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mercoledì 13 aprile 2022

Pos, doppia multa per chi non accetta pagamenti elettronici. Lotteria scontrini istantanea.

 


Per sburocratizzare e mandare in porto i 45 obiettivi del Pnrr previsti entro fine giugno, arriva al Consiglio dei ministri atteso per oggi (manca ancora la convocazione ufficiale) un pacchetto di norme all’insegna delle semplificazione (dagli appalti alla pubblica amministrazione) che comprende anche misure di contrasto all’evasione fiscale.

Lotteria degli scontrini istantanea.

Nel decreto Pnrr il Governo punta a rilanciare la lotta all’omessa fatturazione. Con l’estensione della fattura elettronica anche alle partite Iva nella Flat Tax aumenta il potenziale dei dati da incrociare. Una misura su cui però dovrà essere trovato l’accordo politico tra tutte anime della maggioranza. Oltre all'e-fattura c’è l’altra arma degli scontrini elettronici. Su questo fronte si intende rilanciare la lotteria degli scontrini con la vincita istantanea.

Multa per i pagamenti elettronici negati.

Per diffondere l’utilizzo del Pos si anticipa al 2023 l’attuazione della doppia sanzione (fissa più il 4% della transazione) per gli operatori che non accettano pagamenti elettronici. Sempre su questo fronte il Fisco chiederà l’invio obbligatorio di tutti le transazioni avvenute con moneta digitale. In questo modo si punta stanare l’evasione più difficile, ossia quella realizzata senza l’emissione di scontrini, fatture e ricevute. E in non pochi casi con il consenso tra chi compra o usufruisce di un servizio e chi lo effettua o vende. Tra le ipotesi anche un nuovo giro di vite sul bonus 110 per cento: per contrastare le frodi l'ipotesi è di rendere obbligatoria la comunicazione preventiva all'Enea.

https://www.ilsole24ore.com/art/stretta-pos-e-lotteria-scontrini-istantanea-il-dl-pnrr-arrivo-pacchetto-anti-evasione-AE2dXlRB

sabato 3 aprile 2021

“Messinscena Fontana: l’evasione fiscale scaricata tutta sulla madre”. - Davide Milosa

La rogatoria in Svizzera - La procura: operazioni costruite “per motivi di immagine politica”.

La vicenda dei conti esteri e la presunta evasione fiscale del presidente lombardo Attilio Fontana sono descritte dalla Procura di Milano come “una complessiva messinscena” costruita “per motivi di immagine politica” e “per evitare di denunciare al fisco la propria pregressa evasione fiscale”. Parole nette quelle dei magistrati, scritte nelle conclusioni della richiesta di rogatoria inviata alle autorità svizzere. A pagina dieci (di 14), la Procura si fa più stringente: “La falsità ideologica che permea l’operazione di rimpatrio dei capitali illeciti ha consentito a Fontana di trarre illegittimo profitto dall’utilizzo della simulata causale della successione ereditaria”, risparmiando 171mila euro di sanzioni. Secondo i pm non tutti i 5,3 milioni scudati sarebbero da ricondurre al presunto “nero” dei genitori del presidente.

A pagina 2 si legge che, “secondo l’assunto investigativo” Fontana “nel corso della procedura di voluntary ha dichiarato falsamente che il denaro detenuto all’estero sarebbe da ricondurre all’evasione fiscale posta in essere dalla madre Giovanna Maria Brunella, malgrado siano emersi plurimi elementi per ritenere che si sia trattato di provento (tutto o in parte) riconducibile alla propria evasione fiscale”. Poco dopo: “A seguito dell’esito favorevole del procedimento in questione, Fontana ha poi impiegato tali proventi in attività speculative”. Seguendo l’impianto dell’accusa, a pagina 7 si riprende una nota dell’Agenzia delle entrate relativa ai redditi dei genitori del presidente: “Alla luce dei livelli reddituali dichiarati” tra “il 1988 e il 2004 si rileva che il patrimonio detenuto al 31 dicembre 2014 risulta potenzialmente incongruo”.

L’incipit delle conclusioni della richiesta rogatoriale è ancora più netto. È scritto che “gli elementi” raccolti dall’accusa “portano a concludere per la protagonistica gestione da parte” di “Fontana delle operazioni finalizzate a ripulire una parte consistente (almeno 2,5 milioni) dei proventi dell’evasione fiscale per il tramite di un distorto utilizzo della voluntary disclosure”. Distorsione legata anche al fatto che Fontana, secondo i pm, non ha fornito “i documenti (…) per spiegare come sono stati generati i capitali all’estero”. Tanto che “la relazione (…) al riguardo è totalmente muta”. Di più: i tentativi dei pm di recuperare i documenti sono falliti visto che “le procedure di voluntary” per come spiegato dai testimoni “hanno seguito percorsi (…) inverosimili”. Per questo il governatore lombardo è indagato per autoriciclaggio e false dichiarazioni in voluntary. Fontana è anche accusato di frode in pubbliche forniture rispetto al caso dei camici venduti alla Regione dal cognato.

Sempre a pagina 10 della rogatoria si spiega come è stato impiegato il denaro scudato nel 2016: “Non vi sono dubbi che il patrimonio ripulito (…) è stato reinvestito da Fontana in strumenti finanziari”, attraverso un mandato all’Unione fiduciaria e l’apertura di un profilo di investimento presso Ubs che, per la Procura, “è annoverabile nel genus delle attività speculative”. Dagli atti, poi, emerge che Fontana scuderà 5,3 milioni, ma solo 3,5 sono riconducibili al conto del 1997 intestato alla madre. Su altri 2,5 milioni vi sono dei buchi che la rogatoria tenterà di ricostruire. Si legge, infatti, che “con l’apertura della relazione (…) (quella del 2005) vi è stata “una immissione di liquidità ulteriore rispetto a quella proveniente dalla relazione (…) (quella del 1997)”.

Dalla rogatoria emerge poi un dubbio di autenticità sulle firme relative al conto del 2005 e anche al conto del 1997. Viene scritto: “L’elaborato peritale rileva (…) anomalie nelle firme apposte nel 1997 da Fontana e da sua madre all’atto dell’apertura del conto (…) in quanto apparentemente apposte in un primo momento dalla signora Brunella e solo successivamente in circostanze di luogo e di tempo diverse, da Fontana”. Insomma una “messinscena” e, per i pm, “un duplice movente: economico e di immagine”. Fontana dal canto suo ha inizialmente spiegato di aver saputo del primo conto nel 2015 e poi, ieri, di averlo saputo già allora, anche se il conto lo gestiva la madre. Ora da indagato, se vorrà, potrà spiegare tutto ai magistrati.

IlFattoQuotidiano

martedì 9 marzo 2021

Tasse, ogni anno spariscono 245 miliardi delle multinazionali grazie alle regole fiscali decise dall’Ocse. Balzo degli Emirati Arabi. - Mauro Del Corno

 

Pubblicata la classifica aggiornata di Tax Justice Network sui primi dieci paradisi fiscali al mondo. Ci sono anche Olanda, Lussemburgo e Svizzera. In vetta le isole caraibiche britanniche. Ci sono anche le isole Cayman che l'Unione europea ha recentemente depennato dalla sua lista nera. Ogni anno l'Italia ci rimette circa 10 miliardi di euro. L'Ocse fissa le regole fiscali internazionali ma i paesi membri sono responsabili dei 2/3 dell'evasione ed elusione fiscale da parte delle multinazionali.

Ogni anno 245 miliardi di dollari (205 miliardi di euro) di tasse che dovrebbero essere pagate da aziende multinazionali spariscono. Accade grazie a giurisdizioni fiscali compiacenti, molte delle quali appartengono ai 36 paesi Ocse e/o all’Unione europea. Per avere qualche termine di paragone sulla portata di questo ammanco può essere utile tenere presente che ogni anno l‘intera Africa spende per la sanità 50 miliardi di dollari, un quinto del gettito mancante. O che gli stanziamenti europei contro la pandemia ammontano, per ora, a 20 miliardi di dollari.

Dubai balza nella top ten – L’organizzazione Tax Justice Network ha diffuso oggi la lista aggiornata dei 10 principali paradisi al mondo. Sul podio ci sono i rinomati centri caraibici: Isole vergini britanniche, le isole Cayman e Bermuda. Formalmente si tratta di giurisdizioni quasi indipendenti, nella sostanza sono una sorta di appendice della Gran Bretagna che conserva poteri di veto e diritto di nomine. Subito dopo c’è il terzetto europeo Olanda, Svizzera, Lussemburgo. L’Olanda in particolare conferma la sua funzione di “hub” a cui si appoggiano le multinazionali per dirottare i profitti verso paesi in cui l’imposizione fiscale è bassa o inesistente. Il Lussemburgo si caratterizza invece per essere un centro che offre servizi fiscali “à la carte”, ossia elaborando specifiche soluzioni su richiesta delle grandi aziende. Seguono poi Hong Kong, Jersey, Singapore, ossia altre giurisdizioni con legami più o meno stretti con la Gran Bretagna e infine una new entry: gli Emirati Arabi Uniti. Verso Abu Dhabi e Dubai sono stati dirottati dall’Olanda flussi di denaro per 200 miliardi di dollari per approfittare dal basso livello impositivo degli Emirati.

Priorità ai profitti delle più grandi multinazionali – I paesi che fanno parte dell’Ocse, a cominciare da Svizzera, Olanda e Lussemburgo, sono responsabili dei due terzi della sottrazione di gettito . L’Organizzazione ha però anche un ruolo chiave nel definire norme e pratiche fiscali internazionali. “Non c’è bisogno di essere un esperto per capire perché un sistema fiscale globale programmato da un club di ricchi paradisi fiscali stia causando un’emorragia di oltre 245 miliardi di dollari di tasse societarie all’anno”, ha commentato Alex Cobham, responsabile di Tax Justice Network. In sostanza l’Ocse fissa appositamente e consapevolmente regole che favoriscono l’elusione fiscale o attua contrasti per lo più di facciata.

“Negli ultimi 60 anni, l’Ocse ha modellato la politica fiscale globale in uno strumento per dare priorità ai profitti delle più grandi multinazionali rispetto ai bisogni di tutti gli altri, aggravando le disuguaglianze che le donne e altri gruppi sociali devono affrontare. È ora di rimodellare la politica fiscale globale in uno strumento per riparare la disuguaglianza di genere, non alimentarla. Il primo passo verso questo obiettivo è stabilire una convenzione fiscale delle Nazioni Unite “, ha spiegato Irene Ovonji-Odida, membro del panel delle Nazioni Unite sulla responsabilità finanziaria internazionale.

Per l’Italia una perdita di 10 miliardi di euro l’anno – Alla luce di queste indicazioni appare in tutta la sua evidenza anche l’inconsistenza della lista europea delle legislazioni fiscali opache. La “balck list” non include infatti Olanda e Lussemburgo in quanto membri dell’Unione e recentemente ha escluso anche le isole Cayman dopo alcune che sono state giudicate però dagli esperti puramente formali. Cayman ha infatti accettato di condividere informazioni sui depositi domiciliati nell’arcipelago. Il problema è però che poi è praticamente impossibile risalire ai veri titolari di questi depositi grazie all’uso di strutture giuridiche come il trust e all’assenza di registri. Tax Justice Network fornisce anche dati relativi alla perdita di gettito dei singoli paesi. L’Italia ci rimette ogni anno circa 10 miliardi di euro, 200 euro per ogni abitante. Le giurisdizioni di Olanda e Stati Uniti (di cui fa parte il Delaware, altro santuario dell’elusione internazionali) sono quelle che sottraggono più gettito al nostro paese.

https://www.ilfattoquotidiano.it/2021/03/09/tasse-ogni-anno-spariscono-245-miliardi-delle-multinazionali-grazie-alle-regole-fiscali-decise-dallocse-balzo-degli-emirati-arabi/6127265/

giovedì 3 dicembre 2020

Chi ha davvero paura della patrimoniale. - Salvatore Cannavò

 

Qual è il “ceto medio”. Dibattito e isterie. La proposta è approssimativa, ma la destra mente sui dati. Solo il 10% delle famiglie supera i 500 mila euro (ma ha il 44% di beni e denaro).

Che paura che fa la patrimoniale. Basta solo accennarne l’introduzione che in Italia scatta una reazione isterica, prevalentemente a destra, ma non solo, da far impallidire i camionisti cileni che diedero il via all’affossamento di Salvador Allende.

La proposta avanzata da LeU con qualche improbabile compagno di strada democratico (vedi Matteo Orfini, che da presidente del Pd avallò il Jobs Act) non ha certo brillato per fattibilità, come ha già argomentato su queste pagine Antonio Padellaro. Non a caso quell’emendamento alla legge di Bilancio è stato giudicato ieri “inammissibile” dalla commissione Bilancio della Camera per “carenza o inidoneità della compensazione”, cioè per mancanza di coperture.

Qui viene a galla il primo paradosso. L’inammissibilità, infatti, dipende da ragioni opposte a quelle per cui il provvedimento è stato duramente attaccato. A fronte di un prelievo sul patrimonio, infatti, l’emendamento prevedeva anche l’abolizione dell’Imu sulle persone fisiche (oggi esistente solo sulle seconde case) e dell’imposta di bollo sui conti correnti bancari e deposito titoli.

L’abolizione provocherebbe un mancato gettito di circa 19 miliardi da compensare con la “patrimoniale” che è stata pensata così: un’imposta sui grandi patrimoni superiori a 500 mila euro comprensivi di attività mobiliari e immobiliari al netto delle passività finanziarie, con un’aliquota base dello 0,2% che sale allo 0,5% oltre 1 milione di euro e fino a 5 milioni di euro e poi sale ancora all’1% sopra i 5 milioni e al 2% sopra i 50 milioni. Per la commissione Bilancio, però, la compensazione non è chiara e quindi l’emendamento non è stato accolto.

Nicola Fratoianni, mostrandosi sorpreso e minacciando ricorsi, dice al Fatto che secondo i calcoli di Sinistra italiana il saldo netto positivo della misura sarebbe di 10 miliardi, “ma in Italia manca una valutazione del patrimonio e quindi è difficile fare valutazioni esatte”.

Lasciando da parte l’improvvisazione con cui l’iniziativa è stata presa, quello che colpisce è il furore con cui la destra italiana e quel manipolo di “liberisti de noantri” che popola le pagine dei principali giornali ha reagito al grido di “giù le mani dai nostri portafogli”. Tra i più esagitati, Alessandro De Nicola, presidente dell’Adam Smith society e Nicola Porro, vicedirettore del Giornale e uomo-Mediaset.

Gli attacchi vengono portati senza alcuna attinenza ai numeri reali e con la reale condizione delle famiglie italiane preferendo urlare a un generico “assalto criminale” al bene supremo degli italiani, la casa. Qui, però, si fa sempre finta di non sapere che le imposte si pagano sui valori catastali e non sul valore commerciale, che è di circa tre volte il valore di riferimento per l’imposta. Ne troviamo conferma sia in uno studio della Cisl che nelle stime di Salvatore Morelli, Research Assistant Professor presso il Graduate Center della City University of New York.

Quando si pensa a un valore immobiliare di 500 mila euro occorre pensare a un bene che sul mercato vale circa 1,5 milioni, una piccola reggia se non è collocato di fronte al Duomo di Milano. Ma non è neanche questo a inquinare il dibattito. Il vero problema è la concentrazione della ricchezza in Italia dimostrata da tutti gli studi da qualunque parte provengano. I numeri di Banca d’Italia parlano chiaro. Solo il 10% più ricco delle famiglie italiane ha un patrimonio complessivo, finanziario e non, superiore ai 500 mila euro, anzi, stando ai dati riferiti al 2016, gli ultimi disponibili, ai 462 mila euro.

Questo decile della popolazione, come si vede nella tabella, detiene il 44% della ricchezza complessiva stimata, al lordo delle passività finanziarie, in 9.742 miliardi di euro. Significa che il 10% delle famiglie detiene circa 4.286 miliardi di euro della ricchezza complessiva. Quella detenuta dal 30% più povero delle famiglie è appena l’1% di quella complessiva, e come sottolinea la Banca d’Italia, “tre quarti di queste famiglie sono anche a rischio di povertà. Il 30% più ricco delle famiglie, invece, detiene circa il 75% del patrimonio complessivo, con una ricchezza netta media pari a 510 mila euro, il doppio della ricchezza media delle famiglie pari a 206 mila euro.

“Tra il 2014 e il 2016 la ricchezza netta media è diminuita del 5%”, ricorda ancora Banca d’Italia mentre uno studio di Morelli e di Paolo Acciari, dirigente del Mef, mostra come dal 1995 al 2014 la ricchezza dell’1% più ricco della popolazione sia passata dal 17 al 27% della ricchezza netta complessiva.

Altro che “ceto medio” in lacrime di fronte alla patrimoniale, qui c’è un nucleo molto ristretto di super-ricchi – spesso evasori fiscali, beneficiari di paradisi intra ed extra-europei, meri beneficiari di eredità – che monopolizza il patrimonio nazionale.

Per questo la discussione sulla tassazione dei patrimoni non è un tabù e infatti è entrata nel dibattito spagnolo, grazie a Podemos, con un’imposta del 2% sulle attività nette superiori a 1 milione di euro, per poi salire progressivamente. Anche in Francia, benché a governare ci sia il liberista Emmanuel Macron, l’imposta sulla fortuna (Isf) non è stata eliminata del tutto lasciando in vigore quella sui patrimoni immobiliari con aliquote progressive a partire da 1,3 milioni.

L’economista Thomas Piketty nel suo recente Capitale e ideologia mostra come la quota di reddito a disposizione del 10% di popolazione più ricca (di Usa, Europa, Cina, India e Russia) sia passata dal 25-35% del 1980 al 35-55% del 2018. E ispirandosi alla “giustizia” di John Rawls propone una robusta tassazione patrimoniale per finanziare una “dotazione di capitale” ai giovani di 25 anni dall’importo di 120 mila euro.

Una idea simile rilancia il Forum Diseguaglianze e Diversità coordinato da Fabrizio Barca, che ha lanciato l’ipotesi di offrire ai giovani di 18 anni una “eredità universale” di 15 mila euro al compimento della maggiore età da prelevare proprio con una imposizione sulla successione. Figurarsi dopo il napalm berlusconiano cosa succederebbe se si discutesse di nuovo di tassa di successione. Eppure, ai “liberisti de noantri” non farebbe male rileggere Alexis de Tocqueville: “Mi stupisco – scriveva ne La democrazia in America – che gli scrittori politici non abbiano attribuito alle leggi sulle successioni una maggiore influenza sulle cose umane: dovrebbero essere messe in testa a tutte le istituzioni politiche”. Già.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/12/03/chi-ha-davvero-paura-della-patrimoniale/6024836/

domenica 22 novembre 2020

Paradisi fiscali, ecco quali Paesi «rubano» più soldi a tutti gli altri. - Mario D’Angelo


 










L’evasione fiscale è responsabile del «furto» di $427 miliardi dalle casse pubbliche ogni anno. Ecco i maggiori paradisi fiscali.

Quanto costa l’evasione fiscale nel mondo? Uno studio senza precedenti, effettuato su scala globale, lo ha scoperto. La cifra è agghiacciante: 427 miliardi di dollari tolti ogni anno alla spesa pubblica degli Stati: soldi che potrebbero essere utilizzati per istruzione, sanità, servizi.

Quanto costa l’evasione fiscale nel mondo.

Il Tax Justice Network ha diffuso il suo primo rapporto State of Tax Justice, il primo studio a misurare con accuratezza quanti soldi perdono i Paesi del mondo ogni anno a causa di evasione fiscale aziendale e privata.

“Un sistema di tassazione globale che perde $427 miliardi l’anno non è un sistema rotto, è un sistema programmato per fallire”, ha detto Alex Cobham, executive di Tax Justice Network.

Secondo il Tax Justice Network, che ha svolto la ricerca, gli Stati perdono ogni secondo l’equivalente di uno stipendio annuo di un infermiere. Di questa perdita - lo studio è molto chiaro su questo - i responsabili sono gli Stessi Paesi che non mettono in campo misure efficaci di contrasto all’evasione.

Quali sono i maggiori paradisi fiscali.

“Sotto la pressione dei colossi corporate e delle potenze dei paradisi fiscali come Paesi Bassi e la rete del Regno Unito, i nostri governi hanno programmato il sistema fiscale globale per dare la priorità ai desideri delle aziende e degli individui più ricchi rispetto ai bisogni di tutti gli altri”, ha aggiunto.

Secondo il rapporto, l’impatto dell’evasione fiscale sul pubblico non è mai stato così evidente. La pandemia di coronavirus, salvo poche eccezioni, ha esposto la difficoltà di reazione di sistemi pubblici sotto-finanziati, dal punto di vista di tecnologia e monitoraggio, sanitari e coscienza civile. Nei Paesi più poveri, i soldi persi a causa dell’evasione fiscale corrispondono al 52% della spesa sanitaria.

I principali responsabili, però, sono i Paesi occidentali. I paradisi fiscali delle Isole Cayman, dell’orbita britannica, sono la causa della perdita di $70 miliardi fondi pubblici degli altri Paesi. Il Regno Unito si porta via altri $42 miliardi. Al terzo posto ci sono i Paesi Bassi ($36,4 miliardi), al quarto il Lussemburgo ($27,6 miliardi). Gli Stati Uniti sono al quinto posto nel mondo, togliendo ad altri Paesi $23,6 miliardi ogni anno.

mercoledì 19 agosto 2020

Discoteche. I gestori dichiarano solo 18 mila euro all’anno: cifre da Caritas. - Alessandro Robecchi

Nuovo decreto del governo: stop alle discoteche e mascherine nei ...
C’è sempre da diffidare quando si sente la formuletta facile che recita: “Trasformare un problema in un’opportunità”. Di solito si intende che la sfiga resta per molti, quasi per tutti (il problema), e pochi, pochissimi, colgono la palla al balzo per guadagnarci (la famosa opportunità). Insomma, mi scuso in anticipo se userò questa formuletta in modo un po’ libero, ma insomma, i tempi sono quelli che sono e quindi sì, potremmo tentare davvero di trasformare un problema in opportunità.
Caso di scuola: gli aiuti che lo Stato, giustamente, elargisce ai settori in difficoltà, sia ai lavoratori (la cassa integrazione e gli altri ammortizzatori) che alle aziende. Distribuiti a pioggia e senza troppi controlli nei primi mesi dell’emergenza Covid, sono diventati una coperta – corta, come sempre – che ognuno tira di qua e di là, sempre dalla sua parte, ovvio. Così la sora Meloni poteva tuonare “Mille euro a tutti”, dal bracciante a Briatore, e i capataz di Confindustria implorare di darli tutti a loro. Sono ben note le condizioni di partenza: una situazione drammatica mai vista, con il Paese chiuso, molte produzioni ferme, i lavoratori in casa, eccetera eccetera. Un errore, non aver messo limiti e paletti adeguati alla distribuzione di soldi, vero, e un’unica scusante abbastanza potente: la fretta e – appunto – l’emergenza. Poi si è scoperto che almeno il trenta per cento delle aziende ha fatto lavorare i dipendenti lo stesso, pagandoli con soldi nostri (la cassa integrazione invece dello stipendio), il che è stato quantificato come un furto di circa 2,7 miliardi, non un dettaglio, insomma. Questo il problema. Veniamo all’opportunità.
Il decreto di chiusura delle discoteche offre un buon esempio per la discussione. Attentato al libero mercato, dicono i gestori, con Salvini che si accoda, forse memore dei balletti con le cubiste del Papeete, e lady Santanchè che si fa riprendere mentre danza, si ribella, dice che la sua, di discoteca, non chiuderà. Tutto bellissimo. Poi vai a cercare qualche dettaglio ed eccolo qui. Proprietari e gestori di discoteche, a leggere gli studi di settore (quando ancora c’erano) e le dichiarazioni dei redditi degli anni successivi, non superano in media i 18.000 euro di reddito annui, un giro d’affari che sembrerebbe miserabile anche per una piccola salumeria. I titoli dei giornali se la prendono sempre con i gioiellieri che guadagnano meno delle loro commesse – un classico –, ma a giudicare dai dati del ministero dell’Economia (basta cercare “discoteche dichiarazioni dei redditi”) si direbbe che chi possiede una sala da ballo col bar, le luci abbaglianti, il dj, le cubiste e altre cose utili al divertimento, passi le sue giornate in fila alla Caritas, guidi una vecchia Panda del ’99 e mantenga la famiglia con meno di 1.200 euro al mese. Francamente, anche con molta buona volontà, è difficile da credere.
Ecco dunque l’opportunità: perché non cogliere l’occasione degli aiuti (sacrosanti, ripeto) per fare un serio controllo in alcuni (anche tutti) i settori economici? Intanto, ovvio, commisurare gli aiuti alle dichiarazioni dei redditi, dato che sarebbe pazzesco rimborsare oltre i guadagni dichiarati. E poi approfittare dei controlli per verificare le condizioni di lavoro: quali contratti? Quali inquadramenti professionali? Quanti lavoratori in nero? Possiamo vedere il cedolino di fine mese dei buttafuori o delle cubiste? I contratti dei dj? Coraggio, Inps, Inail, ministero del Lavoro! Trasformiamo un problema in un’opportunità!

lunedì 3 agosto 2020

Re Juan Carlos abbandona la Spagna e si trasferisce all’estero dopo inchieste per evasione. -

Re Juan Carlos abbandona la Spagna e si trasferisce all’estero dopo inchieste per evasione

All'origine della decisione di Juan Carlos le indagini avviate dai pubblici ministeri svizzeri e spagnoli sui presunti fondi nei paradisi fiscali. Il suo legale ha assicurato in una dichiarazione che, nonostante la partenza, il suo cliente resta a disposizione della Procura.
All’origine della decisione di Juan Carlos le indagini avviate dai pubblici ministeri svizzeri e spagnoli sui presunti fondi nei paradisi fiscali. Il suo legale ha assicurato in una dichiarazione che, nonostante la partenza, il suo cliente resta a disposizione della Procura.Non è ancora ufficialmente indagato, anche se fonti giudiziarie svizzere non escludono che lo sarà in futuro. Ma le pesanti ombre dell’inchiesta per evasione fiscale in patria e in Svizzera che lo ha coinvolto hanno spinto il re emerito di Spagna Juan Carlos ad abbandonare la Spagna e a lasciare il palazzo della Zarzuela per trasferirsi all’estero. Lo ha annunciato al figlio Felipe VI, attuale regnante, che ha ricevuto una sua accorata lettera in cui spiega la sua decisione “di fronte alla ripercussione pubblica che alcuni eventi passati nella mia vita privata stanno generando” e ha espresso al suo erede la sua “assoluta disponibilità ad aiutarvi per facilitare l’esercizio delle vostre funzioni con la tranquillità e la calma che richiede la tua alta responsabilità. Lo esigono la mia storia e la mia dignità di persona”. Il re, scrive El Pais, lo ha ringraziato per la sua decisione, esprimendo “sincero rispetto e gratitudine”.
A marzo re Felipe aveva deciso di rinunciare all’eredità del padre e aveva tolto la pensione ai genitori proprio a seguito dell’apertura da parte dell’autorità anticorruzione di un’inchiesta su cento milioni di euro che Juan Carlos avrebbe ricevuto su un conto svizzero a nome di una fondazione panamense della casa reale saudita. Soldi che sarebbero stati ripartiti fra l’allora re e altre persone affinché l’appalto per la costruzione della linea ferroviaria ad alta velocità fra la Mecca e Medina, nel 2011, venisse assegnato a ditte spagnole, su cui pendono sospetti di corruzione.
L’indagine dell’anticorruzione per far luce sull’appalto risale al 2018. Il coinvolgimento di Juan Carlos, padre dell’attuale re Felipe, è nato da una telefonata fra l’imprenditore Juan Villalonga e Corinna zu Sayn-Wittgenstein, amica del sovrano da molti ritenuta sua amante. L’inchiesta però sarà è stata limitata al periodo successivo al 2014, anno della sua abdicazione: nel momento in cui ha lasciato il trono al figlio, Juan Carlos ha perso l’immunità legata al suo ruolo.

mercoledì 29 luglio 2020

Attilio Fontana ci vuole fare passare tutti per allocchi. - Mattia Feltri

Attilio

Racconta che negli anni '80 era di moda portare i soldi alle Bahamas. Glissa sul fatto che con quei soldi ci si poteva quasi comprare Maradona. Dimentica che l'Anac lo multò per non averli dichiarati. Pasticcia con parole e date. Ma non era meglio dire qua e là un po' di verità?


Il presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana, sta vivendo giorni sfortunati, e tutti gli uomini sfortunati suscitano solidarietà. È dunque con simpatia che si propone qualche nota sui suoi tentativi di discolparsi, con buone speranze dal lato penale (gli si augura di risultare innocente) e meno buone dal lato politico (ma questo è un paese che perdona le colpe degli amici e dimentica rapidamente quelle degli avversari).

  1. In un’intervista concessa oggi a Francesco Bei per Repubblica, Fontana scansa con sdegno l’ipotesi che i cinque milioni di euro giacenti sul conto svizzero e proveniente dalle Bahamas (da dove sono rientrati con lo scudo fiscale per i denari illecitamente detenuti all’estero) provengano da evasione. Mio padre era un dipendente della mutua – dice – e mia madre una super fifona: figuriamoci se frodava l’erario. Non c’è motivo di dubitarne. Certo, è una cifra importante. Non so perché i miei portassero soldi ai Caraibi, aggiunge, ma negli anni Ottanta era di moda (sì, c’erano i Duran Duran, il piumino Moncler e il conto alle Bahamas). Comunque, a metà degli anni Ottanta con quei soldi ci potevi quasi comprare Maradona (il Napoli lo pagò 14 miliardi di lire). È inevitabile sollevare un po’ di curiosità.
  2. Nella stessa intervista, Fontana spiega di avere ereditato il conto, di averlo dichiarato nel rispetto delle leggi e di aver pagato il dovuto. Ma sempre stamattina, sul Corriere, Luigi Ferrarella racconta della multa da mille euro comminata dall’Anac (Anticorruzione) poiché Fontana nel 2016 aveva omesso la dichiarazione sul suo stato patrimoniale (relativa al 2015, anno in cui i soldi del conto svizzero vengono sanati). Ferrarella ipotizza che mille euro di multa erano una sanzione molto abbordabile, in cambio del silenzio su una eredità così particolare, e così particolarmente imbarazzante per un uomo delle istituzioni. In seguito Fontana dichiarerà tutto, ma senza più l’obbligo di indicare la voluntary disclosure, cioè di aver sanato soldi illecitamente depositati all’estero.
  3. Comunque Ferrarella fissa nel 1997 l’inizio dei depositi alle Bahamas (non negli anni Ottanta) e nel 2005 la data di creazione dei due trust da cinque milioni.
  4. Fin qui tutto lecito. Anche le amnesie. Se ce ne fossero, anche le frottole. Certo, stiamo parlando di un amministratore leghista, prima gli italiani, abbasso l’euro, i ladroni di Bruxelles eccetera, con cinque milioni di euro che dall’Italia vanno alle Bahamas e dalla Bahamas in Svizzera (“Curioso vedere quanti benpensanti e moralisti di sinistra saran beccati coi milioni nascosti in Svizzera”, scriveva Matteo Salvini su Twitter nel 2015, l’anno in cui Fontana accede al voluntary disclosure e, omettendone la dichiarazione, evita di farsi beccare coi milioni in Svizzera).
  5. Ci sarebbero poi tutte le date – quella in cui Fontana scopre della commissione dei camici all’azienda di moglie e cognato, quella in cui viene contattato dai giornalisti di Report, quella dell’incredibile bonifico da 250 mila euro al cognato, e come minimo fa una gran confusione - ma sono passaggi sui cui s’è già scritto molto e non si vuole annoiare chi legge.
  6. “Non tollererò che qualcuno metta in dubbio la mia integrità e quella dei miei famigliari”, ha detto ieri Fontana in Consiglio regionale. Però non è tanto tollerabile nemmeno che ci si voglia fare passare tutti per allocchi.
https://www.huffingtonpost.it/entry/attilio-fontana-ci-vuole-fare-passare-tutti-per-allocchi_it_5f2004d1c5b6945e6e3fa5c0

giovedì 25 giugno 2020

“Il riciclaggio si batte con certezza della pena e nessuna prescrizione”. - Gianni Barbacetto

“Il riciclaggio si batte con certezza della pena e nessuna prescrizione”

Gian Gaetano Bellavia è un noto commercialista milanese, esperto di diritto penale dell’economia. Ha seguito negli anni molte vicende di riciclaggio e criminalità economica e finanziaria.
Serve la riduzione del contante in circolazione?
L’eliminazione delle monete di grosso taglio sì, riduce la possibilità di movimentare grandi quantità di denaro. Ma avendo in Italia una normativa antiriciclaggio poderosa e gestita in maniera egregia dalle banche, non c’è possibilità di movimentare grosse quantità di denaro contante senza essere segnalati dalle banche alle autorità antiriciclaggio. Diciamo la verità, io in Italia non vedo girare valigie di contanti e se girano non girano tramite banca. Ci sono i russi, o altri stranieri, che girano con i rotoli di banconote in tasca, ma gli italiani io non li vedo così, sarà forse perché opero a Milano e ho l’osservatorio di Milano.
Ma la riduzione della quantità di contante in circolazione può favorire la riduzione dell’evasione fiscale?
Sì, certo ma non è risolutiva perché potrà intervenire su situazioni marginali, con protagonisti artigiani, commercianti. Io non la vedo una mossa che possa risolvere il problema, certo può aiutare nel caso di evasioni marginali. La soluzione più efficace per l’evasione fiscale è la certezza della pena e l’eliminazione della prescrizione.
Può mettere in difficoltà le operazioni illegali dei gruppi criminali e della criminalità organizzata?
La criminalità organizzata certamente raccoglie grandi quantità di denaro contante e poi lo utilizza per corrompere, per comprare beni eccetera. Però non credo che la limitazione del contante ai 3 mila o ai mille euro possa davvero incidere sulle grandi attività criminali. I boss tengono 15 milioni di euro nel muro, come abbiamo scoperto in una recente operazione antimafia. Poi li movimentano nell’Est Europa, non in Italia né nelle banche italiane. Ridurre da 3 mila a mille euro la possibilità di spendere contante non incide sulle loro attività, la loro movimentazione di denaro contante continuerà come prima. Raccolgono denaro in Italia, lo utilizzano in Italia e poi lo mandano in Romania, nei Paesi dell’Est Europa comunitaria. Lì versano, riciclano e poi fanno transitare i fondi per i soliti Paesi offshore, come il Lussemburgo, infine reinvestono in Italia. Lei non si chiede da dove arriva la massa di denaro che torna in Italia sui fondi esteri basati in Delaware, Stati Uniti o in Lussemburgo? Non è possibile sapere che cosa c’è dentro, da dove vengono, di chi sono tutti quei soldi, chi può escludere che possano provenire da attività illecite?
Il gruppo di Colao ha proposto una sorta di sanatoria sul contante detenuto in nero.
La voluntary disclosure sul contante è un’ottima idea. Ma è irrealizzabile. La dichiarazione volontaria di denaro in nero detenuto in contanti presuppone la confessione totale della genesi e di tutta la movimentazione di questo denaro, con l’indicazione di tutti quelli che l’hanno toccato. E a mio parere nessuno in Italia è disposto a fare questa confessione. Potrebbero farla, in casi limitati, per esempio il panettiere che ha messo via 20 mila euro o cifre sotto la soglia di punibilità penale. Se non scatta alcun reato, il panettiere può dichiararli e regolarizzarli. Ma non possiamo pensare che possa succedere quello che è successo con la vecchia voluntary disclosure dei patrimoni detenuti all’estero. È impossibile che qualcuno accetti di regolarizzare grandi quantità di denaro, perchè dovrebbe autodenunciarsi per le condotte illecite che hanno generato questo denaro. E non reputo possibile che uno sano di mente si possa autodenunciare per reati gravi di corruzione, o false fatturazioni, o anche reati tributari sopra la soglia. Le autodenunce sono ipotizzabili in casi di piccole cifre, dunque l’idea è buona ma non realizzabile. A meno di aggiungerci una amnistia per quei reati, e ritengo la proposta né giusta né possibile. Non l’ha fatta, ai suoi tempi, neppure Silvio Berlusconi.

sabato 9 maggio 2020

Pagamenti elettronici, “Basta soldi sporchi”: una petizione per abbandonare il contante. Tra i firmatari il magistrato Sabella.

Pagamenti elettronici, “Basta soldi sporchi”: una petizione per abbandonare il contante. Tra i firmatari il magistrato Sabella

Sulla piattaforma Change.org, il gruppo "Eroi Fiscali" chiede di rinunciare al contante per interrompere "traffici di ladri, truffatori, rapinatori", far emergere l'evasione e "mettere in circolo grandi liquidità nascoste". Tra i firmatari anche il magistrato Alfonso Sabella e l'ex parlamentare Castagnetti.
Dopo la pandemia, concordano gli esperti, saranno necessari molti cambiamenti: nel nostro modo di spostarci, di lavorare, di incontrarci. Secondo il gruppo “Eroi Fiscali” però, un cambiamento è particolarmente urgente: smettere di usare i contanti. In una petizione lanciata su Change.org (qui il link) e indirizzata al Parlamento, chiedono di completare la transizione dal denaro contante a quello elettronico.
Tra i primi firmatari della petizione ci sono: il magistrato Alfonso Sabella e l’ex parlamentare e vicepresidente della Camera Pierluigi Castagnetti. Poi: Arrigo RovedaEmanuele CavallaroPierluigi SaccardiAgostino MegaleSonia AlvisiAnna CossettaAlessandro Garassini e Eliano Omar Lodesani.
I soldi, è la tesi della petizione, sono spesso sporchi: in senso letterale, perché secondo l’università di Oxford, su ogni banconota si trovano circa 26mila batteri di almeno 3000 diverse specie. Ma soprattutto in senso metaforico. “I soldi possono essere anche molto sporchi dentro: di droga, di sangue, di estorsioni e disonestà. Sono quelli che le mafie devono riciclare, sono quelli di ladri, truffatori, rapinatori”. Frutto di corruzione, riciclaggio, evasione fiscale. “Parliamo di oltre centodieci miliardi di euro all’anno, quasi duemila euro sottratti ad ogni Italiano”.
Di conseguenza, sostengono, con una “scelta relativamente semplice” come quella dei pagamenti elettronici è possibile “aggredire e risolvere buona parte degli strumenti per poter così redistribuire più equamente la ricchezza“. Ormai “i nuovi sistemi contactless e l’uso dello smartphone come strumento di pagamento rendono possibile evitare qualsiasi contatto fisico” e rendono i pagamenti molto semplici anche per chi non è avvezzo all’uso della tecnologia. Tra i vantaggi la petizione menziona la sicurezza rispetto al contante (riducendo il rischio di furti e rapine) e il fatto che si potrebbero “mettere in circolo grandi liquidità nascoste“. Un’iniezione di denaro nell’economia. “La prima banconota italiana è del 1746 e oggi – concludono – possiamo diventare, orgogliosamente, il primo grande Paese senza soldi sporchi“.