I nove anni di Re Giorgio presentati come un sacrificio. Dimenticando un incarico tra comodità e privilegi.
Roma - È vero che nessuno dovrebbe essere costretto a lavorare alla soglia dei 90 anni, ma Giorgio Napolitano al Quirinale non è esattamente paragonabile a un operaio «condannato» a lavorare in fabbrica a vita.
Il capo dello Stato «stanco» si prepara a dare le dimissioni seguendo le orme di Ratzinger dall'altro lato del Tevere, ma per quanto sia comprensibile il suo desiderio di ritirarsi a vita privata, di certo la sua lunga permanenza al Colle non è stata proprio una pena da scontare alla Cayenna. Dalla sua elezione a maggio 2006 fino a oggi, Re Giorgio - sottratto alla dura legge del consenso a cui non sfuggono gli altri politici - ha ricevuto e incaricato cinque diversi premier. Romano Prodi, Silvio Berlusconi, Mario Monti, Enrico Letta e Matteo Renzi sono tutti passati a giurare per il Colle. I governi passavano uno dopo l'altro e lui restava al suo posto al Quirinale, punto di riferimento politico, faro del potere. Entrato in politica nel 1953 con la prima elezione a Montecitorio, dopo 62 anni il quasi novantenne presidente della Repubblica è ancora in gioco. Anche se «costretto» finora a rinunciare alla pensione, e con vitalizi e indennità accumulate nella sua lunga carriera sospese «per dare il buon esempio», Napolitano ha comunque potuto contare negli ultimi otto anni su un dignitoso «stipendio» da 239mila euro l'anno, al quale vanno naturalmente aggiunti i benefit retaggio della prima carica dello Stato.
A cominciare da una «casa» di tutto rispetto (il Quirinale, la cui macchina costa alle casse dello Stato 228 milioni di euro l'anno, ossia circa 26mila euro ogni ora) con migliaia di dipendenti, lussuose automobili di rappresentanza e due residenze esterne sempre a sua disposizione. La tenuta presidenziale di Castelporziano - quasi 6mila ettari sul litorale romano - a un tiro di schioppo dal Colle, dove lo scorso 29 giugno il capo dello Stato ha festeggiato «in famiglia» il suo 89esimo compleanno. E - nella sua Napoli - la neoclassica Villa Rosebery, 66mila metri quadri di proprietà affacciati sul mare che bagna l'esclusiva Posillipo. E soprattutto, dopo 60 anni trascorsi in politica, Re Giorgio - undicesimo e dodicesimo presidente - esercita ancora il Potere. E il potere è un elisir antilogoramento, come amava ripetere un altro grande vecchio della politica tricolore, Giulio Andreotti. Per molti, Napolitano quel potere lo ha esercitato anche oltre i confini naturali del suo incarico, ridisegnando di fatto le funzioni del Capo dello Stato. Arbitro delle faccende di Palazzo, più che taglianastri come molti suoi predecessori, regista politico dove altri invece avevano picconato o lanciato «moniti», infine acclamato come salvatore della Patria al momento di accettare il suo secondo incarico dopo la fine del primo settennato, primo caso nella storia della Repubblica. E persino adesso che è al passo d'addio, Napolitano non si limita ai saluti ma detta ancora le priorità dell'agenda politica. È stanco, come è normale che sia guardando la sua carta d'identità. Ma è stanco per sua scelta, non è capo dello Stato in virtù di una condanna definitiva: la sua permanenza al Colle si interromperà quando sarà lui a deciderlo. Il Quirinale non è Sant'Elena. E Re Giorgio, a differenza di Napoleone, se è prigioniero lo è solo di se stesso.
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