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lunedì 8 luglio 2024

Cos’è un quasar? - Angelo Petrone

 

Quasar: i fari cosmici che svelano i segreti dell’universo

I quasar (dall’inglese “quasi-stellar radio source”, ossia “sorgente radio quasi-stellare”) sono tra gli oggetti più misteriosi e affascinanti dell’universo. Scoperti negli anni ’60, i quasar sono nuclei galattici attivi estremamente luminosi che si trovano a grandi distanze dalla Terra. La loro luminosità è talmente elevata che riescono a offuscare l’intera galassia ospite.

Caratteristiche dei quasar.

Luminosità: i quasar sono tra gli oggetti più luminosi dell’universo, in grado di emettere energia equivalente a quella di centinaia di galassie. Questa straordinaria luminosità è dovuta al fatto che al centro dei quasar si trovano buchi neri supermassicci, con masse che possono variare da milioni a miliardi di volte quella del Sole. La materia che cade nel buco nero viene riscaldata a temperature elevatissime, emettendo una quantità enorme di radiazioni che possiamo osservare dalla Terra.

Distanza: i quasar si trovano a distanze cosmologiche, cioè a miliardi di anni luce dalla Terra. Questo significa che li osserviamo com’erano miliardi di anni fa. Lo studio dei quasar ci permette quindi di guardare indietro nel tempo e di capire meglio l’evoluzione dell’universo.

Spettro elettromagnetico: i quasar emettono radiazioni su tutto lo spettro elettromagnetico, dalle onde radio ai raggi X e gamma. Questa emissione multi-frequenza è dovuta alla presenza di getti relativistici di particelle che vengono espulsi dal nucleo galattico a velocità prossime a quelle della luce.

Redshift: uno degli aspetti più caratteristici dei quasar è il loro elevato redshift, cioè lo spostamento verso il rosso delle linee spettrali. Questo fenomeno è dovuto all’espansione dell’universo e indica che i quasar sono oggetti molto lontani da noi.

Importanza dei quasar nella cosmologia

I quasar giocano un ruolo fondamentale nella cosmologia per diversi motivi:

Sonde cosmiche: grazie alla loro luminosità, i quasar possono essere utilizzati come “sonde cosmiche” per studiare la struttura a grande scala dell’universo. L’osservazione dei quasar e della loro distribuzione nello spazio permette di comprendere meglio la distribuzione della materia nell’universo.

Evoluzione delle galassie: i quasar forniscono indizi preziosi sull’evoluzione delle galassie. Si ritiene che molte galassie, compresa la Via Lattea, abbiano attraversato una fase di quasar nel loro passato. Studiando i quasar, possiamo ottenere informazioni sul processo di formazione e crescita dei buchi neri supermassicci e sulla loro interazione con le galassie ospiti.

Materia oscura e energia oscura: le osservazioni dei quasar possono contribuire a svelare i misteri della materia oscura e dell’energia oscura, due componenti fondamentali dell’universo ancora poco comprese. Le lenti gravitazionali create dai quasar, ad esempio, possono essere utilizzate per mappare la distribuzione della materia oscura.

Scoperta e studio dei quasar.

Il primo quasar è stato identificato nel 1963 dall’astronomo Maarten Schmidt, che ha osservato un oggetto celeste estremamente luminoso con uno spostamento verso il rosso molto elevato. Questa scoperta ha rivoluzionato l’astronomia, aprendo una nuova finestra sull’universo lontano e sull’energia estrema.

Da allora, migliaia di quasar sono stati scoperti e studiati con vari strumenti, tra cui telescopi ottici, radio e satelliti a raggi X. Le missioni spaziali, come il Telescopio Spaziale Hubble, hanno fornito immagini dettagliate dei quasar e delle loro galassie ospiti, permettendo di studiare questi oggetti in modo sempre più approfondito.

I quasar sono tra gli oggetti più affascinanti e misteriosi dell’universo. La loro straordinaria luminosità, combinata con la grande distanza a cui si trovano, li rende strumenti preziosi per lo studio della cosmologia e dell’evoluzione delle galassie. Nonostante i grandi progressi fatti negli ultimi decenni, i quasar continuano a essere oggetto di intense ricerche e scoperte, alimentando il nostro desiderio di comprendere meglio l’universo in cui viviamo.

https://www.scienzenotizie.it/2024/07/07/cose-un-quasar-3987817?fbclid=IwZXh0bgNhZW0CMTEAAR0Wzgz2jffKgzw5-H4fbluoEzHMh33kuZCrHnJ2_iYTwt3DMz1rIlDM-Xs_aem_xgnc-i6RyndF2ab2z48l_w

lunedì 18 marzo 2024

Guarda come otto stelle vengono distrutte da un buco nero! Il video della NASA. - Pasquale D'Anna


Mentre si avvicinano, le stelle vengono tutte allungate e deformate dalla gravità del buco nero 1 milione di volte la massa del Sole, il video pazzesco.

Guarda come otto stelle si avvicinano ad un buco nero 1 milione di volte la massa del Sole in queste simulazioni al supercomputer. Mentre si avvicinano, vengono tutte allungate e deformate dalla gravità del buco nero. Alcune vengono completamente separati in un lungo flusso di gas, un fenomeno cataclismico chiamato evento di interruzione delle maree. Altre sono solo parzialmente distrutte, conservando parte della loro massa e tornano alla loro forma normale dopo il loro tremendo “incontro”. Queste simulazioni sono le prime a combinare gli effetti fisici della teoria della relatività generale di Einstein con modelli realistici di densità stellare.

Caratteristica delle stelle.

Le stelle simulate vanno da circa un decimo a 10 volte la massa del Sole. La divisione tra le stelle che distruggono completamente e quelle che sopravvivono non è semplicemente correlata alla massa (la sopravvivenza dipende più dalla densità della stella). Gli scienziati hanno studiato come altre caratteristiche, come le diverse masse dei buchi neri e gli avvicinamenti stellari ravvicinati, influenzano gli eventi di interruzione delle maree. I risultati aiuteranno gli astronomi a stimare la frequenza con cui si verificano interruzioni di marea complete nell’universo e li aiuteranno a costruire immagini più accurate di questi calamitosi eventi cosmici. Ecco la bellissima simulazione: buona visione!

Credit immagine di copertina NASA’s Goddard Space Flight Center / Taeho Ryu (MPA); music: “Lava Flow Instrumental” from Universal Production Music

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venerdì 2 febbraio 2024

Avvistata una nuova classe di stelle: le ‘vecchie fumatrici’. - Angelo Petrone

 

Sono state rilevate anche diverse dozzine di “neonati che piangono” e attualmente stanno sperimentando un’esplosione e forti cambiamenti nella loro luminosità.

Un gruppo internazionale di astronomi ha scoperto un notevole numero di stelle “nascoste”, tra cui alcune protostelle eruttive e altre classificate in una nuova categoria di antiche stelle giganti rosse. Ad annunciarlo è stata, giovedì, la Royal Astronomical Society. Un nuovo articolo recentemente pubblicato sulla rivista Monthly Notice della Royal Astronomical Society spiega che la scoperta delle nuove stelle è avvenuta al termine di uno studio durato circa un decennio e comprendente centinaia di milioni di corpi celesti. Delle 222 stelle analizzate dagli astronomi, solo un terzo potrebbe essere classificato “come eventi ben compresi di vario tipo“, hanno osservato. Classificare gli oggetti rimanenti ha presentato maggiori difficoltà, quindi hanno utilizzato il telescopio di tracciamento VISTA, situato presso l’Osservatorio Cerro Paranal (Cile), per ottenere dati spettroscopici per visualizzare i cambiamenti nella loro luminosità. In totale sono state rilevate 32 protostelle in eruzione, chiamate “neonate piangenti”, che hanno sperimentato un aumento di luminosità compreso tra 40 e 300 volte la loro luminosità. Gli autori della ricerca hanno commentato che la stragrande maggioranza delle esplosioni erano in corso, consentendo loro di esaminare per la prima volta come queste eruzioni si evolvono nel tempo man mano che aumentano di luminosità, raggiungono un picco di luminosità e poi svaniscono. Tuttavia, gli astronomi hanno trovato 21 giganti rosse al centro della Via Lattea, i cui cambiamenti intermittenti di luminosità nel corso di diversi anni erano difficili da spiegare. Dopo l’analisi di sette di queste stelle, è stato stabilito che si trattava di un nuovo tipo di antiche giganti rosse. L’astronomo Philip Lucas ha sostenuto che “queste antiche giganti rosse” non avevano lo stesso comportamento delle stelle pulsanti (variabili Mira), ma piuttosto “restano lì normalmente e poi improvvisamente si affievoliscono per un periodo che va da sei mesi a diversi anni“. “Questo è completamente senza precedenti“, ha aggiunto.

Ulteriori osservazioni hanno mostrato che questi corpi celesti sembrano emettere enormi colonne di fumo che impediscono alla loro luce di raggiungere il nostro pianeta, oltre ad oscurare altre stelle nella stessa regione. Gli astronomi ritengono che il fumo emesso da queste cosiddette “vecchie fumatrici” potrebbe fornire un’ipotesi per il loro prolungato oscuramento. Lucas ha sottolineato che il fatto che queste stelle non pulsano rende difficile trovare una spiegazione all’origine delle colonne di fumo. Data questa situazione, l’astronomo ha suggerito che questo fenomeno potrebbe essere correlato all’elevata concentrazione di elementi pesanti vicino al centro della nostra galassia, dove si trova la maggior parte di questi vecchi fumatori. Infine, i ricercatori hanno affermato che attualmente stanno cercando di cercare più stelle di questo tipo per scoprire come sono distribuiti gli elementi pesanti nello spazio. Secondo Lucas, finora ne hanno identificati più di 90.

https://www.scienzenotizie.it/2024/01/29/avvistata-una-nuova-classe-di-stelle-le-vecchie-fumatrici-1178934?fbclid=IwAR0Yi3dPAYxl7Ed1CLu6dlC6IsuAhX5VwjlrEXfzIa3cSUh8E4eUIbvJ4h8

martedì 25 febbraio 2020

Pianeta in corsa sull’orlo della distruzione. - Maura Sandri


Impressione artistica di un gioviano caldo in orbita vicino a una stella. Crediti: Università di Warwick / Mark Garlick.

Gli astronomi dell'Università di Warwick hanno scoperto un esopianeta che orbita attorno a una stella in poco più di 18 ore, a una distanza che è solo il doppio del diametro della stella. Si tratta del periodo orbitale più breve mai osservato per un gioviano caldo. Tutti i dettagli su Mnras.
Gli astronomi dell’Università di Warwick hanno osservato un esopianeta che orbita attorno a una stella in poco più di 18 ore. Si tratta del periodo orbitale più breve mai osservato per un gioviano caldo, un gigante gassoso simile per dimensioni e composizione a Giove: un anno su questo pianeta trascorre in meno di un giorno terrestre!
La scoperta è descritta in un nuovo articolo pubblicato su Monthly Notices of the Royal Astronomical Society e gli scienziati ritengono che permetterà di capire se tali pianeti stiano andando incontro alla distruzione, cadendo verso i loro soli, oppure no.
Il pianeta in questione, chiamato Ngts-10b, si trova a circa 1000 anni luce di distanza dalla Terra ed è stato scoperto nell’ambito del Next-Generation Transit Survey (Ngts), una survey con l’obiettivo di rilevare esopianeti con dimensioni fino a quelle di Nettuno, usando il metodo dei transiti, che comporta l’osservazione delle stelle per rivelare un calo di luminosità, indice del passaggio del pianeta davanti alla stella.
In qualsiasi momento, la survey Ngts osserva 100 gradi quadrati di cielo, analizzando la luce di circa 100mila stelle. Di quelle 100mila stelle, questa in particolare ha attirato l’attenzione degli astronomi, a causa delle frequenti diminuzioni della sua luce causate dal pianeta che gli orbita intorno molto rapidamente.
«Siamo entusiasti di annunciare la scoperta di Ngts-10b, un pianeta delle dimensioni paragonabili a quelle di Giove, che orbita attorno a una stella non molto diversa dal Sole con un periodo estremamente breve», dice il primo autore dello studio, James McCormac, dell’Università di Warwick. «Siamo inoltre lieti che Ngts continui a spingere i confini della scienza che studia gli esopianeti, trovati con il metodo dei transiti, verso la scoperta di rare classi di pianeti extrasolari».
«Sebbene i gioviani caldi con brevi periodi orbitali (meno di 24 ore) siano i più facili da rilevare a causa delle loro grandi dimensioni e dei transiti frequenti», continua McCormac, «si sono dimostrati estremamente rari. Delle centinaia di gioviani caldi attualmente conosciuti, ce ne sono solo sette che hanno un periodo orbitale inferiore a un giorno».
Ngts-10b orbita così rapidamente perché è molto vicino al suo sole, a una distanza che è solo il doppio del diametro della stella. Prendendo come riferimento il nostro Sistema solare, è come se il pianeta fosse 27 volte più vicino al Sole di quanto lo sia Mercurio. Gli scienziati hanno notato che è pericolosamente vicino al punto nel quale le forze mareali della stella potrebbero distruggerlo.
Il pianeta probabilmente ha rotazione e rivoluzione sincrone, con un lato costantemente rivolto verso la stella e quindi molto caldo: gli astronomi stimano che la temperatura media sia superiore a 1000 gradi Celsius. La stella stessa è circa il 70 per cento del raggio del Sole e 1000 gradi più fredda, ossia circa 4000 gradi. Ngts-10b è anche un ottimo candidato per il James Webb Space Telescope, che potrà caratterizzarne l’atmosfera.
Usando la fotometria di transito, gli scienziati sanno che il pianeta è il 20 per cento più grande di Giove ed è solo due volte più massiccio, in accordo con le misure della velocità radiale, ed è osservato in un momento della sua vita che indubbiamente potrà aiutarci a rispondere alle domande sull’evoluzione (e la fine) di pianeti simili. I pianeti così grandi si formano in genere lontano dalla stella e poi migrano attraverso interazioni con il disco mentre si stanno ancora formando, o attraverso interazioni con ulteriori pianeti più evoluti. Gli astronomi si propongono di monitorare accuratamente Ngts-10b nel tempo, e continueranno a osservarlo nel prossimo decennio per determinare se rimarrà in questa orbita o spiraleggerà verso la stella, andando incontro alla sua morte.
«Si pensava che questi pianeti con orbite ultra-strette migrassero dai confini esterni dei loro sistemi solari e alla fine venissero consumati o distrutti dalla stella», aggiunge David Brown, coautore del lavoro. «O siamo stati veramente molto fortunati a catturarlo in questo breve periodo di tempo, oppure i processi attraverso i quali il pianeta migra verso la stella sono meno efficienti di quanto possiamo immaginare, nel qual caso è ragionevole pensare che possa vivere in questa configurazione per un periodo di tempo più lungo».
«Nei prossimi dieci anni, potrebbe essere possibile vedere questo pianeta spiraleggiare verso la stella», conclude Daniel Bayliss. «Saremo in grado di utilizzare Ngts per monitorare questo pianeta per oltre un decennio. Se vedessimo il periodo orbitale iniziare a diminuire e se il pianeta iniziasse a spiraleggiare, saremmo in grado di capire molti dettagli della sulla struttura che ancora non conosciamo».
«Tutto ciò che sappiamo sulla formazione dei pianeti ci dice che stelle e pianeti si formano nello stesso tempo. Il miglior modello che abbiamo suggerisce che la stella abbia circa dieci miliardi di anni e supponiamo che lo stesso valga per il pianeta. O lo stiamo vedendo nelle ultime fasi della sua vita, oppure in qualche modo è in grado di vivere in queste condizioni più a lungo di quanto dovrebbe».

domenica 8 dicembre 2019

Un pianeta gigante sta evaporando per colpa della sua stella.


Rappresentazione artistica del pianeta che sta evaporando per colpa della sua stella (fonte: University of Warwick/Mark Garlick)

Il primo del genere mai osservato.

Un pianeta gigante che sta evaporando per colpa della sua stella. Finora erano stati osservati solo piccoli pianeti andare incontro a questo destino e nessuno avrebbe mai sospettato che questa sorte potesse toccare anche a un pianeta delle dimensioni di Nettuno, per di più in rotazione intorno a una stella morente, una nana bianca che è l'equivalente di ciò che resterà del nostro Sole al termine della sua evoluzione. Pubblicata su Nature, la scoperta si deve ai ricercatori coordinati da Boris Gaensicke, dell'università britannica di Warwick.
La scoperta, che indica come anche le stelle moribonde possano ancora ospitare pianeti, è avvenuta per caso: mentre i ricercatori stavano studiando a 7.000 nane bianche censite dall'indagine Sloan Digital Sky Survey, ne hanno individuata una diversa da ogni altra a causa delle sottili variazioni nella sua luminosità. "Sospettavamo che in questo sistema avrebbe potuto esserci qualcosa di eccezionale - rileva Gaensicke - e abbiamo ipotizzato che potesse essere correlato a un residuo planetario".
I ricercatori hanno quindi osservato la stella, chiamata WDJ0914 + 1914, che si trova a circa 1.500 anni luce nella costellazione del Cancro, utilizzando il Very Large Telescope dell'Osservatorio Europeo Meridionale (Eso), in Cile. In questo modo hanno identificato le tracce di idrogeno, ossigeno e zolfo nel disco di gas che circonda la stella, in quantità simili a quelle che si trovano negli strati dell'atmosfera dei pianeti giganti del Sistema Solare.
Se un pianeta simile orbitasse vicino a una nana bianca calda, i suoi strati esterni evaporerebbero, accumulandosi in un disco, ed è proprio quanto accade intorno a WDJ0914 + 1914: con una temperatura di circa 28.000 gradi, la stella sta facendo evaporare il pianeta gigante, che perde oltre 3.000 tonnellate di materiale al secondo.

Quanti misteri ci nasconde ancora l'Universo in cui viviamo?
Direi che siamo agli esordi ed abbiamo ancora tanto da capire.
Cetta.

sabato 18 maggio 2019

Elezioni europee, sfida su Facebook: Salvini spende più di tutti, M5S (quasi) assente. - Marco Lo Conte

Tanto Salvini, quasi altrettanto il Pd, Movimento 5 Stelle pressoché zero. E poi Berlusconi, con un gran numero di post sponsorizzati ma targettizzati poco. È in sintesi la fotografia delle campagne elettorali in vista delle elezioni europee del prossimo 26 maggio, scattata da Facebook che ha deciso di fornire piena trasparenza sulle sponsorizzazioni dei post pubblicati sulla propria piattaforma. Da cui emerge chi ha speso di più e meglio, per attirare l'attenzione degli elettori in queste ultime settimane cruciali per l'esito elettorale.

Perché, per chi non lo sapesse, ciò che guardiamo magari distrattamente sui social arriva sul nostro profilo perché magari qualcuno ha pagato del denaro affinché quel messaggio politico ci venisse sottoposto, considerandoci un “target” interessante ai fini elettorali (Facebook offre un livello di precisione in questo senso del 90%).

La ragione è nota: gli italiani trascorrono in media 6 ore e 42 minuti connessi a Internet, di cui due ore e un quarto da smartphone. Inevitabile che questo sia diventato il terreno in cui conquistare consenso politico, tralasciando i desueti cartelloni pubblicitari, desolatamente vuoti in questi giorni. 

Complessivamente dal marzo scorso ad oggi, sono stati spesi su Facebook 868.254 euro per promuovere 16.772 post legati alle elezioni europee. Questo è il dato offerto dalla piattaforma fondata da Mark Zuckerberg, che mostra il pubblico di riferimento coinvolto da ciascun post, distinti per classi di età, genere e regione, oltre al denaro stanziato. Una trasparenza che ha fatto seguito allo scandalo Cambridge Analytica, che ha intaccato l'immagine e messo in difficoltà Facebook, dopo che in occasione delle presidenziali Usa e del referendum su Brexit, erano state sponsorizzate dall'estero centinaia di pagine che veicolavano talvolta messaggi contenenti fake news.

Ora le parole d'ordine per il social seguito nel mondo da oltre 2 miliardi di persone – 34,8 milioni solo in Italia, oltre ai 23,4 della controllata Instagram –sono rimuovereridurreinformare: una volta identificate (Pagella Politica collabora in Italia su questo tema con Facebook) le fake news vengono cancellate, le campagne devono essere certificate e se non rispettano le regole indicate nel disclaimer vengono ridotte e le somme investite restituite (all'80%).

Gli investimenti quantitativamente maggiori riguardano Matteo Salvini, per il quale la Lega ha speso poco meno di 78mila euro, di cui 43.500 solo nell'ultima settimana. Da registrare l'effetto prodotto nei differenti target dai differenti messaggi politici: post come “Stavolta voto Lega!” è stato distribuito dall'algoritmo di Facebook in particolare tra le donne over45 con forte prevalenza nelle regioni del Centro-Sud (Sicilia 16%, Lazio 13%, Campania 13%), analogamente a “Salvini ha fermato la mangiatoia dell'immigrazione”.



Molto visto soprattutto tra le donne il post sponsorizzato (con il budget maggiore, fino a 5mila euro) sulla castrazione chimica (“Il 58% degli italiani è favorevole”, recita il post), distribuito in modo più uniforme a livello territoriale; mentre ha incontrato l'interesse prevalentemente giovane e maschile il post l'immagine di un giovane di colore che affronta un vigile urbano (“Se non avessi questa divisa”): la Campania, la regione in cui si è rivelato più popolare, almeno per il periodo in cui è stato visibile, prima di essere bloccato da Facebook. Da registrare come invece sia stato rimosso da Facebook il famoso post sponsorizzato del VinciSalvini, il gioco messo in campo dallo staff del leader della Lega, popolare in larga parte tra gli uomini under44, in base alla normativa di Facebook.

Il Partito Democratico ha stanziato finora 73mila euro (26mila circa nell'ultima settimana) per sponsorizzare i post del suo segretario, Nicola Zingaretti. Da registrare il cartellino giallo di Facebook che ha segnalato il ritardo nell’adeguamento alle policy di pubblicazione (per una somma pari alla metà dello stanziamento circa). Molti i post del Pd, anche se con cifre basse, ad eccezione di “Una nuova Europa per andare #avantitutti”, per cui sono stati stanziati 5mila-10mila euro, coinvolgendo un pubblico soprattutto di uomini over45.



Tra i 500 e i mille euro il post sull'indennità europea di disoccupazione che, come prevedibile, ha raggiunto soprattutto gli uomini giovani, ma in modo rilevante anche uomini e donne over55. Appena presente invece Carlo Calenda, capolista Pd nel nord est: l'ex ministro, particolarmente attivo su Twitter, ha sponsorizzato pochi post sulla piattaforma più seguita, rivolgendosi in particolare agli uomini giovani e, in un caso, unicamente agli abitanti del Trentino Alto Adige. 

Meno efficace la campagna dell'ex presidente del Consiglio Silvio Berlusconi che ha sponsorizzato quasi 400 post, ciascuno però con budget particolarmente basso: complessivamente sono stati spesi 66mila euro, di cui 16mila nell'ultima settimana, parcellizzati in un pulviscolo di messaggi. Da segnalare la forte targettizzazione di alcuni post di Silvio Berlusconi, che ha puntato in modo netto sugli over45, escludendo nella campagna i più giovani.



Insieme al fondatore, da registrare un post sponsorizzato da Forza Italia riguardante il presidente del Parlamento europeo Antonio Tajani, targhettizzato a livello regionale: il 57% degli utenti raggiunti, infatti, risiede in Lazio, gli altri lettori del post sono in Toscana, Marche e Umbria.

Sempre nel centro destra, sono da segnalare i numerosi post di Giorgia Meloni, sponsorizzati complessivamente per 17mila euro (8mila nell'ultima settimana) da Fratelli d'Italia. Numerosi, ma in gran parte uguali tra loro, il che non migliora la comunicazione meno efficace nel raggiungimento dei target di riferimento. Da notare la forte prevalenza di pubblico maschile coinvolto da questi post e la bassissima percentuale di lettrici donne, ad eccezione del post “Casa diritto di tutti”. 

Per un movimento nato sulla rete può apparire un paradosso, ma per questa competizione elettorale le pagine del MoVimento 5 Stelle non hanno messo in campo alcuna sponsorizzazione su Facebook. Effetto anche del cambio di passo comunicativo che il M5S ha messo in campo ormai da tempo, con una sterzata “moderata” (in concomitanza con l'arrivo di Augusto Rubei ai vertici della comunicazione del movimento). Di fatto sui social la comunicazione dei grillini è solo organica e sponsorizzati sono solo alcuni post di singoli candidati. 

Non solo i partiti: Facebook stessa ha stanziato in Italia circa 62mila euro per due post “istituzionali” in vista delle elezioni europee. Ma la parte più consistente degli investimenti pubblicitari di post politici su Facebook è stata realizzata dal Parlamento europeo: 200mila euro, poco meno di un quarto del totale, per una campagna istituzionale che è iniziata molto mesi fa e che in molti casi è stata mirata ai giovanissimi che si recano alle urne per la prima volta.



https://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2019-05-17/elezioni-europee-sfida-facebook-salvini-spende-piu-tutti-m5s-quasi-assente-182704.shtml?uuid=ACuarBE

domenica 14 aprile 2019

Possibile la vita sul pianeta della stella più vicina.

Rappresentazione artistica del pianeta roccioso Proxima b vicino alla sua stella, Proxima Centauri, a 4,5 anni luce dalla Terra (fonte: Jack O’Malley-James/Cornell University) © Ansa
Rappresentazione artistica del pianeta roccioso Proxima b vicino alla sua stella, Proxima Centauri, a 4,5 anni luce dalla Terra (fonte: Jack O’Malley-James/Cornell University)

Su Proxima b i raggi Uv meno violenti che sulla Terra primitiva.


Potrebbe avere le condizioni per ospitare la vita il pianeta roccioso Proxima b, che ruota intorno alla stella più vicina a noi, Proxima Centauri, distante solo 4,5 anni luce dal Sistema Solare. La pioggia di raggi ultravioletti (Uv) alla quale è esposto è infatti inferiore a quella subita dalla Terra primitiva nel periodo in cui la vita cominciava a evolversi, quasi 4 miliardi di anni fa. È quanto emerge dallo studio pubblicato sulla rivista Monthly Notices of the Royal Astronomical Society dal gruppo della Cornell University americana.
Il nuovo risultato arriva dopo l'ipotesi che inizialmente aveva escluso la possibilità di vita su Proxima b a causa di una gigantesca eruzione solare avvenuta sulla sua stella e, in seguito, rivista dopo che la Nasa aveva scoperto acqua nell'atmosfera del pianeta. 
Utilizzando modelli al computer, il gruppo guidato da Lisa Kaltenegger e Jack O’Malley-James ha ricostruito il bombardamento di raggi Uv che subiscono Proxima b e altri pianeti esterni al Sistema Solare. "Si tratta di pianeti che orbitano intorno alle cosiddette nane rosse, stelle piccole e relativamente fredde, le più diffuse dell’universo. Queste stelle - spiegano i ricercatori - bombardano continuamente i pianeti vicini con radiazioni ultraviolette, più di quanto non faccia il nostro Sole con la Terra".
I ricercatori hanno analizzato il tasso di sopravvivenza a dosi crescenti di raggi Uv di batteri terrestri, i cosiddetti estremofili, in grado cioè di sopravvivere in condizioni estreme, come in presenza di radiazioni. Hanno poi confrontato i loro dati con le condizioni presenti sulla Terra circa 4 miliardi di anni fa, quando ancora la sua atmosfera era priva di ossigeno e ozono, e quindi più esposta ai raggi Uv. La conclusione è che "questo bombardamento di raggi Uv non dovrebbe essere un fattore limitante per l’abitabilità di pianeti che orbitano intorno a stelle come le nane rosse".

sabato 1 dicembre 2018

Misurata la luce di tutte le stelle dell'universo.

La mappa della luce delle stelle dell’universo (fonte: Nasa/Doe/Fermi Lat Collaboration) © Ansa

La mappa della luce delle stelle dell’universo (fonte: Nasa/Doe/Fermi Lat Collaboration) © ANSA/Ansa


E’ un numero gigantesco, un 4 seguito da 84 zeri.


Misurata la luce di tutte le stelle dell'universo: è un numero gigantesco, un 4 seguito da 84 zeri, ed è stato calcolato grazie ai dati del telescopio Fermi della Nasa, costruito con un importante contributo italiano. Pubblicato su Science, il risultato si deve alla collaborazione Fermi-Lat coordinata dall'astrofisico Marco Ajello, che lavora negli Stati Uniti, alla Clemson University. 

Della collaborazione fanno parte tantissime università italiane, come quelle di Padova, Trieste, Perugia, Politecnico di Bari, e centri di ricerca, tra i quali Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (Infn), Istituto Nazionale di Astrofisica (Inaf) e Agenzia Spaziale Italiana (Asi). "Grazie ai dati raccolti dal telescopio Fermi, siamo stati in grado di misurare l'intera quantità di luce emessa dalle stelle: una cosa mai vista prima", rileva Ajello. "Questo - aggiunge - ci permette di comprendere meglio il processo di evoluzione stellare". 

Si calcola che l'universo, che ha circa 13,7 miliardi di anni, abbia cominciato a formare le prime stelle quando aveva poche centinaia di milioni di anni. Da allora, l'universo è diventato una fabbrica di stelle e oggi ne conta un numero incredibile, pari a miliardi di miliardi, ma finora è stato impossibile quantificare tutta la luce che producono perché, viste dalla Terra, queste stelle sono estremamente deboli e i telescopi non riescono a osservarle. Se si escludono il Sole e le stelle della Via Lattea, la luce delle stelle presenti nelle altre galassie, che raggiunge la Terra, equivale infatti a una lampadina da 60-watt osservata al buio da circa 4 chilometri di distanza. 

I ricercatori sono stati in grado di aggirare questo problema utilizzando lo strumento italiano Lat (Large Area Telescope), nato grazie ai contributi di Asi, Infn e Inaf, installato sul telescopio Fermi. Il telescopio è riuscito infatti a misurare il numero di particelle di luce (fotoni) emesse dalle stelle, analizzando la nebbia cosmica, chiamata luce di fondo extragalattica, che è composta da tutta la luce ultravioletta, visibile e infrarossa emessa dalle stelle, che sfugge dalle galassie e permea tutto l'universo.

Fonte: ansa 30 nov. 2018

giovedì 31 maggio 2018

Quando un buco nero sbrana una stella. - Marco Malaspina



Ai buchi neri supermassicci piace il sapore dell’idrogeno e dell’elio. Ma cosa accade esattamente quando azzannano una stella? Uno studio uscito su ApJ Letters propone un modello unificato, basato su simulazioni numeriche, per spiegare ciò che gli astronomi osservano. Ne parliamo con un esperto dell’Inaf di Brera, l’astrofisico Gabriele Ghisellini. 

Accade di rado. In una galassia tipica, una volta ogni diecimila anni. Ma quando accade è uno spettacolo di quelli che apocalittici è dir poco: una stella smembrata e divorata dall’attrazione gravitazionale del buco nero supermassiccio al centro della galassia stessa. Uno spettacolo che va sotto il nome tecnico di evento di distruzione mareale (Tde, dalle iniziali dell’inglese tidal disruption event). Uno spettacolo al quale gli astrofisici hanno potuto assistere poche volte, almeno fino a oggi (con i telescopi del prossimo futuro dovremmo vederne centinaia di migliaia). Poche ma sufficienti a mettere in luce alcune variazioni nel tipo di emissione registrata.
Variazioni ancora senza spiegazione. Ma uno studio uscito ieri su ApJ Letters – firmato da ricercatori del Niels Bohr Institute di Copenhagen e delle università statunitensi del Maryland e di Santa Cruz – riconduce le differenze osservate nei Tde all’interno di un singolo schema interpretativo: un modello unificato in grado di rendere conto di tutte le variazioni. Per capire di che si tratta, Media Inaf ha intervistato un esperto (non coinvolto nello studio) a livello mondiale di Tde, Gabriele Ghisellini, astrofisico alla sede di Merate dell’Inaf di Brera.
Quale tipo di emissione si osserva, durante questi eventi di distruzione mareale?
«Quando una stella si avvicina troppo a un buco nero, le forze di marea riescono a distruggerla, e il materiale della stella forma un disco di materia che cade rapidamente sul buco nero. In pochi anni abbiamo rivelato decine di questi eventi, ma le osservazioni non sembrano dipingere un quadro unico, con delle caratteristiche comuni. Per esempio, ci sono sorgenti che emettono tanto in ottico, e altre che invece emettono molto nei raggi X».
A cosa sono dovute queste differenze?
«Una possibilità potrebbe essere la rotazione e la massa del buco nero, ma gli autori di questo lavoro preferiscono un’altra idea».
Cioè?
«Nonostante le apparenze, assumono che tutti i sistemi Tde abbiano una struttura simile, formata da un disco di accrescimento, due getti – perpendicolari al disco – di materia che viaggia verso l’esterno a velocità vicina a quella della luce e altra materia che si muove verso l’esterno, ma più lentamente, in direzioni radiali. La materia del getto è molto rarefatta, mentre l’altra, più lenta, è più densa, e riesce a bloccare la radiazione – sia ultravioletta che ottica – prodotta dalle zone centrali del disco. In queste condizioni, un osservatore posto lungo l’asse del getto vedrebbe un sacco di radiazione X e Uv (proveniente dall’interno del disco e dal getto, entrambi non oscurati), mentre un generico osservatore ad angoli maggiori non riuscirebbe a vedere le zone interne (no X, no Uv, poco ottico) mentre vedrebbe la radiazione riprocessata dalla materia lenta, e quindi un bel po’ di infrarosso. Questa struttura è analoga a quella che si pensa esistere in un nucleo galattico attivo (Agn)».
Differenze, dunque, dovute al punto di vista di noi osservatori. Non si tratta di un’ipotesi del tutto inedita. Qual è dunque la novità di quest’ultimo studio?
«È di essere riusciti non a postulare questa struttura, ma a ricavarla con simulazioni numeriche complesse. E questo è un altro passo avanti non solo nella comprensione delle Tde, ma nel provare che il fenomeno di accrescimento di materia su un buco nero è un fenomeno con caratteristiche comuni, presenti negli Agn, nei Tde, nelle binarie galattiche e nei Grb, i lampi di raggi gamma».

domenica 13 maggio 2018

Due stelle 'intruse' nella Via Lattea.

Rappresentazione artistica di una veloce nana bianca che potrebbe essere sopravvissuta all’esplosione della compagna (fonte: DAVID A. AGUILAR/ Harvard-Smithsonian Center for Astrophysics) © Ansa
Rappresentazione artistica di una veloce nana bianca che potrebbe essere sopravvissuta all’esplosione della compagna (fonte: DAVID A. AGUILAR/ Harvard-Smithsonian Center for Astrophysics)

Arrivano dalla Grande Nube di Magellano.


Scoperte due stelle 'intruse' nella Via Lattea: sono velocissime e arrivano da un'altra galassia, la Grande Nube di Magellano. Lo indicano le analisi preliminari, riportate da Science sul suo sito, del catalogo di 1,3 miliardi di stelle compilato dal satellite Gaia, dell'Agenzia Spaziale Europea (Esa) e appena reso disponibile agli astronomi di tutto il mondo. Il catalogo è una delle più grandi banche dati dell'astronomia: contiene informazioni su posizione, movimento, luminosità e colori di 1,3 miliardi di stelle della Via Lattea, raccolte dal satellite lanciato nel 2013

In pochi giorni dal rilascio dei dati, avvenuto il 25 aprile, c'è stato già un diluvio di scoperte, tutte pubblicate sul sito arXiv. Per esempio il gruppo guidato da Tommaso Marchetti all'università di Leida, nei Paesi Bassi, si è concentrato sulle stelle che si muovono velocemente, che sono molto affascinanti perché, ripercorrendo a ritroso la loro traiettoria, è possibile risalire al luogo da dove arrivano e agli eventi violenti che le hanno 'accelerate'. 

Delle 28 studiate, è risultato che almeno due arriverebbero da un'altra galassia, forse la Grande Nube di Magellano. Grazie ai dati di Gaia, è stato confermato che anche un'altra stella velocissima, nota dal 2005 e chiamata HVS3, arriva dalla Grande Nube di Magellano, addirittura dal 'cuore' della galassia, come dimostra Denis Erkal, dell'università britannica del Surrey. 

Gli astronomi ipotizzano che tutte queste stelle nomadi potrebbero aver ricevuto un 'calcio' dalla forza di gravità di un grande buco nero presente nella Grande Nube di Magellano. Altri astronomi si sono concentrati sullo studio delle nane bianche, i resti di stelle simili al Sole: Ken Shen, dell'università della California a Berkeley, ne ha scoperte tre che sfrecciano velocissime, a circa 2.400 chilometri al secondo. Le tre stelle secondo gli astronomi, sarebbero 'sopravvissute' a un cataclisma cosmico. Un tempo ognuna ruotava in coppia con una stella dalla massa più grande, che quando è esplosa come supernova avrebbe scagliato la compagna nello spazio.


martedì 17 ottobre 2017

Rivoluzione nell'astronomia: onde gravitazionali da scontro di stelle.


Per la prima volta nella storia è stata rivelata un'onda prodotta dalla fusione di due stelle di neutroni e captata, dalle onde radio fino ai raggi gamma, la radiazione elettromagnetica associata. Il traguardo apre a numerose nuove scoperte.

L’astronomia sta per essere rivoluzionata. Per la prima volta nella storia, infatti, è stato catturato il segnale generato dalla fusione di due stelle di neutroni, così dense da costituire uno stato estremo della materia. Un traguardo reso possibile dai rivelatori a onde gravitazionali Ligo e Virgo e da 70 telescopi da Terra e spaziali, che aprono le porte a una vera e propria cascata di scoperte scientifiche. Grazie a queste rivelazioni, ad esempio, potrà essere confermata la teoria della relatività di Einstein che, oltre un secolo fa, sosteneva che le onde gravitazionali viaggiassero alla velocità della luce. Ma sarà anche possibile svelare il processo che porta alla formazione di metalli pesanti come oro, platino e uranio.

Astronomia "multimessaggero". 
Nello specifico è stata rilevata un'onda gravitazionale prodotta dalla fusione di due stelle di neutroni ed è stata captata, dalle onde radio fino ai raggi gamma, la radiazione elettromagnetica associata alla poderosa esplosione avvenuta durante il fenomeno. Quello registrato è il primo evento cosmico nel quale vengono osservate sia onde gravitazionali che elettromagnetiche, avviando così l'era dell'astronomia "multimessaggero". Di fatto di una "nuova" disciplina che sfrutta osservazioni basate su segnali di tipo diverso e che estende notevolmente il nostro modo di "vedere" e "ascoltare" il cosmo. La scoperta è stata realizzata grazie alla sinergia tra le osservazioni nella banda elettromagnetica, realizzate da 70 telescopi a terra e nello spazio, e due osservatori: il Laser Interferometer Gravitational-Wave Observatory(Ligo) negli Stati Uniti e il rilevatore europeo Virgo, che si trova nel nostro Paese e al quale l'Italia partecipa con l'Istituto nazionale di fisica nucleare (Infn). 

L’esplosione.
La fusione delle stelle di neutroni è avvenuta alla distanza di 130 milioni di anni luce dalla Terra, nella periferia della galassia NGC 4993, nella costellazione dell'Idra. Dall'esplosione è cominciata la corsa dei due segnali, che fisici e astrofisici sono riusciti a captare anche grazie a un lampo gamma avvistato dal satellite Fermi della Nasa, al quale l'Italia partecipa con l'Agenzia spaziale italiana (Asi). Un'avvistamento che ha consetito di fare una grande scoperta: la luce del lampo, stando alle rilevazioni, sarebbe arrivata 1,7 secondi dopo la registrazione dell'onda gravitazionale. Una differenza "calcolata in un numero estremamente piccolo" che confermerebbe che le due velocità sostanzialmente si equivalgono, dando ragione ai calcoli di Einstein nella sua teoria della relatività.

Svelato il mistero della genesi dei metalli pesanti.
L'osservazione della fusione della coppia di stelle di neutroni ha permesso agli astrofisici di cominciare a comprendere anche come si formano nell'universo i metalli più pesanti, come oro e platino. Dopo aver captato le onde gravitazionali e il lampo gamma, gli astrofisici sono riusciti ad individuare la posizione e puntare i telescopi spaziali in direzione delle due entità che sono così dense da essere considerate l'anticamera dei buchi neri. In questo modo sono riusciti a registrare la fusione della coppia di stelle nella luce visibile osservando i segnali spia della formazione dei metalli pesanti.

L'annuncio in contemporanea in Italia, 
Europa e Usa. L'annuncio della nuova fondamentale scoperta, in cui l'Italia ha giocato un ruolo fondamentale, è stato dato in contemporanea nel corso di tre conferenze stampa simultanee organizzate a Washington dalla National Science Foundation, in Germania dall'Osservatorio Europeo Australe (Eso), e a Roma dal Miur in collaborazione con l'Infn, l'Istituto nazionale di Astrofisica e Asi, e alla presenza della ministra dell'Istruzione, Valeria Fedeli.

Risultati senza precedenti.
Secondo Gianluca Gemme, coordinatore nazionale del rivelatore Virgo per l'Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (Infn), quelli presentati il 16 ottobre sono risultati "senza precedenti". Per il fisico, infatti, la scoperta delle onde gravitazionali "è stata un momento storico, ma la ricchezza delle osservazioni venute in seguito è ancora superiore perché il numero di strumenti e di comunità scientifiche coinvolti in questa nuova osservazione non ha precedenti. Credo sia un fatto unico". 

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