Il costo di 20 anni di “dividend washing”, tra elusione ed evasione
fiscale. Inchiesta internazionale di giornalisti di 15 paesi e dell’Università
di Mannheim
Le frodi sui dividendi azionari hanno causato un ammanco fiscale di 150
miliardi di euro in 20 anni in dieci paesi dell’Unione europea, più la Svizzera
e gli Stati Uniti, 13 miliardi dei quali solo in Italia. Messi in fila uno
dietro l’altro 150 miliardi di euro in biglietti da cento fanno il giro della
terra più di cinque volte. Sono più della spesa sanitaria italiana del 2021
(127 miliardi). Sono pari ai soldi che gli Stati riusciranno a recuperare
grazie all'introduzione della tassa minima globale del 15% sulle
multinazionali. E sono uguali ai fondi che i paesi dell’Unione europea hanno
destinato alle politiche sociali nei loro Piani nazionali per la ripresa e la
resilienza.
Il danno globale delle frodi.
CumEx Files 2.0, un’indagine congiunta di 15 media di 15 paesi europei
(per l’Italia Il Sole 24 Ore), americani, australiani, asiatici e africani,
coordinati dalla redazione tedesca no-profit CORRECTIV, ha provato a stimare
per la prima volta il danno globale causato alle amministrazioni fiscali di
dodici paesi dalle operazioni di dividend washing negli ultimi vent'anni
(transazioni chiamate tecnicamente “cum-cum” e “cum-ex”).
La stima è stata realizzata grazie alle analisi svolte dagli esperti
dell’università di Mannheim, in Germania, proprio mentre nei tribunali di mezza
Europa sono in pieno svolgimento i processi contro alcune delle più importanti
frodi sui dividendi degli ultimi anni.
Inchiesta internazionale.
I CumExFiles, alla base dell'inchiesta alla quale ha lavorato un consorzio
di 30 giornalisti, contengono circa 200mila pagine di documenti. Includono
rapporti di indagine di varie autorità, verbali di interrogatori di testimoni
chiave e di indagati, documenti bancari interni, email, trascrizioni di
telefonate intercettate. I documenti provengono da varie fughe di notizie. Le
testate che hanno partecipato all’indagine sono Profil (Austria), De Tidj
(Belgio), Le Monde (Francia), Ndr e CORRECTIV (Germania), Il Sole 24 Ore (Italia),
Reporter (Lussemburgo), Follow the Money (Olanda), El Confidencial (Spagna),
Svt (Svezia), Bbc (Regno Unito), Nbc (Usa), Irish Times (Irlanda), Abc
(Australia), amaBhugane (Sud Africa) e Tansa (Giappone).
Grazie al supporto del team del professor Christoph Spengel, docente di
diritto tributario all’università di Mannheim, il consorzio di giornalisti ha
potuto realizzare almeno una stima parziale dei danni causati da questo tipo di
operazioni al fisco europeo (e in parte degli Stati Uniti). La cifra totale è
impressionante: oltre 150 miliardi di euro in un periodo di vent’anni, dal 2000
al 2020. Il numero tiene conto sia di operazioni di tipo “cum-cum” che di tipo
“cum-ex”, e per l’Italia la valutazione dei soldi che mancano all’appello del
fisco arriva a poco più di 13 miliardi di euro.
Simili perdite di entrate fiscali hanno conseguenze difficili da
comprendere, come difficili sono da immaginare 13 miliardi di euro e tutto
quello che possono significare in termini sociali e politici. Basti pensare
all’aspro dibattito politico sul rifinanziamento al reddito di cittadinanza,
che, nel 2021, è di circa 200 milioni di euro. Con le tasse perdute per
operazioni di dividend washing lo si potrebbe rifinanziare per 65 anni.
Le magie dell’ottimizzazione fiscale.
“Ottimizzazione fiscale” è un modo elegante, usato dai professionisti del
settore, per dire “come pagare meno tasse”. Il concetto, più che legittimo
anche se forse piuttosto alieno alla maggior parte dei cittadini comuni, va via
via complicandosi man mano che il soggetto da “ottimizzare” diventa più grande,
ricco e attivo economicamente sul piano internazionale. Per i grandi studi di
diritto tributario internazionale, oltre ad essere una delle principali fonti
di reddito, è diventato qualcosa fra un rompicapo e un’ossessione, un puzzle da
risolvere nel modo migliore possibile stirando ogni legge e convenzione fin
quasi al punto di rottura per ridurre le tasse dei propri clienti, a volte
arrivando al di là dei limiti della legge stessa.
Infatti la complessità delle leggi fiscali, ma soprattutto il modo in cui
queste interagiscono fra loro in ambito internazionale, tra convenzioni e
accordi bilaterali fra Stati, dà vita ad un amplissima zona grigia, dove le
regole sono spesso tutt’altro che chiare.
Non c’è da stupirsi quindi se una delle più grandi frodi fiscali mai
scoperte, il cosiddetto scandalo ”cum-ex” che permette di eludere, e in alcuni
casi anche di farsi rimborsare illecitamente, le tasse sui dividendi azionari,
sia ancora nella fase del dibattimento in molteplici procedimenti penali aperti
nei tribunali di mezza Europa, in particolare in Germania, Danimarca e Olanda.
I sistemi di dividend washing.
Il sistema “cum-ex” è infatti stato scoperto dalle autorità già dal 2012
in Germania, anche se le operazioni di questo tipo sarebbero cominciate fin dal
2001. Questo schema fiscale, fra l'altro, è solo un tipo, il più aggressivo, di
una grande varietà di meccanismi di dividend washing, la cui tipologia più
semplice, definita “cum-cum” dagli investigatori tedeschi, è stata praticata e,
a detta di diversi attori del mondo finanziario, è ancora praticata, in tutto
il mondo con profitti eccezionali.
Il meccanismo base delle operazioni di dividend washing è abbastanza
semplice, anche se può apparire molto complesso. Invece di incassare un
dividendo, un’azienda, un trader o un investitore, può vendere le azioni di sua
proprietà a un soggetto terzo calcolando nel prezzo di vendita il dividendo
ancora “in maturazione” dentro quelle azioni.
Per chi vende si genera quindi una plusvalenza, che è esente da
tassazione, mentre chi compra (e incassa il dividendo), può rivendere le azioni
a chi le ha originariamente cedute a un prezzo inferiore a quello di acquisto, cioè
al valore delle azioni vuote del dividendo, subendo una perdita, una
minusvalenza che però è fiscalmente deducibile.
Una legge del 2005 dovrebbe arginare queste operazioni, dato che la
minusvalenza non è più integralmente deducibile, ma deve essere ridotta della
quota non imponibile del dividendo incassato (che per le società di capitali è
del 95%).
Questo cambiamento però non ha arginato il problema, tanto che a seguito
della pubblicazione della prima inchiesta “CumEx Files”, realizzata nel 2018 da
questo stesso team, l’Esma (l’Autorità europea degli strumenti finanziari e dei
mercati) ha inviato un questionario a tutti gli Stati membri per valutare i
potenziali rischi a cui è esposta l’Unione europea a causa di operazioni di
questo tipo.
Per l’Italia ha risposto la Consob (la Commissione nazionale per le
società e la Borsa), che pur segnalando che non dovrebbero esistere scappatoie
legali che permettano le forme più aggressive di dividend washing (del tipo
“cum-ex”), ha aggiunto che le azioni di aziende italiane potrebbero essere
bersaglio di sistemi del tipo “cum-cum”.
Infatti, essendo la tassazione sui dividendi molto diversa a seconda del
soggetto che le possiede (se è una società di capitali, se è residente in Italia
o all’estero) e grazie alle convenzioni contro le doppie imposizioni, c’è
sempre modo di spostare i pacchetti azionari da un soggetto A che dovrebbe
pagare una tassa più alta a un soggetto B che è esente, o che paga una somma
significativamente minore.
I trasferimenti di azioni.
Se il trasferimento è fatto poco prima del giorno dello stacco del
dividendo, il soggetto B incassa il dividendo, e ritrasferisce poi al soggetto
A le stesse azioni. B viene compensato da A per il “servizio” e il gioco è
fatto. Consob, nella sua risposta a Esma, non nega neanche la possibilità che
banche o altri tipi di intermediari italiani si prestino a realizzare simili
operazioni (anche dei tipi più aggressivi) in altri paesi europei e non.
Per quanto possa già sembrare una cifra colossale - si tratta
dell’equivalente di un quinto dell’intero fondo Next Generation Ue messo in
campo per contrastare la crisi dovuta alla pandemia - i 150 miliardi di euro di
danni erariali sono una stima estremamente conservativa.
La somma infatti comprende solo i paesi per i quali è stato possibile
accertare, grazie alle ricerche dei giornalisti che hanno collaborato
all’inchiesta, che effettivamente operazioni di questo tipo sono tecnicamente
possibili.
Per il periodo dal 2000 al 2020 si sono considerate Italia, Germania,
Austria, Spagna, Olanda, Belgio, Francia e Lussemburgo. La Svizzera e gli Stati
Uniti sono stati conteggiati solo fino al 2008, quando secondo le ricerche il
fenomeno dovrebbe essere stato bloccato dalle autorità.
Considerando che secondo gli attuali sistemi di tassazione i soggetti più
incentivati a iniziare operazioni di tipo “cum-cum” sono quelli residenti
all’estero, che non possono teoricamente beneficiare della tassazione
estremamente bassa prevista per le società di capitali italiane (è tassato solo
il 5% del dividendo, per una tassa totale intorno al 1,2%), l’università di
Mannheim ha voluto mantenersi su cifre conservative. Ha così stimato che solo
il 50% delle azioni possedute all’estero passino per un processo di dividend
washing anche se, almeno per Francia e Germania, ci sono ragioni di credere che
quasi il 100% delle azioni possedute da soggetti esteri passino per un processo
del tipo “cum-cum”.
Con queste premesse, e analizzando tutti i dividendi pagati sui principali
indici dei 12 paesi in esame, si arriva alla cifra di 150 miliardi di euro. Nel
dettaglio: per le operazioni di tipo “cum-cum” le perdite di gettito arrivano a
quasi 141 miliardi di euro, i paesi più colpiti sono Francia (33 miliardi
persi), Germania (28) e Olanda (26). L'Italia è al quinto posto, con 13,2
miliardi mancanti. I restanti dieci miliardi vengono dalle operazioni di tipo
“cum-ex”, che sono state finora accertate solo in alcuni paesi: Germania,
Francia, Belgio e Danimarca.
La “corsa all’oro”.
La differenza fondamentale fra le operazioni dette “cum-cum” e le “cum-ex”
sta nel fatto che le prime si configurano come una sorta di elusione (o
evasione, anche qui diversi paesi interpretano la legge in modo diverso) mentre
le seconde, fin dalla loro scoperta, sono sempre state percepite come delle
frodi vere e proprie, nonostante le accorate difese dei principali indagati.
Le operazioni “cum-ex”, fino al 2012, si basavano sul fatto che, in alcuni
sistemi fiscali europei, la tassa sui dividendi è trattenuta all’origine, ma
assieme al dividendo netto il proprietario delle azioni riceve, se ne ha
diritto, anche un certificato che dà diritto al rimborso della tassa stessa.
I trader però hanno scoperto che, se le azioni in questione si trovavano sotto
un contratto di opzione o “short sale” durante il giorno del pagamento del
dividendo, il certificato di rimborso arrivava sia al proprietario originale
delle azioni sia a quello che le aveva opzionate.
Di fatto, a un singolo dividendo pagato con una singola imposta trattenuta
corrispondevano due certificati di rimborso, entrambi esigibili. La scoperta
deve aver fatto aprire parecchie bottiglie di champagne, perché molto
rapidamente la vicenda si è complicata sempre di più. I trader hanno testato il
sistema e accertato che non dovevano limitarsi a soli due certificati ottenuti
per ogni azione, perché le opzioni sul singolo pacchetto azionario possono
essere multiple, e in alcuni casi la stessa tassa è stata “rimborsata” fino a
dieci volte a dieci soggetti diversi.
«Era un po’ come cercare l’oro - aveva dichiarato al giornale
investigativo italiano Irpi il whistleblower Benjamin Frey, che aveva
collaborato nel 2018 alla prima inchiesta “cum-ex” files -, a volte funziona, a
volte no».
Il paradosso è che nonostante l’idea di vedersi la stessa tassa rimborsata
più volte sia intuitivamente palesemente illegale, i principali accusati ai
vari processi in corso in Europa continuano a difendere il loro operato, e solo
nel 2020 sono arrivate le prime, timide, condanne.
I processi in Germania e nel Nord Europa.
In Germania ci sono almeno tre processi in corso, presso i tribunali di
Colonia, Francoforte e Monaco. Solo a Colonia ci sono oltre 700 indagati. Altri
importanti processi sono aperti in Danimarca, Olanda, Belgio.
Uno dei principali accusati, indagato sia in Germania che in Danimarca,
Belgio e Lussemburgo, è il trader britannico, basato a Dubai, Sanjay Shah. Il
“cowboy” lo chiamavano, per l’aggressività delle operazioni che metteva in
piedi e i grandi rischi che era disposto a correre. Shah, tramite il fondo Solo
Capital da lui creato, ha gestito enormi operazioni di “cum-ex” in Danimarca,
rastrellando 800 milioni di euro a ogni passaggio. In pochissimo tempo è
diventato miliardario e oggi vive sulla Palm Island di Dubai. I giornalisti di
Panorama, programma investigativo della tv pubblica tedesca Adr e partner di
questa inchiesta, l'hanno raggiunto nella sua casa degli Emirati Arabi e hanno
potuto parlare con lui della sua situazione legale.
Shah è ricercato in diverse giurisdizioni e non può lasciare gli Emirati
per paura di essere messo in custodia cautelare ma, almeno dalle sue parole,
non sembra troppo preoccupato: «Non credo di aver fatto nulla di sbagliato -
dice -, sono convinto che in un anno o due sarò fuori da questa situazione, e
ho intenzione di rimettermi in affari appena possibile».
Dal suo punto di vista, ha solo tratto vantaggio da un loophole, una
scappatoia legale, che non sta a lui chiudere. «Contribuenti tedeschi e danesi
sono infuriati che i loro soldi siano finiti a me? Perché non pretendono che il
loro governo cambi la legge allora? Per come la vedo io si, è un peccato, ma
non prendetevela con me. Le mie operazioni erano perfettamente legali e
legittime. Parlando della Danimarca [la giurisdizione che lo cerca più
aggressivamente, ndr] perché mai altrimenti il fisco danese avrebbe pagato
rimborsi [a Shah e agli altri trader coinvolti, ndr] per anni e anni? Solo
dalla mia azienda hanno ricevuto oltre tremila richieste di rimborso, e mai se
ne sono preoccupati».
Secondo Shah non sarebbe stato difficile impedire le operazioni di tipo
“cum-ex” con semplici cambi di leggi, e a dire il vero l'associazione delle
banche tedesche già nel 2007 aveva segnalato il rischio dei doppi rimborsi
fiscali al suo ministero delle Finanze, ma il Governo aveva scelto di ignorare
l’avvertimento.
Le prime condanne.
La procuratrice di Colonia, Anne Brorhilker, che guida il principale
processo in Germania contro queste operazioni, ha un punto di vista molto
diverso però: «Certo, possono [gli imputati, ndr] razionalizzare la cosa quanto
vogliono, convincersi che era tutto legittimo se li fa sentire meglio quando si
svegliano al mattino per andare al lavoro - dice in un’intervista a Panorama -
ma il loro obiettivo era sempre quello di rastrellare più denaro possibile da
queste operazioni fiscali».
Brorhilker sottolinea che, considerando che diversi paesi hanno posto un
freno a queste operazioni in tempi diversi, i trader hanno semplicemente
continuato a farle dove era possibile e dove il rischio di essere scoperti era
più basso. «La mentalità non è troppo diversa da quella di un taccheggiatore -
spiega -. Perché fermarsi se non mi notano? E dove non ci sono telecamere, la è
dove agire».
Nel frattempo a partire dal 2020, sono cominciate ad arrivare le prime
sentenze, tutte a favore dell’accusa. A marzo 2020 Martin Shields e Nicholas
Diable, due ex banchieri inglesi accusati in Germania, sono stati condannati a
una pena sospesa solo perché il tribunale ha riconosciuto la loro intensa
collaborazione con la procura, e nello stesso procedimento la banca di Amburgo
Mm Warburg ha subito un sequestro di 176 milioni di euro.
Lo scorso giugno, un ex impiegato della stessa banca Warburg non è stato
così fortunato. È stato infatti il primo banchiere a essere mandato in galera
per operazioni di tipo “cum-ex”, ben cinque anni e mezzo di carcere. Ancor più
importante per l’andamento di tutti i processi ancora in corso, sempre lo
scorso giugno la Corte suprema federale tedesca, analizzando l’appello di
Shields e Diable, ha dichiarato che le operazioni di tipo “cum-ex” sono “una
sfacciata frode fiscale” e un palese furto dalle casse dello Stato.
Qualcosa si muove, dunque, in Europa. E anche in Italia le autorità
fiscali investigative potrebbero già aver acceso un faro sul turbolento mondo
delle frodi “cum-ex”.
*****
Le parole chiave.
Dividendo: quella parte di utile che viene distribuito (normalmente una
volta all’anno, ma ci sono eccezioni) da una società ai suoi azionisti.
Dividend Washing: operazioni di “lavaggio” che consentono di ridurre o
eludere del tutto la tassazione sui dividendi azionari. Sono anche dette
operazioni di “dividend arbitrage” o “dividend trading”.
Cum-Ex: una categoria particolare di dividend washing. Prende il nome dal
latino “con” (cum) e “senza” (ex), ad indicare il trading di azioni con e senza
il dividendo connesso. Sono operazioni molto complesse che permettono di farsi
rimborsare più volte la stessa tassa pagata una volta sola.
Cum-Cum: è un termine più generico che racchiude diversi tipi di
operazioni di dividend washing, caratterizzate da un meccanismo simile a quello
di cum-ex, ma che porta solo a un elusione (totale o parziale) della tassa sui
dividendi senza rimborsi multipli.
Plusvalenza: è il profitto derivato dalla vendita di un bene il cui valore
è cresciuto durante il periodo per il quale è stato posseduto. Può riferirsi a
beni tangibili (una casa, un attività) o intangibili, come appunto azioni di
società quotate in borsa.
Minusvalenza: è la differenza fra un prezzo di acquisto più alto e uno di
vendita più basso per un bene, differenza che normalmente rappresenta una
perdita per chi vende. Al contrario di altri tipi di perdite, sono a volte
deducibili.
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