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giovedì 2 dicembre 2021

Forza Italia contro Di Matteo per spingere Berlusconi al Colle: “Mai accertate collusioni con la mafia”. Da Bontade ai soldi ai boss: cosa dice la sentenza Dell’Utri. - Giuseppe Pipitone

 

Rispondendo a una domanda sulla corsa al Quirinale, il magistrato ha ricordato in tv che lo storico braccio destro dell'ex premier è stato condannato per essere stato intermediario di un patto tra i clan e Arcore: "In cambio della protezione personale e imprenditoriale di Berlusconi prevedeva il versamento di somme ingenti di denaro da parte di Berlusconi a Cosa Nostra". L'attacco dei berlusconiani: "Accuse infamanti e infondate, l'ex premier è il più degno candidato alla presidenza della Repubblica". Ecco cosa c'è scritto nella sentenza definitiva sull'ex senatore.

Più si avvicina la fatidica data dell’elezione del nuovo presidente della Repubblica e più ad Arcore aumenta la tensione. Nonostante pubblicamente dribbli l’argomento, infatti, Silvio Berlusconi continua sul serio a coltivare il sogno del Quirinale. Sarà per questo motivo che Forza Italia ha reagito in modo rabbioso, attaccando il magistrato Nino Di Matteo, reo di aver ricordato i rapporti tra Arcore e Cosa nostra. È già successo più volte in passato, ma questa volta c’è il Colle ad aumentare la reazione nervosa dei berlusconiani. Intervistato da Lucia Annunziata, infatti, Di Matteo ha ricordato cosa c’è scritto nella sentenza su Marcello Dell’Utri. Nel 2014 lo storico braccio destro di Berlusconi fu condannato in via definitiva a sette anni di carcere per concorso esterno a Cosa nostra. Dopo un breve periodo da latitante in Libano, Dell’Utri ha scontato la sua pena tra carcere e domiciliari: ora è tornato alla corte di Arcore, dove – secondo vari retroscena – è uno dei consiglieri più ascoltati in relazione a una possibile candidatura del leader di Forza Italia al Colle.

Le parole del magistrato Di Matteo – Insomma: può un uomo che ha il braccio destro condannato per mafia (e quello sinistro, cioè Cesare Previti, per corruzione in atti giudiziari) correre per il Quirinale? E infatti è proprio rispondendo a una domanda sul Colle che Di Matteo ha ricordato l’esistenza della sentenza Dell’Utri .“Io non ho titolo per esprimere giudizi politici mi limito a ricordare due dati di fatto. Il primo è che il presidente della Repubblica è anche presidente del Csm e nei confronti della magistratura non dovrebbe avere interessi e rancori di tipo personali. Poi ricordo che Dell’Utri fu intermediario di un accordo tra il 1974 e il 1992 con le famiglie mafiose palermitane, che in cambio della protezione personale e imprenditoriale di Berlusconi prevedeva il versamento di somme ingenti di denaro da parte di Berlusconi a Cosa Nostra, e questo è emerso da una sentenza definitiva”, ha detto il consigliere del Csm a Mezz’ora in Più su Rai3. Di Matteo si è astenuto da ogni ulteriore dichiarazione sulla corsa al Quirinale: “Non voglio commentare – ha aggiunto – ma questo sta diventando un paese in cui qualche fatto va ricordato. Il vizio della memoria dovrebbe essere coltivato in maniera più incisiva e generalizzata”.

I berlusconiani: “Nessuna sentenza ha mai accertato collusioni con la mafia” – Dichiarazioni che hanno fatto scendere sul piede di guerra i berlusconiani di stretta osservanza. I capigruppo delle commissioni Giustizia di Forza Italia alla Camera e al Senato Pierantonio Zanettin e Giacomo Caliendo, insieme con i componenti delle commissioni, la senatrice Fiammetta Modena e i deputati Matilde Siracusano e Roberto Cassinelli, hanno diffuso una nota per attaccare il magistrato. “Il consigliere del Csm Nino di Matteo – scrivono – si è scagliato contro la candidatura di Silvio Berlusconi al Quirinale, lanciando accuse tanto infamanti, quanto infondate. Occorre ricordare che nessuna sentenza ha mai accertato collusioni del presidente Berlusconi con la mafia. Forza Italia continua a ritenerlo il più degno candidato alla presidenza della Repubblica”. A sentire i berlusconiani “il magistrato Di Matteo non ha alcun titolo per intervenire nel dibattito politico sulle candidature al Quirinale. Al contrario, essendo comunque un magistrato, oltre che un rappresentante dell’organo di autogoverno della magistratura, dovrebbe avere rispetto per il ruolo che ricopre e mostrare quel poco di imparzialità che gli rimane”.

L’incontro con Bontade e l’assunzione di Mangano ad Arcore – Nessuno tra gli altri partiti politici è intervenuto per fare notare come le dichiarazioni di Di Matteo non contenessero alcuna accusa infamante e soprattutto infondata. E’ vero che Silvio Berlusconi non è mai stato processato o condannato per fatti di mafia, anche se è ancora oggi indagato a Firenze per un reato ancora più grave come il concorso nelle stragi del 1993. I rapporti tra il leader di Forza Italia e Cosa nostra, però, sono cristallizzati in una sentenza definitiva: quella emessa nel 2014 a carico di Dell’Utri. Le motivazioni di quella sentenza sono lunghe 75 pagine e il nome di Berlusconi viene citato 137 volte. Spiegando perché ha deciso di confermare la seconda sentenza di Appello (la prima era stata annullata dalla Cassazione due anni prima) la Suprema corte ripercorre il rapporto tra Dell’Utri e Cosa nostra: l’ex senatore fu il garante di un accordo tra i clan ed Arcore durato quasi vent’anni: dal 1974 al 1992. La mafia, in pratica, garantiva protezione all’inquilino di villa San Martino dove venne spedito Vittorio Mangano. In cambio ai boss arrivavano centinaia di milioni di lire dal gruppo imprenditoriale berlusconiano. Era il prezzo di un “accordo di protezione stipulato nel 1974 tra gli esponenti mafiosi (Bontade e Teresi) e Silvio Berlusconi per il tramite di Dell’Utri, espressivo dell’importanza e della solidità dello stesso, dell’affidamento reciproco tra le due parti che lo avevano stipulato grazie alla mediazione dell’imputato, il quale rappresentava la persona in cui entrambe riponevano fiducia”. Quell’accordo, ricostruiva la prima sezione penale presieduta da Maria Cristina Siotto, venne siglato durante un incontro, che si è svolto a Milano tra “il 16 e il 29 maggio 1974” e al quale avevano partecipato Berlusconi, Dell’Utri, il suo amico Gaetano Cinà, uomo della “famiglia” mafiosa di Malaspina, Stefano Bontade, il principe di Villagrazia che era al vertice di Cosa nostra, Girolamo Teresi di Santa Maria del Gesù e Francesco Di Carlo, boss di Altofonte che poi diventerà un collaboratore di giustizia. “In quell’occasione veniva concluso l’accordo di reciproco interesse, in precedenza ricordato, tra Cosa nostra, rappresentata dai boss mafiosi Bontade e Teresi, e l’imprenditore Berlusconi, accordo realizzato grazie alla mediazione di Dell’Utri che aveva coinvolto l’amico Gaetano Cinà, il quale, in virtù dei saldi collegamenti con i vertici della consorteria mafiosa, aveva garantito la realizzazione di tale incontro”, si legge nella sentenza della corte di Cassazione. “L’assunzione di Vittorio Mangano (all’epoca dei fatti affiliato alla “famiglia” mafiosa di Porta Nuova, formalmente aggregata al mandamento di S. Maria del Gesù, comandato da Stefano Bontade) ad Arcore, nel maggio-giugno del 1974, costituiva l’espressione dell’accordo concluso, grazie alla mediazione di Dell’Utri, tra gli esponenti palermitani di Cosa nsotra e Silvio Berlusconi ed era funzionale a garantire un presidio mafioso all’interno della villa di quest’ultimo. In cambio della protezione assicurata Silvio Berlusconi aveva iniziato a corrispondere, a partire dal 1974, agli esponenti di Cosa nostra palermitana, per il tramite di Dell’Utri, cospicue somme di denaro che venivano materialmente riscosse da Gaetano Cinà”, proseguiva la giudice relatrice Margherita Cassano.

Da Arcore soldi alla mafia tra il 1974 e il 1992 – 
Quell’accordo, secondo i giudici, è andato avanti negli anni, anche dopo l’omicidio di Bontade e l’arrivo al potere dei corleonesi di Totò Riina. “La sistematicità nell’erogazione delle cospicue somme di denaro da Marcello Dell’Utri a Gaetano Cinà sono indicative della ferma volontà di Berlusconi di dare attuazione all’accordo al di là dei mutamenti degli assetti di vertice di Cosa nostra nella consapevolezza del rilievo che esso rivestiva per entrambe le parti: l’associazione mafiosa che da esso traeva un costante canale di significativo arricchimento; l’imprenditore Berlusconi, interessato a preservare la sua sfera di sicurezza personale ed economica”, si legge nella sentenza della Suprema corte. I giudici scrivevano che “la Corte d’appello di Palermo ha, con motivazione esente da vizi logici e giuridici, dimostrato che anche nel periodo compreso tra il 1983 e il 1992, l’imputato (cioè Dell’Utri ndr), assicurando un costante canale di collegamento tra i partecipi del patto di protezione stipulato nel 1974, protrattosi da allora senza interruzioni, e garantendo la continuità dei pagamenti di Silvio Berlusconi in favore degli esponenti dell’associazione mafiosa in cambio della complessiva protezione da questa accordata all’imprenditore, ha consapevolmente e volontariamente fornito un contributo causale determinante, che senza il suo apporto non si sarebbe verificato, alla conservazione del sodalizio mafioso e alla realizzazione, almeno parziale, del suo programma criminoso, volto alla sistematica acquisizione di proventi economici ai fini della sua stessa operatività, del suo rafforzamento e della sua espansione”.

“Quei 20 miliardi di Cosa nostra per i film di Canale 5” – Per dimostrare che Dell’Utri si sia posto nei confronti di Cosa nostra come rappresentante di Berlusconi pure quando non era un dipendente del gruppo di Arcore, i giudici citano un precedente del 1980. “Il perdurante rapporto di Dell’Utri con l’associazione mafiosa anche nel periodo in cui lavorava per Filippo Rapisarda e la sua costante proiezione verso gli interessi dell’amico imprenditore Berlusconi veniva logicamente desunto dai giudici territoriali anche dall’incontro, avvenuto nei primi mesi del 1980, a Parigi, tra l’imputato, Bontade e Teresi, incontro nel corso del quale Dell’Utri chiedeva ai due esponenti mafiosi 20 miliardi di lire per l’acquisto di film per Canale 5“. Questa sentenza, come detto, è passata in giudicato: è accertato, dunque, che “l’imprenditore Berlusconi” ha pagato Cosa nostra tra il 1974 e il 1992 grazie all’intermediazione del suo storico braccio destro. Addirittura, secondo i giudici della corte d’Assise di Palermo che hanno celebrato il processo di primo grado sulla cosiddetta Trattativa tra pezzi dello Stato e Cosa nostra, quei pagamenti da Arcore sarebbero proseguiti fino al dicembre del 1994, cioè quando Berlusconi era già a Palazzo Chigi. Quella sentenza, però, è stata ribaltata in Appello: dopo la condanna in primo grado, Dell’Utri è stato assolto in secondo. Avendo già finito di scontare la sua pena per concorso esterno, è tornato a essere tra gli ospiti più ascoltati ad Arcore. Raccontano i bene informati che ci sarebbe proprio Dell’Utri dietro l’incontro a cena tra Gianfranco Micciché e Matteo Renzi. Nel menù, a sentire Micciché, ci sarebbe stata anche l’elezione di Berlusconi al Quirinale.

https://www.ilfattoquotidiano.it/2021/11/29/forza-italia-contro-di-matteo-per-spingere-berlusconi-al-colle-mai-accertate-collusioni-con-la-mafia-da-bontade-ai-soldi-ai-boss-cosa-dice-la-sentenza-dellutri/6408892/

giovedì 28 novembre 2019

Fontanarossa ai privati, la vergogna dei vitalizi dell’Ars e la legge killer sulla Formazione/ MATTINALE 459.

Fontanarossa ai privati, la vergogna dei vitalizi dell’Ars e la legge killer sulla Formazione/ MATTINALE 459

La privatizzazione dell’aeroporto Fontanarossa di Catania non è la solita operazione di ascarismo: è la capitolazione finale che aprirà la strada alla fine dell’agricoltura siciliana e alla privatizzazione dei beni culturali, delle autostrade, delle strade e via continuando. Il grottesco balletto sui vitalizi di Gianfranco Miccichè. La vergognosa riforma della Formazione professionale che completa la ‘macelleria sociale’ dei Governi Lombardo e Crocetta
Tre notizie – una di affari e due vergogne della politica siciliana – meritano di essere commentate. Sono la privatizzazione dell’aeroporto Fontanarossa di Catania, il tentativo di salvare i vitalizi degli ex parlamentari e dei futuri ex parlamentari di Sala d’Ercole e una riforma della Formazione professionale fatta su misura per assestare il colpo finale a circa 8 mila persone.
FONTANAROSSA AI PRIVATI – Cominciamo con la privatizzazione dell’aeroporto di Catania. Ieri e nei giorni scorsi abbiamo dato spazio  coloro i quali sono contrari alla privatizzazione del più importante aeroporto del Mezzogiorno d’Italia. L’abbiamo fatto – e continueremo a farlo – non soltanto perché a noi la privatizzazione sembra un’operazione affaristica e ‘banditesca’, ma anche perché i signori che la stanno ‘pilotando’ – a cominciare dai rappresentanti del Governo regionale – si tengono chiusi.
Perché siamo contrari alla privatizzazione? Per tanti motivi. Il rimo motivo – che è il più importante – è perché consideriamo il liberismo economico una iattura.
Il liberismo sta distruggendo l’Unione Europea. Con il liberismo i circa 500 milioni di abitanti dell’Eurozona, da cittadini, sono stati trasformati in consumatori. Con l’aggravante che non c’è nemmeno la libertà di scegliere.
L’Unione Europea – che non è un’entità astratta – decide, ad esempio, che il grano che bisogna utilizzare deve essere di un certo tipo, anche se è ‘avvelenato’. E se i regolamenti europei – che sono nati a tutela della salute pubblica – non consentono l’arrivo in Europa di grani – duri e teneri – con alti gradi di sostanze contaminanti, ebbene, si cambiano i regolamenti per consentire ai questi grani di finire sulle nostre tavole sotto forma di prodotti trasformati (pasta, pane, pizze, biscotti, dolci e via continuando).
Può sembrare una follia. Questa alimentazione provoca disturbi a milioni di persone in Europa e nel mondo, mettendo in moto un demonico ‘effetto moltiplicatore’: nel senso che moltiplica gli affari delle case farmaceutiche che propongono e vendono i ‘rimedi’ per fronteggiare i problemi creati da questi grani.
Non è un caso se chi produce certi prodotti chimici – che servono proprio per coltivare certi cereali – siano gli stessi che producono i medicinali per curarne gli effetti!
Potremmo continuare con altri esempi nel settore agroalimentare e in altri settori. Questa è l’Unione Europea che plaude alle privatizzazioni, con la ‘benedizione’ dei falliti del Partito Socialista Europeo (PSE), servi apparentemente sciocchi del liberismo dominante.
Nel caso dell’aeroporto Fontanarossa non possiamo non sottolineare il PROGETTO ASCARO di un aeroporto con 10 milioni di passeggeri all’anno – con grandi margini di miglioramento – che verrà ceduto a chi, con molta probabilità, lavora per far fallire gli agricoltori siciliani e, in generale, per cedere ai privati non siciliani l’intera Sicilia.
Catania, Siracusa, Ragusa hanno tutti i numeri per puntare sull’agricoltura, sul turismo e sui beni culturali. Peraltro con due aeroporti: quello di Catania e quello di Comiso.
Noi – concetto che ribadiamo spesso – non crediamo che la Sicilia debba esportare i propri prodotti agricoli, perché non può reggere la concorrenza di chi produce in alcuni casi munnizza a prezzi super-concorrenziali. L’agricoltura siciliana, oggi, deve puntare al consumo interno, anche per riequilibrare la propria bilancia commerciale nel settore agroalimentare. I siciliani, ogni anno, spendono circa 13 miliardi di euro per l’alimentazione; ebbene, di questi 13 miliardi, 11 miliardi di euro vengono spesi per l’acquisto di cibi che arrivano dal resto d’Italia e, soprattutto, da Paesi esteri.
Cosa vogliamo dire? Che anche l’aeroporto di Comiso, insieme con quello di Catania, deve puntare sul turismo.
Ci dicono che con la privatizzazione dell’aeroporto di Catania e dell’aeroporto di Comiso il territorio ne trarrà giovamento. Ma è solo una volgare presa in giro. Lo ribadiamo: chi trarrà giovamento da questa privatizzazione saranno i soggetti esterni alla Sicilia che già hanno messo le mani su ‘pezzi’ della nostra Isola e che, con il sistema aeroportuale tra le mani, potranno completare l’opera di colonizzazione della Sicilia.
Ci dicono che non ci sono i soldi per investire nel potenziamento dell’aeroporto Fontanarossa. Questa, forse, è la più grande fesseria messa in giro. A parte la Cassa Depositi e Prestiti e altre banche internazionali, l’urbanistica – in un territorio come la Sicilia – consentirebbe mille altre operazioni per reperire capitali.
La verità è che gli interessi in ballo sono enormi. Prendendosi l’aeroporto di Catania e di Comiso, nel giro di pochi anni assisteremo alla stretta finale sugli agricoltori siciliani e alla privatizzazione dei beni culturali, delle autostrade e, in generale, di tutto quello che potrà essere privatizzato.
Quella di Fontanarossa, per chi non l’avesse capito, è un’operazione che va ben al di là dell’ascarismo che abbiamo conosciuto fino ad oggi: è la capitolazione della Sicilia intesa come terra con una propria identità culturale.
IL GROTTESCO BALLETTO SUI VITALIZI – Contemporaneamente alla svendita di Fontanarossa assistiamo al grottesco balletto sui vitalizi degli ex parlamentari dell’Assemblea regionale siciliana (e dei futuri ex parlamentari).
Chi ha svenduto e chi sta svendendo la Sicilia dovrà pure andare in pensione. Vero è che, tra meno di vent’anni, la Sicilia non sarà più dei siciliani, ma per un altro po’ di anni gli ascari di ieri e gli ascari di oggi ci saranno. E come dovranno vivere questi signori? Con meno di 5 mila, 6 mila, 7 mila, 8 mila, 9 mila, 10 mila euro al mese? Non sia mai!
Certo, c’è una legge nazionale che ha tagliato i vitalizi in tutte le Regioni italiane. A tutte tranne che alla Sicilia. Dove l’Autonomia, che non viene applicata sulle cose serie, viene invece applicata per tutelare gli interessi dei pochi. A cominciare, appunto, dagli ex parlamentari e dagli attuali parlamentari che tra qualche anno saranno ex parlamentari.
Migliaia di giovani siciliani ogni anno sono costretti a lasciare la Sicilia per mancanza di lavoro, le strade e le autostrade della nostra Isola cadono a pezzi, le Province non svolgono i servizi previsti dalle leggi perché sono senza soldi, i Comuni pensano solo a tartassare i cittadini con tasse, imposte, autovelox, Ztl, la sanità pubblica siciliana è allo sbando (ormai aspettare giornate intere in un Pronto Soccorso o, magari, morire per esempio dopo aver lasciato un Pronto Soccorso non sono più notizie…), prendere un aereo senza prenotazione, per un siciliano, significa spendere da 500 a 800 euro!
Ebbene, a fronte di tutto questo – e di altre vergogne senza fine – qual è il pensiero fisso del presidente del parlamento siciliano, Gianfranco Miccichè, da un anno a questa parte? Salvare i vitalizi degli ex parlamentari e il proprio vitalizio!
Ieri, dopo batti e ribatti, Miccichè ha diramato un comunicato che è lo specchio del fallimento della politica siciliana che lo stesso Miccichè rappresenta in modo ‘esemplare’:
“Smentisco in maniera assoluta la notizia secondo la quale sono stato a Roma per chiedere un ok sul disegno di legge sui vitalizi approvato dalla commissione dell’Ars. Abbiamo incontrato gli esperti del ministero con i quali abbiamo discusso alcuni punti su cui avevamo dei dubbi. Per quanto mi riguarda, ritengo che la proposta di legge sui vitalizi sia ineccepibile dal punto di vista costituzionale. Ma con i tecnici ministeriali non ci siamo assolutamente soffermati su questo aspetto, anche perché non è di loro competenza”.
Così Gianfranco Miccichè adesso è diventato anche “costituzionalista”: e abbiamo detto tutto!
Rimane un sentimento che va oltre la vergogna: pensare che l’Autonomia siciliana, costata sangue e fatica ai siciliani negli anni ’40 del secolo passato, sia stata ridotta a protezione dei vitalizi è veramente penoso: ma i personaggi politici di oggi sono questi: Mazzarò alla ricerca della ‘roba’…
LA LEGGE KILLER SULLA FORMAZIONE – Un’altra vergogna è rappresentata dalla legge di ‘riforma’ della Formazione professionale varata ieri dal Parlamento siciliano.
Noi facciamo nostre le considerazioni che il sindacalista Sandro Cardinale e l’ex sportellista Adriana Vitale hanno messo nero su bianco.
Cominciamo con Sandro Cardinale, dell’Unione Sindacale di Base (USB):
“E con il ddl 506/128 si decreta la mazzata finale per il lavoratori della formazione professionale siciliana, dove le tutele dei licenziati della formazione vengono eliminate. Un disegno criminoso che da anni l’assessore Lagalla tenta di mettere in atto, oggi (ieri per chi legge) ci è riuscito grazie alla complicità di tutti gli schieramenti politici, maggioranza e opposizione, tutti indistintamente hanno votato a favore della condanna di migliaia di donne e uomini già massacrati con i Governi precedenti.
I Gattopardi hanno colpito ancora.
Complimenti al Presidente Musumeci che in campagna elettorale ha promesso la risoluzione della vertenza.
Complimenti al PD, al 5 Stelle che si è astenuto.
Complimenti ai tantissimi assenti, ma soprattutto complimenti al compagno Claudio Fava che ha prestato il fianco!
Cambiano gli orchestranti ma la musica è sempre quella.
Adesso tocca a noi fargli ingoiare il ddl!!!”.
Adriana Vitale:
Una grandissima “puttanata” approvare una riforma prima di dare risposte ai lavoratori massacrati. È come comprare una nuova macchina da un nuovo concessionario prima di estinguere il debito con il vecchio.
Vergognatevi TUTTI, ma proprio TUTTI.
Non riescono a mettersi d’accordo su nulla, solo per finire di massacrare i lavoratori, si sono accordati. Pane per i denti di quelli che ci considerano zavorra e di quelli che, con la puzza sotto il naso, ci considerano figli cooptati di un sistema, dunque da cancellare. Una proposta, figuriamoci, uscita dal cilindro dal PD, artefice del nostro massacro, che ha immediatamente trovato sponda anche tra quelli che nella scorsa legislatura si battevano il petto. Evidentemente più di qualcuno aveva cambiali elettorali da estinguere.
La restaurazione è servita con gli emergenti e con nuova e fresca carne elettorale da giocarsi a tempo debito. La manciugghia ha cambiato pelle ma non sostanza.
Qual è la differenza tra chi ci ha messi in ginocchio e chi, al posto di darci una mano per alzarci, con un calcio, ci stende per terra completando l’opera?
Gli assenti hanno sempre torto, gli astenuti sono solo ignavi che mantengono il numero legale per favorire l’approvazione, chi ha votato “SI” si qualifica da solo. Nessuno ha votato “NO”, dunque tutti complici!
Pagherete a caro prezzo le lacrime e la disperazione di coloro che avete ammazzato, il male prima o poi ritorna indietro.
Ci avete fatti sentire vecchi e inutili, ci avete distrutto la vita, la serenità, la normalità. Vi arrivi il mio sdegno per intero, pusillanimi inutili.
Leggere il giubilo di chi vanta la grande prodezza, che offende la nostra intelligenza, umilia la loro stessa dignità.
Tutto questo mentre taluni fanno i viaggi in quel di Roma per garantirsi i privilegi e operare un taglietto che corrisponde a qualche cena fuori, mentre noi non ci possiamo permettere neppure il pane da mettere a tavola. Senza pudore.
Questa legge di riforma della Formazione Professionale nulla cambia alla nostra vertenza, che esula dalla Formazione in quanto tale. Il punto non è questo: il punto, per come la vivo io, è la totale mancanza di rispetto: è ignorare la voce del popolo: è considerarci nessuno: è sentirsi attraversati da quattro buffoni che hanno in mano la mia vita e quella della mia famiglia: è essere considerati una spanna sotto gli ultimi: è sentirsi invisibili.
Avrebbero dovuto, prima di approvare un qualcosa che cancella irrimediabilmente trent’anni di vita e di un vissuto, dare risposte ad un problema di sopravvivenza che loro stessi hanno causato, e non importa la mano che ha trafitto la nostra vita se chi viene dopo non pone rimedio. Quella di oggi è la lama che trafigge e si conficca nella stessa identica ferita, causando dolore che si aggiunge al dolore. Uno sfregio che brucia peggio di uno schiaffo in pieno viso, che ti sbatte in faccia la realtà cruda e nuda, che ti fa sentire piccola e indifesa, ti fa sentire nessuno.
Foto tratta da Il Belice Informa
https://www.inuovivespri.it/2019/11/27/fontanarossa-ai-privati-la-vergogna-dei-vitalizi-dellars-e-la-legge-killer-sulla-formazione-mattinale-459/#GbjMWRBrBlQroU5b.99

mercoledì 12 settembre 2018

CUFFARO ALL’ARS: IL SOVVERTIMENTO DELLA LOGICA E DELLA VERITÀ - Angelo Niceta

L'immagine può contenere: 2 persone, persone in piedi e vestito elegante


CAMBIANO LE STRATEGIE MA NON LA FINALITÀ: CREARE UN CLIMA CHE RENDA POSSIBILE CAMBIARE LE LEGGI PIÙ EFFICACI IN TEMA DI LOTTA ALLA MAFIA, A PARTIRE DALLA ROGNONI-LA TORRE...

Quanto avvenuto sulla vicenda dell’ospitata di Totò Cuffaro all’Ars ci indigna. Ma ci indigna ancor di più la collaudata “strategia del caos” che è stata sperimentata anche in questo caso, nonché la mancata informazione su alcuni fatti fondamentali.


Anzitutto ricordiamo che l’attivismo di Totò Cuffaro non è iniziato qualche giorno fa: appena nel mese di agosto, applauditissimo, l’ex governatore ha partecipato ad alcune “assemblee” per la raccolta delle firme a sostegno delle 8 proposte di legge di iniziativa popolare radicali, a fianco di Massimo Niceta e Pietro Cavallotti, aventi le finalità, tra l’altro, di abolire il 41 bis, abolire l’ergastolo, svuotare la Rognoni-La Torre e la legge sui comuni sciolti per mafia. 


PERCHÉ QUESTA NOTIZIA È PASSATA SOSTANZIALMENTE "INOSSERVATA" AI "BENPENSANTI"? PERCHÉ, A NOSTRO AVVISO, NON SI DOVEVA PARLARE DELL’INIZIATIVA IN ATTO CONTRO LE PRINCIPALI NORMATIVE ANTIMAFIA…

Ma veniamo a quanto accaduto in questi giorni. Il problema non è che Cuffaro venga ospitato in una sala piuttosto che in un’altra: il problema è che un CONDANNATO PER FAVOREGGIAMENTO ALLA MAFIA, interdetto in perpetuo dai pubblici uffici (non può neppure esercitare come medico in Italia), mai pentitosi, non deve più avere alcuno spazio nella vita pubblica. È risibile fingere che in una terra come la Sicilia questi segnali non contino, e che l’ospitata di Cuffaro, difesa dai vertici del governo regionale nella figura di Gianfranco Micciché, non assuma un significato che non può essere ridotto al mero fatto, già grave. È giusto che si parli delle esperienze dei carcerati, non capiamo perché debba essere Cuffaro e non un detenuto qualunque a farlo, oltretutto in una sede istituzionale. 


Gianfranco Micciché, rispondendo a Cancelleri, ha così difeso l’iniziativa: “In vita mia non ho mai impedito a chicchessia di dire la sua, men che meno lo farei con chi ha sofferto in carcere. E non lo farò nemmeno stavolta, nemmeno se IL TUO PROBLEMA si chiama Totò Cuffaro. NON STARÒ QUI A SPIEGARTI CHE COSTUI RAPPRESENTA UN PEZZO IMPORTANTE DI RECENTE STORIA SICILIANA. E una cosa sia chiara: censurare non fa parte del mio dna”.


Quindi, per stessa ammissione del vicepresidente e uomo forte della Giunta Regionale siciliana Micciché non parla solo come detenuto X ma in quanto “RAPPRESENTA UN PEZZO IMPORTANTE DI RECENTE STORIA SICILIANA”. 


Un pezzo recente di storia siciliana: un pezzo di vergognose collusioni tra istituzioni e mafia, ma anche di spoliazione della cosa pubblica (si pensi, pars pro toto, il fiume di soldi riversato sulla sanità privata) e del peggior clientelismo.


Ma di fronte ad una simile assunzione di responsabilità da parte di Micciché, invece di esserci una rivolta della Commissione Antimafia, delle forze politiche e delle associazioni che si proclamano a gran voce “antimafia”, abbiamo assistito ad una ridda di commenti giustificazionisti e confusi per difendere l’indifendibile.


“Siamo in una democrazia”. Naturalmente, ma anche una democrazia vive di regole e di principi etici. È giusto far parlare, per di più in una sede istituzionale, per esempio, un soggetto condannato per stupro? O magari, la prossima volta, SARO CATTAFI, perché racconti anche lui l’esperienza del carcere?


“Cuffaro ha pagato per tutti”. Argomento ancora più assurdo. Anzitutto perché riteniamo che verso Cuffaro non ci sia stato alcun particolare accanimento, viste anche le visite che riceveva in carcere, a quanto ha riferito la stampa, per continuare a gestire il suo potere e i suoi affari. In secondo luogo perché se anche fosse vero, lo scandalo sono i “colletti bianchi” impuniti, i concorrenti esterni a piede libero – e la mancanza di leggi aggiornate per perseguire il nuovo metodo mafioso – non già l’asserito “sacrificio” (che tale non è) di Cuffaro. Il fatto che per una volta sia stato condannato un “eccellente” non lo fa diventare un capro espiatorio!


Concludiamo con una considerazione. Questi segnali di “resa” alla necessità di fare i conti anche dal punto di vista politico ed etico con la mafia, di cui parlò Paolo Borsellino e di cui parlano tutt’oggi i magistrati che fanno davvero la lotta alla mafia, ci sembrano inquietanti, e fanno da contraltare al clima che si cerca di creare partendo dal basso, dall’umore della gente, contro “l’antimafia”, CON LA PRECISA FINALITÀ NON DI COMBATTERE LA FALSA ANTIMAFIA MA DI DELEGITTIMARE TUTTO E ARRIVARE A CAMBIARE LE LEGGI CHE ANCORA SI PERMETTONO DI “DISTURBARE” IL SISTEMA MAFIA-POLITICA-AFFARI. E ovviamente, creando un clima di delegittimazione e isolamento intorno ai magistrati scomodi e di indebita interferenza sulle inchieste e sui processi in corso.


La “minaccia” rappresentata dalle 8 proposte di legge radicali rimane, e il tentativo continuerà perché queste leggi, dai tempi della “trattativa” Stato-mafia ad oggi, sono uno dei punti fissi nei desiderata del potere. E se adesso la strategia comunicativa cambierà, non più “tutti uniti appassionatamente”, ma ciascun soggetto (un condannato, un indagato con l’aggravante mafiosa, un soggetto con misure di prevenzione in corso) che racconta vittimisticamente e con menzogne la sua storia, la finalità è sempre la stessa.
Proprio per questo, in un momento cruciale di cambiamento politico, invitiamo tutti i cittadini a vigilare. Il volano dell’indignazione dell’opinione pubblica deve rivolgersi contro un sistema di potere e di collusioni, contro mafiosi e corrotti, con la richiesta di nuove ed efficaci leggi all’altezza della realtà, e non dev’essere distolto dai soliti professionisti goebbelsiani della manipolazione dell’opinione pubblica verso soggetti che tutto sono fuorché “vittime”!
Da Noi sosteniamo 
Angelo Niceta


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Cuffaro e Miccichè sono la prova del fatto che la mafia si è impossessata delle istituzioni con il bene placito dei politici corrotti che, pur di mantenere il loro potere all'infinito, accettano di prostrarsi alla mafia. Chi entra a far parte delle organizzazioni malavitose ha l'obbligo di difenderne i componenti. E in quella frase: "Cuffaro ha pagato per tutti" è racchiuso il motivo del sostegno morale che Miccichè presta all'amico.

venerdì 2 gennaio 2015

Tra arresti, indagini e voti scomparsi l’annus horribilis di Forza Italia. - Giuseppe Pipitone

Tra arresti, indagini e voti scomparsi  l’annus horribilis di Forza Italia

L’arresto per traffico d’armi dell’ex deputato Romagnoli, la condanna definitiva del fondatore Dell’Utri, catturato in Libano, la decadenza da parlamentare e cavaliere del leader Berlusconi: un anno nero per i principali esponenti forzisti. E nel frattempo le manifestazioni del partito azzurro falliscono miseramente anche in Sicilia, l’isola simbolo del successo berlusconiano lungo vent’anni.

L’ultima istantanea è del 6 dicembre scorso, a Palermo, al cinema Arlecchino. Sala semivuota, Gianfranco Miccichè che arringa una platea composta da qualche simpatizzante, un paio di giornalisti e decine di sedie vuote. Passano pochi giorni e a Podgorica, in Montenegro, finisce in manette Massimo Romagnoli, ex deputato di Forza Italia: è accusato di traffico d’armi a favore delle Farc, le Forze armate rivoluzionarie colombiane. Romagnoli è stato eletto deputato nel 2006 nella circoscrizione estero ma è nato a Capo d’Orlando, in Sicilia, l’isola del tesoro per Forza Italia fin dal 1994, anno in cui, secondo i pm che indagano sulla Trattativa Stato mafia, Marcello Dell’Utri sigla il nuovo patto con Cosa Nostra: da quel momento la mafia va a votare in massa per il partito di Silvio Berlusconi, al governo per undici degli ultimi vent’anni.
Oggi, due decenni dopo, lì dove tutto era cominciato, dove Forza Italia nasceva ed in pochi mesi arrivava a conquistare la guida del Paese, in quell’isola diventata simbolo dello strapotere berlusconiano col 61 a 0 del 2001, sembra che del partito creato da Dell’Utri sia rimasto ben poco. Perfino l’epitaffio lo regala un forzista di ferro. “Più che una manifestazione di partito sembrava una riunione di condominio: Sinceramente ho provato un po’ di vergogna” diceva sconsolato il deputato regionale Vincenzo Milazzo dopo la convention del dicembre scorso. Di Forza Italia insomma non restano che i cocci: lontani i fasti degli anni ’90, con le manifestazioni variopinte affollate da migliaia di persone che intonavano l’ormai storico inno di partito. Sono ridotte in bianco e nero le sfavillanti immagini del 2001 con gli azzurri guidati sempre da Miccichè capaci di conquistare tutti i 61 seggi siciliani alle elezioni politiche. In archivio è finito persino il colpo realizzato nel febbraio del 2013 con il premio di maggioranza al Senato incassato in Sicilia dal Pdl. Nel 2014 la parabola di Forza Italia è definitivamente precipitata. Una caduta che ha avuto il suo epicentro in Sicilia, ed è parallela alle vicissitudini giudiziarie dei suoi principali leader: come se l’elettorato fosse evaporato via via che gli esponenti principali finivano in manette, condannati in via definitiva o in carcere.

Decaduto da parlamentare e cavaliere il leader storico, l’ex premier Berlusconi, condannato in via definitiva per frode fiscale dopo vent’anni di prescrizioni e assoluzioni, costretto all’umiliante affidamento ai servizi sociali. Rinchiuso nel carcere di Parma, dopo una latitanza fallita in Libano, l’ideatore del partito, quel Marcello Dell’Utri partito da Palermo per conquistare Milano, e quindi riconosciuto, secondo la sentenza definitiva che nel maggio scorso lo ha condannato a sette anni di detenzione per concorso esterno, come l’uomo cerniera tra Cosa Nostra e Berlusconi. Ma non sono soltanto i due principali volti di Forza Italia ad essere stati colpiti da una condanna. Anche per Franco Mineo il 2014 è stato un anno terribile: leader storico degli azzurri a Palermo, fedelissimo di Miccichè, poi passato con lui in Grande Sud, Mineo si è visto infliggere dal tribunale una condanna a 8 anni e due mesi di carcere: tre anni e due mesi di pena arrivano per peculato, perché avrebbe usato indebitamente un’auto del comune, cinque anni, invece, arrivano per intestazione fittizia aggravata dall’avere favorito Cosa nostra, per i giudici è il prestanome del boss Angelo Galatolo. Condannato in appello finisce anche Alberto Acierno, ex deputato nazionale e regionale di Forza Italia, accusato di essersi appropriato di circa 150 mila euro della Fondazione Federico II, che il 10 dicembre del 2014 si vede infliggere una condanna a sei anni e sei mesi per peculato. Libero e fuori dalle indagini giudiziarie è rimasto soltanto Miccichè, che è tornato stabilmente nell’ovile berlusconiano. Solo che nel frattempo quell’ovile si è svuotato: tra indagati, detenuti e condannati, a cantare “meno male che Silvio c’è” non è rimasto quasi più nessuno. Solo Micciché appunto, ultimo generale di un esercito a corto di soldati e di voti, che dai fasti del 61 a zero è riuscito persino a farsi soffiare il seggio da europarlamentare alle ultime elezioni di maggio dal sardo Salvatore Cicu. Che manco a dirlo è finito anche lui indagato nel 2014: per la guardia di finanza sarebbe socio occulto del clan camorristico dei casalesi nella Turicost, società proprietaria dell’hotel S’incantu di Vissasimius, in Sardegna. Soltanto l’ultimo dei forzisti finiti al centro di un’inchiesta mentre il partito da un milione di posti di lavoro, che nel 1994 raccoglieva percentuali d’acciaio, si sta sciogliendo come neve al sole.

giovedì 25 ottobre 2012

Elezioni in Sicilia: i voti della mafia. - Giorgio Bongiovanni


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Durante i miei incontri a Palermo con “persone informate dei fatti” ho raccolto notizie interessanti. Una di queste che in onore di Buscetta chiamerò Tommaso mi ha spiegato alcuni concetti che condivido anche perché rispondono alla logica.
Il tema sono le prossime elezioni regionali e in particolare la candidatura di Gianfranco Micciché che – mi dice Tommaso – va considerato a tutti gli effetti il candidato di Cosa Nostra.
Notoriamente figlioccio di Dell’Utri, longa manus di Berlusconi nel cappotto del 61 a 0 del 2001 oggi si presenta come un candidato forte e indipendente. Indipendente persino dai suoi “padrini”.
Sarebbe – mi dice sempre Tommaso – una strategia ben precisa. Fingere di allontanarsi dagli ormai consumati Berlusconi e Dell’Utri che tanto hanno deluso la Sicilia per cercare di conquistare i moderati che non voterebbero mai a sinistra. Allontanarsi, s’intende, solo politicamente perché le attestazioni di stima non sono mai venute meno: “All’uomo e al professionista Dell’Utri devo tutto, ma politicamente no”, “Berlusconi è una persona molto generosa. Ha aiutato anche me una volta” ha dichiarato il delfino ribelle al Fatto Quotidiano. Segnali in perfetto stile mafioso, “chi ha orecchie per intendere intenda”.
E poi c’è Cosa Nostra, nonostante le gravi perdite subìte controlla ancora un considerevole numero di voti che si aggira attorno ai 150.000. E’ per loro l’ultima sortita di Micciché sull’aeroporto Falcone e Borsellino.
berlusconi-micciche-bigUn bel messaggio chiaro ai mafiosi che sanno intenderlo. E 150.000 voti di vantaggio su di un candidato forte come Claudio Fava non sono pochi.
Per le amicizie che ha, il signor Micciché dovrebbe sciacquarsi la bocca con l’acido solforico prima di pronunciare il nome di Falcone e Borsellino.
A me, siciliano, non solo non fanno pensare alla mafia quei nomi scritti enormi che vedi appena arrivi a Punta Raisi, ma mi riempiono di orgoglio e di emozione.
Sono loro la vera Sicilia, i padri della nostra patria, il meglio prodotto dalla nostra terra esattamente l’opposto di Micciché e dei suoi sodali, il peggio possibile, il cancro metastatico che infanga il buon nome di tutti noi siciliani.
Persone oneste, persone per bene, siciliani veri, non votate per Micciché, date i vostri voti a chi ne rappresenta l’antitesi assoluta, scegliete Claudio Fava.

mercoledì 19 settembre 2012

Raffaele Lombardo candida il figlio Toti: sarà lui il nuovo trota?

toti lombardo figlio raffaele

Un “trota” anche in SiciliaRaffaele Lombardo infatti ha deciso di lasciare un erede in politica. Si tratta del figlio Toti, studente universitario di 23 anni, che sarà candidato alle prossime elezioni regionali con la lista dell’'MpaToti Lombardo sostiene il candidato presidente Micciché e ha scelto lo slogan “Liberi di crederci”. Non è la prima volta che Raffaele Lombardo prova ad immettere in politica persone della sua famiglia. Basti pensare, ad esempio, che anche il fratello Angelo si è candidato alle elezioni per la Camera dei Deputati e contemporaneamente a quelle per la Regione Sicilia.

http://www.politica24.it/articolo/raffaele-lombardo-candida-il-figlio-toti-sara-lui-il-nuovo-trota/24731/

Lombardo padre candida il figlio Toti con la lista di Miccichè...che ha ammesso di essersi fatto di droghe pesanti...
Che dire.... hanno la faccia come il bronzo!



martedì 18 settembre 2012

Micciché: "Falcone e Borsellino? Sbagliato intitolare a loro l'aeroporto"


Micciché: "Falcone e Borsellino? Sbagliato intitolare a loro l'aeroporto"

Lo Strafatto Gianfranco Miccichè


Il candidato alla presidenza della Regione insiste: "Io l'avrei intestato ad Archimede o qualche figura che non ricorda la mafia".

Lo aveva già detto in occasione dell'intitolazione, adesso Gianfranco Micciché ribadisce il concetto che il nome dei due eroi palermitani per eccellenza, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, non doveva essere legato all'aeroporto di Palermo per il retaggio sulle stragi di mafia.  

"Continuo ad essere convinto che intitolare l'aeroporto di Palermo a Falcone e Borsellino, significa che ci si ricorda della mafia"- ha detto il candidato alla presidenza della Regione in un'intervista televisiva a Sky Tg 24 - L'aeroporto di Palermo lo intitolerei ad Archimede o ad altre figure della scienza, figure positive".