L’arresto per traffico d’armi dell’ex deputato Romagnoli, la condanna definitiva del fondatore Dell’Utri, catturato in Libano, la decadenza da parlamentare e cavaliere del leader Berlusconi: un anno nero per i principali esponenti forzisti. E nel frattempo le manifestazioni del partito azzurro falliscono miseramente anche in Sicilia, l’isola simbolo del successo berlusconiano lungo vent’anni.
L’ultima istantanea è del 6 dicembre scorso, a Palermo, al cinema Arlecchino. Sala semivuota, Gianfranco Miccichè che arringa una platea composta da qualche simpatizzante, un paio di giornalisti e decine di sedie vuote. Passano pochi giorni e a Podgorica, in Montenegro, finisce in manette Massimo Romagnoli, ex deputato di Forza Italia: è accusato di traffico d’armi a favore delle Farc, le Forze armate rivoluzionarie colombiane. Romagnoli è stato eletto deputato nel 2006 nella circoscrizione estero ma è nato a Capo d’Orlando, in Sicilia, l’isola del tesoro per Forza Italia fin dal 1994, anno in cui, secondo i pm che indagano sulla Trattativa Stato mafia, Marcello Dell’Utri sigla il nuovo patto con Cosa Nostra: da quel momento la mafia va a votare in massa per il partito di Silvio Berlusconi, al governo per undici degli ultimi vent’anni.
Oggi, due decenni dopo, lì dove tutto era cominciato, dove Forza Italia nasceva ed in pochi mesi arrivava a conquistare la guida del Paese, in quell’isola diventata simbolo dello strapotere berlusconiano col 61 a 0 del 2001, sembra che del partito creato da Dell’Utri sia rimasto ben poco. Perfino l’epitaffio lo regala un forzista di ferro. “Più che una manifestazione di partito sembrava una riunione di condominio: Sinceramente ho provato un po’ di vergogna” diceva sconsolato il deputato regionale Vincenzo Milazzo dopo la convention del dicembre scorso. Di Forza Italia insomma non restano che i cocci: lontani i fasti degli anni ’90, con le manifestazioni variopinte affollate da migliaia di persone che intonavano l’ormai storico inno di partito. Sono ridotte in bianco e nero le sfavillanti immagini del 2001 con gli azzurri guidati sempre da Miccichè capaci di conquistare tutti i 61 seggi siciliani alle elezioni politiche. In archivio è finito persino il colpo realizzato nel febbraio del 2013 con il premio di maggioranza al Senato incassato in Sicilia dal Pdl. Nel 2014 la parabola di Forza Italia è definitivamente precipitata. Una caduta che ha avuto il suo epicentro in Sicilia, ed è parallela alle vicissitudini giudiziarie dei suoi principali leader: come se l’elettorato fosse evaporato via via che gli esponenti principali finivano in manette, condannati in via definitiva o in carcere.
Decaduto da parlamentare e cavaliere il leader storico, l’ex premier Berlusconi, condannato in via definitiva per frode fiscale dopo vent’anni di prescrizioni e assoluzioni, costretto all’umiliante affidamento ai servizi sociali. Rinchiuso nel carcere di Parma, dopo una latitanza fallita in Libano, l’ideatore del partito, quel Marcello Dell’Utri partito da Palermo per conquistare Milano, e quindi riconosciuto, secondo la sentenza definitiva che nel maggio scorso lo ha condannato a sette anni di detenzione per concorso esterno, come l’uomo cerniera tra Cosa Nostra e Berlusconi. Ma non sono soltanto i due principali volti di Forza Italia ad essere stati colpiti da una condanna. Anche per Franco Mineo il 2014 è stato un anno terribile: leader storico degli azzurri a Palermo, fedelissimo di Miccichè, poi passato con lui in Grande Sud, Mineo si è visto infliggere dal tribunale una condanna a 8 anni e due mesi di carcere: tre anni e due mesi di pena arrivano per peculato, perché avrebbe usato indebitamente un’auto del comune, cinque anni, invece, arrivano per intestazione fittizia aggravata dall’avere favorito Cosa nostra, per i giudici è il prestanome del boss Angelo Galatolo. Condannato in appello finisce anche Alberto Acierno, ex deputato nazionale e regionale di Forza Italia, accusato di essersi appropriato di circa 150 mila euro della Fondazione Federico II, che il 10 dicembre del 2014 si vede infliggere una condanna a sei anni e sei mesi per peculato. Libero e fuori dalle indagini giudiziarie è rimasto soltanto Miccichè, che è tornato stabilmente nell’ovile berlusconiano. Solo che nel frattempo quell’ovile si è svuotato: tra indagati, detenuti e condannati, a cantare “meno male che Silvio c’è” non è rimasto quasi più nessuno. Solo Micciché appunto, ultimo generale di un esercito a corto di soldati e di voti, che dai fasti del 61 a zero è riuscito persino a farsi soffiare il seggio da europarlamentare alle ultime elezioni di maggio dal sardo Salvatore Cicu. Che manco a dirlo è finito anche lui indagato nel 2014: per la guardia di finanza sarebbe socio occulto del clan camorristico dei casalesi nella Turicost, società proprietaria dell’hotel S’incantu di Vissasimius, in Sardegna. Soltanto l’ultimo dei forzisti finiti al centro di un’inchiesta mentre il partito da un milione di posti di lavoro, che nel 1994 raccoglieva percentuali d’acciaio, si sta sciogliendo come neve al sole.
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