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martedì 30 luglio 2024

Gli astronomi hanno appena scoperto la galassia più antica di sempre. - Lucia Petrone

 

Una galassia appena scoperta ha appena infranto il record per la più antica mai osservata, rappresentando una sfida importante per i nostri attuali modelli di formazione delle galassie.

Si chiama JADES-GS-z14-0 e brilla intensamente nell’Universo primordiale, come appariva meno di 300 milioni di anni dopo il Big Bang . Una seconda scoperta recente, chiamata JADES-GS-z14-1, è stata confermata essere quasi altrettanto distante. Le rilevazioni, affermano gli astronomi, sono ormai ” inequivocabili “, il che significa che la Cosmic Dawn potrebbe avere qualche “spiegazione” da dare. “Nel gennaio 2024, NIRSpec ha osservato questa galassia, JADES-GS-z14-0, per quasi dieci ore e, quando lo spettro è stato elaborato per la prima volta, c’erano prove inequivocabili che la galassia si trovava effettivamente a uno spostamento verso il rosso di 14,32, infrangendo il precedente record della galassia più distante”, hanno affermato gli astronomi Stefano Carniani della Scuola Normale Superiore in Italia e Kevin Hainline dell’Università dell’Arizona. “Dalle immagini si evince che la sorgente ha un diametro di oltre 1.600 anni luce, il che dimostra che la luce che vediamo proviene principalmente da stelle giovani e non dall’emissione nei pressi di un buco nero supermassiccio in crescita.“Tanta luce stellare implica che la galassia abbia una massa di diverse centinaia di milioni di volte quella del Sole! Ciò solleva la domanda: come può la natura creare una galassia così luminosa, massiccia e grande in meno di 300 milioni di anni?” Sono stati scritti tre articoli distinti sull’argomento, uno dei quali è stato appena pubblicato su Nature . Altri due su arXiv devono ancora essere sottoposti a revisione paritaria, ma tutti e tre giungono alla stessa conclusione: JADES-GS-z14-0 è sicuramente lì, un punto di riferimento luminoso che rappresenta una nuova strada per comprendere come si è formato l’Universo, all’inizio. Fino a tempi relativamente recenti, avevamo pochissime conoscenze concrete sul periodo noto come Alba Cosmica, il primo miliardo di anni circa dopo il Big Bang, 13,8 miliardi di anni fa. Questo perché l’Universo primordiale era pieno di una nebbia di idrogeno neutro che disperdeva la luce, impedendone la diffusione. Questa nebbia non durò a lungo: fu ionizzata e diradata dalla luce ultravioletta emessa dagli oggetti dell’Universo primordiale e, alla fine dell’Alba Cosmica, lo spazio divenne trasparente. A quel punto, tuttavia, c’era un bel po’ di stelle e galassie in giro. Se vogliamo sapere come si è formato tutto, dobbiamo essere in grado di vedere nella nebbia. Questa è una delle cose per cui è stato progettato JWST , con i suoi potenti occhi a infrarossi. La radiazione infrarossa è in grado di attraversare mezzi densi che altra luce non può attraversare, le sue lunghe lunghezze d’onda sono in grado di attraversare con una dispersione minima.

Ha condotto il JWST Advanced Deep Extragalactic Survey (JADES), alla ricerca di oggetti risalenti ai primi 650 milioni di anni dopo il Big Bang, con risultati molto interessanti. Una cosa che abbiamo ripetutamente scoperto è che oggetti di grandi dimensioni si sono formati molto prima di quanto ci aspettassimo . È stato piuttosto sconvolgente, perché abbiamo agito partendo dal presupposto che cose come i buchi neri supermassicci e le galassie richiedano molto tempo per formarsi, molto più lungo del lasso di tempo in cui li stiamo osservando. Ma JADES-GS-z14-0 è la migliore. È molto grande e molto luminosa, per niente come gli astronomi avevano previsto che apparissero le galassie nell’Universo primordiale. In primo luogo, le sue dimensioni dimostrano che la maggior parte della luce deve provenire dalle stelle, piuttosto che dal bagliore luminoso dello spazio circostante un buco nero supermassiccio in crescita. L’analisi della sua luce rivela la presenza di molta polvere e ossigeno, il che è inaspettato così presto. Tali elementi pesanti dovrebbero essere creati all’interno di stelle che poi devono esplodere. Queste caratteristiche suggeriscono che diverse generazioni di stelle massicce devono essere vissute e morte già 300 milioni di anni dopo il Big Bang. Considerando che le stelle più grandi oggi hanno una durata di vita di appena qualche milione di anni, questo non è impossibile, ma non è comunque esattamente ciò che gli astronomi si aspettavano di trovare. Nel complesso, la galassia suggerisce che dobbiamo ripensare l’Universo primordiale, dimostrando che il gran numero di sorgenti luminose che vediamo lì non può essere interamente spiegato dalla crescita dei buchi neri. In qualche modo, galassie grandi, luminose e ben formate possono assemblarsi all’inizio dell’Alba Cosmica. “JADES-GS-z14-0 diventa ora l’archetipo di questo fenomeno”, ha detto Carniani . “È sorprendente che l’Universo possa creare una galassia del genere in soli 300 milioni di anni”. Il paper sulla scoperta condotto da Carniani è stato pubblicato su Nature . Altri paper che studiano le proprietà della luce della galassia possono essere trovati su arXiv qui e qui . Una versione precedente di questo articolo è stata pubblicata nel maggio 2024.

https://www.scienzenotizie.it/2024/07/30/gli-astronomi-hanno-appena-scoperto-la-galassia-piu-antica-di-sempre-4589176?fbclid=IwY2xjawEVlZVleHRuA2FlbQIxMQABHWI52VIL1RpXjj7wvDOQhjgKh1I3cYKXtBKW1mEcdpSXFxgJJC7FgkyIGw_aem_aHiZcmgqnx9yXpBSWrsmyA

giovedì 2 maggio 2024

La collisione tra la Via Lattea e M31 è già iniziata. - Giuseppe Donatiello


Andromeda





















Andromeda (M31) è una galassia spirale di dimensioni simili alla nostra e si trova a circa 2,4 milioni di anni luce. È considerata l’oggetto più lontano visibile a occhio nudo, sebbene da siti adatti, sia possibile scorgere anche la sua vicina M33, leggermente più lontana. In figura, una ripresa eseguita da Giuseppe Donatiello con teleobiettivo da 300 mm f/4,5 dal Parco Nazionale del Pollino, in tre sessioni (17, 18 e 20 agosto 2020), integrando dati per 1,7 ore.

Tra circa 4 miliardi di anni, la nostra Galassia si scontrerà con M31 e inizierà una tumultuosa fase di fusione da cui nascerà una grande galassia ellittica di cui abbiamo già il nome: Milkomeda. Ma questa collisione è già iniziata, almeno a livello dei gas che circondano le galassie.

Immensi aloni di gas si estendono per circa 1,5 milioni di anni luce attorno ad Andromeda e alla Via Lattea. Questo ambiente si studia sfruttando la luce proveniente dai quasar per cercare nei loro spettri gli elementi attribuibili all’alone. I quasar sono sorgenti lontanissime che presentano righe spettrali fortemente spostate verso il rosso, perciò discriminare quelle prodotte dagli elementi presenti nell’alone di Andromeda è piuttosto facile.

Un gruppo di astronomi ha utilizzato il Telescopio Spaziale Hubble per mappare l’involucro, prevalentemente costituito da plasma caldo, della nostra grande vicina galattica, scoprendo che si estende mediamente per circa 1,3 milioni di anni luce, arrivando in alcuni punti sino a 2 e che è composto da due gusci principali ben distinti.

Conoscere le caratteristiche dell’alone è come possedere una macchina del tempo, poiché questa enorme bolla di gas ionizzato conserva memoria degli eventi passati ed è il serbatoio da cui sarà attinto il gas che formerà le future generazioni di stelle. In esso troviamo anche le tracce delle esplosioni stellari che l’hanno arricchito di elementi pesanti, perciò il suo studio fornisce informazioni riguardanti l’evoluzione della galassia, la cosiddetta “archeologia galattica”.

Da tale ricerca, chiamata Project Amiga (Absorption Map of Ionized Gas in Andromeda), è emerso che il guscio più interno si estende per circa mezzo milione di anni luce e coesiste con l’alone stellare esterno di Andromeda, popolato da ammassi globulari, galassie nane satelliti e stelle isolate. Il guscio esterno è più esteso, rarefatto e più caldo, forse perché risente meno degli effetti prodotti dalle esplosioni stellari. A riprova, c’è la relativa abbondanza di elementi pesanti proprio nel guscio più interno.

Gli spettri dei quasar sono stati studiati nell’UV con lo spettrografo Cosmic Origins di Hubble, ricavandone composizione e densità del gas interposto dagli assorbimenti prodotti.

Da un sito molto buio, M31 appare estesa per circa 6° (12 lune affiancate!) ma se fossimo in grado di scorgere il suo alone gassoso, occuperebbe in cielo l’equivalente di una costellazione (figura).

L’alone di M31 è probabilmente molto simile a quello presente intorno alla nostra Galassia, che però è più difficile da studiare, perché ci troviamo nel suo interno ed è difficile discriminare la “firma” dei gas nell’alone da quelli presenti in abbondanza nel disco. Come spesso accade, essere all’interno non è una posizione privilegiata, quindi si guarda lontano per saperne di più dell’ambiente in cui ci troviamo.

https://cosmo2050.com/2020/08/28/la-collisione-tra-la-via-lattea-e-m31-e-gia-iniziata/?fbclid=IwZXh0bgNhZW0CMTAAAR3sDeEFXN-z4SQB51BS5Geu4qiaiToauT_YqMZgkEzaL_yuSFUMNKzNtWM_aem_AUsFWF7Af7dxOGwLzeyEzkpAFA_xwSqU6ZWkJQPh8GwO2hMj9TxDEMhmB_NSx9C9llw4I5jt47GnBK12IZEFjM1O

sabato 28 novembre 2020

Galassia cerca di resistere ad enorme buco nero al centro per non essere divorata del tutto.

 

Ci sono buchi neri supermassicci così voraci che possono arrivare ad inghiottire buona parte del materiale presente in un’intera galassia e quindi a distruggerla. I ricercatori hanno scoperto una galassia che sta correndo proprio un pericolo del genere ma che sembra in realtà resistere stoicamente grazie ad una notevole capacità di innescare ancora la crescita delle stelle.
I ricercatori hanno calcolato, utilizzando lo Stratospheric Observatory for Infrared Astronomy (SOFIA), che questa galassia sta infatti formando tantissime stelle ad un ritmo abbastanza veloce, ben 100 stelle delle dimensioni del Sole ogni anno.

I quasar possono non fermare la nascita delle stelle.

Si tratta di una scoperta che mostra che i buchi neri supermassicci attivi, quelli che di solito chiamiamo quasar e che si trovano al centro delle galassie, possono non fermare la nascita delle stelle, una cosa che va contro le previsioni scientifiche attuali, come spiega Allison Kirkpatrick, un assistente professoressa dell’università dell’Arkansas a Lawrence: “Ci sta portando a ripensare le nostre teorie su come si evolvono le galassie”.

Quasar “freddo” scoperto nella galassia CQ4479.

La razza presa in esame, denominata CQ4479, si trova all’enorme distanza di 5, 25 miliardi di anni luce da noi. Al centro di questa galassia gli astronomi hanno individuato un quasar, anzi un tipo speciale scoperto proprio dalla stessa Kirkpatrick che la scienziata denominato “quasar freddo”.
Si tratta di un buco nero supermassiccio attivo che “aspira” materiale circostante, anche intere stelle, ma che non ha ancora consumato tutto il grasso freddo. Questo significa che le stelle intorno ad esso possono ancora arrivare a formarsi e quindi la galassia tutto sommato sopravvive. Si tratta del primo “quasar freddo” analizzato con tale dettaglio.

Il buco nero triplicherà di dimensioni.

“Se questa crescita in tandem continuasse sia il buco nero che le stelle che lo circondano triplicherebbero di dimensioni prima che la galassia raggiunga la fine della sua vita”, spiega Kevin Cooke, ricercatore della suddetta università e autore principale della ricerca.
L’eccezionalità di queste osservazioni sta nel fatto che i quasar rappresentano tra gli oggetti più luminosi, oltre che più distanti, dell’universo. A causa del materiale che gira vorticosamente intorno ad essi, infatti, si viene a creare un livello tale di energia, di calore e di luce che quest’ultima eclissa tutto ciò che si trova intorno al buco nero stesso, anche l’intera galassia.

Formazione stellare e cattura del gas freddo possono coesistere.

La teoria attuale dei quasar prevede che questa energia catturi e in parte espella anche il gas freddo che è necessario per la formazione di una stella. Ciò provoca un colpo “letale” per l’intera galassia e ne arresta praticamente la naturale crescita. Tuttavia questo studio mostra che esiste un breve lasso di tempo in cui i due processi (formazione stellare e cattura ed espulsione del gas freddo da parte del buco nero) possono coesistere.
I ricercatori, grazie al telescopio SOFIA, hanno rilevato la luce infrarossa irradiata dalla polvere calda che innesca la formazione delle stelle in questa galassia ed hanno stimato anche la velocità di formazione stellare media degli ultimi 100 milioni di anni.

Si tratta di una fase temporanea e breve.

Si tratta comunque di una fase breve, temporanea e che può essere considerata come la fase iniziale della morte stessa della galassia. Il destino di CQ4479 è infatti segnato: prima o poi cederà agli effetti devastanti del quasar che comincerà ad inghiottire seriamente di tutto, anche i gas che servono per la creazione delle stelle.
Ora i ricercatori vogliono capire se sono molte le galassie che attraversano questa fase prima di “morire”. A tal proposito intendono utilizzare il telescopio James Webb che dovrebbe essere lanciato nello spazio tra pochi anni.

Approfondimenti

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(nella foto: rappresentazione artistica della galassia CQ4479 (credito: NASA/ Daniel Rutter)

sabato 5 settembre 2020

Tra 10 miliardi di anni la fusione tra Via Lattea e Andromeda: nascerà la supergalassia Milkomeda.

Collisione Andromeda - Via Lattea - Amici della Scienza
Collisione tra Andromeda e la Via lattea.

Lo studio dell'Università La Sapienza di Roma è stato pubblicato sulla rivista Astronomy and Astrophysics.

Un nuovo studio internazionale, coordinato da un team del Dipartimento di Fisica della Sapienza Università di Roma, in collaborazione coi colleghi dell'Università tedesca di Heidelberg e della Northwestern University americana, ha realizzato sofisticate simulazioni numeriche per prevedere i tempi cosmici nei quali la nostra Galassia si scontrerà con Andromeda fino a fondersi in un'unica "supergalassia". 

I risultati del lavoro, che gettano nuova luce sul destino del nostro sistema stellare, sono stati pubblicati sulla rivista Astronomy and Astrophysics.  Dallo studio emerge che tra 10 miliardi di anni la Via Lattea si fonderà con la vicina Andromeda formando una supergalassia che hanno battezzato 'Milkomeda'. 

Per Roberto Capuzzo Dolcetta, della Sapienza, tra i coordinatori della ricerca, "la prima collisione tra le due galassie avverrà tra 4 miliardi di anni e la fusione tra circa 10 miliardi, tempo simile alla stima dell'età del cosmo dal Big Bang a oggi".  La Via Lattea e Andromeda fanno parte di un gruppo di una settantina di galassie, il Gruppo Locale, il cui centro di massa si trova proprio tra le due galassie. Lo studio ha permesso ai ricercatori di predire che, in seguito alla collisione galattica e alla fusione, i buchi neri giganti al centro delle due galassie, con massa milioni di volte il Sole, si troveranno a orbitare uno vicino all'altro.  

"Questo aspetto - conclude Roberto Capuzzo Dolcetta - implica che in un tempo mille volte più breve di quello necessario alla collisione delle galassie madri, anche i loro buchi neri si scontreranno. Dando, così, origine a una esplosione di onde gravitazionali di potenza inimmaginabile, miliardi di volte maggiore di quelle individuate negli ultimi cinque anni dai grandi osservatori della collaborazione internazionale Ligo-Virgo, negli Stati Uniti e in Italia". 

https://www.rainews.it/dl/rainews/media/Via-Lattea-e-Andromeda-si-fonderanno-tra-10-miliardi-di-anni-e-formeranno-la-supergalassia-Milkomeda-2ce29357-24bd-4c22-a597-fbed4f2b40d2.html?fbclid=IwAR2yA_9GxIeM6o94hk02HOlTed17WKaxmBul-1keA5Y769dgPuQjv0On1xM#foto-10

venerdì 28 agosto 2020

Pronto il catalogo che racconta la storia di 90.000 galassie.


La distribuzione nel cielo delle 90.000 galassie osservate grazie al telescopio Lamost. (fonte: N. R. Napolitano/R. Li) © Ansa





























La distribuzione nel cielo delle 90.000 galassie osservate grazie al telescopio Lamost. (fonte: N. R. Napolitano/R. Li).

Utile per lo studio della misteriosa materia oscura.

Pronto il catalogo cosmico che ricostruisce la storia di 90.000 galassie grazie al movimento delle loro stelle. Utile per lo studio della misteriosa materia oscura che forma circa un quarto del cosmo, il catalogo è pubblicato sulla rivista Monthly Notices of the Royal Astronomical Society dal gruppo internazionale di astronomi, coordinato da Nicola Napolitano, dell’Università cinese Sun Yat-sen di Zhuhai. Tra gli autori anche i ricercatori italiani dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (Inaf).
Le galassie identificate nel catalogo si trovano nell’emisfero Nord e sono distanti fino a 5 miliardi di anni luce dal Sistema Solare. Si tratta, spiegano gli esperti, del “primo catalogo della distribuzione delle velocità delle stelle all’interno di decine di migliaia di galassie”. Lo studio è basato sui dati raccolti dal telescopio cinese Lamost (Large sky Area Multi-Object Fiber Spectroscopic Telescope).
Questi risultati, spiega Napolitano, potranno “fornire informazioni importanti sulla struttura ed evoluzione delle galassie e sul loro contenuto di materia oscura. Se esiste la materia oscura, allora le stelle devono muoversi più velocemente per bilanciare l’attrazione gravitazionale generata da questa componente misteriosa del cosmo. Conoscere questa informazione per un elevato numero di galassie - conclude l’astrofisico - è fondamentale per studiarle con un occhio unico”.

giovedì 18 giugno 2020

Una galassia fra le galassie. - Inserito da Francesca Cherubini.

Una galassia fra le galassie

Con lo sguardo puntato nello spazio profondo, il telescopio spaziale di Nasa/Esa Hubble cattura l’immagine della galassia Ngc 2608. Una galassia a spirale barrata, con numerose braccia ancorate alla barra centrale, che sembra una Via Lattea in miniatura. 
Le stelle in primo piano appartengono alla Via Lattea e nell’immagine appaiono come brillanti punti luce, un effetto dovuto all’ottica del telescopio, come quella nell’angolo in basso a destra e l’altra appena sopra il centro della galassia. 
Sullo sfondo dell’immagine, in lontananza, migliaia di galassie con caratteristiche affini a Ncg 2608, come nella foto scattata sempre da Hubble del Deep Field, che ha registrato oltre tremila galassie in un campo visivo.

giovedì 27 febbraio 2020

Un mistero sotto il Sombrero. - Davide Coero Borga



Sopra la calotta e la tesa della galassia a forma di cappello M104, il telescopio spaziale Hubble fotografa una straordinaria abbondanza di stelle ricche di elementi pesanti. Un’anomalia forse prodotta dalla fusione di enormi galassie e di cui oggi sembra non restare traccia.
Un’inspiegabile abbondanza di stelle ricche di elementi pesanti. E un altrettanto anomala mancanza di vecchie stelle anemiche che, al contrario, è comune trovare in aloni di grandi galassie come questa. 
M104, ribattezzata dagli astronomi Sombrero per via della forma a tesa larga tipica del copricapo messicano, è un’anomalia
L’alone di luce che circonda la calotta della galassia a forma di cappello, fotografato in dettaglio dal telescopio spaziale Hubble ed evidenziato nell’immagine dal riquadro bianco, mostra una miriade di stelle, migliaia di singole stelle (riquadro giallo). Una popolazione che va aumentando man mano che ci si avvicina al disco della galassia (riquadro blu).
Nelle galassie simili a Sombrero gli ammassi globulari di questo tipo contengono stelle povere di metalli (i corpi ricchi di metalli pesanti si concentrano nel disco di una galassia e nel rigonfiamento centrale). Qui, viceversa, le stelle ne sono ricche, come se la galassia che le ospita fosse figlia di una fusione fra enormi galassie avvenuta qualche miliardo di anni fa. Un genere di spiegazione che mal si adatta a quanto si può vedere attraverso un telescopio: un disco galattico e un alone privo di segni di discontinuità.
Eppure, sotto l’elegante Sombrero dalla larga tesa e dai bordi lisci, potrebbe nascondersi un passato turbolento
D’altra parte «Sombrero è sempre stata una galassia un po’ particolare, ed è anche questa sua particolarità a renderla interessante», confessa Paul Goudfrooij dello Space Telescope Science Institute (Stsci) di Baltimora, nel Maryland. «L’abbondanza di elementi pesanti nelle stelle che compongono l’alone della galassia ci conferma che Sombrero ha ancora molto da svelare circa la sua formazione ed evoluzione».
La galassia Sombrero mal si adatta alle definizioni, dunque. Né ellittica, né spirale. Bensì un ibrido che gli astronomi devono tener d’occhio e che potranno studiare più approfonditamente grazie al Wide Field Infrared Survey Telescope o al James Webb.
Nel frattempo i dati raccolti da Hubble sono stati dati in pasto ai computer, che grazie a sofisticati modelli qualche risposta l’hanno prodotta: Sombreroa differenza della nostra Via Lattea, non ha avuto un processo di accrescimento regolare e distribuito nel tempo ma è il prodotto di una fusione di due o più galassie gigantesche. C’è un bel trambusto nel passato di Sombrero, insomma. Anche se non si vede.

venerdì 25 gennaio 2019

Fotografato per la prima volta il buco nero al centro della Via Lattea. - Francesco La Teana

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La parte centrale della nostra galassia, la Via Lattea, come la riprende nel vicino infrarosso lo strumento Naco del Vlt (Very Large Telescope) dell’Eso. Crediti: Eso/S. Gillessen et al. via Inaf.

Essendo nascosto da nuvole di polvere e gas finora non era stato possibile ottenerne immagini nitide. Ora un gruppo di astrofisici,  grazie a nuove tecniche di osservazione, è riuscito ad aprire la strada al suo studio diretto.


Il buco nero denominato Sagittario A* (Sgr A*) situato al centro della nostra galassia rappresenta uno degli obiettivi più promettenti per lo studio della dinamica dei buchi neri, grazie alla sua relativa poca distanza da noi. Fino ad ora però è sempre stato estremamente elusivo, perché nascosto da grandi nuvole interstellari che ne coprono la visuale. Tanto che la sua stessa esistenza è stata più volte messa in discussione.

I dati in nostro possesso indicano che al centro della Via Lattea vi è un oggetto ipotetico chiamato Sagittario A*, rivelato dalla fortissima emissione tipica dei buchi neri supermassivi nel campo delle radiofrequenze, che dovrebbe avere, per giustificare tale emissione, una massa pari a circa 4 milioni di masse solari e distante da noi 8,1 chiloparsec, pari a 250 mila miliardi di chilometri.

Con la tecnica denominata Interferometria a base molto ampia (Very Large Baseline Interferometry - VLBI) è stato possibile ad una nutrita pattuglia di ben 44 scienziati ottenere una risoluzione doppia di quella raggiungibile in precedenza ed è stato possibile ottenere le prime immagini di Sgr A*. La diffusione della luce rende sfocate e distorte le immagini, però 
ha consentito di definire le proprietà esatte dell'oggetto.

I primi risultati, pubblicati sulla rivista The Astrophisical Journal disponibile per ora solo in preprint dal gruppo di ricercatori soprendentemente guidato da una studentessa, Sara Issaoun, che sta studiando per il suo Ph.D. presso la Radboud University Nijmegen nei Paesi Bassi, consentono di affermare che l'oggetto è contenuto in un angolo molto piccolo e l'area occupata è molto inferiore a quanto stimato in precedenza e presenta una certa simmetria. La maggior parte delle emissioni radio proviene da un angolo di soli 300 milionesimi di grado (come guardare una mela sulla Luna dalla Terra).

Un fatto sufficiente a porre i primi problemi. Infatti, se si considera il modello attualmente accettato, nei dintorni di un buco nero vi è un disco di materia (disco di accrescimento), che forma un vortice intorno ad esso, in attesa di venirne risucchiato, mentre in direzioni opposte si genera un fortissimo e luminosissimo getto di materia ed energia che raggiunge grandi distanze. Quindi i buchi neri, invece che neri, in realtà appaiono come considerevoli e luminosissimi oggetti che occupano vaste aree.

Sgr A* sembrerebbe quindi rappresentare un'eccezione. Le ipotesi degli autori sono due: o il getto è inefficiente dal punto di vista radiativo (quindi emette poca radiazione e non risulta visibile) oppure può darsi che il getto radio punti verso la nostra direzione e quindi non lo vediamo esteso su un'area vasta, ma racchiuso. In tal caso, che è quello scelto dagli autori, il fatto che appaia piccolo non implica necessariamente che si tratti di un oggetto piccolo, ma solo che lo vediamo di fronte, dalla parte del getto, che punta verso di noi.

La tecnica utilizzata prevede l'uso di una rete di telescopi sparsi in tutto il mondo. Sono stati utilizzati l'impianto ALMA (Atacama Large Millimeter/submillimeter Array), posto sulle Ande cilene dall'ESO (European Southern Observatory), un telescopio, composto da 66 antenne di alta precisione, disseminate a distanze che raggiungono i 16 chilometri, costruito per analizzare la luce compresa tra lunghezze millimetriche e submillimetriche, fra l'infrarosso e le onde radio. Ad Alma è stato aggiunto il Global VLBI Array, una rete di telescopi e antenne situate in Spagna, Francia, Germania, Svezia e Finlandia. Tutti questi telescopi, in fase tra di loro, hanno osservato contemporaneamente Sgr A*, in modo da formare un radiotelescopio grande quasi quanto la Terra, permettendo, come abbiamo detto, di raggiungere una risoluzione doppia rispetto alle precedenti osservazioni nella stessa frequenza.

domenica 13 maggio 2018

Due stelle 'intruse' nella Via Lattea.

Rappresentazione artistica di una veloce nana bianca che potrebbe essere sopravvissuta all’esplosione della compagna (fonte: DAVID A. AGUILAR/ Harvard-Smithsonian Center for Astrophysics) © Ansa
Rappresentazione artistica di una veloce nana bianca che potrebbe essere sopravvissuta all’esplosione della compagna (fonte: DAVID A. AGUILAR/ Harvard-Smithsonian Center for Astrophysics)

Arrivano dalla Grande Nube di Magellano.


Scoperte due stelle 'intruse' nella Via Lattea: sono velocissime e arrivano da un'altra galassia, la Grande Nube di Magellano. Lo indicano le analisi preliminari, riportate da Science sul suo sito, del catalogo di 1,3 miliardi di stelle compilato dal satellite Gaia, dell'Agenzia Spaziale Europea (Esa) e appena reso disponibile agli astronomi di tutto il mondo. Il catalogo è una delle più grandi banche dati dell'astronomia: contiene informazioni su posizione, movimento, luminosità e colori di 1,3 miliardi di stelle della Via Lattea, raccolte dal satellite lanciato nel 2013

In pochi giorni dal rilascio dei dati, avvenuto il 25 aprile, c'è stato già un diluvio di scoperte, tutte pubblicate sul sito arXiv. Per esempio il gruppo guidato da Tommaso Marchetti all'università di Leida, nei Paesi Bassi, si è concentrato sulle stelle che si muovono velocemente, che sono molto affascinanti perché, ripercorrendo a ritroso la loro traiettoria, è possibile risalire al luogo da dove arrivano e agli eventi violenti che le hanno 'accelerate'. 

Delle 28 studiate, è risultato che almeno due arriverebbero da un'altra galassia, forse la Grande Nube di Magellano. Grazie ai dati di Gaia, è stato confermato che anche un'altra stella velocissima, nota dal 2005 e chiamata HVS3, arriva dalla Grande Nube di Magellano, addirittura dal 'cuore' della galassia, come dimostra Denis Erkal, dell'università britannica del Surrey. 

Gli astronomi ipotizzano che tutte queste stelle nomadi potrebbero aver ricevuto un 'calcio' dalla forza di gravità di un grande buco nero presente nella Grande Nube di Magellano. Altri astronomi si sono concentrati sullo studio delle nane bianche, i resti di stelle simili al Sole: Ken Shen, dell'università della California a Berkeley, ne ha scoperte tre che sfrecciano velocissime, a circa 2.400 chilometri al secondo. Le tre stelle secondo gli astronomi, sarebbero 'sopravvissute' a un cataclisma cosmico. Un tempo ognuna ruotava in coppia con una stella dalla massa più grande, che quando è esplosa come supernova avrebbe scagliato la compagna nello spazio.