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giovedì 25 novembre 2021

Taglio delle tasse, maggioranza verso una soluzione di compromesso che darà poco a tutti. I maggiori risparmi per i redditi medi. - Chiara Brusini

 

Il tavolo al Tesoro si riunisce di nuovo giovedì mattina. L'ipotesi che ha preso forma negli ultimi incontri è quella di ridurre le aliquote Irpef da cinque a quattro, alzare la soglia di esenzione totale e ripensare il sistema di bonus e detrazioni che oggi ha l'effetto perverso di gonfiare le aliquote marginali effettive, quelle che colpiscono premi e straordinari. L'Irap potrebbe essere azzerata per pmi e partite Iva con redditi medio bassi. Secondo l'Istat, se anche tutti gli 8 miliardi andassero ai lavoratori l'imposizione calerebbe solo dell'1,6%.

Se anche tutti gli 8 miliardi previsti in manovra per il taglio delle tasse fossero destinati ad abbassare il prelievo sulle retribuzioni, il vantaggio per le tasche del cittadino medio sarebbe quasi impercettibile. Secondo l’Istat, l’imposizione calerebbe dell’1,6% rispetto al 2020. Ma è probabile che vada peggio: il tavolo di maggioranza convocato al ministero dell’Economia per decidere come utilizzare le risorse a disposizione sembra vicino a un accordo sull’ennesima soluzione di compromesso, con l’obiettivo di dare un contentino sia ai sindacati che chiedono di aumentare il potere d’acquisto dei lavoratori sia a Confindustria che spinge per un altro aiuto alle imprese. I partiti si stanno convincendo ad accettare una soluzione che secondo il Tesoro beneficerà tutte le fasce di contribuenti Irpef oltre ad azzerare l’Irap per le piccole partite Iva. Risultato: pochi risparmi per tutti. Chi ha redditi medi dovrebbe godere dei benefici maggiori, ma anche i (pochi) contribuenti con imponibile alto avranno un piccolo taglio.

Gli 8 miliardi complessivi messi sul piatto dal governo Draghi, va ricordato, sono l’antipasto della complessiva riforma del fisco affidata a una delega da attuare nel prossimo anno e mezzo. L’articolo 2 della manovra prevede che siano usati per ridurre l’imposta sui redditi delle persone fisiche – sia attraverso la riduzione delle aliquote sia con una revisione delle detrazioni – e l’aliquota dell’imposta regionale sulle attività produttive, ma lascia al Parlamento il compito di mettere nero su bianco le disposizioni scegliendo quindi chi privilegiare. Il Tesoro siede al tavolo con le forze di maggioranza per fornire le simulazioni di impatto sulle varie ipotesi di intervento.

Un’altra riunione, simulazioni alla mano, è in calendario per giovedì mattina. Ma la strada che ha preso forma negli ultimi incontri è quella di iniziare a ridurre le aliquote Irpef dalle attuali cinque – 23, 27, 38, 41 e 43% – a quattro: 23, 25, 34 e 43%, alzare la soglia di esenzione completa (oggi poco sopra gli 8.100 euro l’anno) e ripensare il sistema di bonus e detrazioni che oggi ha l’effetto perverso di gonfiare le aliquote marginali effettive, cioè quelle che colpiscono i proventi aggiuntivi come premi e straordinari. Chi percepisce redditi fino a 35mila euro e oggi ricade nel terzo scaglione, quello con aliquota “ufficiale” al 38% ma un’aliquota marginale effettiva al 45%, si ritroverebbe un domani nel secondo scaglione, mentre tra i 35mila e i 55mila euro di reddito si resterebbe nel terzo scaglione ma con aliquota ridotta al 34% (dall’attuale 38% con aliquota marginale effettiva al 61%): i maggiori vantaggi si concentrerebbero qui ma si parla comunque di non oltre una sessantina di euro al mese. Tra 55mila e 75mila euro l’aliquota legale si alzerebbe dal 41 al 43%. L’intervento sulle detrazioni dovrebbe comunque garantire un risparmio.

Il capo del Servizio Struttura economica della Banca d’Italia Fabrizio Balassone, audìto sulla manovra, ha fatto però presente che se l’intenzione è quella di alleggerire il carico fiscale sui lavoratori intervenire sulle aliquote non è il modo più efficace: così facendo l’impatto positivo risulta diluito, perché a beneficiarne sono anche i redditi diversi da quelli da lavoro a partire da quelli da capitale. “L’obiettivo sarebbe più efficacemente raggiungibile con la revisione di detrazioni e trattamento integrativo”, ovvero l‘ex bonus 80 euro di Renzi aumentato a 100 euro dal governo Conte. “Ciò consentirebbe interventi più selettivi anche per l’obiettivo di riduzione delle aliquote marginali effettive, concentrando le risorse sulla platea di contribuenti esposta alle criticità più evidenti”.

Per quanto riguarda l’Irap, una delle ipotesi è quella di azzerare l’aliquota (3,9%) solo per pmi e partite Iva con redditi medio bassi, sotto i 30-35mila euro, che comunque sono circa la metà dei due milioni di imprese che oggi pagano l’imposta il cui gettito – 25 miliardi nell’ultimo anno prima della pandemia – va a finanziare il Servizio sanitario nazionale. In alternativa si potrebbe procedere con un taglio verticale in base alla forma giuridica, comunque premiano anche in questo caso i “piccoli”. Il centrodestra, Lega in testa, non avendo incassato l’allargamento della flat tax per redditi fino a 100mila euro insiste per ottenere l’abolizione dell’imposta: la quadra non è ancora stata trovata. Confindustria intanto, nonostante la manovra sia all’esame del Parlamento che ha circa 800 milioni a disposizione per le modifiche, ha già provveduto a rilanciare: secondo il presidente Carlo Bonomi “va fatta una scelta forte per cui 8 miliardi non bastano, ne servirebbero 13“.

https://www.ilfattoquotidiano.it/2021/11/25/taglio-delle-tasse-maggioranza-verso-una-soluzione-di-compromesso-che-dara-poco-a-tutti-i-maggiori-risparmi-per-i-redditi-medi/6403513/

mercoledì 13 ottobre 2021

Salvini va da Draghi...

 

Salvini si adegua alle evenienze. 

Passa dall'asserire, da esperto virologo quale Non è, che le varianti del virus nascono come reazione al vaccino, per poi definirsi favorevole alla sua somministrazione ed ammettere di aver fatto anche la seconda dose. 

Strano, di solito si fa fotografare da stuoli di fotografi quando dona il sangue o beve mojito a petto nudo, e senza mascherina, ma non si fa fotografare quando si fa somministrare il vaccino... 

Gatta ci cova.

Forse pensa che chi legge le sue monate non sia in grado di capire che lo fa per accattivarsi i consensi dei favorevoli e non alla somministrazione del vaccino...

Chiede che non si aumentino le tasse anche se ad attingere ed usare una gran dose del nostro denaro, quello che noi poveri cittadini versiamo all'erario mensilmente, sia proprio lui assieme ai suoi sodali!

Il massimo, però, lo sfiora quando chiede una riappacificazione nazionale... dopo aver sputato veleno su  chiunque non concordasse con le sue idee balzane, utilizzando la Bestia del suo "caro amico" Morisi.

Infine, con la faccia di bronzo che si ritrova, ci dona una delle sue perle di saggezza: dichiarando che il problema che attanaglia il nostro paese non è il fascismo... ma il lavoro.

In tal senso io gli augurerei di finire in un mondo parallelo dove vige il fascismo e lui fosse un cittadino qualunque privo di ogni diritto. Altro che lavoro! Altro che esprimere le proprie idee! 

La deriva fascista, se non la si combatte sul nascere, è il peggio che possa capitare.

Cetta.

sabato 25 settembre 2021

Multe, bolli e tasse non pagate: così il condono cancellerà le vecchie cartelle. - Marco Mobili e Giovanni Parente

 

Il riferimento ai 5mila euro va fatto per singoli «carichi». Potranno essere annullate cartelle d’importo anche superiore se composte da più debiti

 punti chiave


Entra nel vivo la cancellazione automatica dei vecchi debiti con l’agente della riscossione per multe, bolli e tasse non pagate che si concluderà entro il 31 ottobre. Si tratta dei debiti che, al 23 marzo 2021, hanno un importo residuo fino a 5mila euro, affidati all’agente della riscossione dal primo gennaio 2000 al 31 dicembre 2010. Una chance riservata ai contribuenti persone fisiche (modello 730 e Redditi 2020) che hanno percepito nell’anno d’imposta 2019 un reddito imponibile fino a 30mila euro e agli enti (società di capitali, società di persone e enti non commerciali) che hanno conseguito, nel periodo d’imposta in corso alla data del 31 dicembre 2019, un reddito imponibile fino a 30mila euro. A fornire le istruzioni sul condono previsto dal primo decreto Sostegni (Dl 41/2021) è la circolare 11/E/2021 delle Entrate.

Il limite dei 5mila euro.

La circolare chiarisce che il limite di 5mila euro (inclusi capitale, interessi per ritardata iscrizione a ruolo e sanzioni) va calcolato in relazione agli importi dei singoli carichi. Il rispetto del tetto va calcolato tenendo conto del capitale, degli interessi per ritardata iscrizione a ruolo e delle sanzioni, mentre restano esclusi dal calcolo gli aggi e gli interessi di mora e le eventuali spese di procedura. Tradotto in altri termini, una singola cartella di valore complessivo anche molto superiore potrebbe essere interamente stralciata - se ricorrono anche gli altri requisiti - qualora sia composta da singoli carichi fino a 5mila euro.

Compresi i debiti con la rottamazione.

La cancellazione automatica si applica anche ai debiti rientranti nella rottamazione-ter (Dl 119/2018) nel saldo e stralcio (legge di Bilancio 2019) e nella riapertura dei termini (prevista dal Dl 34/2019). Nella pagina dedicata del sito di agenzia delle entrate-Riscossione (Ader) è possibile verificare se i debiti ammessi alle predette definizioni agevolate possono essere oggetto di annullamento.

I redditi fino a 30mila euro.

I debiti che possono essere cancellati con il condono riguardano persone fisiche e soggetti diversi dalle persone fisiche che hanno conseguito, rispettivamente nell’anno d’imposta 2019 e nel periodo d’imposta in corso alla data del 31 dicembre 2019, un reddito imponibile fino a 30mila euro. Per le persone fisiche vengono considerate le Certificazioni uniche 2020 e le dichiarazioni 730 e Redditi Pf 2020 presenti nella banca dati dell’agenzia delle Entrate alla data del 14 luglio 2021. Per i soggetti diversi dalle persone fisiche si fa invece riferimento ai modelli dichiarativi Redditi società di capitali, Società di persone, enti non commerciali, nel cui frontespizio è indicato un periodo d'imposta che ricomprende la data del 31 dicembre 2019.

La consegna degli elenchi.

Per completare la cancellazione dei ruoli entro il 30 serrembre l’agenzia delle Entrate restituisce all'agente della riscossione l’elenco trasmesso entro il 20 agosto segnalando i codici fiscali relativi a soggetti che, sulla base delle dichiarazioni dei redditi e delle certificazioni uniche presenti nella propria banca dati alla data di emanazione del decreto attuativo, risultano avere conseguito redditi imponibili superiori ai 30mila euro prevista come soglia di sbarramento dal primo decreto Sostegni.

Cancellazione e fine della sospensione.

Entro il 31 ottobre saranno cancellati tutti i debiti dei contribuenti non inseriti tra i codici fiscali oltre i 30mila euro. Ma nel caso di ruoli intestati a più debitori, non saranno stralciate le cartelle se almeno uno risulta tra i codici fiscali segnalati alla Riscossione. Alla fine di ottobre cesserà anche la sospensione della riscossione coattiva per tutti i debitori con ruoli fino a 5mila euro. «L’agente della riscossione provvede in autonomia allo stralcio senza inviare alcuna comunicazione», spiega la circolare. Ma il contribuente potrà verificare che i debiti siano stati annullati consultando la propria situazione debitoria con le modalità rese disponibili dall’agente della riscossione.

IlSole24Ore

martedì 21 settembre 2021

Riforma del Catasto, così il Governo prova a non aumentare le tasse. - Marco Mobili e Gianni Trovati

 

Sul Catasto il Governo cerca di rincorrere l’invarianza di gettito che dovrebbe tradursi in una redistribuzione del carico fiscale sulla casa adeguando le rendite ai valori di mercato ma senza far crescere l’importo complessivo delle tasse sul mattone.

Sul Catasto il Governo va avanti. Cercando di rincorrere l’invarianza di gettito che, secondo le intenzioni dei tecnici del Mef, dovrebbe tradursi in una redistribuzione del carico fiscale sulla casa adeguando le rendite ai valori di mercato ma senza far crescere l’importo complessivo delle tasse sul mattone. E senza toccare l’abitazione principale.

Obiettivi certo non facili da far passare con una maggioranza che si è subito spaccata sulle tasse sul mattone. Ma la macchina va avanti, costi anche dover prendere qualche giorno in più per il varo della delega fiscale, contestualmente all’approvazione della Nadef, e lasciare spazio nel Cdm di giovedì prossimo al decreto legge per ridurre di almeno un terzo l’aumento delle bollette di luce e gas, e alle misure antidelocalizzazione (su cui restano però ancora divergenze). Misure queste ultime che potrebbero prendere anche la forma di emendamenti al decreto sulla crisi d’impresa all’esame delle Camere.

L’obiettivo di riscrivere l’Irpef.

Con la delega fiscale, sollecitata anche dalla Commissione europea, il Governo punta a riscrivere l’Irpef, alleggerendo il prelievo sui redditi medio bassi e accentuando quanto più possibile la separazione tra redditi da lavoro e rendite finanziare. Non solo. La delega punta anche a ridurre i vicoli della privacy per consentire all’amministrazione finanziaria di utilizzare con più efficacia la miriade di dati in suo possesso per contrastare l’evasione. Tra i temi caldi per la maggioranza c’è poi l’Iva, su cui si punterebbe a un’omogeneizzazione di beni e servizi oggi soggetti ad aliquote agevolate (4,5 e 10%), o ancora la riscossione, su cui il Governo ha già inviato al Parlamento i possibili spazi di intervento, dalla riduzione del magazzino all’inesigibilità dei ruoli, dalla revisione dell’aggio all’accorpamento tra agenzia delle Entrate e l’attuale agente pubblico della riscossione.

Il nodo principale per approvare la delega resta però il mattone. Il patto che il Governo è pronto a sottoscrivere sarebbe quello di riequilibrare il prelievo fra chi ha un immobile che per il fisco vale più che per il mercato (situazione in crescita con la crisi dell’immobiliare in molti centri) e chi è nella situazione contraria. Il nuovo sistema abbraccerebbe come unità di misura il metro quadrato al posto dei vani, alla base di rendite che non considerano in alcun modo l’evoluzione di territori e la dinamica del mercato immobiliare in base all’evoluzione dei servizi.

Riformare senza aumentare le tasse.

Come cercare l’invarianza di gettito è cosa certamente più complessa e la strada potrebbe essere quella di ridurre le aliquote delle imposte o l’aumento della rendita in proporzione all’aumento complessivo dei valori fiscali. 

Le posizioni dei partiti.

L’addio ai vani catastali e la semplificazione delle categorie per dividere gli immobili in «ordinari», «speciali» e «beni culturali», come detto, hanno però spaccato la maggioranza. La Lega resta compatta sul «no» con Massimo Bitonci, già viceministro al Mef con il Conte 1, che giudica un’utopia l’invarianza di gettito. L’obiettivo è invece ritenuto possibile dalla ministra degli Affari Regionali, Maria Stella Gelmini. Ma in Forza Italia fa da contraltare il vicepresidente Antonio Tajani, secondo cui è «errato fare una riforma del catasto che porti poi a un inevitabile aumento della pressione fiscale sulla casa».

Si ammorbidisce però la posizione dei Cinque Stelle. Per Vita Martinciglio e Giovanni Currò, rispettivamente capogruppo e vicepresidente della commissione Finanze della Camera, «la riforma del Catasto non è l’intervento prioritario per rilanciare crescita e occupazione. Ma se troverà posto nella legge delega non ci tireremo indietro. Ma deve essere chiaro che non potrà derivare alcun aggravio fiscale complessivo». Confedilizia in rappresentanza dei proprietari parla di «rischio enorme» dall’intervento sul Catasto. Ma per Leu e il Pd, invece, la revisione degli estimi e il passaggio dal vano al metro quadrato non si possono più rinviare.

IlSole24Ore

martedì 29 giugno 2021

Premi per chi paga le tasse: come funziona il Patto fiscale proposto dalle Camere.

 

Il documento di indirizzo delinea un nuovo “Patto fiscale” tra Stato e cittadini.

Premi per chi paga le tasse. La bozza della proposta di riforma del fisco delle commissioni Finanze di Camera e Senato di 21 pagine, in vista della chiusura dei lavori mercoledì 30 giugno, sottolinea che «la riforma fiscale deve cogliere l'occasione per innestare in modo deciso e irreversibile un cambio di paradigma nei rapporti tra amministrazione fiscale e contribuente». Il documento di indirizzo, che il presidente del Consiglio Mario Draghi punta a prendere in considerazione in vista del via libera del Governo alla legge delega entro la fine del mese prossimo, delinea dunque un nuovo “Patto fiscale” tra Stato e cittadini.

Gli impegni reciproci alla base del Patto fiscale Stato-cittadini.

La logica è quella di un impegno reciproco. Da parte sua lo Stato «deve allontanare ogni tendenza a considerare il contribuente un “evasore che ancora non è stato scoperto”, e al contempo efficientare i propri comportamenti, non solo quelli relativi all'amministrazione finanziaria ma anche quelli inerenti l'efficiente utilizzo delle risorse pubbliche raccolte con la tassazione». Quanto invece al contribuente, «deve pienamente internalizzare il beneficio collettivo che deriva dal pagamento dei tributi (in termini di erogazione di beni e servizi pubblici)».

Meccanismo strutturale di premialità per i contribuenti leali.

«Elemento fondamentale del nuovo patto fiscale tra Stato e cittadini - si sottolinea nella bozza del documento conclusivo - è un meccanismo strutturale di premialità per i contribuenti leali».

Escludere dalle sanzioni i mancati versamenti per errore o grave mancanza di liquidità.

Come? Ad esempio attraverso finestre più brevi per i controlli, o tagliando automaticamente i tempi dei rimborsi fiscali o i termini degli accertamenti. Le commissioni raccomandano «meccanismi più cogenti, che includono la concessione di forme di certificazione del rispetto delle obbligazioni tributarie in base alle quali riconoscere in maniera automatica benefici quali, a titolo esemplificativo, riduzioni dei termini di controllo e accertamento e dei tempi di rimborso fiscale». L'apparato sanzionatorio «dovrebbe esplicitamente escludere i casi di omesso versamento per errore o per grave carenza di liquidità».

Rivoluzione manageriale per la riscossione.

L'attività di riscossione, più in generale, «deve andare incontro ad una vera e propria “rivoluzione manageriale”, in grado di superare l'approccio meramente formale e virare verso una gestione del processo produttivo interamente concentrata su efficienza ed efficacia».

IlSole24Ore

giovedì 15 ottobre 2020

Giganti del web, 46 miliardi di tasse non pagate.

 

Nel 2015-2019 i giganti del web e del software (WebSoft) hanno più che raddoppiato il fatturato a un ritmo 10 volte superiore a quello delle grandi aziende manifatturiere. L'anno passato il fatturato dei primi 25 colossi ha toccato quota 1.014 miliardi in un mercato sempre più concentrato e dominato da nomi americani e cinesi: i primi tre, Amazon, Alphabet (Google) e Microsoft, hanno fatto circa la metà dei ricavi con Amazon che da sola ne rappresenta un quarto (249,7 miliardi). Secondo uno studio del'Area Studi di Mediobanca sono aumentati anche utili, forza lavoro e valore di Borsa. E l'emergenza sanitaria non ha frenato la loro corsa neanche quest'anno, anzi in molti casi l'ha aiutata

Circa la metà dell'utile ante imposte dei giganti del web e del software - continua la ricerca - è tassato in Paesi fiscalità agevolata, come l'Irlanda e Singapore ma pure Usa e Cina, con un conseguente risparmio fiscale di oltre 46 miliardi nel quinquennio 2015-2019. Secondo l'Area studi di Mediobanca il tax rate è pari al 16,4%, al di sotto di quello teorico al 22,2%. Da qui la spinta gli utili 25 big del comparto quasi tutti americani e cinesi, guidati da Amazon, Google e Microsoft, che hanno visto il fatturato aggregato superare nel 2019 i mille miliardi di euro e aumentare anche la forza lavoro e il loro valore di Borsa. L'emergenza sanitaria legata al Covid non ha frenato la loro corsa neanche quest'anno, anzi in molti casi l'ha aiutata.

I giganti del web e del software operano in Italia tramite controllate presenti in gran parte nelle province lombarde di Milano e Monza Brianza. L'aggregato 2019 delle filiali italiane, passate in rassegna dall'Area Studi di Mediobanca, ha un fatturato di oltre 3,3 miliardi (pari allo 0,3% del totale delle aziende web e software a livello mondiale) e occupa oltre 11mila unità (0,5% del totale) ,oltre mille in più rispetto al 2018. L'anno scorso hanno versato al fisco italiano circa 70 milioni, per un'aliquota fiscale effettiva del 32,1%. 

(foto ANSA)

https://www.ansa.it/sito/notizie/tecnologia/tlc/2020/10/14/giganti-del-web-46-miliardi-di-tasse-non-pagate_5775f4cc-0a33-44fc-8fc7-e23c3309bcee.html

sabato 22 agosto 2020

Discoteche, a ballare sono le tasse. I costi, i guadagni e il fisco. - Nicola Borzi

Discoteche, a ballare sono le tasse. I costi, i guadagni e il fisco

Quello che non torna. Le imprese chiedono 420 milioni di aiuti-Covid. Ma 3 su 4 hanno indicatori di affidabilità fiscale sotto la norma.
I gestori delle discoteche piangono miseria. È lontano anni luce il boom degli anni 80, quando il socialista Gianni De Michelis pubblicava “Dove andiamo a ballare questa sera?”, una guida a 250 sale e night club “testati” personalmente dall’allora ministro del Lavoro del governo Craxi. Una lunga crisi prima, per il calo di appeal che ha portato a chiudere molte sale, e poi il lockdown scattato da 23 febbraio a causa della pandemia hanno assestato un terribile uno-due al settore. Dal 13 giugno ha riaperto solo un locale su cinque. Dopo la decisione del 16 agosto con la quale il ministro della Salute Roberto Speranza ha vietato di nuovo le attività di ballo, per i troppi casi di mancato rispetto delle regole di prevenzione e distanziamento, oggi le associazioni degli esercenti bussano a denari al Governo e chiedono 120mila euro a fondo perduto per ogni discoteca iscritta alle Camere di commercio. Ma a ballare, sinora, sono solo le cifre reali sul settore, specie quando si tratta di pagare le tasse: tre discoteche su quattro hanno un indicatore di affidabilità fiscale scarso o pessimo.
Nel tavolo con il Governo, al momento di quantificare gli aiuti, il sindacato di categoria Silb-Fipe aderente a Confcommercio ha parlato di un giro d’affari del settore da 4 miliardi con 100mila addetti tra diretti e indiretti. Oltre a Fiepet-Confesercenti, l’altra organizzazione del comparto è Assointrattenimento che fa capo a Confindustria, secondo la quale il giro d’affari delle discoteche lo scorso anno è stato di circa 3,5 miliardi, con 89mila dipendenti diretti e 90mila indiretti. È sulla base di questi dati che al ministro dello Sviluppo economico, Stefano Patuanelli, le imprese chiedono rimborsi per 420 milioni, riduzione del carico fiscale oggi pari al 48% dei ricavi, di cui 22% di Iva a fronte della media del 10% del resto del comparto dello spettacolo, e un’attività di controllo e repressione più dura nei confronti dell’abusivismo che, secondo le associazioni di categoria, non rispetta le regole e fa concorrenza sleale.
Le cose, però, non paiono stare esattamente così, tanto che sui social network sono già scoppiate roventi polemiche. Secondo i dati più recenti dell’Istat, nel 2017 erano attive in Italia 1.569 discoteche, night club e locali da ballo, identificati come le imprese che gestiscono questa attività a titolo principale. Nulla si sa sul numero e la dimensione delle imprese che hanno la discoteca come attività secondaria, ma potrebbero essere qualche centinaio. Le discoteche censite avevano un totale di 9.392 addetti dei quali 8.046 dipendenti e 1.346 collaboratori con diverse forme contrattuali, a chiamata o di somministrazione. Il 58,7% degli addetti, oltre 5.500 persone, era occupato al Nord, 2.500 al Centro (26,6%), 930 al Sud (9,9%) e i restanti 450 circa nelle isole (4,6%).
Ma la parte più rilevante delle statistiche Istat è quella relativa all’andamento economico del settore. Si tratta di dati che, secondo i funzionari dell’Istituto nazionale di statistica, sono stati raccolti attraverso i bilanci depositati nelle Camere di commercio per le società di capitali oppure, per le società di persone, attraverso le dichiarazioni Irap e gli indici sintetici di affidabilità (Isa) del Dipartimento delle Finanze del ministero dell’Economia, gli strumenti di verifica fiscale che hanno sostituito gli studi di settore.
Secondo queste informazioni, le 1.569 imprese censite in Italia nel 2017 avevano realizzato un fatturato medio di 449mila euro, per un totale di settore di poco più di 704 milioni. Il valore aggiunto medio era stato di 124mila euro, pari a un valore complessivo di poco meno di 195 milioni. I costi, con 320mila euro a discoteca, avevano totalizzato invece 502 milioni, comprimendo il margine operativo lordo (la differenza tra ricavi e costi al netto degli ammortamenti, delle minusvalenze, degli oneri finanziari e della tassazione) ad appena 32mila euro per impresa da ballo, pari a un valore nazionale di 50,2 milioni. Il tutto dopo aver spesato retribuzioni lorde per 68mila euro a impresa (106,7 milioni il totale nazionale) e un costo del lavoro complessivo di 92mila euro ad azienda, pari a 144,3 milioni complessivi.
I dati dell’Istat sono dunque estremamente diversi dalle cifre dichiarate dalle associazioni di settore. Se si prendono in esame le informazioni fiscali raccolte dal Dipartimento delle Finanze attraverso gli indicatori sintetici di affidabilità fiscale (Isa) relativi al periodo di imposta 2018, che riguardavano 1.057 discoteche controllate, emerge un quadro ancora differente. Quasi tre quinti delle sale da ballo erano gestite da società di capitali, un altro quinto da società di persone e il restante 21,9% da persone fisiche. In media, i ricavi o compensi dichiarati all’Erario erano pari a 292mila euro per impresa, per un fatturato di settore di 308,6 milioni. Il valore aggiunto medio di ciascuna impresa censita dal Fisco era di 82mila 700 euro, 87,5 milioni in tutto il comparto. Il reddito d’impresa o da lavoro autonomo, cioé l’utile di ciascun operatore sul quale si calcola l’imposta, era in media di appena 8.600 euro. Dunque tutte le discoteche controllate dal Dipartimento delle Finanze avrebbero realizzato, nell’intero 2018, un utile di poco più di 9 milioni. Si andava dalla perdita di 2.700 euro dichiarata dalle discoteche gestite da società di capitali “a bassa affidabilità fiscale” sino ai 39.300 euro di utile di quelle ad “alta affidabilità fiscale”.
Proprio la credibilità delle cifre indicate al Fisco, misurata dagli indicatori Isa, è il tallone d’Achille del settore. Secondo gli Isa, nel 2018 solo una sala da ballo su quattro, il 26,2% del totale, aveva un indicatore di attendibilità fiscale pari o superiore a 8 su 10, ovvero considerato “buono” dall’Agenzia delle Entrate. Chiedere 120mila euro come rimborso a fondo perduto per ogni discoteca pare dunque sproporzionato: forse sarebbe meglio condizionare le erogazioni pagate dallo Stato ai valori di credibilità fiscale e ai bilanci presentati da ciascun gestore.

sabato 9 maggio 2020

Pagamenti elettronici, “Basta soldi sporchi”: una petizione per abbandonare il contante. Tra i firmatari il magistrato Sabella.

Pagamenti elettronici, “Basta soldi sporchi”: una petizione per abbandonare il contante. Tra i firmatari il magistrato Sabella

Sulla piattaforma Change.org, il gruppo "Eroi Fiscali" chiede di rinunciare al contante per interrompere "traffici di ladri, truffatori, rapinatori", far emergere l'evasione e "mettere in circolo grandi liquidità nascoste". Tra i firmatari anche il magistrato Alfonso Sabella e l'ex parlamentare Castagnetti.
Dopo la pandemia, concordano gli esperti, saranno necessari molti cambiamenti: nel nostro modo di spostarci, di lavorare, di incontrarci. Secondo il gruppo “Eroi Fiscali” però, un cambiamento è particolarmente urgente: smettere di usare i contanti. In una petizione lanciata su Change.org (qui il link) e indirizzata al Parlamento, chiedono di completare la transizione dal denaro contante a quello elettronico.
Tra i primi firmatari della petizione ci sono: il magistrato Alfonso Sabella e l’ex parlamentare e vicepresidente della Camera Pierluigi Castagnetti. Poi: Arrigo RovedaEmanuele CavallaroPierluigi SaccardiAgostino MegaleSonia AlvisiAnna CossettaAlessandro Garassini e Eliano Omar Lodesani.
I soldi, è la tesi della petizione, sono spesso sporchi: in senso letterale, perché secondo l’università di Oxford, su ogni banconota si trovano circa 26mila batteri di almeno 3000 diverse specie. Ma soprattutto in senso metaforico. “I soldi possono essere anche molto sporchi dentro: di droga, di sangue, di estorsioni e disonestà. Sono quelli che le mafie devono riciclare, sono quelli di ladri, truffatori, rapinatori”. Frutto di corruzione, riciclaggio, evasione fiscale. “Parliamo di oltre centodieci miliardi di euro all’anno, quasi duemila euro sottratti ad ogni Italiano”.
Di conseguenza, sostengono, con una “scelta relativamente semplice” come quella dei pagamenti elettronici è possibile “aggredire e risolvere buona parte degli strumenti per poter così redistribuire più equamente la ricchezza“. Ormai “i nuovi sistemi contactless e l’uso dello smartphone come strumento di pagamento rendono possibile evitare qualsiasi contatto fisico” e rendono i pagamenti molto semplici anche per chi non è avvezzo all’uso della tecnologia. Tra i vantaggi la petizione menziona la sicurezza rispetto al contante (riducendo il rischio di furti e rapine) e il fatto che si potrebbero “mettere in circolo grandi liquidità nascoste“. Un’iniezione di denaro nell’economia. “La prima banconota italiana è del 1746 e oggi – concludono – possiamo diventare, orgogliosamente, il primo grande Paese senza soldi sporchi“.

lunedì 20 aprile 2020

Paradisi fiscali in Ue: ecco quanti soldi ci sottraggono Olanda, Irlanda e Lussemburgo offrendo alle multinazionali una tassazione di favore. - Felice Meoli

Paradisi fiscali in Ue: ecco quanti soldi ci sottraggono Olanda, Irlanda e Lussemburgo offrendo alle multinazionali una tassazione di favore
nella foto i primi ministri di Olanda (Mark Rutte), Lussemburgo (Xavier Bettel) e Irlanda (Leo Varadkar)

L'Italia perde ogni anno almeno 6,5 miliardi euro di entrate: finiscono nelle casse dei sei Paesi che stando al rapporto dalla commissione speciale sui crimini finanziari TAX3 "facilitano una gestione fiscale aggressiva”. Ci sono anche Cipro, Malta e Ungheria ma olandesi e lussemburghesi sono quelli che ci guadagnano di più impoverendo il resto dell'Unione. La Germania si vede sottrarre addirittura 19 miliardi, la Francia 17. Non si interviene perché le modifiche in materia fiscale richiedono l’unanimità.
Più che paradisi, dei veri e propri “buchi neri fiscali”. Questa la definizione dell’ex Commissario europeo all’economia Pierre Moscovici, poco più di due anni fa. Cioè due mesi prima della partenza dei lavori della commissione speciale sui crimini finanziari TAX3. Sette – poi scesi a sei – Paesi che sottraggono risorse ai propri vicini di casa, provocando un danno netto a tutto il condominio, a favore di chi può eludere il pagamento delle tasse. A causa del profit shifting, l’Italia perde ogni anno il 19% delle entrate tributarie dalle proprie imprese ovvero 7,5 miliardi di euro l’anno, di cui 6,5 all’interno dell’Unione EuropeaTax Justice Network di recente ha stimato che Paesi Bassi – grandi oppositori di misure “solidali” di risposta alla pandemia come i coronabond – l’anno scorso abbiano sottratto al nostro Paese 1,5 miliardi. Una distorsione dell’architettura comunitaria ben conosciuta da tutti gli attori in gioco e in alcuni casi perfino rivendicata da chi se ne avvantaggia.
Dopo le rivelazioni e gli scandali fiscali emersi negli ultimi anni, dai Lux leaks ai Panama paper, dai Football leaks ai Paradise papers, il Parlamento europeo decise di istituire una commissione speciale sui crimini finanziari, sull’evasione e sull’elusione fiscale – cosiddetta TAX3 – insediatasi il 1 marzo 2018. Dopo un anno di lavoro fatto di audizioni, interpelli e investigazioni, TAX3 ha inviato agli eurodeputati una lunga serie di conclusioni e raccomandazioni. Segnalando in particolare che 7 Paesi dell’Unione “mostrano tratti di paradisi fiscali e facilitano una gestione fiscale aggressiva”. Si tratta di Belgio, Cipro, Irlanda, Lussemburgo, Malta, Olanda e Ungheria.
La vecchia Commissione glissò sui paradisi fiscali nell’Ue – Le stime di Bruxelles indicano che le pianificazioni fiscali aggressive all’interno dell’Unione provocano una perdita annuale di gettito compresa tra i 50-70 miliardi (cifre riconducibili alla sola traslazione dei profitti, e che rappresentano il 17% delle entrate fiscali) e i 160-190 miliardi di euro se si comprendono anche gli accordi ad hoc delle maggiori multinazionali con gli Stati e le inefficienze nella raccolta del gettito. Poco meno di 50 miliardi sono invece elusi dalle persone fisiche che portano la propria ricchezza all’estero, mentre circa 65 miliardi di euro riguardano le frodi sull’iva transfrontaliera. Un quadro comunque chiaro anche alla Commissione, che già negli scorsi anni aveva avanzato critiche ai sette Paesi, per i problemi emergenti dai loro sistemi tributari. Nel rispondere alla risoluzione del Parlamento, circa un anno fa e prima dell’insediamento della nuova Commissione, Palazzo Berlaymont ebbe a eccepire solo sul Belgio, che dallo scorso anno non offrirebbe più la possibilità di una pianificazione aggressiva. Sulla richiesta del Parlamento di dichiarare ufficialmente paradisi fiscali gli altri Paesi, la Commissione ha invece praticamente glissato. Non così l’ex commissario Pierre Moscovici, che li definì, più che paradisi, veri e propri “buchi neri fiscali”.
Ecco quanto ci perde l’Italia e quanto guadagnano Lussemburgo, Irlanda e Olanda – Secondo quanto evidenziato dai più recenti studi macroeconomici portati avanti da Thomas Tørsløv (Università di Copenaghen), Gabriel Zucman e Ludvig Wier (entrambi dell’Università di Berkeley), questi Paesi sottraggono direttamente agli altri Stati membri, solo in elusione fiscale, oltre 42 miliardi all’anno. L’Olanda raccoglie in questo modo il 30% del proprio gettito, attraendo in maniera artificiosa da altri Paesi circa 90 miliardi di euro, a cui offrire un’aliquota speciale. Il Lussemburgo attrae 50 miliardi, da cui va a formare il 54% delle proprie entrate fiscali. L’Irlanda costruisce in questo modo il 65% del proprio gettito, attraendo ogni anno 117 miliardi di euro dai Paesi (non solo europei) con tassazione maggiore. A Malta questo frutta l’88% delle proprie entrate fiscali complessive.
L’Italia, invece, subisce un profit shifting di 24 miliardi di euro e a causa dei paradisi perde il 19% delle proprie entrate tributarie dalle imprese, ovvero 7,5 miliardi di euro, di cui 6,5 all’interno dell’Unione Europea. Sono 3 i miliardi sottratti dal Lussemburgo, 1,6 dall’Irlanda e 1 dall’Olanda. Per quanto riguarda le destinazioni extra Ue quasi 700 milioni sono persi a favore della Svizzera, mentre poco più di 270 milioni spariscono a favore di Caraibi, Hong Kong e SingaporeGermania e Francia sono anche più colpite dell’Italia, perdendo rispettivamente il 28% e il 24% del proprio gettito da parte delle imprese. Sono 19 miliardi di euro per la Germania, di cui quasi 16 restano nei paradisi europei, mentre per la Francia si tratta di 12 miliardi, di cui 10 rimangono nelle immediate vicinanze.
Ma i paradisi impoveriscono tutta l’Unione – Va sottolineato che i paradisi non impoveriscono solo i Paesi da cui fuggono le imprese, ma tutta l’Unione, perché garantendo una tassazione di favore permettono di sborsare molto meno di quanto dovuto, alimentando l’inefficienza del sistema. Questo vale sia per le imprese europee che per quelle extra-Ue ma operanti nell’Unione. Per esemplificare, con una tassazione sugli utili che attraverso un’accurata pianificazione può arrivare fin sotto il 5%, una multinazionale americana con sede in un paradiso e operante nel resto dell’Unione riesce a risparmiare 4 euro ogni 5 teoricamente dovuti. Il paradiso ne incassa solo 1, l’Unione nel complesso ne perde 4. I Paesi dove opera realmente perdono tutto.
In Olanda e Lussemburgo metà degli investimenti fantasma del mondo – Grazie a queste possibilità i paradisi della Ue sono anche leader mondiali nell’attrazione di investimenti diretti esteri fantasma, presentando stock di investimenti in entrata e in uscita di molte volte maggiori del loro Prodotto interno lordo, spesso il risultato della creazione di strutture artificiali per abbattere gli oneri. Secondo un report dello scorso dicembre del Fondo monetario internazionale, a firma di Jannick DamgaardThomas Elkjaer e Niels Johannesen, il 40% di tutti gli investimenti diretti esteri globali sarebbe fantasma. Olanda e Lussemburgo, che insieme ricevono una quota di investimenti diretti esteri maggiore di quella degli Stati Uniti, ospiterebbero quasi metà di tutti gli investimenti fantasma del mondo. Il Fmi indica che su un totale di 40 trilioni di dollari di investimenti diretti esteri globali, 15 trilioni sarebbero da ricondurre a scatole vuote senza vere attività. Di questi 3,8 trilioni (3.800 miliardi) di dollari sarebbero in Lussemburgo e 3,3 trilioni (3.300 miliardi) in Olanda. Anche questa è una circostanza ben conosciuta dalle istituzioni europee, evidenziata nella relazione del Parlamento dopo i lavori di TAX3. Il documento approvato sottolinea che l’Irlanda riceve più investimenti diretti di Germania e Francia, e che Malta raccoglie investimenti per un ammontare pari al 1.474% della propria economia. Su queste evidenze la Commissione non avanzò commenti.
Le modifiche in materia fiscale richiedono l’unanimità – Perché allora è tutto fermo? Secondo l’ultimo rapporto del Tax Justice Network, pubblicato all’inizio di aprile e intitolato “Time for the EU to close its own tax havens”, le ragioni sono principalmente due. La prima è ideologica. Persino nei Paesi che perdono di più come la Germania, il mondo degli affari ha resistito alle richieste crescenti di trasparenza fiscale da parte dell’opinione pubblica, cercando di evitare ogni tipo di rendicontazione che rivelerebbe le discrepanze tra le nazioni in cui prende forma l’attività economica e le nazioni in cui gli utili vengono riportati per motivi fiscali. La seconda ragione è l’inerzia politica collegata all’impossibilità di un’azione concreta su questo fronte da parte dell’Unione Europea. Le modifiche in materia fiscale richiedono l’unanimità, e i paradisi si oppongono costantemente a ogni discussione di revisione delle norme, in nome della “sovranità fiscale”. Che finisce tuttavia per andare a scapito di tutti gli altri Paesi membri. “Nessuno dovrebbe sorprendersi che un paradiso fiscale agisca in maniera egoistica, indebolendo i propri vicini”, afferma in apertura del suo report il Tax Justice Network. E mutatis mutandis è proprio ciò che rivendicano anche gli stessi olandesi.
La posizione olandese: “Preservare la reputazione di porta d’ingresso in Europa” – Nell’incontro del 12 settembre 2018 presso la Direzione generale della Fiscalità e dell’Unione Doganale della Commissione Europea, indetta per costruire una “piattaforma di buona governance fiscale”, il professore dell’Università di Amsterdam Sjoerd Douma offriva ai presenti la prospettiva olandese del dibattito sulla fiscalità internazionale, stakeholder per stakeholder. Dal punto di vista dei commercialisti, una “scelta volontaria del governo olandese di adottare misure di contrasto all’elusione fiscale oltre le richieste minime del consensus internazionale indebolirebbe seriamente il clima degli investimenti nei Paesi Bassi. Specialmente nel contesto della Brexit e della riforma fiscale americana, l’Olanda deve preservare la propria reputazione di “porta d’ingresso in Europa” e proteggere i suoi tradizionali gioielli della corona”. Secondo le associazioni imprenditoriali olandesi, l’approccio della Commissione di puntare a una base imponibile comune in Europa sarebbe invece poco ambizioso e piuttosto ci sarebbe bisogno di una maggiore competitività tributaria, così come dell’eliminazione delle ritenute sui dividendi. Secondo Douma, in un dibattito pubblico finora dominato dalle posizioni delle Ong, il problema sarebbe culturale e mediatico, gravato dalla mancanza di fiducia tra gli attori del sistema. Ma forse questa diffidenza si può capire a fronte di obiettivi contrastanti da parte degli attori e ruoli ambigui, come sottolineato dalle stesse Ong. Tax Justice, Oxfam e Somo puntano infatti il dito sui doppi incarichi dei professori universitari, allo stesso tempo anche consulenti fiscali delle imprese. Ambiguità a cui non si possono sottrarre nemmeno le stesse autorità tributarie, strette nella morsa di dover bilanciare la volontà di adottare misure di contrasto alle frodi e il bisogno di mantenere alti gli investimenti nel Paese.
https://www.ilfattoquotidiano.it/2020/04/20/paradisi-fiscali-in-ue-ecco-quanti-soldi-ci-sottraggono-olanda-irlanda-e-lussemburgo-offrendo-alle-multinazionali-una-tassazione-di-favore/5773468/
Ho sempre sostenuto che questa Unione Europea è nata malissimo ed è gestita anche peggio.
Non si possono accettare in un contesto stati membri che giocano sporco alle spalle degli altri stati facenti parte del contesto.
La lealtà, l'etica dovrebbero prevalere in un gruppo omogeneo, senza il reciproco rispetto non possono coesistere la collaborazione e la coesione di intenti.
Questa unione è una continua discrepanza su tutti gli argomenti, non è una unione è un'accozzaglia informe, senza alcun senso comune.
Cetta.