Virgo. Il Catalogo pubblicato oggi offre, per la prima volta, un quadro completo del vasto numero dei segnali gravitazionali registrati e delle loro fonti. Da agosto 2017 ad aprile 2019 la sensibilità dei tre rilevatori è infatti migliorata notevolmente, permettendo a Virgo di osservare un volume di universo quasi 10 volte maggiore che nelle precedenti osservazioni.


(Localizzazione degli eventi che hanno prodotto segnali di onde gravitazionali (fonte: LIGO/VIRGO)

I risultati del Catologo sollevano diverse domande sulla 
validità di alcuni modelli astrofisici, che finora sembravano plausibili sulla massa dei buchi neri. Alcuni buchi neri osservati per esempio hanno una massa tra le 65 e 120 masse solari, incompatibile con i modelli di evoluzione stellare, secondo cui le stelle molto massicce, oltre una certa soglia, vengono distrutte completamente dall'esplosione di una supernova.

Ciò suggerisce che vi siano altri meccanismi di formazione dei buchi neri. "Stiamo già analizzando i risultati della seconda parte del terzo periodo di osservazione - commenta Giovanni Losurdo, ricercatore dell'Istituto nazionale di fisica nucleare (Infn) e portavoce di Virgo - e lavorando per migliorare la sensibilità di Virgo nel 2022".

https://www.ansa.it/canale_scienza_tecnica/notizie/spazio_astronomia/2020/10/30/onde-gravitazionali-in-7-mesi-cinguettii-da-100-buchi-neri-_65ac86cc-f34e-4180-b1b8-ebe98fe8f1f1.html