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lunedì 9 settembre 2024

Forse l'Universo aveva una “vita” prima del Big Bang. - Sandro Iannaccone

 

Lo suggerisce una teoria cosmologica, che potrebbe spiegare alcuni misteri della materia oscura.

Big Bang, ovvero la grande “esplosione” da cui ha avuto origine l’Universo così come lo conosciamo. Un momento del tempo, fissato a circa quattordici miliardi di anni fa, in cui tutta la materia e l’energia, condensati in un punto infinitamente piccolo di spazio – una cosiddetta singolarità – si sono improvvisamente “liberati” e rimescolati, dando vita a galassie, stelle, nebulose, buchi neri e (molto tempo dopo) anche al nostro pianeta, uno fra miliardi di altri. Questa, più o meno, è la storia che conosciamo tutti. Molto meno, invece, sappiamo di quello che c’era prima del Big Bang: addirittura, non sappiamo neanche se abbia senso parlare di un prima, dato che ignoriamo le leggi fisiche di quella singolarità. Un nuovo studio, recentemente pubblicato sul Journal of Cosmology and Astroparticle Physics, discute una teoria cosmologica che suggerisce che forse l’Universo ha avuto una “vita” precedente al Big Bang, fatta di fasi successive di contrazioni ed espansioni, come se fosse un enorme cuore pulsante nel vuoto. Se fosse confermata, tra l’altro, la teoria potrebbe avere implicazioni sul comportamento dei buchi neri e sulla natura della materia oscura, la misteriosa entità che rappresenta circa l’80% di tutta la materia presente nel cosmo e che ancora non siamo riusciti a osservare direttamente.

Esplosione o rimbalzo?

Come dicevamo, le teorie cosmologiche “tradizionali” suggeriscono che l’Universo sia “nato” da una singolarità e che durante i suoi primi momenti di vita abbia sperimentato una crescita rapidissima, la cosiddetta inflazione. Gli autori dello studio appena pubblicato, un’équipe di scienziati di diversi istituti di ricerca, tra cui l’Istituto nazionale di fisica nucleare (Infn), la Scuola superiore meridionale e il Dipartimento di fisica dell’Università di Napoli Federico II, hanno invece analizzato una teoria più esotica, nota come “non-singular matter bouncing cosmology”, ovvero, più o meno, cosmologia rimbalzante su materia non singolare, secondo la quale l’Universo, prima del Big Bang, attraversò una fase di contrazione che si concluse con un “rimbalzo”, un rinculo, dovuto alla crescente densità di materia, e che portò all’espansione accelerata che osserviamo ancora oggi. Tra l’altro, uno degli autori del lavoro, Salvatore Capozziello, si era già occupato qualche mese fa del problema della definizione del tempo all’epoca del Big Bang: in uno studio pubblicato sulla rivista Physical Rewiev D, condotto insieme a una collega del Dipartimento di filosofia dell’Università Statale di Milano, aveva sottolineato che “buchi neri e Big Bang sono situazioni estreme in cui si perde la cognizione della fisica così come la conosciamo e, con essa, la concezione del tempo come parametro che descrive normalmente passato, presente e futuro, il che è un cruccio da decenni, a cominciare da Einstein”.

Buchi neri primordiali e materia oscura.

Ma torniamo alla teoria del rimbalzo. In questo scenario, dicono ancora gli autori, l’Universo si sarebbe rimpicciolito fino a una dimensione più o meno 50 ordini di grandezza inferiore rispetto a quella che ha oggi, e dopo il “rimbalzo” sarebbero comparsi i fotoni (le particelle che compongono la luce) e le altre particelle elementari; l’elevatissima densità della materia, inoltre, avrebbe dato origine a piccoli buchi neri primordiali che rappresenterebbero, e qui si chiude il cerchio, dei possibili candidati per la misteriosa materia oscura. Intervistato da Live SciencePatrick Peter, direttore di ricerca al National centre for scientific research francese (Cnrs), non coinvolto nello studio, ha spiegato che effettivamente “i piccoli buchi neri primordiali possono essere stati prodotti durante i primi momenti di vita dell’Universo e, se non sono troppo piccoli, il loro decadimento dovuto alla radiazione di Hawking [un fenomeno ipotizzato dall’astrofisico Stephen Hawking secondo la quale i buchi neri, in virtù di effetti quantistici, potrebbero  effettivamente emettere una certa quantità di particelle ed energia, nda], non è sufficiente a farli scomparire, quindi dovrebbero esistere ancora adesso, da qualche parte. E potrebbero essere proprio la materia oscura, o almeno parte di essa.

Risultati interessanti, ma c’è da aspettare.

Secondo i calcoli degli autori del nuovo lavoro, i conti tornano: gli scienziati hanno infatti mostrato che alcune caratteristiche misurabili (e misurate) dell’Universo, tra cui la curvatura dello spazio-tempo e la radiazione cosmica di fondo (l’“eco” del Big Bang), sono effettivamente coerenti con le previsioni del loro modello, il che è certamente un’osservazione molto incoraggiante. Ma non basta: per corroborare ulteriormente la loro ipotesi, i ricercatori sperano di poterla confrontare con le osservazioni dei rivelatori di onde gravitazionali di nuova generazione. Il modello, infatti, consente anche di stimare alcune proprietà delle onde gravitazionali emesse dai buchi neri primordiali in formazione, e i rivelatori di nuova generazione potrebbero essere in grado di captare queste onde gravitazionali, consentendo di effettuare un confronto tra previsioni e osservazioni e confermare (o sconfessare) l’ipotesi che i buchi neri primordiali siano effettivamente fatti di materia oscura. Ma bisognerà aspettare, perché potrebbe volerci almeno un decennio prima che i nuovi rivelatori siano messi in funzione. “Questo lavoro – conclude Parker – è importante perché spiega in modo naturale come potrebbero essersi formati i piccoli buchi neri primordiali, e come potrebbero aver dato origine alla materia oscura, per di più in un contesto diverso da quello dell’inflazione cosmica. Esistono anche altre linee di ricerca che stanno approfondendo il comportamento di questi piccoli buchi neri attorno alle stelle, e che potranno suggerirci, nel prossimo futuro, come osservarli”.

https://www.wired.it/article/universo-vita-prima-big-bang-materia-oscura-studio/

martedì 30 luglio 2024

Gli astronomi hanno appena scoperto la galassia più antica di sempre. - Lucia Petrone

 

Una galassia appena scoperta ha appena infranto il record per la più antica mai osservata, rappresentando una sfida importante per i nostri attuali modelli di formazione delle galassie.

Si chiama JADES-GS-z14-0 e brilla intensamente nell’Universo primordiale, come appariva meno di 300 milioni di anni dopo il Big Bang . Una seconda scoperta recente, chiamata JADES-GS-z14-1, è stata confermata essere quasi altrettanto distante. Le rilevazioni, affermano gli astronomi, sono ormai ” inequivocabili “, il che significa che la Cosmic Dawn potrebbe avere qualche “spiegazione” da dare. “Nel gennaio 2024, NIRSpec ha osservato questa galassia, JADES-GS-z14-0, per quasi dieci ore e, quando lo spettro è stato elaborato per la prima volta, c’erano prove inequivocabili che la galassia si trovava effettivamente a uno spostamento verso il rosso di 14,32, infrangendo il precedente record della galassia più distante”, hanno affermato gli astronomi Stefano Carniani della Scuola Normale Superiore in Italia e Kevin Hainline dell’Università dell’Arizona. “Dalle immagini si evince che la sorgente ha un diametro di oltre 1.600 anni luce, il che dimostra che la luce che vediamo proviene principalmente da stelle giovani e non dall’emissione nei pressi di un buco nero supermassiccio in crescita.“Tanta luce stellare implica che la galassia abbia una massa di diverse centinaia di milioni di volte quella del Sole! Ciò solleva la domanda: come può la natura creare una galassia così luminosa, massiccia e grande in meno di 300 milioni di anni?” Sono stati scritti tre articoli distinti sull’argomento, uno dei quali è stato appena pubblicato su Nature . Altri due su arXiv devono ancora essere sottoposti a revisione paritaria, ma tutti e tre giungono alla stessa conclusione: JADES-GS-z14-0 è sicuramente lì, un punto di riferimento luminoso che rappresenta una nuova strada per comprendere come si è formato l’Universo, all’inizio. Fino a tempi relativamente recenti, avevamo pochissime conoscenze concrete sul periodo noto come Alba Cosmica, il primo miliardo di anni circa dopo il Big Bang, 13,8 miliardi di anni fa. Questo perché l’Universo primordiale era pieno di una nebbia di idrogeno neutro che disperdeva la luce, impedendone la diffusione. Questa nebbia non durò a lungo: fu ionizzata e diradata dalla luce ultravioletta emessa dagli oggetti dell’Universo primordiale e, alla fine dell’Alba Cosmica, lo spazio divenne trasparente. A quel punto, tuttavia, c’era un bel po’ di stelle e galassie in giro. Se vogliamo sapere come si è formato tutto, dobbiamo essere in grado di vedere nella nebbia. Questa è una delle cose per cui è stato progettato JWST , con i suoi potenti occhi a infrarossi. La radiazione infrarossa è in grado di attraversare mezzi densi che altra luce non può attraversare, le sue lunghe lunghezze d’onda sono in grado di attraversare con una dispersione minima.

Ha condotto il JWST Advanced Deep Extragalactic Survey (JADES), alla ricerca di oggetti risalenti ai primi 650 milioni di anni dopo il Big Bang, con risultati molto interessanti. Una cosa che abbiamo ripetutamente scoperto è che oggetti di grandi dimensioni si sono formati molto prima di quanto ci aspettassimo . È stato piuttosto sconvolgente, perché abbiamo agito partendo dal presupposto che cose come i buchi neri supermassicci e le galassie richiedano molto tempo per formarsi, molto più lungo del lasso di tempo in cui li stiamo osservando. Ma JADES-GS-z14-0 è la migliore. È molto grande e molto luminosa, per niente come gli astronomi avevano previsto che apparissero le galassie nell’Universo primordiale. In primo luogo, le sue dimensioni dimostrano che la maggior parte della luce deve provenire dalle stelle, piuttosto che dal bagliore luminoso dello spazio circostante un buco nero supermassiccio in crescita. L’analisi della sua luce rivela la presenza di molta polvere e ossigeno, il che è inaspettato così presto. Tali elementi pesanti dovrebbero essere creati all’interno di stelle che poi devono esplodere. Queste caratteristiche suggeriscono che diverse generazioni di stelle massicce devono essere vissute e morte già 300 milioni di anni dopo il Big Bang. Considerando che le stelle più grandi oggi hanno una durata di vita di appena qualche milione di anni, questo non è impossibile, ma non è comunque esattamente ciò che gli astronomi si aspettavano di trovare. Nel complesso, la galassia suggerisce che dobbiamo ripensare l’Universo primordiale, dimostrando che il gran numero di sorgenti luminose che vediamo lì non può essere interamente spiegato dalla crescita dei buchi neri. In qualche modo, galassie grandi, luminose e ben formate possono assemblarsi all’inizio dell’Alba Cosmica. “JADES-GS-z14-0 diventa ora l’archetipo di questo fenomeno”, ha detto Carniani . “È sorprendente che l’Universo possa creare una galassia del genere in soli 300 milioni di anni”. Il paper sulla scoperta condotto da Carniani è stato pubblicato su Nature . Altri paper che studiano le proprietà della luce della galassia possono essere trovati su arXiv qui e qui . Una versione precedente di questo articolo è stata pubblicata nel maggio 2024.

https://www.scienzenotizie.it/2024/07/30/gli-astronomi-hanno-appena-scoperto-la-galassia-piu-antica-di-sempre-4589176?fbclid=IwY2xjawEVlZVleHRuA2FlbQIxMQABHWI52VIL1RpXjj7wvDOQhjgKh1I3cYKXtBKW1mEcdpSXFxgJJC7FgkyIGw_aem_aHiZcmgqnx9yXpBSWrsmyA

martedì 19 maggio 2020

La teoria del Big Bang è in crisi. Siamo sul punto di assistere ad una rivoluzione cosmologica? - Oliver Melis



Quello che i cosmologi sanno, e neanche tanto bene, si riduce al 5% dell'universo osservabile, il restante 95% costituito da materia oscura e dall'energia oscura sfugge totalmente alla comprensione.

Gli astronomi grazie a una serie di osservazioni hanno stabilito che l’universo dopo essere emerso da uno stato ad alta temperatura e densità si espande da miliardi di anni. Nel corso dei decenni una serie di nuovi dati e nuove misurazioni ha permesso di perfezionare ancora di più l’evoluzione del cosmo. Il confronto delle misurazioni fatte fino ad ora sembrano confermare che il nostro universo si è evoluto proprio come prevede la Teoria del Big Bang.
Tuttavia, nonostante questo, i cosmologi non sono riusciti a spiegare alcune caratteristiche essenziali dell’universo. Quello che i cosmologi sanno, e neanche tanto bene, si riduce al 5% dell’universo osservabile, il restante 95% costituito da materia oscura e dall’energia oscura sfugge totalmente alla comprensione. Si brancola nel buio anche per quanto riguarda la materia ordinaria, protoni, elettroni e neutroni, non si sa perché si sono, per cosi dire, “salvati” dalla furia iniziale del Big Bang.
Per quanto i cosmologi e i ricercatori si sforzino, le leggi nella natura che hanno ricavato, sostengono che gli elementi che compongono tutto quello che osserviamo non dovrebbero esistere, semplicemente si sarebbero dovuti annullare con l’antimateria, comparsa secondo queste leggi nella stessa quantità della materia.
Inoltre, per spiegare quello che osservano, hanno dovuto introdurre un concetto che afferma che lo spaziotempo nei suoi primi istanti si è dilatato ad una velocità enorme in un minuscolo lasso di tempo, un concetto chiamato inflazione cosmica del quale non sappiamo nulla.
Forse questi enigmi, per quanto complessi un giorno verranno svelati. Tuttavia, nonostante la realizzazione di importanti esperimenti, l’obiettivo di catturare le particelle che compongono la materia oscura per ora è fallito. Anche il più potente acceleratore del mondo, il Large Hadron Collider non ha rivelato nulla che ci avvicini alla risoluzione di questi misteri.
Proprio per questo, alcuni cosmologi si stanno chiedendo se questi enigmi possono portare la ricerca verso un qualcosa di molto diverso dall’immagine che abbiamo del nostro universo e della sua nascita.
Abbiamo visto come i cosmologi hanno spiegato alcune osservazioni introducendo un qualcosa che le giustifichi, ad esempio, la materia oscura che sembra comporre gran parte della materia dell’universo e che sembra costituita da un qualcosa che non interagisce con i fotoni e interagisce debolmente con la materia ordinaria.
Pur non sapendo nulla della materia oscura, i cosmologi ritengono che le particelle che la compongono interagiscono per mezzo di una forza approssimativamente potente quanto la forza debole nucleare (che governa il decadimento radioattivo), allora il numero di queste particelle che avrebbero dovuto emergere dal Big Bang corrisponderebbe approssimativamente alla quantità di materia oscura trovata oggi nell’universo. Queste particelle sono state chiamate WIMP o Weakly Interacting Massive Particle (particelle massive debolmente interagenti).
I fisici si sono impegnati in un ambizioso programma sperimentale per identificare queste sfuggenti particelle “WIMP” per capire come si sono formate durante il Big Bang. La ricerca di queste particelle è stata implementata grazie alla realizzazione di rivelatori di materia oscura sempre più sensibili posti in laboratori sotterranei in grado di rilevare collisioni tra una particella di materia oscura e gli atomi che compongono il bersaglio. Questi esperimenti sofisticati pur avendo funzionato magnificamente, addirittura oltre quanto progettato, non hanno osservato le collisioni sperate. Un decennio fa, molti scienziati erano ottimisti sul fatto che questi esperimenti avrebbero dato frutti, tuttavia la materia oscura si è rivelata molto più sfuggente di quanto immaginato.
Sebbene la caccia alle WIMP non sia ancora stata abbandonata, la mancanza di segnali negli esperimenti sotterranei ha portato molti fisici a rivolgere la loro attenzione verso altri candidati in grado di spiegare la materia oscura. Una delle particelle candidate è chiamata assione, e dovrebbe essere un’ipotetica particella ultra leggera.
Gli assioni sono previsti dalla teoria proposta dai fisici delle particelle Roberto Peccei e Helen Quinn nel 1977. Sebbene gli scienziati stiano cercando assioni in esperimenti che utilizzano potenti campi magnetici per convertirli in fotoni, queste ricerche devono ancora porre vincoli molto rigidi alle proprietà delle particelle stesse.
Esiste una possibilità che tutte queste particelle si siano formate in modo diverso da quanto ipotizzato. Ad esempio, le WIMP dovrebbero essere state prodotte in grande numero nel primo millesimo di secondo dopo il Big Bang, raggiungendo l’equilibrio con il plasma che permeava l’universo composto da quark, gluoni e altre particelle subatomiche. Il numero di WIMP che avrebbero dovuto giustificare la materia oscura presente oggi dipende dalla frequenza delle interazioni. Nei calcoli gli scienziati ipotizzano che lo spazio si sia espanso costantemente durante la prima frazione di secondo, senza eventi inaspettati. Ma è del tutto plausibile che semplicemente non sia andata così.
Purtroppo, pur avendo una buona conoscenza generale dell’universo, i cosmologi non hanno adeguate conoscenze dei primissimi istanti della sua formazione e quasi nulla circa il primo trilionesimo di secondo. Quando si tratta di come il nostro universo potrebbe essersi evoluto, o agli eventi che potrebbero aver avuto luogo durante questi primi momenti, sostanzialmente non abbiamo osservazioni dirette su cui fare affidamento. Questa era è celata alla vista, sotto strati impenetrabili di energia, distanza e tempo.
La comprensione di questo effimero lasso di tempo è, per molti aspetti, poco più di un’ipotesi basata su inferenza ed estrapolazione. La materia e l’energia esistevano in forme diverse rispetto a oggi e potrebbero aver sperimentato forze che non sono state ancora rilevate. Potrebbero essersi verificati eventi e transizioni che la scienza deve ancora scoprire.
Per questo, molti cosmologi hanno iniziato a considerare la possibilità che il non aver trovato le particelle che compongono la materia oscura potrebbe dirci molto non solo sulla natura della materia oscura stessa, ma anche sull’era in cui è stata creata. Studiando la materia oscura, gli scienziati stanno imparando qualcosa sui primi momenti dopo il Big Bang.

L’Universo si espande.

L’espansione dell’Universo fu scoperta nel 1929 da Hubble che misurò la velocità di allontanamento delle galassie che più erano distanti, più velocemente si allontanano dalla Via Lattea. Da quella scoperta Hubble estrapolò il tasso di espansione che oggi è una costante che i cosmologi studiano. La costante di Hubble è stata di difficile calcolo e ancora oggi il suo valore non riscuote il consenso di tutti i cosmologi. I ricercatori combinando i dati più recenti, calcolano che l’universo si sta attualmente espandendo ad una velocità compresa tra 72 e 76 km / s / Mpc.
I cosmologi possono utilizzare un’altra strada per calcolare la costante di Hubble, studiando la luce primordiale emessa quando i primi atomi si formarono circa 380.000 anni dopo il Big Bang.
Questa luce, emessa in quei tempi lontani, è nota come sfondo cosmico a microonde e ci mostra come la materia era distribuita in tutto l’universo in quel momento rivelando alcuni dettagli interessanti, ad esempio quanta materia c’era e quanto rapidamente lo spazio si espandesse. Dallo sfondo si deduce anche un valore diverso della costante di Hubble, di circa 67 km / s / Mpc, un valore significativamente più piccolo di quello che i cosmologi hanno trovato attraverso misurazioni dirette. Una discrepanza tra i due sistemi che determinano la costante di Hubble che è incompatibile nel contesto del modello cosmologico standard.
Per rendere questi risultati coerenti, gli astronomi sarebbero costretti a cambiare il modo in cui pensano che il cosmo si sia espanso ed evoluto, o di riconsiderare le forme di materia ed energia nell’universo durante le prime centinaia di migliaia di anni dopo il Big Bang.
Nonostante decenni di sforzi, i misteri su materia ed energia oscura rimangono, come rimane da comprendere l’inflazione cosmica. Tuttavia i cosmologi ritengono di trovarsi davanti a una possibile rivoluzione, forse i primi momenti dell’universo sono molto diversi da come li hanno immaginati.
Secondo la teoria generale della relatività, la velocità con cui lo spazio si espande dipende dalla densità della materia e dall’energia che contiene. Quando i cosmologi deducono il valore della costante di Hubble dal fondo cosmico a microonde, devono fare ipotesi sulla quantità di materia oscura, neutrini e altre sostanze presenti.
Forse, per spiegare la discrepanza tra le diverse misurazioni della costante di Hubble si potrebbe ipotizzare che il cosmo contenesse più energia del previsto durante i primi centomila anni dopo il Big Bang. Questa energia potrebbe aver preso la forma di una specie esotica di luce e particelle debolmente interagenti, o di un qualche tipo di energia oscura associata al vuoto che è scomparsa da tempo dall’universo.
Allo stesso modo anche i fisici del 1904 non erano ancora stati capaci di risolvere problemi come l’etere luminifero, l’orbita di Mercurio o il funzionamento del Sole. Tuttavia questi problemi sono stati il punto focale della rivoluzione in fisica. E nel 1905, la rivoluzione arrivò, inaugurata da Albert Einstein e dalla teoria della relatività.
Quando gli scienziati hanno combinato la relatività con la teoria della fisica quantistica, è diventato possibile spiegare la longevità del Sole, nonché il funzionamento interno degli atomi. Queste nuove teorie hanno aperto le porte a nuove linee di indagine in precedenza inimmaginabili, compresa quella della cosmologia stessa.
Le rivoluzioni scientifiche possono trasformare profondamente il modo in cui vediamo e comprendiamo il nostro mondo. Ma un cambiamento radicale non è mai facile da osservare. Probabilmente non c’è modo di dire se i misteri affrontati oggi dai cosmologi siano i segni di una imminente rivoluzione scientifica o semplicemente gli ultimi pochi punti in sospeso di uno sforzo scientifico concluso.
Non c’è dubbio, i cosmologi hanno compiuto progressi incredibili nella comprensione dell’universo, della sua storia e della sua origine. Ma è innegabile che gli esseri umani rimangono disarmati e incerti quando la cosmologia affronta i primi istanti della storia dell’universo che nasconde i suoi segreti che se svelati  apriranno le porte a una rivoluzione scientifica senza precedenti.

domenica 4 marzo 2018

L’origine della vita sulla Terra.

A B
(2)Rappresentazione di un atomo di idrogeno (A); al centro c’è il protone positivo e intorno si 
muove a grande velocità l’elettrone negativo. Struttura dell’atomo di elio (B).

Ancora oggi gli scienziati non sanno dire con precisione quanto tempo fa sono comparse sulla Terra le prime forme di vita, ma è probabile che esse si siano originate spontaneamente a partire dalle varie sostanze chimiche che si trovavano negli oceani primitivi. Di sicuro, però, esiste una stretta relazione tra la formazione di queste prime forme di vita e le condizioni ambientali presenti sulla Terra miliardi di anni fa.

1
(1) Una delle centinaia di miliardi di galassie presenti nell’Universo: la nebulosa di Cefeo.

L’Universo ha avuto origine più di 13 miliardi di anni fa.

Secondo le moderne teorie, il nostro Universo (figura 1) ha avuto inizio da un’enorme esplosione, il Big Bang. Si ritiene che, prima di questo evento, tutta l’energia e tutta la materia dell’attuale Universo fossero compresse in un punto infinitamente piccolo; con il Big Bang si ebbe la liberazione di questa energia, a seguito della quale tutte le particelle di materia iniziarono a formarsi e ad allontanarsi rapidamente le une dalle altre.
Subito dopo l’esplosione, che sarebbe avvenuta intorno a 13,7 miliardi di anni fa, la temperatura era di circa 100 miliardi di gradi Celsius (°C). La materia era presente sotto forma di particelle con carica positiva, chiamati protoni, oppure prive di carica, i neutroni; a causa dell’elevata energia, queste particelle si scontravano tra loro aggregandosi e formando così quelli che sarebbero divenuti i primi nuclei atomici. Successivamente, quando l’Universo raggiunse una temperatura di circa 2500 °C, i protoni presenti nei nuclei cominciarono ad attrarre piccole particelle con carica negativa, detti elettroni, che resero possibile la formazione dei primi atomi. A partire da questi atomi, col passare del tempo, si sono originati tutti i pianeti e le stelle del nostro Universo, compresi la Terra e il Sole (figura 2A).

martedì 2 febbraio 2016

L’UNIVERSO SENZA COMPLEANNO. - Corrado Ruscica

Spacetime

Secondo il modello del Big Bang, la struttura su larga dell’Universo si espande continuamente, e sempre più velocemente, e lo spazio appare mediamente uguale in ogni direzione. Inoltre, il modello del Big Bang assume che la fisica convenzionale, inclusa la teoria della gravità di Einstein, sia più o meno corretta. In base a questo modello, se si riavvolge indietro di 13,8 miliardi di anni la storia cosmica si arriva ad un “inizio” in cui l’Universo si trovava in uno stato fisico incredibilmente caldo e denso: stiamo parlando della singolarità gravitazionale. Il tempo inizia quando questa singolarità esplode nel Big Bang. Stephen Hawking ha dichiarato che è possibile “eliminare” dalle nostre teorie cosmologiche alcuni eventi “prima” del Big Bang in quanto non esiste alcun modo di misurarli. Tuttavia, la domanda su ciò che ha preceduto il Big Bang rimane ancora affascinante e per qualche scienziato non si può evitare dal punto di vista teorico.
Lo scorso anno, i fisici Saurya Das dell’University of Lethbridge in Alberta e Ahmed Ali della Benha University in Egitto pubblicarono un articolo in cui affermavano che l’Universo, a differenza del modello del Big Bang, non ha avuto un inizio (post). Essi ammettono che circa 13,8 miliardi di anni fa vi fu una immediata esplosione di energia ma negano l’esistenza di una singolarità iniziale. Secondo il modello del Big Bang, il nostro Universo ebbe origine da un punto infinitamente denso, per l’appunto da uno stato singolare. Tuttavia, una buona teoria fisica non dovrebbe contenere delle singolarità perciò gli scienziati hanno tentato di capire nel corso degli anni se effettivamente la meccanica quantistica fosse in grado di eliminarle. Nel modello proposto da Das e Ali si parte dal presupposto per cui la posizione e la velocità di qualsiasi cosa presente nel cosmo, secondo il principio di indeterminazione, è incerta, inclusa la singolarità stessa, che quindi non dovrebbe esistere con certezza. In più c’è il problema del tempo. La domanda è: il tempo ha avuto un inizio? Il modello del Big Bang afferma di sì mentre secondo il modello di Das e Ali l’età dell’Universo sarebbe infinita. Inoltre, il nostro Universo contiene circa il 70 percento di energia scura e circa il 25 percento di materia scura, le cui origini sono sconosciute. Il modello di Das e Ali tenta di affrontare questo problema ipotizzando che l’Universo sia permeato da una sorta di “fluido quantistico freddo” noto come condensato di Bose-Einstein, che può tener conto della materia ed energia scure. Ma in che modo? Questo fluido composto da gravitoni, cioè le ipotetiche particelle che dovrebbero mediare l’interazione gravitazionale, ha una massa e densità. I due scienziati postulano che tale densità possa spiegare in qualche modo la densità osservata della materia scura. Inoltre, il fluido, essendo un oggetto quantistico, esercita una forza quantistica minima che sarebbe assente nel caso in cui il cosmo fosse deterministico, così come ritenevano Newton e Einstein. Questa forza, che ha una pressione negativa, spiegherebbe così l’azione dell’energia scura e i calcoli eseguiti finora dai due ricercatori sono promettenti.
Che ne è della singolarità iniziale del Big Bang? Se l’Universo in cui viviamo ebbe origine circa 13,8 miliardi di anni fa da una singolarità gravitazionale, non esiste alcun modo di dire ciò che accadde prima, dato che le teorie fisiche non possono essere estese prima di questo evento: ciò vuol dire che lo spazio e il tempo cessano di avere un significato. Dunque, siamo di fronte ad un grosso problema. Secondo l’idea proposta da Das e Ali, si traccia all’indietro la storia cosmica utilizzando non la meccanica classica deterministica bensì la meccanica quantistica. In questo modo, man mano che l’Universo diventa sempre più piccolo e più denso, procedendo verso il passato, esso non si contrae in un punto a densità infinita ma continua a ritroso per sempre. In altre parole, la singolarità iniziale del Big Bang viene eliminata dalle incertezze quantistiche. Se poi le predizioni di questo nuovo modello saranno supportate dalle attuali e future osservazioni, si potrebbe proporre anche una teoria alternativa all’inflazione cosmica che presenta un certo numero di problemi nonostante spieghi in maniera brillante l’omogeneità, l’isotropia e la geometria spazialmente piatta del nostro Universo. L’Universo esisterà per sempre? Secondo i due scienziati la risposta è sì. Se la teoria è corretta e il fluido di Bose-Einstein rimarrà intatto, l’Universo dovrebbe continuare ad accelerare al punto che le galassie scompariranno dal rispettivo orizzonte diventando alla fine invisibili: si parla di un altro evento catastrofico noto come Big Rip. D’altra parte, però, se il fludio quantistico si frammenterà l’Universo potrebbe arrestare la sua accelerazione, rallentando sempre più al punto da ricollassare nuovamente in un piccolo volume di spazio. Das e Ali stanno studiando queste eventualità. C’è da dire che il loro modello si basa sulla meccanica quantistica standard e perciò è consistente con le sue varie interpretazioni. Una di loro è la cosiddetta “interpretazione a molti mondi che ipotizza l’esistenza di universi paralleli. Forse, questi ultimi potrebbero esistere davvero.