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sabato 12 marzo 2022

Ma quanto mi costi? - Massimo Erbetti

 

Ma quanto mi costi?...e perché mi costi così tanto?...oggi preparatevi ad impazzire con i numeri…mi spiace ma ve tocca…nel prepararli sono impazzito io…adesso tocca a voi…per fare il pieno ci vuole un mutuo?...parliamo del costo della benzina…ed ecco perché costa così tanto:

– Guerra d’Etiopia del 1935-1936: 1,90 lire (0,000981 euro);

– Crisi di Suez del 1956: 14 lire (0,00723 euro);

– Ricostruzione dopo il disastro del Vajont del 1963: 10 lire (0,00516 euro);

– Ricostruzione dopo l’alluvione di Firenze del 1966: 10 lire (0,00516 euro);

– la Ricostruzione dopo il terremoto del Belice del 1968: 10 lire (0,00516 euro);

– Ricostruzione dopo il terremoto del Friuli del 1976: 99 lire (0,0511 euro);

– Ricostruzione dopo il terremoto dell’Irpinia del 1980: 75 lire (0,0387 euro);

– Missione ONU durante la guerra del Libano del 1982: 205 lire (0,106 euro);

– Missione ONU durante la guerra in Bosnia del 1995: 22 lire (0,0114 euro);

– Rinnovo del contratto degli autoferrotranvieri del 2004: 0,02 euro;

– Acquisto di autobus ecologici nel 2005: 0,005 euro;

– Emergenza terremoto in Abruzzo del 2009: 0,0051 euro;

– Finanziamento alla cultura nel 2011: da 0,0071 a 0,0055 euro;

– Gestione immigrati dopo la crisi libica del 2011: 0,04 euro;

– Emergenza alluvione Liguria e Toscana del novembre 2011: 0,0089 euro;

– Decreto ‘Salva Italia’ del dicembre 2011: 0,082 euro (0,113 sul diesel);

– Emergenza terremoti dell’Emilia del 2012: 0,024 euro;

– Finanziamento del ‘Bonus gestori’ e riduzione delle tasse ai terremotati dell’Abruzzo: 0,005 euro;

– Spese del ‘decreto Fare’ del 2014: 0,0024 euro

Per un totale di circa 0,4519 euro…

a cui si deve aggiungere l’imposta di fabbricazione sui carburanti…che porta il totale finale dell'accisa totale (accise+imposta di fabbricazione) a 0,7284 euro/litro per la benzina.

Altra cosa da non trascurare è L'IVA che viene calcolata sul prezzo totale (prodotto+accise) che logicamente aumenta all'aumentare del prezzo stesso.

La cosa bella però è che l’elenco delle varie accise è ormai puramente indicativo, visto che dal 1995 l’imposta sul carburante è definita in modo unico e il gettito che ne deriva non finanzia le casse statali in voci specifiche, per cui togliere una sola delle accise è pressoché impossibile…e di chi è questa genialata? Dell'allora governo Dini.

I colpevoli vengono sempre da lontano…le scelte fatte quasi 30 anni fa portano conseguenze catastrofiche oggi…e questo dovrebbe insegnarci che ad esempio sottovalutare la transizione ecologica oggi…transizione ecologica…che ricordo a tutti è una scelta che solo il M5s ha portato avanti con forza…porterà alla catastrofe nel 2050 (data che guarda caso sta nel simbolo del Movimento).

…e adesso?...cosa facciamo adesso?... Tagliamo qualche accisa? Quale? E come? Visto che ormai la suddivisione sta solo sulla carta? Bisognerebbe abbassarle un po', ma è quasi impossibile…abbassare l'iva? Altrettanto complicato…ma allora?...Allora c'è solo una cosa da fare: uno scostamento di bilancio per abbattere i costi di carburante ed energia…e bisogna farlo subito…il M5s è da dicembre che dice queste cose…e la prova di questo è che in sede di legge di bilancio presentammo e fu approvato un nostro Ordine del giorno che impegnava il governo a intervenire in questo senso. (questo nessuno ve lo ha detto vero?)

Bisogna fare qualcosa e farla subito…perché oggi è già tardi. 

https://www.facebook.com/photo/?fbid=10221241923343276&set=a.2888902147289

martedì 28 dicembre 2021

Caos FFP2: le mascherine più protettive diventano obbligatorie, ma senza prezzo calmierato. Costi moltiplicati per le famiglie e rischio speculazione. - Thomas Mackinson

 

L'ex commissario Arcuri riconobbe l'errore sulle chirurgiche: "Avrei dovuto fissare il prezzo calmierato prima". Ma a distanza di un anno, nel tempo dei "migliori", ci risiamo: il nuovo decreto rende obbligatori al chiuso i dispositivi che costano anche sei volte tanto le chirurgiche ma non fissa un prezzo scaricando il costo sulle famiglie e prestando il fianco a chi ne approfitta. Ecco dove costano meno e come verificare l'autenticità.

Alla farmacia di viale Brianza costano 3 euro l’una. Appena novecento metri più in là, alla Sansovino, vengono 2.50 mentre alla Stazione Centrale di Milano le trovi a due euro. In San Lorenzo a Roma costano la metà: 1.50 se bianche, 2 euro se colorate. L’unica certezza? Ora che sono obbligatorie per legge, le FFP2 te le paghi tu. Perché, per ragioni poco comprensibili, l’obbligo è arrivato senza un prezzo calmierato, che vale fino a fine emergenza (31 marzo 2022) solo per le vecchie mascherine chirurgiche e per i tamponi. Il regalo di Natale per gli italiani alle prese con la variante Omicron è un nuovo “rebus mascherine” di quattro lettere: FFP2, quelle a forma triangolare che garantiscono più protezione grazie alla maggiore capacità filtrante in entrata. Con l’ultimo decreto il governo le ha rese obbligatorie per accedere agli “spettacoli aperti al pubblico, sale teatrali, sale da concerto, sale cinematografiche, locali di intrattenimento e musica dal vivo e in altri locali assimilati, nonché per gli eventi e le competizioni sportivi che si svolgono al chiuso o all’aperto”. L’obbligo scatta anche sui mezzi pubblici, ma con un piccolo “giallo”, perché le norme appena varate escludono il trasporto regionale, dove il dettato della legge consentirebbe ancora di sfoderare la vecchia chirurgica. Il tema è spinoso e delicato perché anziché 0.50 centesimi le FFP2 costano anche sei volte tanto ma – a differenza delle prime – non sono stati varati tetti al prezzo che viene praticato. Da qui, accorati appelli a non commettere l’errore di scaricare il costo della sicurezza sulle sole spalle dei cittadini e delle famiglie lasciate sole davanti a un vero e proprio salasso, agli speculatori o ai truffatori. Ma facciamo il punto.

IL (COSTOSO) ADDIO ALLE CHIRURGICHE NEI LUOGHI PUBBLICI.
Il nuovo decreto del governo, pubblicato la vigilia di Natale, ha prorogato lo stato di emergenza fino al 31 marzo e ha introdotto una stretta alle restrizioni anti Covid in vigore. Tra le misure a maggior impatto, quelle che segnano un cambio di rotta nelle abitudini quotidiane: le mascherine con cui tutti hanno dovuto imparare a convivere. L’orientamento del governo è di pensionare dai luoghi chiusi quelle chirurgiche che l’hanno fatta da padrone per quasi due anni ma che lo stesso Cts, alla fine, ritiene inidonee come strumento di protezione. Disco verde in favore delle FFP2 che hanno una capacità filtrante in ingresso pari al 90% contro il 20% delle prime. Il ragionamento è che le prime, in microfibra, proteggono prevalentemente verso l’esterno, per cui sono utili solo se indossate da tutti, le altre garantiscono una barriera doppia. Entrambe, va ribadito, sono monouso: dopo 8 ore andrebbero gettate. Ma qualcosa tra le une e le altre, fatalmente, si è perso: sulle prime lo Stato ha investito per garantire un prezzo d’acquisto bloccato. Non da subito, va detto. Fu proprio uno dei crucci dell’ex commissario Domenico Arcuri non fissare prima il calmiere a 50 centesimi: “Dovevo farlo prima per abbattere la vergognosa speculazione”, disse a luglio del 2020, dopo sei mesi di emergenza. Ma l’errore pare si stia ripetendo, e su dispositivi che costano anche sei volte tanto. Una dimenticanza o una scelta? In vero il 23 dicembre, prima che il consiglio dei ministri approvasse il decreto n. 305, un’agenzia (AdnKronos) batteva la notizia secondo cui il governo stava valutando di introdurre prezzi calmierati. Il fatto che non sia poi successo depone non a favore della dimenticanza ma per scelta, magari provvisoria in attesa misure specifiche e approvvigionamenti, ma comunque problematica.

LA POLEMICA PARTE DALLA SCUOLA.
Il 10 gennaio si tornerà in classe: gli studenti potranno continuare a utilizzare le mascherine chirurgiche, ma la struttura commissariale fornirà al personale scolastico mascherine Ffp2 e Ffp3 nel caso in cui ci siano alunni esentati dall’utilizzo dei Dpi. Il generale Figliuolo ha anche garantito 5 milioni di euro per questo. La scelta ha mandato subito in ebollizione il mondo della scuola. I sindacati e l’associazione dei presidi contestano apertamente la decisione di non garantire i dispositivi di protezione indicati come idonei a tutto il personale scolastico, specie da che diventa presidio obbligatorio in tutti i luoghi chiusi, mezzi pubblici compresi, anche in riguardo al fatto che i numeri dei contagiati indicano che proprio i minori in fase scolare sono la fascia più colpita, mentre le vaccinazioni per quell’età sono ancora poche.

GLI APPELLI: “EVITARE COSTI E SPECULAZIONI.”
Fuori dalla scuola sono amministratori e sindaci i primi ad avvertire il rischio che il mancato intervento pubblico generi il caos, speculazione sui prezzi, garanzie di sicurezza legata al censo dei cittadini. “Mi auguro che il Governo riesca a introdurre un costo calmierato per l’utilizzo delle mascherine Ffp2” ha detto oggi il presidente dell’Emilia-Romagna Stefano Bonaccini. Gli fanno eco vari sindaci come Nario Nardella (Firenze) e associazioni dei consumatori che avvertono il rischio di un’impennata incontrollata dei prezzi con relative speculazioni e di un costo sociale enorme che si abbatte sulle famiglie. Del resto se le FFP2 sono monouso, dopo otto ore si buttano. E una famiglia con figli potrebbe arrivare a spendere cifre considerevoli per ottemperare alle nuove norme. A chiedere “subito il prezzo fisso” è anche Massimiliano Dona, presidente dell’Unione Nazionale Consumatori.

OBBLIGATORIO SU TUTTI I MEZZI?
Il nuovo decreto impone l’obbligo di indossare le mascherine anche all’aperto. L’art. 4 estende tale obbligo ai mezzi di trasporto, ma richiamando il decreto sul greenpass, che escludeva i regionali, finisce per creare lo stesso buco. In sostanza l’accesso ai treni, navi, traghetti, treni ad alta velocità, intercity etc non contemplava la categorie del trasporto regionale, e facendo riferimento alle stesse categorie, anche l’obbligo di FFP2 appena introdotto, a regola, sarebbe escluso da tale ambito. Più che la svista però conta di poterle comprare queste mascherine, che fino a ieri venivano scartate perché più care, ma domani potrebbero essere irreperibili e innescare così la corsa al rialzo che da più parti si chiede di scongiurare con intervento pubblico.

DOVE COMPRARE, COME CONTROLLARE.
Se la farmacia sotto casa è un incognita per chi dovrà munirsi di FFP2 fornitori che praticano prezzi accettabili si trovano online, sui vari marketplace come Amazon, che al momento in cui scriviamo propone set da 30 a 50 mascherine con prezzo variabile da 0,70 a 0,93 euro ciascuna. In ogni caso è fondamentale che il dispositivo sia certificato e garantito, diversamente da quanto avvenuto con le mascherine chirurgiche per le quali, per ovviare alla mancanza, si sono accordate varie deroghe. Come controllare? La Commissione Europea ha messo a disposizione uno strumento online di verifica (database Nando) di non proprio agevole consultazione. Bisogna inserire il numero a quattro cifre stampigliato accanto al marchio CE (“Keyword On Notified body number”), cliccare il tasto “research” e appare il nome dell’ente certificatore. Se non accade, si devono consultare gli elenchi dei dispositivi validati in deroga dall’Inail ai sensi del decreto Cura Italia del 17 marzo 2020. Il secondo step è cliccare sul nome dell’ente e assicurarsi che nella scheda “Legislation” compaia la dicitura “Personal protective equipment”. Nel corrispondente file dovrebbe essere riportata la voce “Equipment providing respiratory system protection”: è la garanzia che le mascherine sono state validate da un’agenzia autorizzata dall’Unione Europea.

https://www.ilfattoquotidiano.it/2021/12/27/caos-ffp2-le-mascherine-piu-protettive-diventano-obbligatorie-ma-senza-prezzo-calmierato-costi-moltiplicati-per-le-famiglie-e-rischio-speculazione/6438584/

giovedì 14 ottobre 2021

Vaccini e tamponi - costi dissenso.

 

Si calcola che i ricoveri dei no-vax ci costino circa 64milioni al mese. 

Dal 15 ottobre, quindi da domani, si calcola che per i tamponi necessari a chi non è munito di green pass, ci vorranno 180 milioni a settimana, circa 750 milioni al mese.

Io mi sono vaccinata, ho portato e porto ancora la mascherina che compro regolarmente con i miei soldi; pagherò regolarmente il mio vaccino in quanto contribuente, perchè dovrò pagare anche i costi causati da chi non rispetta le regole?

Mi sforzo di comprendere quali possano essere le motivazioni che spingono un essere umano senziente a decidere di non vaccinarsi, ma non ne trovo di valide e comprensibili. 

Tutti noi, sin da quando nasciamo, siamo sottoposti a vaccinazioni obbligatorie che hanno debellato malattie come la poliomielite, meningite, vaiolo, morbillo, varicella, parotite, rosolia, difterite, tetano, epaiteB, pertosse, che causavano un gran numero di mortalità infantile, perché opporsi, allora, alla somministrazione del vaccino anti covid che ha e sta causando tantissime morti in tutto il mondo?

Quali sono i motivi che spingono i novax a costringere me e tutti noi a dover circolare ancora con le mascherine e a pagare i costi altissimi del loro dissenso? 

Forse perché non pagheranno nulla? Sono loro quelli del dissenso su tutto, quelli che evadono le tasse perchè non accettano le imposizioni??

Questa si, questa mi sembra una motivazione valida per comprendere il loro dissenso!

cetta.

martedì 17 agosto 2021

La folle guerra delle lacrime di coccodrillo. - Salvatore Cannavò

 

Afghanistan, 20 anni di errori e menzogne.

Se la guerra in Afghanistan avesse avuto davvero l’obiettivo di colpire i responsabili dell’attentato dell’11 settembre 2001, sarebbe potuta finire il 1 maggio del 2011. Quando Osama bin Ladin, a Islamabad, fu liquidato dalle truppe speciali Usa sotto lo sguardo rapito, immortalato da una celebre foto, di Barack Obama.

Dopo dieci anni, la guerra contro i talebani non aveva fatto nessun passo avanti significativo eppure si andrà avanti dieci anni ancora senza che i responsabili abbiano presentato una scusa o un ripensamento.

I Neocons all’attacco. 

Dopo il crollo delle Torri gemelle lo stato maggiore statunitense a partire dal suo commander in chief hanno in testa un solo obiettivo, Bin Laden. Ma soprattutto hanno in testa la guerra in Afghanistan che con l’eliminazione di Al Qaeda non c’entra nulla. Già il 13 settembre, secondo il Washingont Post, sul tavolo di George Bush jr. e del suo manovratore Dick Cheney, ci sono “ben sei piani per colpire l’Afghanistan”.

Gli Usa vanno in Afghanistan per motivi geopolitici: c’è da presidiare l’area del mondo che potrebbe essere preda dell’espansione cinese. C’è da accerchiare l’Iran e preparare la prossima guerra, il chiodo fisso di Dick Cheney, quella in Iraq. L’Afghanistan è invaso di uomini, 775 mila in tutto, di soldi, circa mille miliardi di dollari, di aiuti distribuiti a caso, senza molto senso. Eppure Bush annuncia agli americani una nuova guerra – compostamente dichiarata solo dopo “aver detto molte preghiere” – che sarà vinta “con la paziente accumulazione di successi”. Le preghiere con l’islamismo dei talebani non devono aver funzionato molto e i successi non si sono visti.

Il fido Blair.

Accanto agli Stati Uniti si erge la sponda convinta e decisa della Gran Bretagna guidata dal “progressista” Tony Blair. Che fa di tutto per intestarsi la guerra. Prima, lanciando l’ultimatum a Kabul al grido “o ci consegnate Bin Laden o lasciate il potere” e poi mettendo a disposizione tutto il potenziale bellico necessario dato che le forze armate britanniche “sono tra le migliori al mondo”. Blair è un riferimento obbligato della sinistra riformista e con lui ci sono praticamente tutti: Lionel Jospin in Francia, Gerhard Schröder in Germania, Luis Zapatero in Spagna e la sgangherata formazione ulivista in Italia capeggiata in quel momento da Piero Fassino e Francesco Rutelli. Ma prima occorre fermarsi sulla terza “B” di quella guerra, dopo Bush e Blair: Silvio Berlusconi.

Il signor “B”.

 L’allora leader del centrodestra sa bene, e lo dice pubblicamente, che “l’operazione militare in corso è stata preparata da tempo”. L’Italia, diceva l’allora Cavaliere, “non ha mai messo alcun limite alle richieste che, eventualmente, venissero fatte dagli Usa. Ci siamo mantenuti a disposizione e siamo ancora a disposizione”. Con lui tutto il centrodestra, Lega e An comprese, fieramente asserviti ai desideri Usa, come da copione atlantico. E con la guerra si schiera anche l’allora Ulivo anche se con diversi mal di pancia interni.

Fassino con l’elmetto Scontata la contrarietà di Rifondazione comunista – che solo al governo, nel 2006, darà l’avallo alle missioni militari –, tra i protagonisti del tempo troviamo anche l’attuale segretario del Pd, Enrico Letta, privo di alcun dubbio: “La guerra di oggi ha motivazioni più solide e sarebbe un incomprensibile errore per la sinistra italiana tirarsi indietro”. La sinistra italiana non si tira indietro pur con dei distinguo: la sinistra interna ai Ds, l’Unità diretta da Furio Colombo, una parte del cattolicesimo democratico nella Margherita, il “no” del Prc e dei Verdi. Francesco Rutelli, capo della coalizione se ne duole lamentando la “mancanza di una cultura di governo”.

Sarà quella cultura che porterà il secondo governo Prodi a isolare i dissensi sotto l’occhio vigile dell’ex presidente della Repubblica Giorgio Napolitano che vincola quel governo alla compattezza sulle missioni, pena “un grave problema politico”. Del resto, il progressista numero Uno, Barack Obama, non farà nulla per fermare la catastrofe e il suo vice si chiama Joe Biden.

I Papers delle bugie.

Per capire che la guerra fosse un errore basta leggere gli Afghanistan Papers pubblicati dal Washington Post. Duemila pagine di note, appunti e interviste a generali e diplomatici per evidenziare la catena costante di errori e bugie: “Eravamo privi di una comprensione fondamentale dell’Afghanistan, non sapevamo cosa stavamo facendo” spiegava Douglas Lute, generale a tre stelle. John Sopko, il capo dell’agenzia federale che ha condotto le interviste, conferma che “al popolo americano è stato costantemente mentito”. Quanto alla preparazione dell’esercito, gli addestratori militari Usa hanno descritto le forze di sicurezza afghane come “incompetenti, immotivate e piene di disertori” con i comandanti afghani intenti a “intascare gli stipendi per decine di migliaia di “soldati fantasma”. Nel frattempo l’Afghanistan è diventato il produttore dell’82% dell’oppio mondiale.

Il Merlo gné-gné.

Eppure Emma Bonino, nel 2005, si felicitava per un “processo di transizione istituzionale e democratica” ormai concluso. E su queste posizioni tutta la stampa democratica. Allo scoppio della guerra Gianni Riotta scriveva che l’obiettivo sarebbe stato “un Afghanistan retto da un governo di coalizione, che metta fuorilegge i Taliban e Al Qaeda e ripristini almeno livelli minimi di diritti civili per le donne e i profughi”. Altro editorialista, Antonio Polito, dal 2006 al 2008 senatore della Margherita, si complimentava con Prodi perché sull’Afghanistan aveva “marcato chiaramente la differenza da Bertinotti” manifestando la sua vera preoccupazione. Le voci dissonanti, come Gino Strada, venivano bastonate allegramente. Francesco Merlo nel febbraio 2003 sul Corriere della Sera lo chiamava il “signor Né-Né” che fa tanto rima con gné-gné. “Il signor Né-Né non è un pacifista, è piuttosto una scoria del pacifismo, è la serpe che fa la sua tana nel pacifismo più ingenuo, lupo tra le colombe, volpe nel pollaio”. A uno stupito Gino Strada che chiedeva conto di tali insulti, egli rispondeva: “In guerra (…) non si può scegliere di non scegliere, non si può stare né di qua né di là (…) La retorica delle buone intenzioni ha sempre dei profittatori, degli astuti signori Né-Né. Dove vuole che vadano i lupi e le volpi se non tra le colombe del coraggioso Gino Strada, e nei pollai?”. Oltre a rivelare il giudizio su Gino Strada un certo riformismo “colto”, in quelle parole (nonostante fossero riferite all’Iraq) c’è tutta la supponenza con cui sono state affrontate le guerre globali. Con relative voragini.

ILFQ

martedì 9 marzo 2021

L’insostenibile costo della carne. Per ogni kg di bovino o maiale 19 euro in più: il vero prezzo, inclusi i danni ambientali e sanitari | LO STUDIO. - Luisiana Gaita

 

Ogni anno oltre 36 miliardi: è il costo per la salute e per l'ecosistema, generato dal ciclo di vita dei prodotti alimentari derivanti da bovini, suini e polli: si va dall'acidificazione terrestre all'insorgere di malattie legate al consumo di prodotti animali. Un danno e una spesa collettiva quantificati per la prima volta nella ricerca scientifica indipendente realizzata da Demetra per Lav. Ilfattoquotidiano.it la presenta in esclusiva e promuove una campagna per diffonderne i contenuti. Mercoledì 10 marzo alle 17 appuntamento in diretta sulla nostra pagina Facebook. E GLI UTENTI SOSTENITORI RICEVERANNO OGGI IL DOCUMENTO IN ANTEPRIMA.

Un hamburger di manzo da 100 grammi riposto nel carrello della spesa non costa solo il prezzo visibile sullo scontrino. C’è un costo ‘nascosto’, aggiuntivo, di almeno 1,9 euro, che corrisponde al valore economico dei danni ambientali (1,35 euro) e sanitari (54 centesimi) prodotti durante il ciclo di vita di quell’etto di carne di bovino. Significa 19 euro al chilo. Stessa cifra anche per la carne di maiale lavorata: in questo caso, però, un chilo di prosciutto, mortadella, wurstel o salame costa in media 5 euro per i danni ambientali, ma 14 euro per quelli sanitari. Per un chilo di carne di maiale fresca il sovrapprezzo è di oltre 10 euro (4,9 di costi ambientali, 5,4 di sanitari), mentre è di circa 5 euro per ogni chilo di pollo. Sono le stime a cui giunge uno studio indipendente realizzato per LAV (Lega Anti Vivisezione) dalla onlus Demetra, società di consulenza in ambito di ricerca scientifica sulla sostenibilità. Un lavoro che Ilfattoquotidiano.it presenta in esclusiva e offre in anteprima ai suoi Sostenitori (se non sei ancora Sostenitore scopri come diventarlo). Si tratta di una ‘traduzione economica’ dei danni causati da produzione e consumo di carne e che ricadono su ogni cittadino, indipendentemente dal suo consumo di carne e non solo da quel 90% di italiani, onnivoro, che ne consuma in media 128 grammi al giorno.

LE PAROLE DEL MINISTRO – La ricerca viene pubblicata a pochi giorni dalle parole pronunciate dal ministro della Transizione Ecologica, Roberto Cingolani, nel suo intervento alla conferenza preparatoria della ‘Strategia nazionale per lo sviluppo sostenibile’, che ha suscitato le reazioni delle associazioni di categoria. Secondo il ministro “si dovrebbe diminuire la quantità di proteine animali sostituendole con quelle vegetali” oltre che per una questione di salute, anche perché “la proteina animale richiede sei volte l’acqua della proteina vegetale, a parità di quantità” e “gli allevamenti intensivi producono il 20% della CO2 emessa a livello globale”. Per Lav non c’è altra strada, se non quella di “una transizione alimentare, che veda ridursi drasticamente e rapidamente il consumo di proteine animali in favore di quelle vegetali” spiega a ilfattoquotidiano.it il direttore generale Roberto Bennati. Un cambio di rotta in un momento in cui “il settore zootecnico – aggiunge – si regge grazie a flussi continui di sussidi nazionali e provenienti dall’Unione Europea, per non parlare delle campagne pubblicitarie nelle quali non si fa cenno alla vita da cloni a cui sono costretti milioni di animali”.

IL COSTO ‘NASCOSTO’ DELLA CARNE – Lo studio si concentra sulle carni più diffuse nel nostro Paese: da bovino fresca e lavorata (bresaola e carne in scatola), maiale, maiale lavorato e pollo. Ogni giorno un italiano onnivoro mangia in media 61 grammi di carne di maiale (44,9 sono di carne lavorata), 33 di pollo, 29 di carne di bovino (27 grammi di carne fresca), oltre a circa 4 grammi di altre carni meno diffuse (conigli, cavalli, ovi-caprini). Secondo la ricerca, il costo nascosto della carne che ricade sulla collettività ammonta in media a 36,6 miliardi di euro all’anno, ossia quanto servirebbe potenzialmente per rimediare ai danni generati. Si tratta di 605 euro per ogni cittadino, con un range che varia dai 316 ai 1.530 euro a testa. Dovuti per il 48% a costi ambientali e per il 52% a quelli sanitari. Come ordine di grandezza, la cifra equivale alla somma di tre imposte attive in Italia: quella sull’energia elettrica e gli oneri di sistema (14,4 miliardi di euro nel 2017), l’addizionale regionale Irpef (11,8 miliardi), l’imposta sui tabacchi (10,5 miliardi). “Equivale all’incirca all’ammontare delle risorse annuali che avremo dal Recovery Plan, ossia quei 200 miliardi in sei anni” aggiunge Bennati. E si tratta verosimilmente, spiegano gli autori, “di una sottostima dell’effettivo costo nascosto” dovuta all’esclusione di alcune categorie ambientali e malattie direttamente o indirettamente collegate al consumo di carne, “per mancanza di una robusta letteratura scientifica” riguardo ai potenziali impatti.

QUASI 20 MILIARDI ALL’ANNO IN PIÙ PER LA CARNE LAVORATA – Considerando il valore economico dei danni cha ogni anno ricadono sui cittadini, il contributo principale (54%) arriva dal consumo di carne di maiale lavorata che costa 19,7 miliardi di euro all’anno, dato l’elevato consumo (46 grammi al giorno in media) e gli elevati impatti sanitari (per 14,4 miliardi). Segue la carne di bovino (31% del costo, includendo quello della carne lavorata), per cui la collettività paga 11,5 miliardi, 8 a causa dell’impatto ambientale degli allevamenti. Due i principali fattori: minor resa di conversione alimentare ed emissioni di metano generate dalla fermentazione enterica. La carne di pollo grava per circa 3,2 miliardi, 53 euro a testa. Nello studio sono tutti addebitati all’impatto ambientale ma, va sottolineato, per calcolare quello sanitario è stata considerata solo la relazione tra il rischio di contrarre le quattro malattie analizzate (carcinoma del colon-retto, diabete di tipo 2, ictus e malattie cardiovascolari) e il consumo di carne rossa o lavorata, le uniche per cui è stato trovato un rapporto causale suffragato da dati solidi. Eppure, quei 5 euro di danni ambientali per ogni chilo di prodotto, sono un valore doppio rispetto al costo medio del pollo all’ingrosso. La carne di maiale fresca (circa il 17% della carne di maiale consumata), invece, costa circa 37,5 euro all’anno per abitante e 2,3 miliardi alla collettività (sia per l’impatto ambientale, sia per quello sanitario, di poco maggiore). “Queste cifre rendono la produzione di carne economicamente insostenibile” spiega a ilfattoquotidiano.it l’ingegnere ambientale Guido Scaccabarozzi, ricercatore di Demetra e tra gli autori del rapporto. “Se fossi un allevatore e lo Stato mi chiedesse di compensare i costi ambientali e sanitari che contribuirei a produrre – aggiunge – lo considererei un forte deterrente”.

IL CICLO DELLA CARNE IN ITALIA – La tipologia di carne oggi più prodotta in Italia è quella di maiale, anche se la maggior parte di quella consumata arriva da animali nati o allevati all’estero. Nel nostro Paese si macellano circa 595 milioni di animali all’anno e sono quasi tutti polli (534 milioni). E se negli allevamenti la popolazione di animali ammonta a circa 200 milioni,150 milioni sono ancora una volta polli (il 73% degli animali vivi al momento del censimento). Per ogni persona residente in Italia, ci sono circa 2,5 polli vivi ma, data la loro breve vita, ogni anno ne vengono macellati quasi 9 a testa. “Sicuramente le emissioni di metano legate ai bovini vanno a incidere in modo fondamentale sui cambiamenti climatici, soprattutto se consideriamo i numeri di cui stiamo parlando – spiega Guido Scaccabarozzi – ma, proprio in tema di numeri, fa riflettere che la popolazione di polli sia superiore a quella dei cittadini”.

LE ALTERNATIVE VEGETALI – L’indagine confronta anche l’impatto dei diversi tipi di carne con possibili alternative vegetali, come piselli e soia. “L’obiettivo principale – aggiunge Scaccabarozzi – è quello di scattare una fotografia degli impatti generati oggi e aiutare consumatori e decisori politici a essere più consapevoli dei potenziali costi per la società e non è quello di stimare la variazione degli impatti qualora gli italiani decidessero di cambiare dieta, verso un’alimentazione a base di legumi. Per capire gli effetti di una ipotetica conversione verso la produzione vegetale sarebbe opportuno, infatti, condurre ulteriori studi, in quando entrerebbero in gioco diverse dinamiche”. Di fatto, il costo ambientale e sanitario dovuto al consumo di 100 grammi di legumi è di 5 centesimi di euro, più basso rispetto a quello generato da tutti i tipi di carne considerati nello studio. Anche escludendo i benefici sanitari derivanti da una dieta a base di legumi, il costo nascosto della carne risulta tra le 8 e le 37 volte quello dei legumi. Ancora di più, se il confronto è su base proteica. Perché su 100 grammi di prodotto, la soia ne contiene 36, i piselli 21,5, la carne di bovino 20, il pollo 17,5 e il maiale 16. Facendo i conti, 100 grammi di proteine da legumi costano alla collettività 17 centesimi di euro, 100 grammi di proteine da carne costano tra i 2 e gli 11 euro. Ma se, per esempio, producessimo più soia, non rischieremmo di eccedere nelle monoculture? “Oltre il 90% delle monocolture è impiegato proprio nell’alimentazione degli animali – replica il direttore generale di Lav, Bennati – senza parlare della soia transgenica che arriva dal Brasile e con la quale si alimentano i nostri polli”. In termini di rapporto tra consumo di suolo e proteine, come spiega la Fao, su un ettaro di terra è possibile produrre soia con un contenuto proteico di 1848 chili, ma se quello stesso spazio lo destiniamo al foraggio per alimentare i bovini, alla fine ne ricaveremmo appena 66 chili di proteine animali. “Ecco perché credo che la transizione porterebbe con sé la possibilità di tornare alla differenziazione e, quindi, a un’agricoltura rigenerativa del terreno, non basata su monocolture e modelli intensivi” aggiunge Bennati.

AMBIENTE, DALLA CARNE DI BOVINO IL MAGGIOR IMPATTO – Ma come si è arrivati a quei 36,6 miliardi all’anno di costi complessivi? Il potenziale costo ambientale è stato stimato tramite un’analisi dell’intero ciclo di vita della carne (Life Cycle Assessment – LCA), convertendo in costi economici per la società le emissioni generate in tutte le fasi (allevamento, macellazione, lavorazione, imballaggio, distribuzione, consumo e trattamento reflui) ma anche quelle generate dalla produzione di energia necessaria nei vari passaggi. Undici le categorie di impatto prese in esame, suggerite dalla Commissione Ue per gli studi LCA: cambiamenti climatici, riduzione dello strato di ozono, acidificazione terrestre, eutrofizzazione (in acqua dolce e marina), tossicità umana, formazione di smog fotochimico, formazione di particolato, eco-tossicità (terrestre, in acqua dolce e marina), radiazione ionizzante, occupazione di suolo e consumo di acqua. Il costo monetario espresso in euro indica la perdita di benessere per la società dovuto all’emissione di un chilogrammo di inquinante in ambiente, calcolato dal centro di ricerca CE Delft nel manuale dei prezzi ambientali (Environmental Prices Handbook). Per ognuna delle 11 categorie di impatto c’è un indicatore. La carne di bovino genera il maggior costo sulla società: se per ogni 100 grammi la società subisce danni per 1,35 euro (con una forbice che va da 0,56 a 3,61 euro), per una bistecca da 3 etti siamo oltre i 4 euro. Un etto di carne di maiale nasconde un costo extra che va dai 49 centesimi (per quella fresca) ai 51 centesimi (per la lavorata), mentre 100 grammi di carne di pollo costano almeno 47 centesimi. E se un chilo di carne di pollo o maiale genera 8 volte più costi per la società rispetto ai legumi, la stessa quantità di carne di bovino li genera ben 23 volte. Per un etto di prodotto, la produzione di piselli è quella con meno costi ambientali per la società (4,2 centesimi), mentre in termini proteici è la soia il prodotto che genera un minor costo ambientale (15 centesimi per 100 grammi di proteine).

IMPATTO SANITARIO, I COSTI ARRIVANO AL 90% DALLA CARNE LAVORATA – Per calcolare l’impatto sanitario, invece, in linea con studi epidemiologici, si è partiti dalle curve di rischio in funzione del consumo giornaliero in Italia di carne rossa (43,8 grammi al giorno) e lavorata (46 grammi). Utilizzando le stime sul totale degli anni di vita persi per ciascuna malattia, definite in studi di riferimento, come unità di misura è stato scelto il Daly (Disability-Adjusted Life Year), che esprime il carico complessivo della malattia, il numero di anni in salute persi a causa di problemi di salutedisabilità o morte prematura. I Daly sono stati moltiplicati per un valore medio europeo di 55mila euro, ossia la somma minima attribuibile a un anno di vita in salute perso. Il consumo dei due tipi di carne è responsabile di 53mila Daly persi a causa del carcinoma del colon-retto in Italia, con un costo per la società di 2,9 miliardi, di oltre 177mila Daly persi per diabete di tipo 2 con un costo di 9,7 miliardi, di quasi 116mila Daly persi per ictus (costo 6,3 miliardi) e di 103mila Daly persi per malattie cardiovascolari (5,7 miliardi). Ma è la carne lavorata il responsabile principale, contribuendo per quasi il 90% dell’impatto sanitario. Ripartendo la spesa tra i quantitativi di carne consumata ogni anno in Italia (1.060 kt/a di carne lavorata e 782 kt/a di carne rossa), si può stimare il costo generato dal consumo di un chilo o un etto di carne.

UN CHILO DI PROSCIUTTO COSTA 14 EURO IN PIÙ (PER GLI ANNI DI SALUTE PERSI) – Mostrando i dati sulle malattie cardiopatiche maggiori margini di incertezza, sono stati esclusi dalla stima finale dei costi sanitari (ancora una volta conservativa). Il risultato è che un etto di manzo costa alla collettività, come impatto sanitario, 54 centesimi, mentre un etto di prosciutto ne costa 1,40, ossia ben 14 euro al chilo. A livello nazionale, il costo medio per la collettività è di 19,1 miliardi (315 euro a testa). “A causa del consumo di carne, ogni anno in Italia vengono persi circa 350mila anni di vita” spiega il direttore generale di Lav, secondo cui un’alternativa c’è, ed è già il presente. Secondo lo studio, il consumo di 50 o 100 grammi al giorno di legumi non aumenta il rischio di contrarre nessuna delle malattie analizzate. “Siamo consapevoli – aggiunge Bennati – che non si tratta di cambiamenti da attuare da un giorno all’altro, ma le stime della FAO secondo cui il consumo di carne attuale nel 2050 raddoppierà arrivando a 465 milioni, ci indicano la direzione”. Per Lav la strada giusta è quella, per esempio, di una “progressiva e rapida riduzione, fino all’azzeramento, dei Sussidi ambientalmente dannosi” che riguardano la zootecnia, ma anche “una revisione della Politica Agricola Comunitaria” e un quadro di finanziamenti “della coltivazione di proteine vegetali specificamente destinate all’alimentazione umana”.

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La carne è dannosa sia in termini economici che ambientali e salutari. Io ne ho ridotto il consumo al minimo, avendo un vegetariano in famiglia, e vi posso garantire che può essere sostituita con tanti alimenti tra cui la soia in granuli della quale faccio un uso esagerato, direi, specie quando voglio gustare un ragù, o delle polpettine, o le lasagne al forno, o cannelloni ripieni... provatela! Oltre che essere buonissima è un vero toccasana per l'organismo.

c.