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lunedì 3 febbraio 2020

Ritratto di binaria con vampiro. - Maura Sandri


Rappresentazione artistica di un sistema stellare come quello dello studio in oggetto. Crediti: Nasa e L. Hustak.

Setacciando i dati d'archivio del satellite Kepler della Nasa, gli astronomi hanno scoperto una nova nana la cui luminosità è aumentata di 1600 volte in meno di un giorno. Il sistema binario è costituito da una nana bianca e da una compagna nana bruna, alla quale la nana bianca sta risucchiando materiale. Tutti i dettagli della scoperta su Mnras.
Il satellite Kepler della Nasa è stato progettato per trovare pianeti extrasolari, cercando stelle la cui luce si affievolisce al passaggio di un pianeta davanti alla stella stessa. Fortunatamente, lo stesso design lo ha reso uno strumento ideale per individuare altri oggetti astronomici transienti, ossia oggetti la cui luminosità aumenta o diminuisce nel tempo.
Una ricerca effettuata sui dati di archivio di Kepler, oggi in pensione, ha rivelato un’insolita esplosione da una nova nana precedentemente sconosciuta, che ha aumentato la sua luminosità di 1600 volte in meno di un giorno, prima di svanire lentamente.
Una nova nana è un tipo di variabile cataclismica, consistente in una stella binaria molto stretta in cui una delle componenti è una nana bianca che risucchia materia dalla sua compagna. In particolare, il sistema stellare in questione è costituito da una stella nana bianca con una compagna nana bruna, la cui massa è circa un decimo di quella della nana bianca. Una nana bianca è ciò che rimane del nucleo di una vecchia stella simile al Sole e contiene una massa pari a circa una massa solare in un raggio paragonabile a quello della Terra. Una nana bruna è un oggetto con una massa tra 10 e 80 volte la massa di Giove, non sufficiente per innescare la fusione nucleare al suo interno.
La nana bruna in oggetto orbita attorno alla nana bianca ogni 83 minuti, a una distanza di soli 400mila chilometri, pari a circa la distanza dalla Terra alla Luna. Sono così vicine che la forte gravità della nana bianca attrae il materiale della nana bruna, prosciugandola come farebbe un vampiro. Il materiale strappato alla stella va a formare un disco attorno alla nana bianca (noto come disco di accrescimento), sul quale scivola spiraleggiando verso la nana bianca stessa.
Questo evento è rimasto nascosto nell’archivio di Kepler fino a quando non è stato identificato da un team guidato da Ryan Ridden-Harper dello Space Telescope Science Institute (Stsci) di Baltimora, nel Maryland, e dalla Australian National University di Canberra, in Australia. «In un certo senso, abbiamo scoperto questo sistema per caso. Non eravamo specificamente alla ricerca di una super esplosione. Stavamo cercando qualsiasi tipo di transitorio», ha detto Ridden-Harper.
La scoperta – pubblicata lo scorso 21 ottobre 2019 sulla rivista Monthly Notices of the Royal Astronomical Society – è stata fatta con l’aiuto di un programma automatico che ha setacciato i dati di Kepler, come un detective che si occupa di cold case, per trovare indizi su esplosioni molto veloci e misteriose avvenute nell’universo. Il programma mira a rilevare eventi astronomici rari che si evolvono rapidamente, nel giro di ore o giorni, come esplosioni di raggi gamma da supernove, collisioni di stelle di neutroni o esplosioni che non si erano mai viste prima attraverso i telescopi ottici.

Dopo nove anni di raccolta di dati sullo spazio profondo, che hanno rivelato come il nostro cielo notturno sia pieno di miliardi di pianeti nascosti, il telescopio spaziale Kepler della Nasa è andato in pensione nel novembre 2018. Ha lasciato in eredità oltre 2600 esopianeti scoperti, molti dei quali potrebbero essere abitabili, e una miriade di dati che continuano ad essere setacciati alla ricerca, oltre che di nuovi pianeti, di fenomeni transienti come quello osservato nello studio in oggetto. Crediti: Nasa/Ames Research Center/W. Stenzel/D. Rutter
Ebbene, Kepler è stato in grado di catturare l’intero evento, osservando un lento aumento della luminosità seguito da una rapida intensificazione. In realtà, la teoria prevede un bagliore improvviso e il motivo per cui, in questo caso, si è verificato un avvio lento, rimane un mistero. Le teorie standard della fisica del disco di accrescimento non prevedono questo fenomeno, che è stato successivamente osservato in altre due esplosioni di nova nane. «Questi sistemi di nova nane sono stati studiati per decenni, quindi individuare qualcosa di nuovo è piuttosto difficile», ha dichiarato Ridden-Harper. «Vediamo dischi di accrescimento ovunque – dalle stelle appena formate ai buchi neri supermassicci – ed è quindi importante capirli».
È stato un puro caso che Kepler guardasse nella direzione giusta nel momento in cui questo sistema ha subito la super esplosione, aumentando la sua luminosità di oltre mille volte. In effetti, Kepler era l’unico strumento che avrebbe potuto testimoniarlo, poiché il sistema stellare, in quel momento, era troppo vicino al Sole, dal punto di vista della Terra. La rapida cadenza di osservazioni di Kepler, che ha preso dati ogni 30 minuti, si è rivelata cruciale per catturare ogni dettaglio dell’esplosione.
Le teorie suggeriscono che una super esplosione simile si inneschi quando l’accrescimento del disco raggiunge un punto di non ritorno. Man mano che accumula materiale, il disco cresce di dimensioni fino a quando il bordo esterno entra in risonanza gravitazionale con la nana bruna in orbita. Ciò potrebbe innescare un’instabilità termica, causando il surriscaldamento del disco. In effetti, le osservazioni mostrano che la temperatura del disco sale da circa 2700 – 5300 gradi Celsius, nel suo stato normale, a un massimo di 9700 – 11700 gradi Celsius, al picco dell’esplosione.
Questo tipo di sistema è relativamente raro, ne sono noti solo un centinaio. Un singolo sistema può andare avanti per anni o decenni senza esplosioni, il che rende una vera sfida riuscirne a catturarne uno nell’atto dell’esplosione. «Il rilevamento di questo oggetto fa sperare di trovare eventi ancora più rari nascosti nei dati di Kepler», ha dichiarato il coautore Armin Rest di Stsci. Il team prevede di continuare a setacciare i dati di Kepler, nonché quelli di un altro cacciatore di esopianeti, il Transiting Exoplanet Survey Satellite (Tess), alla ricerca di altri fenomeni transienti.
«Le continue osservazioni di questi sistemi stellari dinamici da parte di Kepler/K2, e ora di Tess, ci consentono di studiare le prime ore dell’esplosione, un dominio temporale quasi impossibile da raggiungere dagli osservatori terrestri», ha affermato Peter Garnavich dell’Università di Notre Dame, in Indiana.

venerdì 9 giugno 2017

LA MASSA DI UNA NANA BIANCA DERIVATA DA UNA MICROLENTE GRAVITAZIONALE. - Michele Diodati.

Risultati immagini per nana bianca

Un nuovo test passato a pieni voti per la relatività generale.

A novembre del 1919 Albert Einstein divenne improvvisamente una celebrità mondiale. In un convegno della Royal Society, tenuto il 7 novembre a Londra, erano stati resi noti i risultati della spedizione guidata da Sir Arthur Eddington, che aveva fotografato l’eclissi totale di Sole del 29 maggio dall’isola di Principe, al largo della costa occidentale dell’Africa. Le fotografie mostravano che alcune stelle nei pressi del bordo solare, visibili durante l’eclissi, erano spostate di 1,75 secondi d’arco rispetto alla posizione che avevano nel cielo notturno, quando il Sole era invisibile.

Quella deviazione, doppia rispetto a quella prevista dalla teoria della gravità di Newton, confermava in modo clamoroso le predizioni della relatività generale: la massa del Sole curvava lo spazio nella misura prevista dalla teoria di Einstein, piegando la luce proveniente da stelle distanti, allineate con il bordo solare.

Ma, nelle giuste condizioni, la capacità di una massa concentrata di piegare la luce attraverso l’azione del suo campo gravitazionale poteva dare origine a un fenomeno ancora più spettacolare dell’apparente spostamento della posizione di una stella: poteva creare una lente d’ingrandimento spaziale, in grado di potenziare la luce di un oggetto distante, che si trovasse casualmente allineato alla massa interposta rispetto all’osservatore terrestre. Era il fenomeno della cosiddetta lente gravitazionale.

Einstein, che pubblicò quest’idea nel 1936, disperava che se ne potesse mai avere una prova concreta, poiché l’effetto creato da una qualsiasi stella diversa dal Sole, anche tra le più vicine, era troppo esiguo per essere visto con i telescopi della sua epoca. Ma Einstein è morto 35 anni prima che fosse lanciato il telescopio spaziale Hubble…

Con la sua squisita risoluzione, Hubble ha ripreso nel corso degli anni anelli di Einstein, lenti gravitazionali create da immensi ammassi di galassie distanti miliardi di anni luce e anche microlenti prodotte dal casuale allineamento di una stella in primo piano con una stella di sfondo.

E proprio di microlenti parleremo da qui in poi.

Finora, le microlenti osservate si sono limitate a semplici eventi di illuminazione: la deflessione relativistica della posizione della stella di sfondo era infatti così minuscola da risultare invisibile anche per Hubble (si tratta di uno spostamento nell’ordine dei millesimi di secondo d’arco, cioè tre ordini di grandezza minore rispetto al già piccolo spostamento fotografato da Eddington nel 1919).

Tuttavia, se l’oggetto che fa da lente è sufficientemente vicino, allora con un’attenta pianificazione delle osservazioni e fidando nella potenza di Hubble, è possibile tentare di vedere e soprattutto di misurare anche il piccolissimo spostamento prodotto da una microlente gravitazionale. E questo è esattamente ciò che ha fatto un gruppo di ricercatori guidato da Kailash C. Sahu, i risultati del cui lavoro sono stati resi noti il 7 giugno, durante un incontro della American Astronomical Society.

Prima di descrivere quei risultati, è importante però capire bene come funziona una microlente.

Nella condizione ideale, in cui, rispetto all’osservatore, l’oggetto luminoso lontano, cioè la sorgente, è perfettamente allineato con la massa interposta (cioè la lente), la luce potenziata della sorgente forma un anello intorno alla lente: è l’anello di Einstein.

Invece, nel caso molto più comune, in cui l’allineamento non è perfetto, la lente crea due immagini della sorgente, una delle quali - la più debole - giace all’interno del perimetro dell’anello di Einstein, mentre l’altra, la più luminosa, si trova all’esterno.

Neppure Hubble è in grado di separare la luce dell’immagine della sorgente all’interno dell’anello, perché è troppo vicina alla luce abbagliante della lente, che satura completamente i sensori del telescopio. Però l’immagine della sorgente esterna all’anello può essere abbastanza lontana dalla lente da essere scorta da Hubble. Proprio su questa possibilità si è basato tutto il lavoro del gruppo di Sahu.

Ma qual è l’importanza di tutto ciò, si chiede giustamente il lettore giunto fino a questo punto? Quale conoscenza guadagniamo da una microlente gravitazionale, a parte un piccolissimo spettacolo di luci?

Per capirlo dobbiamo partire da un dato: esiste una relazione matematica ben precisa tra la distanza della lente, la distanza della sorgente, la misura della deflessione della luce della sorgente causata dalla massa della lente e la massa della lente medesima.

Pertanto, se conosciamo a quale distanza da noi si trovano la lente e la sorgente e riusciamo a misurare lo spostamento della sorgente causato dalla massa della lente, possiamo ricavare la massa - precedentemente ignota - della lente.

La massa è uno dei parametri fondamentali in astronomia ed è spesso estremamente difficile da determinare. In un sistema binario, possiamo ricavare la massa delle due stelle che lo compongono da calcoli orbitali, ma, per una stella isolata, la massa si ricava per via indiretta da altri parametri, usando dei modelli standardizzati di evoluzione stellare. In simili casi, poter ricavare la massa di una stella per mezzo di una microlente gravitazionale rappresenta un importante strumento di validazione di quei modelli.

Ma, nel caso dello studio realizzato da Sahu e colleghi, c’era in gioco più del semplice bisogno di conoscere la massa di una stella. Le osservazioni eseguite con Hubble sono servite, infatti, per testare ancora una volta, a un secolo dalla sua pubblicazione, le previsioni della relatività generale. E, ancora una volta, quelle previsioni si sono rivelate in ottimo accordo con le osservazioni e con i dati ottenuti da altre fonti.

Per questo nuovo test della relatività generale, gli autori hanno scelto, dopo una selezione effettuata analizzando il moto di 5.000 stelle relativamente vicine, una microlente gravitazionale prevista per il mese di marzo 2014, in cui una nana bianca chiamata Stein 2051 B, la lente, si sarebbe sovrapposta prospetticamente a una debole stella molto più lontana, la sorgente.

Per eseguire questo studio, la lente e la sorgente sono state osservate con la Wide Field Camera 3 di Hubble 8 volte, in un arco di tempo compreso tra il 1° ottobre 2013 e il 14 ottobre 2015. Come si può vedere dalle immagini allegate al post, il moto della nana bianca ricavato dai due anni di osservazione appare come una linea ondeggiante.



La traiettoria ondeggiante della nana bianca, le cui posizioni sono identificate dai quadratini, in un grafico tratto dallo studio di Sahu e colleghi. Credit: arXiv:1706.02037[astro-ph.SR]

Una linea di questo tipo è la somma del moto proprio della stella e del riflesso del moto orbitale della Terra intorno al Sole. Solo le stelle più vicine presentano un moto ondulatorio così chiaramente visibile e la vicinanza, appunto, è stata una delle ragioni principali per cui i ricercatori hanno scelto proprio questa nana bianca. Il calcolo dell’angolo di parallasse ci dice che Stein 2051 B dista 5,52 parsec dalla Terra, cioè 18 anni luce. A una simile distanza, per la massa della nana bianca, stimata in 0,67 masse solari sulla base dei modelli di evoluzione stellare, lo spostamento della posizione della sorgente determinato dalla microlente del marzo 2014 sarebbe stato intorno ai 2 millesimi di secondo d’arco, ricadendo nei limiti della capacità di Hubble di rilevarlo.



Illustrazione grafica della deflessione della luce della sorgente vista da Hubble, causata dalla massa della nana bianca. Credit: NASAESA, A. Feild (STScI)

Si potrebbe ingenuamente pensare, a questo punto, che sia bastato fotografare la lente e la sorgente a intervalli regolari, per ottenere facilmente le relative distanze angolari e verificare se gli spostamenti erano proprio quelli previsti dalla relatività generale. Ma le cose non sono così semplici.
Senza entrare in dettagli troppo tecnici, il lavoro necessario per passare dal progetto alla sua realizzazione ha richiesto al gruppo di Sahu una serie incredibile di passaggi e di certosine calibrazioni.
La luce stellare satura, infatti, i rilevatori del telescopio tanto più quanto una stella è luminosa e vicina. Nel caso specifico, la nana bianca Stein 2051 B è 400 volte più luminosa della sorgente, una stella di tipo spettrale K distante ben 6.500 anni luce. Ciò ha prodotto nelle immagini di Hubble dei grandi picchi di diffrazione intorno alla nana bianca, cioè degli artefatti, delle macchie luminose che nascondevano completamente in certi casi l’immagine deflessa della sorgente.
Per farla breve, per ottenere un risultato chiaro è stato necessario calcolare le posizioni di lente e sorgente in riferimento a una serie di altre stelle di sfondo visibili nell’immagine. Per ognuna di quelle stelle si è dovuto determinare con accuratezza distanza e moto proprio, allo scopo di ottenere una media generale che potesse fare da riferimento stabile, per valutare gli spostamenti della lente e della sorgente
nel corso dei due anni di osservazioni.


In quest’immagine di Hubble si vede anche Stein 2051 A, la compagna binaria della nana bianca: una nana rossa più luminosa ma molto meno massiccia della nana bianca. La sorgente, cioè la stella di sfondo deflessa dalla microlente, è indicata dalla scritta “source”. È facile rendersi conto che la sorgente non può essere vista, se si trova troppo vicina alla nana bianca, la cui luminosità è 400 volte maggiore. Credit: NASAESA, K. Sahu (STScI)

Ma tutti questi calcoli hanno richiesto innanzitutto di sapere dove si trovava esattamente ciascuna stella all’interno dell’immagine. A tal fine, è stato necessario ridurre ogni stella a una sorgente puntiforme, eliminando i picchi di diffrazione con appositi algoritmi software che calcolano la Point Spread Function, o PSF, cioè il modo in cui il sistema di acquisizione delle immagini di Hubble reagisce allo stimolo luminoso.
Insomma, per arrivare alla massa della nana bianca gli autori hanno dovuto fare un grosso lavoro preliminare di ripulitura, il cui risultato finale è certamente affidabile, ma, come tutte le misurazioni di grandezze fisiche, risente di un’inevitabile incertezza, dovuta ai limiti di sensibilità dello strumento e al modo stesso in cui si propaga la luce.
Questa sorta di odissea tecnico-matematica è stata però alla fine premiata dal risultato. Lente e sorgente sono arrivate a una distanza minima di 103 millesimi di secondo (mas) d’arco il 5 marzo 2014. Il raggio dell’anello di Einstein generato dalla microlente è stato calcolato in 31,53 ± 1,20 mas, il che ha permesso di calcolare - finalmente - la massa della nana bianca Stein 2051 B derivata dalla relatività generale: 0,675 ± 0,051 masse solari.
È un valore in ottimo accordo con la massa della nana bianca derivata dalle osservazioni e dai modelli di evoluzione stellare. Ciò vuol dire che questo studio non rappresenta solo una conferma (l’ennesima) della validità della relatività generale, ma è anche una conferma della validità della relazione massa/raggio nelle nane bianche.
Questa relazione empirica dice che, quanto più una nana bianca è massiccia, tanto più il suo raggio è ridotto. In Stein 2051 B, una nana bianca con un nucleo di carbonio/ossigeno, una fotosfera ricca di elio e una temperatura superficiale calcolata in 7.122 K, il raggio, derivato dalla fotometria, dalla temperatura e dalla parallasse, era stato calcolato in 7.930 km. Per un simile raggio, la massa appropriata, se è corretta la relazione massa/raggio per una nana bianca di questo tipo, è appunto di 0,67 masse solari: esattamente il valore ricavato dal gruppo di Sahu, misurando la deflessione relativistica della sorgente - la stella lontana 6.500 anni luce - nella microlente gravitazionale creata dall’allineamento (imperfetto) con la nana bianca.



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