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giovedì 22 dicembre 2022

Colpo di mano di Forza Italia, stop alla microspia Trojan per i reati di corruzione. - Liana Milella

 

Al Senato, il capogruppo forzista Pierantonio Zanettin presenta il disegno di legge per bloccare l'uso del captatore informatico contro i reati della pubblica amministrazione. In collera l'ex procuratore antimafia Cafiero De Raho di M5S, "così s'indebolisce la lotta alle mafie".

ROMA - Stanno smantellando le norme anticorruzione. Via la legge Spazzacorrotti. Prima via i reati contro la pubblica amministrazione dall'ergastolo ostativo. Adesso via anche l'uso del Trojan. E la protagonista continua a essere Forza Italia. Per mano dell'avvocato e senatore Pierantonio Zanettin. Che ha già conquistato la cancellazione dei reati del ceppo della corruzione da quelli "ostativi", che cioè non possono ottenere alcun beneficio, né tantomeno la liberazione condizionale. Adesso un suo nuovo disegno di legge, presentato a palazzo Madama, chiede di eliminare l'uso della microspia Trojan per gli stessi reati contro la pubblica amministrazione. 

A stretto giro s'arrabbia l'ex procuratore nazionale Antimafia Federico Cafiero de Raho, oggi deputato di M5S e vice presidente della commissione Giustizia che dice: "La maggioranza e il governo stanno indebolendo la forza dello Stato contro le mafie. Il dovere del legislatore invece è quello di proteggere i cittadini, farli sentire tutelati rispetto a ogni forma di malaffare".

Ma al Senato Zanettin cerca di mettere a segno il secondo colpo dopo quello sull'ergastolo ostativo visto che, proprio grazie a un suo emendamento da capogruppo di Forza Italia, tutti i reati che la legge Spazzacorrotti aveva introdotto tra quelli "ostativi" sonno stati eliminati. Corrotti e corruttori potranno di conseguenza ottenere benefici penitenziari più ampi. 

Adesso siamo al secondo round. Sfruttando anche l'onda dell'indagine conoscitiva sulle intercettazioni lanciata in commissione Giustizia dalla presidente, la senatrice leghista Giulia Bongiorno. Contro il Trojan, la microspia inserita nel cellulare che funziona non solo come un registratore, ma anche come una telecamera in grado di registrare e videoregistrare tutto quello che avviene nel suo arco di copertura. 

Zanettin la vede come il diavolo e scrive nella relazione al suo disegno di legge: "È lo strumento che più vìola la sfera di intimità dell'intercettato, con l'evidente rischio di una diversa destinazione d'uso atto a violare la privacy degli individui". E ancora: "I reati contro la pubblica amministrazione vengono di fatto equiparati ai reati per criminalità organizzata e terrorismo, ammettendo l'uso di tale invasivo mezzo di ricerca della prova anche per quanto concerne tali tipologie di reati". Zanettin cita il caso dell'inchiesta sull'ex pm Luca Palamara in cui "chat penalmente irrilevanti, disciplinarmente irrilevanti, hanno comunque penalizzano le carriere di alcuni magistrati". 

La sua idea è chiara, se dovesse passare la sua proposta, e vista la sua maggioranza ciò è ampiamente ipotizzabile, in un'indagine come quella su Palamara l'uso del Trojan non sarebbe più consentito. 

https://www.repubblica.it/politica/2022/12/21/news/colpo_di_mano_di_forza_italia_stop_alla_microspia_trojan_per_i_reati_di_corruzione-380111554/

giovedì 2 dicembre 2021

Forza Italia contro Di Matteo per spingere Berlusconi al Colle: “Mai accertate collusioni con la mafia”. Da Bontade ai soldi ai boss: cosa dice la sentenza Dell’Utri. - Giuseppe Pipitone

 

Rispondendo a una domanda sulla corsa al Quirinale, il magistrato ha ricordato in tv che lo storico braccio destro dell'ex premier è stato condannato per essere stato intermediario di un patto tra i clan e Arcore: "In cambio della protezione personale e imprenditoriale di Berlusconi prevedeva il versamento di somme ingenti di denaro da parte di Berlusconi a Cosa Nostra". L'attacco dei berlusconiani: "Accuse infamanti e infondate, l'ex premier è il più degno candidato alla presidenza della Repubblica". Ecco cosa c'è scritto nella sentenza definitiva sull'ex senatore.

Più si avvicina la fatidica data dell’elezione del nuovo presidente della Repubblica e più ad Arcore aumenta la tensione. Nonostante pubblicamente dribbli l’argomento, infatti, Silvio Berlusconi continua sul serio a coltivare il sogno del Quirinale. Sarà per questo motivo che Forza Italia ha reagito in modo rabbioso, attaccando il magistrato Nino Di Matteo, reo di aver ricordato i rapporti tra Arcore e Cosa nostra. È già successo più volte in passato, ma questa volta c’è il Colle ad aumentare la reazione nervosa dei berlusconiani. Intervistato da Lucia Annunziata, infatti, Di Matteo ha ricordato cosa c’è scritto nella sentenza su Marcello Dell’Utri. Nel 2014 lo storico braccio destro di Berlusconi fu condannato in via definitiva a sette anni di carcere per concorso esterno a Cosa nostra. Dopo un breve periodo da latitante in Libano, Dell’Utri ha scontato la sua pena tra carcere e domiciliari: ora è tornato alla corte di Arcore, dove – secondo vari retroscena – è uno dei consiglieri più ascoltati in relazione a una possibile candidatura del leader di Forza Italia al Colle.

Le parole del magistrato Di Matteo – Insomma: può un uomo che ha il braccio destro condannato per mafia (e quello sinistro, cioè Cesare Previti, per corruzione in atti giudiziari) correre per il Quirinale? E infatti è proprio rispondendo a una domanda sul Colle che Di Matteo ha ricordato l’esistenza della sentenza Dell’Utri .“Io non ho titolo per esprimere giudizi politici mi limito a ricordare due dati di fatto. Il primo è che il presidente della Repubblica è anche presidente del Csm e nei confronti della magistratura non dovrebbe avere interessi e rancori di tipo personali. Poi ricordo che Dell’Utri fu intermediario di un accordo tra il 1974 e il 1992 con le famiglie mafiose palermitane, che in cambio della protezione personale e imprenditoriale di Berlusconi prevedeva il versamento di somme ingenti di denaro da parte di Berlusconi a Cosa Nostra, e questo è emerso da una sentenza definitiva”, ha detto il consigliere del Csm a Mezz’ora in Più su Rai3. Di Matteo si è astenuto da ogni ulteriore dichiarazione sulla corsa al Quirinale: “Non voglio commentare – ha aggiunto – ma questo sta diventando un paese in cui qualche fatto va ricordato. Il vizio della memoria dovrebbe essere coltivato in maniera più incisiva e generalizzata”.

I berlusconiani: “Nessuna sentenza ha mai accertato collusioni con la mafia” – Dichiarazioni che hanno fatto scendere sul piede di guerra i berlusconiani di stretta osservanza. I capigruppo delle commissioni Giustizia di Forza Italia alla Camera e al Senato Pierantonio Zanettin e Giacomo Caliendo, insieme con i componenti delle commissioni, la senatrice Fiammetta Modena e i deputati Matilde Siracusano e Roberto Cassinelli, hanno diffuso una nota per attaccare il magistrato. “Il consigliere del Csm Nino di Matteo – scrivono – si è scagliato contro la candidatura di Silvio Berlusconi al Quirinale, lanciando accuse tanto infamanti, quanto infondate. Occorre ricordare che nessuna sentenza ha mai accertato collusioni del presidente Berlusconi con la mafia. Forza Italia continua a ritenerlo il più degno candidato alla presidenza della Repubblica”. A sentire i berlusconiani “il magistrato Di Matteo non ha alcun titolo per intervenire nel dibattito politico sulle candidature al Quirinale. Al contrario, essendo comunque un magistrato, oltre che un rappresentante dell’organo di autogoverno della magistratura, dovrebbe avere rispetto per il ruolo che ricopre e mostrare quel poco di imparzialità che gli rimane”.

L’incontro con Bontade e l’assunzione di Mangano ad Arcore – Nessuno tra gli altri partiti politici è intervenuto per fare notare come le dichiarazioni di Di Matteo non contenessero alcuna accusa infamante e soprattutto infondata. E’ vero che Silvio Berlusconi non è mai stato processato o condannato per fatti di mafia, anche se è ancora oggi indagato a Firenze per un reato ancora più grave come il concorso nelle stragi del 1993. I rapporti tra il leader di Forza Italia e Cosa nostra, però, sono cristallizzati in una sentenza definitiva: quella emessa nel 2014 a carico di Dell’Utri. Le motivazioni di quella sentenza sono lunghe 75 pagine e il nome di Berlusconi viene citato 137 volte. Spiegando perché ha deciso di confermare la seconda sentenza di Appello (la prima era stata annullata dalla Cassazione due anni prima) la Suprema corte ripercorre il rapporto tra Dell’Utri e Cosa nostra: l’ex senatore fu il garante di un accordo tra i clan ed Arcore durato quasi vent’anni: dal 1974 al 1992. La mafia, in pratica, garantiva protezione all’inquilino di villa San Martino dove venne spedito Vittorio Mangano. In cambio ai boss arrivavano centinaia di milioni di lire dal gruppo imprenditoriale berlusconiano. Era il prezzo di un “accordo di protezione stipulato nel 1974 tra gli esponenti mafiosi (Bontade e Teresi) e Silvio Berlusconi per il tramite di Dell’Utri, espressivo dell’importanza e della solidità dello stesso, dell’affidamento reciproco tra le due parti che lo avevano stipulato grazie alla mediazione dell’imputato, il quale rappresentava la persona in cui entrambe riponevano fiducia”. Quell’accordo, ricostruiva la prima sezione penale presieduta da Maria Cristina Siotto, venne siglato durante un incontro, che si è svolto a Milano tra “il 16 e il 29 maggio 1974” e al quale avevano partecipato Berlusconi, Dell’Utri, il suo amico Gaetano Cinà, uomo della “famiglia” mafiosa di Malaspina, Stefano Bontade, il principe di Villagrazia che era al vertice di Cosa nostra, Girolamo Teresi di Santa Maria del Gesù e Francesco Di Carlo, boss di Altofonte che poi diventerà un collaboratore di giustizia. “In quell’occasione veniva concluso l’accordo di reciproco interesse, in precedenza ricordato, tra Cosa nostra, rappresentata dai boss mafiosi Bontade e Teresi, e l’imprenditore Berlusconi, accordo realizzato grazie alla mediazione di Dell’Utri che aveva coinvolto l’amico Gaetano Cinà, il quale, in virtù dei saldi collegamenti con i vertici della consorteria mafiosa, aveva garantito la realizzazione di tale incontro”, si legge nella sentenza della corte di Cassazione. “L’assunzione di Vittorio Mangano (all’epoca dei fatti affiliato alla “famiglia” mafiosa di Porta Nuova, formalmente aggregata al mandamento di S. Maria del Gesù, comandato da Stefano Bontade) ad Arcore, nel maggio-giugno del 1974, costituiva l’espressione dell’accordo concluso, grazie alla mediazione di Dell’Utri, tra gli esponenti palermitani di Cosa nsotra e Silvio Berlusconi ed era funzionale a garantire un presidio mafioso all’interno della villa di quest’ultimo. In cambio della protezione assicurata Silvio Berlusconi aveva iniziato a corrispondere, a partire dal 1974, agli esponenti di Cosa nostra palermitana, per il tramite di Dell’Utri, cospicue somme di denaro che venivano materialmente riscosse da Gaetano Cinà”, proseguiva la giudice relatrice Margherita Cassano.

Da Arcore soldi alla mafia tra il 1974 e il 1992 – 
Quell’accordo, secondo i giudici, è andato avanti negli anni, anche dopo l’omicidio di Bontade e l’arrivo al potere dei corleonesi di Totò Riina. “La sistematicità nell’erogazione delle cospicue somme di denaro da Marcello Dell’Utri a Gaetano Cinà sono indicative della ferma volontà di Berlusconi di dare attuazione all’accordo al di là dei mutamenti degli assetti di vertice di Cosa nostra nella consapevolezza del rilievo che esso rivestiva per entrambe le parti: l’associazione mafiosa che da esso traeva un costante canale di significativo arricchimento; l’imprenditore Berlusconi, interessato a preservare la sua sfera di sicurezza personale ed economica”, si legge nella sentenza della Suprema corte. I giudici scrivevano che “la Corte d’appello di Palermo ha, con motivazione esente da vizi logici e giuridici, dimostrato che anche nel periodo compreso tra il 1983 e il 1992, l’imputato (cioè Dell’Utri ndr), assicurando un costante canale di collegamento tra i partecipi del patto di protezione stipulato nel 1974, protrattosi da allora senza interruzioni, e garantendo la continuità dei pagamenti di Silvio Berlusconi in favore degli esponenti dell’associazione mafiosa in cambio della complessiva protezione da questa accordata all’imprenditore, ha consapevolmente e volontariamente fornito un contributo causale determinante, che senza il suo apporto non si sarebbe verificato, alla conservazione del sodalizio mafioso e alla realizzazione, almeno parziale, del suo programma criminoso, volto alla sistematica acquisizione di proventi economici ai fini della sua stessa operatività, del suo rafforzamento e della sua espansione”.

“Quei 20 miliardi di Cosa nostra per i film di Canale 5” – Per dimostrare che Dell’Utri si sia posto nei confronti di Cosa nostra come rappresentante di Berlusconi pure quando non era un dipendente del gruppo di Arcore, i giudici citano un precedente del 1980. “Il perdurante rapporto di Dell’Utri con l’associazione mafiosa anche nel periodo in cui lavorava per Filippo Rapisarda e la sua costante proiezione verso gli interessi dell’amico imprenditore Berlusconi veniva logicamente desunto dai giudici territoriali anche dall’incontro, avvenuto nei primi mesi del 1980, a Parigi, tra l’imputato, Bontade e Teresi, incontro nel corso del quale Dell’Utri chiedeva ai due esponenti mafiosi 20 miliardi di lire per l’acquisto di film per Canale 5“. Questa sentenza, come detto, è passata in giudicato: è accertato, dunque, che “l’imprenditore Berlusconi” ha pagato Cosa nostra tra il 1974 e il 1992 grazie all’intermediazione del suo storico braccio destro. Addirittura, secondo i giudici della corte d’Assise di Palermo che hanno celebrato il processo di primo grado sulla cosiddetta Trattativa tra pezzi dello Stato e Cosa nostra, quei pagamenti da Arcore sarebbero proseguiti fino al dicembre del 1994, cioè quando Berlusconi era già a Palazzo Chigi. Quella sentenza, però, è stata ribaltata in Appello: dopo la condanna in primo grado, Dell’Utri è stato assolto in secondo. Avendo già finito di scontare la sua pena per concorso esterno, è tornato a essere tra gli ospiti più ascoltati ad Arcore. Raccontano i bene informati che ci sarebbe proprio Dell’Utri dietro l’incontro a cena tra Gianfranco Micciché e Matteo Renzi. Nel menù, a sentire Micciché, ci sarebbe stata anche l’elezione di Berlusconi al Quirinale.

https://www.ilfattoquotidiano.it/2021/11/29/forza-italia-contro-di-matteo-per-spingere-berlusconi-al-colle-mai-accertate-collusioni-con-la-mafia-da-bontade-ai-soldi-ai-boss-cosa-dice-la-sentenza-dellutri/6408892/

giovedì 22 luglio 2021

Nicola Cosentino condannato a 10 anni per concorso esterno in associazione mafiosa nell’appello del processo Eco4.

 

Secondo l'accusa l'ex sottosegretario berlusconiano era il referente politico nazionale del clan dei casalesi, con il quale l'esponente politico aveva stretto un patto di ferro per ottenere appoggio elettorale in cambio di un contributo ai camorristi. Questo processo sarebbe morto se fosse già entrata in vigore la Riforma Cartabia.

novembre 2016 nove anni di carcere in primo grado. Ora 10 anni nell’appello di un processo che sarebbe morto se fosse già entrata in vigore la Riforma Cartabia. È la decisione dei giudici della quarta sezione del Corte d’Appello di Napoli, che hanno condannato per concorso esterno in associazione mafiosa Nicola Cosentino, ex sottosegretario all’Economia ed ex coordinatore regionale del Pdl Campania. La sentenza è stata pronunciata al termine del processo Eco4, dal nome del consorzio che si occupava della raccolta e dello smaltimento dei rifiuti in diversi comuni del Casertano. In primo grado Cosentino, assistito dagli avvocati Stefano Montone e Agostino De Caro, era stato condannato a 9 anni di carcere (la richiesta era di 16 anni) e all’interdizione perpetua dai pubblici uffici per concorso esterno in associazione camorristica, con sentenza pronunciata dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere il 17 novembre 2016, dopo oltre 140 udienze. La richiesta della Procura generale di Napoli, espressa nel corso dell’udienza dello scorso 9 dicembre, era di 12 anni di reclusione. Prima di oggi, l’ultima volta che il nome di Cosentino era ricomparso nelle pagine di cronaca giudiziaria era per l’assoluzione del 29 settembre 2020 nell’appello del processo ‘Il Principe e la Ballerina’. In quella occasione, esprimendo soddisfazione per la sentenza, Mariastella Gelmini e Anna Maria Bernini (capogruppo forziste a Montecitorio e Palazzo Madama) denunciarono il cattivo funzionamento della giustizia, descrivendo Cosentino come vittima di un processo politico. Oggi, dopo la condanna a 10 anni per concorso esterno in associazione camorristica, nessun forzista ha finora commentato.

Le accuse nei confronti dell’ex esponente di Forza Italia
La vicenda da cui nasce la condanna odierna è quella relativa al cosiddetto processo “Eco4” che descrive Cosentino – di questo sono convinti i magistrati della procura generale di Napoli che avevano chiesto 12 anni di carcere – come il referente politico nazionale del clan dei casalesi, con il quale l’ex sottosegretario avrebbe stretto un patto di ferro per ottenere appoggio elettorale in cambio di un contributo ai camorristi. Fra le accuse, da qui il nome dell’inchiesta, ci sono i presunti favori relativi all’appalto vinto nel 1999 dai fratelli Orsi, imprenditori ritenuti vicini al clan Bidognetti. La gara cui fa riferimento il processo è quella indetta dal Ce4, consorzio di 20 Comuni del Casertano che si occupava del ciclo dei rifiuti. Secondo i pm, è stato proprio Cosentino a permettere ai fratelli Orsi di associarsi al consorzio creando la società mista Eco4 che ottenne poi affidamenti diretti. Ma se in primo grado Cosentino è stato riconosciuto come il “referente nazionale del clan dei Casalesi” almeno fino al 2004, la Dda di Napoli ha presentato appello sostenendo che l’appoggio dell’ex sottosegretario ai Casalesi fosse andato avanti almeno fino al 2007-2008. Da qui la richiesta di una pena maggiore di quella decisa in primo grado. Un processo, quello a Cosentino, basato anche sulle parole dei collaboratori di giustizia, e che lo vede, stando alle accuse, come il dominus del Ce4, all’interno del quale l’ex sottosegretario avrebbe fatto assumere molta gente nei periodi pre-elettorali, così ‘controllando’ il risultato di varie elezioni, soprattutto nei Comuni rientranti nel bacino del consorzio. Il tutto, sempre stando ai pm, con la consapevolezza che i fratelli Orsi fossero vicini ai clan.

Le posizioni di pubblica accusa e difesa.
Argomentazioni, quelle della pubblica accusa, rintuzzate dagli avvocati difensori di Cosentino, Stefano Montone, Agostino De Caro ed Elena Lepre, convinti che non esistano segni della prestazione di un contributo di Cosentino al clan in 25 anni di attività politica. Per i legali, non c’è un solo segno di un effettivo contributo elettorale che la camorra avrebbe dato a Cosentino, anche perché in passato, quando il clan si è schierato a favore di un candidato alle elezioni politiche, gli esiti sono stati del tutto evidenti. E quest’accusa, voti in cambio di favori, hanno spiegato gli avvocati, è una delle gambe dell’accordo sinallagmatico che la procura sostiene, ma allo stato – secondo i difensori – non c’è traccia che Cosentino abbia ricevuto i voti della camorra, mentre per quanto riguarda i favori, i legali hanno rammentato non solo che nel frattempo Cosentino è stato assolto negli altri processi dove era imputato con l’aggravante mafiosa, ma anche che nelle decine di altri processi contro il clan dei Casalesi su appalti, grandi opere e così via, non è emerso nessun ruolo di Cosentino. Circostanza, questa, che per i legali porta a concludere che l’ex sottosegretario non può essere il referente nazionale dei Casalesi. Stando ai legali, inoltre, allo stato c’è solo il dato dell’interessamento di Cosentino nelle vicende della società mista Eco4, ma si tratta di vicende nelle quali Cosentino interviene nella sua qualità di politico. La società Eco4 – hanno argomentato i difensori di Nick ‘0 mericano – è il braccio operativo del consorzio Ce4, e questo, a valle delle elezioni del 1999, si sposta come riferimento dal centrosinistra al centrodestra, ed è dunque normale che Cosentino e Landolfi ne assumano il controllo, trattandosi di un organismo di tipo politico. Organismo che opera attraverso la Eco4 che Cosentino, hanno spiegato i legali, ‘eredita’, in quanto gli Orsi la costruiscono indipendentemente e prima che Cosentino si affacci sulla scena. Quanto alle fonti dichiarative, per i legali sono state chiaramente sconfessate. Da ultimo, a parte il ‘pentito’ Nicola Schiavone, figlio del capoclan dei Casalesi Francesco “Sandokan” Schiavone, che in aula si è contraddetto, anche altri collaboratori di giustizia, sostengono i difensori di Cosentino, sono stati smentiti. L’ultimo dei quali, Luigi Guida, che accusa Cosentino de relato, in una diversa sentenza è stato ritenuto inattendibile e mendace quando parla di un incontro al quale avrebbe fisicamente partecipato e che, in realtà, non si è mai verificato.

Condanne e assoluzioni: tutti i guai giudiziari dell’ex sottosegretario berlusconiano
Sono più d’uno i processi, le condanne e le assoluzioni per Nicola Cosentino, ex sottosegretario del governo Berlusconi. L’ultima sentenza in ordine di tempo prima di quella di oggi per concorso esterno, è datata 29 settembre 2020 ed è relativa al processo “Il principe e la scheda ballerina“, conclusosi con l’assoluzione. Ma ancora prima l’ex coordinatore campano di Forza Italia era stato assolto (in via definitiva) anche nel processo cosiddetto “Carburanti“. Cosentino, inoltre, ha anche subìto una condanna definitiva per aver corrotto un agente della polizia penitenziaria mentre era detenuto e un’altra, per diffamazione, nell’ambito dell’inchiesta “P3”. Nello specifico, l’ex sottosegretario è stato assolto nel processo d’appello “Il principe e la scheda ballerina” dall’accusa di tentativo di reimpiego di capitali illeciti, con l’aggravante mafiosa, in relazione alla costruzione di un centro commerciale (mai edificato) voluto dal clan dei Casalesi a Casal di Principe (in primo grado Cosentino era stato condannato a 5 anni dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere). Nelle motivazioni alla sentenza di assoluzione, i giudici hanno evidenziato che Cosentino non aveva interesse a realizzare il centro commerciale, mentre le ricostruzioni dei collaboratori di giustizia (fra i quali Nicola Schiavone, figlio del capoclan dei Casalesi Francesco “Sandokan” Schiavone) sono state giudicate generiche, non riscontrate e in molti casi smentite in dibattimento.

Nel giugno del 2019, poi, Cosentino è stato assolto dalla Cassazione (che ha rigettato il ricorso della procura generale) nell’ambito del processo “Carburanti”. In questo caso l’ex sottosegretario era alla sbarra insieme ai fratelli Giovanni e Antonio e ad altri imputati, accusati a vario titolo di estorsione e concorrenza illecita aggravati dalle modalità mafiose. I fatti facevano riferimento all’azienda di famiglia dei Cosentino, l’Aversana Petroli. Nell’ottobre del 2018 già la Corte d’Appello di Napoli lo aveva assolto, mentre in primo grado Cosentino era stato condannato a 7 anni e sei mesi di carcere. Definitiva, invece, la condanna a 4 anni di reclusione per aver corrotto un agente della polizia penitenziaria del carcere di Secondigliano allo scopo di introdurre in cella generi alimentari, vestiti e un ipod. Infine, nell’ambito dell’inchiesta sulla presunta “P3”, Cosentino è stato condannato a 10 mesi non per i reati connessi all’associazione a delinquere ma per diffamazione e violenza privata nei confronti dell’ex presidente della Regione Campania Stefano Caldoro.

Un anno fa l’esultanza di Gelmini e Bernini per l’assoluzione.
A settembre scorso, il nome di Cosentino fu utilizzato dai suoi colleghi di partito per rinvigorire la richiesta di riformare la giustizia italiana, storico cavallo di battaglia di Silvio Berlusconi. “Dopo nove anni di calvario giudiziario, l’ex sottosegretario di Forza Italia Nicola Cosentino è stato assolto in Appello da tutte le accuse di collusione con la camorra – disse in quella occasione Anna Maria Bernini – È uno dei casi più sconvolgenti di uso politico della giustizia, che conferma quanto sia urgente una profonda riforma che scongiuri il massacro preventivo di imputati che poi risultano innocenti”. Sullo stesso tono il commento della capogruppo di Fi alla Camera Mariastella Gelmini: “L’assoluzione di Nicola Cosentino, la cui colpa principale a quanto pare è stata di essere un dirigente e parlamentare di Forza Italia, è un emblematico esempio di malfunzionamento della giustizia, di uso improprio della custodia cautelare e di creazione di veri e propri processi politici. La vita di un uomo, la sua carriera politica, i suoi affetti – sentenziò la Gelmini – sono stati devastati dall’accusa di collusione con la camorra e dall’applicazione di una carcerazione preventiva per reati infamanti che non esistevano. Verrebbe da gioire, per Cosentino, per la sua famiglia, per la storia di Forza Italia e per il fatto che, giustamente, la Camera all’epoca respinse la richiesta d’arresto per l’evidente fumus persecutionis di quella inchiesta. Dopo nove anni però è difficile perfino gioire, nella consapevolezza che niente e nessuno potrà risarcire Nicola Cosentino e i suoi affetti”. A distanza di meno di un anno, però, per l’ex responsabile politico di Forza Italia in Campania è arrivata la condanna più pesante, per l’accusa più pesante, nel processo più complesso della vicenda giudiziaria di Nick ‘o mericano.

ILFQ

martedì 8 giugno 2021

Il grillino buono. - Marco Travaglio

 

La scena di Marcello De Vito, grillino della prima ora, presidente del Consiglio comunale di Roma prima, durante e dopo l’arresto per corruzione, che passa a Forza Italia in una solenne cerimonia officiata da Tajani e Gasparri e confessa di sentirsi finalmente a casa perché “Berlusconi è decisamente meglio di Grillo”, conferma due cose. 1) I 5Stelle sbagliano classe dirigente almeno una volta su due. 2) I forzisti non la sbagliano mai. Se non sei imputato o almeno indagato per tangenti, non ti calcolano proprio. Se poi addirittura ti arrestano e ti processano, fai proprio al caso loro. Noi abbiamo sempre nutrito seri dubbi sull’arresto di De Vito su richiesta della Procura di Roma, che sui 5Stelle capitolini non ne ha mai azzeccata una. Gli incarichi professionali affidati a De Vito dal costruttore Parnasi che trattava col Campidoglio per lo stadio della Roma, configurano un plateale conflitto d’interessi che avrebbe dovuto provocarne l’espulsione dal M5S per opportunità politica, non penale. Ma che siano tangenti, in mancanza di contropartite, è piuttosto opinabile, infatti la Cassazione bocciò i suoi tre mesi e più di custodia cautelare. De Vito notoriamente è un avversario interno della Raggi e non ha alcuna influenza sulla giunta, che anzi fa regolarmente l’opposto di quel che dice lui.

Ma queste sottigliezze ai forzisti interessano poco: sono uomini di principio. Un principio semplice ed elementare: ogni grillino è, per definizione, un incompetente populista giustizialista manettaro pauperista e pure comunista, insomma feccia umana (“li manderei tutti a pulire i cessi di Mediaset”, disse B. a corto di stallieri); ma, se lo arrestano e/o lo processano, diventa un tipo interessante. Infatti i talent scout berlusconiani avevano adocchiato Marcello fin dal giorno delle manette. Vuoi vedere – si dicevano – che non è onesto come gli altri grillini? Vedi che, scava scava, può esserci del buono anche in quel covo di pericolosi incensurati? Figurarsi la delusione quando la Cassazione definì il suo arresto “immotivato” e frutto di “congetture”: fu un duro colpo, che frenò per un bel po’ le loro avance. Con tutti i problemi che ha FI, manca solo quello di mettersi in casa un innocente. Creando, fra l’altro, un pericoloso precedente. Poi arrivò la richiesta di rinvio a giudizio e i contatti ripresero festosi, sino al lieto fine di ieri: se qualcuno protesta, si risponde che il nuovo acquisto è imputato, quindi ha tutte le carte in regola. Almeno come soldato semplice. Se poi arriva la condanna (che sarebbe proprio l’ideale), ma anche la prescrizione (che fa comunque punteggio), scatta la promozione. Se invece lo assolvono, il codice etico forzista non perdona: espulsione immediata.

IlFQ

sabato 3 aprile 2021

Depositati 3 ddl: “Ora via il reato” Cartabia dice no. - L. Giar. e G. Sal.

 

Mario Draghi lo aveva annunciato nel suo discorso programmatico in Senato il 17 febbraio scorso: “Occorre evitare gli effetti paralizzanti della fuga dalla firma”, aveva detto tra gli applausi dei parlamentari e dei tanti amministratori locali. Ora il centrodestra si sente con le spalle coperte per andare all’assalto del reato di abuso d’ufficio, il principale nemico di molti politici e amministratori. Obiettivo: smontarlo ulteriormente dopo che il governo Conte-2 la scorsa estate lo aveva già depotenziato nel decreto Semplificazioni, volto a sbloccare decine di opere pubbliche. A far partire l’attacco all’articolo 323 del codice penale è la Lega, che nei giorni scorsi ha annunciato una proposta di legge a prima firma di Andrea Ostellari, presidente della Commissione Giustizia del Senato. Ostellari sta ancora lavorando e limando il testo, co-firmato da tutto il gruppo della Lega a Palazzo Madama, ma ha già annunciato quale sarà il principio cardine della proposta: eliminare una volta per tutte la responsabilità penale degli amministratori nella “firma degli atti”.

Il governo Conte, con il decreto del 16 luglio 2020, aveva già ristretto i margini dell’applicabilità del reato escludendo tutte le violazioni contenute in fonti diverse da leggi o atti aventi forza di legge e tutti quei comportamenti che abbiano “margini di discrezionalità”. Adesso la Lega vorrebbe specificare che non sarà punito l’eccesso di potere degli amministratori. Ergo: smontare quel poco che rimane dell’abuso d’ufficio. La ratio che ha portato la Lega a dare un’accelerata per riformare il reato è la ripartenza delle opere pubbliche chiesta da Matteo Salvini: “L’Italia ha bisogno di cantieri – ha spiegato Ostellari all’AdnKronos – La disciplina attuale dell’abuso d’ufficio impedisce agli amministratori locali e ai dirigenti di prendere decisioni serenamente e finisce per rallentare un processo di sviluppo e crescita di cui il Paese è affamato”. E quindi, continua il presidente leghista della Commissione Giustizia, “non possiamo permetterci che l’Italia sia ferma perché sindaci e assessori hanno paura di firmare. Nel 2018 ci sono stati più di settemila procedimenti giudiziari per abuso d’ufficio, la gran parte finisce nel nulla, ma l’infamia resta a vita”. Il nuovo testo potrebbe unificare gli altri due già depositati in Parlamento in questa legislatura per abolire il reato, entrambi del centrodestra. Il primo è quello presentato il 21 ottobre 2019 da dieci deputati leghisti guidati da Roberto Turri, avvocato e capogruppo del Carroccio in commissione Giustizia a Montecitorio, che esclude l’applicabilità per le “norme di principio o di norme genericamente strumentali alla regolarità dell’attività amministrativa”, mentre la punibilità è esclusa per tutti quei provvedimenti il cui contenuto “non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato” o “nei casi di particolare tenuità del fatto”. La modica quantità di abuso di potere.

Forza Italia invece propone proprio di abolire l’abuso d’ufficio con Silvio Berlusconi che nelle ultime settimane ha dato due interviste, prima al Messaggero e poi al Giornale, per chiedere di “rivedere” il reato. La deputata forzista Cristina Rossello, avvocato anche lei, ha depositato insieme a 18 colleghi una proposta di legge composta da una sola riga: “L’articolo 323 del codice penale è abrogato”. Nella scheda di presentazione del provvedimento i berluscones se la prendono con i magistrati colpevoli di indagare: “Una quantità enorme di procedimenti che iniziano a fronte di una quantità infinitesimale di quelli conclusi con condanna – si legge – nel frattempo, carriere, vite e famiglie di coloro che ne escono non colpevoli, dopo lunghissimi anni, sono rovinate e spesso costoro sono ridotti in miseria”. Per questo, sostiene FI, il reato di abuso d’ufficio va abolito. Non è della stessa opinione la ministra della Giustizia, Marta Cartabia, che ha già dato non pochi dispiaceri al fronte garantista: da Via Arenula fanno sapere che la modifica del reato di abuso d’ufficio non è all’ordine del giorno.

IlFattoQuotidiano

martedì 23 marzo 2021

Nuovi emendamenti contro i magistrati.

 

Mentre a via Arenula gli esperti stanno aiutando il ministro della Giustizia Marta Cartabia a scrivere la nuova riforma del processo penale, martedì il governo rischia la prima imboscata parlamentare sulla Giustizia. Il deputato di Azione, ex Forza Italia, Enrico Costa ha presentato quattro emendamenti alla Legge di Delegazione Europea che arriverà alla Camera e che potrebbero spaccare la maggioranza sul tema della presunzione di innocenza iniziando a colpire l’eredità dell’ex Guardasigilli Alfonso Bonafede. Il primo emendamento equipara i tabulati telefonici alle intercettazioni – per ottenerli non basterà più la richiesta del pm ma servirà l’autorizzazione del gip – mentre gli altri sono in funzione anti pm: limitazione delle dichiarazioni dei pm durante l’inchiesta (una sorta di bavaglio che ricorda i tempi di Berlusconi), il divieto di diffondere intercettazioni, audio e video, il divieto di dare nomi alle inchieste ma anche lo stop alla pubblicazione “integrale” dell’ordinanza di custodia cautelare. Secondo fonti di maggioranza, Cartabia è irritata dalla presentazione di questi emendamenti ma Costa non molla: “Vediamo chi li vota”.

RQuotidiano

lunedì 23 novembre 2020

PER QUALCHE ...... VOTO IN PIÙ - Rino Ingarozza













È un post che ho scritto un paio di giorni fa, ma che non ho pubblicato perché ho avuto altro a cui pensare e cioè ai miei concittadini, alle prese con questa terribile alluvione che ha colpito Crotone. La situazione adesso è leggermente migliorata e sono rinfrancato dalla notizia che, almeno, non ci sono vittime, e quindi lo pubblico, anche se, credetemi, ho ancora la morte nel cuore.

Il 27 Gennaio di quest'anno ho fatto un post che recitava: "L'ultimo Presidente della Regione Calabria, di destra, è ancora in carcere. A questi nuovi diamogli un po' di tempo".
Come dice quella pubblicità? "Ti piace vincere facile eh ......" Ponzi ponzi popopo'..... Direi che era una previsione talmente scontata che non mi potrò certo candidare a "novello NOSTRADAMUS". D'altronde è noto a tutti che, a destra, se non presenti un curriculum con almeno un avviso di garanzia, non ti candidano. Specialmente se sei in odore di mafia. In questo caso scavalchi tutti gli altri. Perché? Semplice, perché la mafia vota e fa votare. Uso il termine "mafia" per semplificare, visto che, in Italia, per non farci mancare niente, abbiamo diverse denominazioni, per definirla, a seconda delle Regioni. Una sorte di DOP (denominazione di origine protetta). E allora abbiamo la "cosa nostra" siciliana, la "ndrangheta" calabrese, la "camorra" campana, la "sacra corona unita" pugliese e "mafia capitale" romana e quindi laziale. Poi ci sono varie "imitazioni" tipo "la mafia del Brenta" o la generica" mafia dei Casamonica", che però non si "pregiano" della DOP. Sia chiaro, però, che come tutti i prodotti DOP seri, anche la mafia ha "esportato" i propri, in tutta Italia e anche all'estero. E se non trovi "acquirenti" anche in questi territori, non attecchisci. Questo per essere chiari.
Parlando della mia regione e, cioè, la Calabria, ad oggi, i consiglieri regionali, tra inquisiti e arrestati, sono gia' un numero congruo, ma, diamo tempo al tempo, la legislatura è appena all'inizio.
L'ultimo, in ordine temporale è stato,
l'ormai famoso, Presidente del consiglio regionale, Domenico Tallini.
L'accusa è molto grave ma può sorprendere noi che magari non lo conoscevamo, non sorprende sicuramente le procure e la commissione antimafia, che lo aveva inserito nell'elenco degli "impresentabili" e quindi incandidabili.
Ora, il discorso è questo, se un giornalista sbaglia un articolo, il direttore è anch'esso responsabile, per questo. Se un dirigente di una qualsiai azienda sbaglia qualcosa, l'amministratore delegato o il presidente, ne devono dar conto, di questo sbaglio. Persino se, un giocatore di calcio, sbaglia un rigore, l'allenatore è "correo" in quanto è quello che lo ha designato a tirarlo. Perché, allora, in questo caso, che è di una gravità inaudita (collusione con la mafia) nessuno dei suoi superiori viene chiamato in correità? Perché nessuno paga?
Perché, signor Tajani? Perché, signor Berlusconi? Perché, signor Gasparri? Perché, signora Gelmini? Perché?
Delle due, una: o sapevate e avete taciuto, per qualche dollaro (voto) in più e non importava se era sporco di sangue, o non lo sapevate e allora vuol dire che non indagate su certi candidati sospetti. Certo, non lo si può fare con tutti, ma almeno su quelli segnalati dalla commissione antimafia, si. Era, ed è, sempre doveroso.
Certo, c'è una terza ipotesi (questa per i malpensanti) e cioè che se è vero come è vero, che Forza Italia è stata fondata da un mafioso, non c'è da meravigliarsi. Infatti io non meraviglio. Mi meraviglio del contrario, quando vedo gente onesta e perbene.
Per tutto ciò ho detto, in un altro post, che Morra avrebbe fatto meglio a non dire quello che ha detto. O meglio poteva e doveva dire che la Santelli e gli altri dirigenti del partito, non dovevano candidare un simile personaggio. E non dire, come ha detto, che i Calabresi sapevano della sua malattia e l'hanno votata lo stesso. Avrebbe dovuto sapere, da persona intelligente qual è, che queste sue affermazioni sarebbero state strumentalizzate e quindi, come è successo, spostato il centro dell'attenzione. Si sarebbe, invece, dovuto tambureggiare su questa notizia, si sarebbe dovuto chiederne conto alla destra del perché di questa candidatura. Il Movimento, questo non lo fa mai. Si fa aggredire ma non aggredisce mai. Si fa deridere per un divieto di sosta ma non dice niente per un arresto per mafia dell'altra parte. Questo è sbagliato. Le cose che arrivano alla gente sono le grida e non i sussurri.
Le incazzature e non il fair play.
Ad essere buoni, si può dire che quando lo fa, lo fa non con l'impeto necessario.
E non parlo certo della base, dei simpatizzanti, degli attivisti. Questi lo fanno, si dannano l'anima. Parlo della classe dirigente. Devono andare in TV e, anche se nessuno glielo chiede, perché non se ne deve parlare, una volta che hanno il microfono in mano, devono denunciare queste malefatte. Devono informare i più distratti, i rincoglioniti (volutamente) dalle reti Mediaset. Se non fa questo, continuerà a perdere voti e a chiedersi il perché. L'Italia è fatta anche da gente comune (per fortuna), di gente che gli devi dire, in maniera semplice, come vanno le cose, altrimenti continuerà a credere che a Madrid c'è un porto, che il ponte di Genova è fatto con pannelli solari al metano e che Ruby è la nipote di Mubarak.
Forza Crotone, ti rialzerai.