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mercoledì 2 febbraio 2022

Economia, altro che boom: cresce solo il lavoro precario. - Alessandro Bonetti e Roberto Rotunno

 

COSA DICONO I DATI SULLA RIPRESA - La grande stampa e il governo in estasi per il +6,5% del Pil nel 2021, ma resta sotto i livelli pre-Covid (e pre-2008). I tre quarti dei nuovi posti sono a tempo e i salari restano fermi.

“Scatto del Pil”, “crescita ai massimi”, “incremento mai così alto dal 1976”. A leggere i giornali, sembra che l’Italia stia vivendo un nuovo boom economico. Guardando i dati completi però – e soprattutto mettendoli in prospettiva – la situazione che emerge non è poi così rosea.

Partiamo dalla crescita economica. Secondo la stima preliminare rilasciata dall’Istat il 31 gennaio, nel 2021 il Pil è aumentato del 6,5% rispetto al 2020. La grande stampa, che vede la vie en rose, e diversi ministri non hanno trattenuto la propria “grande soddisfazione”. Un tasso di crescita così alto non lo si vedeva dagli anni Settanta. Un leitmotiv lanciato durante la conferenza stampa dell’Istat da Giovanni Savio (direttore centrale della contabilità nazionale) e subito finito sui titoli del Sole 24 Ore, del Corriere della Sera, della Stampa e di Repubblica. Ma concentrarsi solo sui tassi di crescita restituisce una prospettiva distorta. Per avere un punto di vista più equilibrato, basti pensare che era dalla Seconda guerra mondiale che non si vedeva una recessione come quella del 2020, come d’altronde ha puntualizzato lo stesso Savio. È l’altra faccia della medaglia, che però molti commentatori non considerano più di tanto. La crescita del Pil del 6,5% nel 2021, più che un vero “balzo”, è un rimbalzo. Infatti, nel 2020 l’economia italiana si era contratta del 9% ed è naturale che poi (con l’alleggerimento delle misure restrittive, la piena attivazione degli stabilizzatori automatici e la doverosa spesa pubblica anticiclica, cioè i sostegni) si sia ritornati a una maggiore attività. In altre parole, con la crisi siamo precipitati giù da una ripida montagna, e ora stiamo semplicemente risalendo la china.

Per rimettere le cose in prospettiva, basta un semplice esercizio. Prendiamo i dati trimestrali dell’Istat e completiamoli con una delle altre stime appena divulgate: +0,6% di crescita reale fra terzo e quarto trimestre 2021. Quello che si ottiene è il grafico a destra, in cui si osserva che non abbiamo ancora recuperato il Pil pre-Covid del 2019. Da parte sua, il governo si è posto l’obiettivo di “conseguire nel 2022 una crescita del Pil superiore al 4%”, come si legge in una nota del ministero dell’Economia (a bilancio la previsione è del 4,7%). Se l’Ocse nel suo ultimo Outlook ha addirittura stimato una crescita del 4,6% per il 2022, non sono dello stesso parere Banca d’Italia e Fondo Monetario Internazionale, le cui stime si fermano entrambe al 3,8%. Con questa ulteriore crescita il Pil finalmente recupererebbe il livello pre-pandemia, ma resterebbe comunque sotto la media della zona euro. È evidente che, in una situazione del genere, non basta tornare semplicemente a dove il Covid ci aveva colti di sorpresa. Vale la pena ricordare che prima della pandemia non avevamo ancora recuperato i livelli di attività economica precedenti alla crisi del 2008. I soldi del Pnrr continuano a essere invocati come una panacea, ma non basteranno a sanare le debolezze dell’economia italiana.

Anche dal lato dell’occupazione, i dati mostrano che dietro quella che appare come una crescita si nasconde in realtà un semplice recupero, molto parziale, del tonfo vissuto nel 2020. Tra l’altro, con una dose di precarietà ben più marcata di quella vista prima della pandemia. Un numero su tutti: a dicembre 2021 il totale di persone occupate in Italia risulta ancora inferiore di 286 mila unità rispetto a febbraio 2020, mese in cui il virus ha fatto irruzione. Ma è soprattutto se si guarda alla qualità delle nuove assunzioni che viene fuori tutta la debolezza di questa ripresa. Sempre nell’ultimo mese del 2021, i dipendenti a termine hanno raggiunto tre milioni e 77 mila unità. Siamo a un passo dal record storico di tre milioni e 97 mila ottenuto a maggio 2018, prima dell’arrivo del decreto Dignità (governo gialloverde). Nell’ultimo trimestre dell’anno appena trascorso, gli unici rapporti che mostrano un saldo positivo – più 92 mila – sono i precari mentre gli indeterminati sono scesi di 17 mila unità. Ma è una dinamica che riguarda tutto il 2021: su base annuale, tra dicembre 2020 e dicembre 2021 i posti di lavoro subordinati sono saliti di 590 mila unità, e di questi ben 434 mila – il 73,6% – sono a termine. Negli ultimi tempi la Confindustria ha spesso reclamato l’aiuto del governo sostenendo, a parole, di voler creare buona occupazione; questa volontà sembra finora essere stata trattenuta da una scarsa fiducia che le stesse imprese nutrono verso le prospettive di crescita o dalla volontà di comprimere i costi. Almeno per il momento, stanno arruolando per tre quarti con contratti a scadenza e part time per oltre un terzo del totale.

Questa tipologia riguarda soprattutto le donne. Lo dice il Gender Policies Report diffuso poche settimane fa dall’Inapp: nel primo semestre 2021 sono stati attivati oltre 3,3 milioni di rapporti di lavoro, e di questi quasi 1,2 milioni sono a tempo parziale. L’incidenza arriva al 65% nel comparto Pubblica amministrazione, scuola e sanità, al 55% nelle attività immobiliari e al 42,6% nel settore commercio e turismo. Addirittura il 49,6% di donne assunte si è dovuto accontentare di contratti di poche ore. Si tratta di un dato generale sull’Italia nel quale, come sempre, si annida una situazione molto variegata tra diverse Regioni e tra città e periferia. In Calabria, per esempio, ben il 74,4% di contratti femminili è a tempo parziale. Poco più bassa è la percentuale nelle altre Regioni meridionali. Questa cospicua fetta di contrattini fa sì che il numero di ore lavorate complessive si mantenga costantemente al di sotto dei livelli pre-pandemici. Nel terzo trimestre del 2021 si sono fermate poco sotto i 10,5 miliardi. Nello stesso trimestre del 2019 superavano invece gli 11 miliardi. Rapporti di lavoro precari e fragili producono salari miseri. Il mix tra paghe basse e scarso numero di ore lavorate comprime i guadagni dei lavoratori. Nel 2021 le retribuzioni contrattuali orarie sono salite dello 0,6%, molto meno dell’inflazione. Come ha spiegato l’Istat, “alla luce della dinamica dei prezzi al consumo – in forte accelerazione nella seconda metà dell’anno e pari a circa tre volte quella retributiva – si registra anche una riduzione del potere d’acquisto”.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2022/02/02/economia-altro-che-boom-cresce-solo-il-lavoro-precario/6477321/

mercoledì 22 settembre 2021

Covid: Dia, cresce il tentativo delle mafie di infiltrarsi nell'economia.

 

'Le organizzazioni puntano a rilevare imprese e fondi pubblici. Meno violenza e più sinergia con i colletti bianchi'.

Con il prolungamento dell'emergenza dovuta al Covid, "la tendenza ad infiltrare in modo capillare il tessuto economico e sociale sano" da parte delle organizzazioni criminali "si sarebbe ulteriormente evidenziata". E' quanto afferma la Relazione della Dia al Parlamento relativa al II semestre del 2020 sottolineando che si tratta da parte delle mafie di una "strategia criminale che, in un periodo di grave crisi, offrirebbe alle organizzazioni l'occasione sia di poter rilevare a buon mercato imprese in difficoltà, sia di accaparrarsi le risorse pubbliche stanziate per fronteggiare l'emergenza sanitaria". 

La criminalità organizzata cambia sempre più faccia: Cosa Nostra, Camorra, 'Ndrangheta lavorano costantemente per ampliare le proprie capacità di relazione e sempre più in sinergia con i colletti bianchi, "sostituendo l'uso della violenza, sempre più residuale, con linee d'azione di silente infiltrazione".

L'analisi di come si stanno evolvendo le organizzazioni criminali è contenuta nella Relazione della Direzione investigativa antimafia.

I clan di Cosa Nostra, non riuscendo a ricostruire la Cupola cui spettava il compito di definire le questioni più delicate, hanno adottato "un coordinamento basato sulla condivisione delle linee di indirizzo e dalla ripartizione delle sfere di influenza tra esponenti di rilievo dei vari mandamenti, anche di province diverse".  Nelle province di Palermo, Trapani e Agrigento Cosa Nostra resta egemone e si registrano ripetuti tentativi di una "significativa rivitalizzazione" dei contatti con le famiglie all'estero: le indagini rivelano come i clan hanno "riaperto le porte ai cosiddetti 'scappati' - dicono gli analisti - o meglio, alle nuove generazioni di coloro i cui padri avevano dovuto trovare rifugio all'estero a seguito della guerra di mafia dei primi anni ottanta".

Nell'area centro-orientale della Sicilia sono invece attive organizzazioni "più fluide e flessibili" che si affiancano ai clan storici. Tra queste, sottolinea la Relazione, "un rilievo particolare è da attribuire alla 'Stidda', un'organizzazione inizialmente nata in contrapposizione a Cosa Nostra ma che oggi tende a ricercare l'accordo con quest'ultima per la spartizione degli affari illeciti".

Le indagini hanno anche evidenziato come alcune di queste organizzazioni hanno fatto "un salto di qualità" passando da gruppi dediti principalmente ai reati predatori a sodalizi "in grado di infiltrare il tessuto economico-imprenditoriale del nord Italia". Sempre gli stessi i settori d'interesse sui quali si concentrano le attenzioni dei clan: estorsioni, usura, narcotraffico, gestione dello spaccio di droga, infiltrazione nel gioco d'azzardo illecito e del controllo di quello illegale. E continua, anche, l'infiltrazione in quelle aree economiche che beneficiano di contributi pubblici, in particolare nei settori della produzione di energia da fonti rinnovabili, dell'agricoltura e dell'allevamento. Infiltrazioni possibili grazie alla "complicità di politici e funzionari infedeli".

La Dia nell'ultimo semestre del 2020 ha eseguito 726 monitoraggi nei confronti di imprese impegnate in appalti per grandi opere e ha svolto 12.057 accertamenti su persone fisiche.

La 'ndrangheta rimane saldamente leader nel narcotraffico internazionale, ma "non appare più così monolitica ed impermeabile alla collaborazione con la giustizia da parte di affiliati nonché di imprenditori e commercianti, sino a ieri costretti all'omertà per il timore di gravi ritorsioni da parte dell'organizzazione mafiosa". La Relazione segnala la consolidata proiezione dei gruppi affiliati in tutte le regioni italiane, in diversi Paesi europei (Spagna, Francia, Regno Unito, Belgio, Olanda, Germania, Austria, Repubblica Slovacca, Romania e Malta), nonchè in Australia, Stati Uniti e Canada. Sottolineato anche il frequente coinvolgimento negli affari illeciti di donne e di minori.

"La spregiudicata avidità della 'ndrangheta non esita a sfruttare il reddito di cittadinanza nonostante la crisi economica che grava anche sul contesto sociale calabrese e benché l'organizzazione disponga di ingenti risorse finanziarie illecitamente accumulate". Il riferimento è una serie di inchieste che hanno visto diversi personaggi affiliati o contigui ai clan calabresi quali indebiti percettori del reddito di cittadinanza: coinvolti, in particolare, uomini delle famiglie Accorinti, Mannolo, Pesce, Bellocco. Nell'ambito dell'operazione Tantalo, ad esmepio, i Carabinieri hanno deferito all'autorità giudiziaria di Locri 135 percettori irregolari di buoni spesa Covid, alcuni dei quali legati per vincoli di parentela e/o affinità a sodalizi del luogo e, circa la metà, residenti a San Luca.

ANSA

lunedì 28 giugno 2021

Valute, tutte le incognite dietro la diversificazione in dollari. - Andrea Gennai

 

Le grandi banche d’affari vedono un dollaro tonico solo nel breve. Il biglietto verde potrà apprezzarsi con stabilità solo se la Fed anticiperà il rialzo tassi o se peggiorerà il sentiment per l’azionario.

Il rimbalzo del dollaro partito la scorsa settimana dopo la parole vigili della Fed sull’inflazione hanno riportato al centro dell’attenzione il tema della diversificazione valutaria. Almeno nell’ultimo anno siamo reduci da una fase di rafforzamento dell’euro a partire dalle due principali divise (biglietto verde e yen) e questo ha reso più complicato la diversificazione valutaria.

È giunto il momento di scommettere su un indebolimento della divisa unica e quindi sulla possibilità di guadagnare puntando sulle altre divise? Gli addetti ai lavori sono divisi e non è un novità essendo il mercato della valute (forex) quello più liquido al mondo ed esposto a molteplici variabili.

La diversificazione valutaria è necessaria ma, secondo gli esperti interpellati da Plus, deve essere marginale in un portafoglio. Dipende dalla propensione al rischio ma in linea di massima per un investitore medio può aggirarsi intorno al 20 per cento.

Cosa può frenare il dollaro.

I destini del dollaro sono in mano alla Fed. «Il dollaro - spiega Matteo Paganini, managing director Europa Pepperstone - si apprezza quando siamo in fase di fuga dal rischio e fino a questo momento tutti i tentativi di discesa dei mercati azionari sono sempre rientrati. Il driver è rappresentato dall’azione delle banche centrali e dall’inflazione. Quando il mercato percepirà un aumento dei prezzi duraturo allora il fattore tassi tornerà alla ribalta e il biglietto verde potrà apprezzarsi stabilmente».

Secondo l’analista «i flussi di capitali sono molto lineari in questa fase. Ne è un riprova lo yen che non si è mosso anche quando l’azionario ha provato a correggere perché, con i tassi a zero ovunque, non erano state montate operazioni con gli yen presi a prestito. Non penso che da qua a fine anno avremo delle indicazioni chiare sui tassi negli Usa e quindi il dollaro potrà apprezzarsi solo se l’inflazione sfuggirà dal controllo».

Una posizione in sintonia con Goldman Sachs, che nonostante i toni più vigili della Fed non vede un apprezzamento stabile del biglietto verde. Secondo la banca d’affari il dollaro nel breve potrà rimbalzare anche nell’ordine di qualche punto percentuale, complice l’effetto dell’ultimo meeting Fed ma a 6 mesi l’euro-dollaro è visto a 1,27 complice una Fed che dovrebbe restare ancora molto accomodante. Anche Morgan Stanley nel breve vede un rimbalzo del dollaro su euro alla luce delle dinamiche del mercato delle opzioni mentre Barclays nel terzo trimestre scommette su un cambio sostanzialmente stabile a 1,18.

Cosa può sostenerlo.

Nel medio e lungo termine a determinare il trend delle valute saranno come sempre i tassi e quindi i rendimenti. Oggi questa variabile è offuscata dai tassi a zero applicati da molte banche centrali. Una volta che il quadro sarà normalizzato i flussi riprenderanno a seguire questi segnali e già si avvertono segnali sul mercato.

«Resta ancora elevata - spiega Luca Mannucci, Head of market strategy di Mps Capital Services - la ricerca di rendimento con i flussi che andranno a privilegiare le valute di quei paesi le cui Banche centrali hanno iniziato a implementare o a ragionare su una normalizzazione delle politiche monetarie ultra-accomodanti (il cosiddetto tapering) ovvero ad alzare in maniera decisa i tassi di interesse.

Tra le banche centrali occidentali la BoC (Canada) ha iniziato a rallentare il ritmo degli acquisti, la banca centrale norvegese ha aperto le porte ad un rialzo (forse già a settembre) e alcuni paesi emergenti come Brasile e Russia hanno iniziato a marzo un lungo ciclo di rialzo dei tassi. La Fed è nelle fasi iniziali di questo processo».

Potrebbe ripetersi, mutatis mutandis, uno scenario simile a quanto visto nel 2013 anno del “taper tantrum”. A dicembre 2013 la Fed annunciò il tapering che partì il mese successivo e durò circa un paio di anni prima di procedere al primo rialzo dei tassi a dicembre 2015. Questa volta potrebbe essere un percorso simile. «A sfavore del dollaro - continua Mannucci - c’è il tema dei deficit gemelli, che tuttavia dovrebbe rimanere limitato almeno fino a quando sarà controbilanciato dai flussi di investimento.

Il mercato dei futures sconta per i tassi euribor a 3 mesi un rialzo di 25 punti per dicembre 2023 mentre nel caso dell’America sconta un rialzo a dicembre 2022 e almeno altri due nel 2023. «In questo scenario - conclude Mannucci - ha senso diversificare verso la valute dove è partito un percorso di normalizzazione della politica monetaria e non mi sorprenderebbe che i flussi possano progressivamente premiare il dollaro. Per questo ci aspettiamo un ribasso, sebbene limitato, del cambio eurodollaro. Abbiamo 1,16 come target per euro dollaro entro settembre».

Tra le valute più importanti c’è lo yen, che fino a oggi è rimasto molto indietro nei confronti dell’euro ma anche del dollaro. Anche in questo caso il differenziale di tassi non promette molto per l’investitore del Vecchio Continente. C’è infine la sterlina, che si è apprezzata molto negli ultimi mesi per la rapida campagna vaccinale di inizio anno, ma questo è già in buona parte scontato dal mercato.

IlSole24Ore

giovedì 27 maggio 2021

Massimo ribasso, minima sicurezza: sai che impresa… - Antonio Padellaro

 

Nel leggere l’accusa per gli arresti di Stresa – avere manomesso i freni d’emergenza per non bloccare l’impianto, e avere dunque provocato la tragedia del Mottarone – insieme al disgusto mi è venuta in mente questa frase: l’Italia del massimo ribasso. Procedura che probabilmente non c’entra nulla con la criminale decisione d’inserire sulla funivia il letale “forchettone” (termine molto italiano), ma che molto invece ha a che fare con quella cultura, diciamo così, d’impresa, che pur di aggiudicarsi un appalto – o di garantirsi gli incassi di giornata – non bada a spese. Nel senso che riduce i costi all’inverosimile, comprimendo i salari e favorendo il lavoro in nero.

Ma è soprattutto sulla minima sicurezza che si rivale il massimo ribasso, come dimostrano i numeri assurdi degli infortuni sul lavoro: 554.340 denunciati all’Inail nel 2020, leggermente in calo nell’anno della pandemia, ma con 1.270 morti, più 16,6% rispetto al 2019. Senza contare il problema delle infiltrazioni mafiose che nella deregulation trovano sempre un terreno più che fertile. Principio quello di risparmiare su tutto il risparmiabile sul quale si preferisce non sottilizzare troppo nel momento in cui l’Italia riprende a camminare. Infatti, se qualcuno prova a obiettare che la giusta necessità di accelerare il processo produttivo, evitando le lungaggini burocratiche, non può avvenire a discapito dell’incolumità dei dipendenti e degli utenti, apriti cielo. Nel migliore dei casi le osservazioni prudenziali sulla indispensabile incolumità delle persone saranno catalogate come “ideologiche” (ovvero stataliste e dunque anti-industriali). Come se chiedendo verifiche più rigorose avessi parlato male di Garibaldi.

Speriamo che dopo le aspre critiche di sindacati, Pd e sinistra sulla bozza del decreto Semplificazioni – con costi abbattuti in eccesso, subappalti a volontà e controlli affidati ai controllati – non si debba un giorno parlare del governo Draghi come del governo del massimo ribasso. E che l’auspicata ripresa non debba mai più consentire che le vite umane siano giocate sulla ruota della fortuna. Fino a quando succede che un cavo si spezza.

IlFQ

mercoledì 14 aprile 2021

CCF, un’idea geniale per eludere le regole europee e riprenderci la politica fiscale. - Megas Alexandros

 

Lettera aperta al gruppo della proposta “Campagna di Salvezza Economica dell’Italia”.

di Megas Alexandros

Studio economia, in maniera seria, da oltre dieci anni, fin da quando mi capito’ per le mani il libro di Warren Mosler, “The 7 Deadly Innocent Frauds of Economic Policy“.

Certo, di economia ero forzato ad occuparmene anche in giovane eta’, quando ero costretto a leggere testi incomprensibili e noiosi per superare gli esami universitari.

Due temi stuzzicavano la mia fantasia: il debito pubblico e l’inflazione; pur non approfondendoli, i miei sensi non avvertivano tutta quella paura che gli economisti autori dei testi cercavano di incutermi.

L’uomo per natura non prevede e preferisce non occuparsi del futuro quando il presente e’ radioso, per questo le paure mi scivolavano addosso, fino a quando un giorno, molti anni dopo, riflettei sul fatto che la mia generazione, pur lavorando duramente non riusciva neanche lontanemente a fare tutte quelle cose che avevano fatto i nostri padri.

Lessi il libro di quello che oggi e’ diventato il mio maestro e capii che avevo ragione a non temere queste due entita’ mitologiche (il debito pubblico e l’inflazione), ma quello che avrei dovuto temere era: “l’ignoranza degli uomini che credono di sapere“.

Alcuni mesi fa mi viene chiesto, dal mio ex-editor, di far parte di un gruppo di economisti ed esperti in materia, per sviluppare una proposta da sottoporre al governo italiano con al centro lo strumento dei “tax-credit” (Certificati di Compensazione Fiscale – CCF).

Leggo due proposte gia’ esistenti, entrambe frutto dell’ottimo lavoro dell’economista Marco Cattaneo, le giudico positive come base di partenza ma principalmente, da esperto in moneta moderna fiat, credo nello strumento, perche’ e’ bene essere chiari fin da subito: la moneta moderna fiat per definizione e’ un tax-credit.

Quindi i certificati di compensazione fiscale sono soldi, soldi veri ma sopratutto sono creati dal nulla e non presi in prestito dai mercati finanziari, come è costretto il nostro paese a dover fare dalla sua entrata nell’euro.

In fin dei conti, cosa sono i cinquanta euro che avete in tasca? Sono soldi che lo Stato vi ha fatto arrivare tramite la spesa pubblica, in attesa che un giorno lo Stato stesso ve li ritiri indietro, tutti od in parte, a fronte di un pagamento di tasse.

Compreso, che emettere un credito fiscale equivale a fare spesa pubblica e quindi a creare spazio fiscale.

Se riuscissimo a dotare il nostro governo di tale strumento, avremmo di colpo risolto una delle principali lacune che i nostri governanti devono affrontare da quando abbiamo deciso di privarci di una moneta che emettiamo e controlliamo, ossia la possibilita’ di fare politica fiscale.

Ma, direte voi, se emettere un credito fiscale equivale a stampare moneta, in Europa ci fermeranno all’istante, appellandosi a tutti i trattati possibili. Ed avete ragione, basti pensare alle parole immediate di Mario Draghi (allora capo della BCE), che seguirono la proposta di Claudio Borghi di emettere “minibot” (ovvero, certificati di credito fiscale), per pagare tutti i debiti che la pubblica amministrazione aveva con il settore privato: «O sono una moneta illegale oppure fanno aumentare il debito pubblico (1)»

Aveva ragione il nostro attuale Presidente del Consiglio, che dimostrando una perfetta conoscenza della Modern Monetary Theory, equiparava l’emissione dei CCF all’emissione monetaria, cosa, naturalmente super-vietata all’interno dei trattati firmati dai paesi membri.

Ma, aver ragione nel far rispettare i trattati non vuol dire nella maniera piu’ assoluta che stiamo facendo la cosa giusta a livello di verita’ economica. Tant’e’ vero che solo pochi anni dopo, sia le dichiarazioni dello stesso Draghi, che le linee di azione della BCE stanno andando nella direzione opposta, fregandosene dei trattati.

Oggi, vuoi per le forze dell’economia che non hanno padroni, vuoi per l’avvento della pandemia, la BCE sta facendo tutto quello che per anni ci ha detto era sbagliato fare: dal finanziamento diretto agli Stati, alla chiusura degli spread fino a consentire livelli di deficit ben oltre il famoso ed ingiustificato limite del 3% sul PIL.

Anche se molti di voi non ve ne siete accorti, lo strumento dei crediti fiscali e’ gia’ presente nel nostro Paese, mi rifierisco al famoso bonus del 110% sulle ristrutturazioni edilizie. Oggi, e’ consentito ristrutturare completamente le nostre abitazioni ed i nostri condomini tramite crediti fiscali che lo Stato ritirera’ sulle tasse da pagare nei prossimi cinque anni; ed utilizzando un meccanismo di cessione di tali crediti al settore bancario, possiamo facilmente affermare che, in pratica, ti ritrovi con la tua casa completamente nuova senza tirare fuori neppure un euro dalle tue tasche.

Pare anche, come logica economica vuole –  ed in base ai recenti dati del Ministero – , che lo strumento stia dando buoni risultati sia dal punto di vista della crescita economica che per quanto riguarda un ritorno positivo per le casse dello Stato.

Partendo dai disegni di legge depositati in Parlamento e con la collaborazione di Marco Cattaneo, che come sopra citato, ha contribuito alla loro stesura, ci siamo posti l’obiettivo di implementare tale proposta ed imporla ai nostri governi a “furor di popolo”.

A dire il vero, l’implementazione non richiedeva migliorie tecniche dello strumento, che gia’ di per se e nella sua semplicita’ e’ ben definito; e vale la pena ancora ripeterlo: trattasi di soldi creati dal nulla da immettere nel settore privato tramite la spesa pubblica.

Dovevamo semplicemente concentrarci, sulla quantita’ e la qualita’ della spesa pubblica, idonea e necessaria ad una ripresa economica vera propria per il nostro paese, per un ritorno ad una qualita’ di vita ed un benessere sinonimi di una “buona economia”, ormai da tempo, sconosciute alle famiglie ed alle imprese italiane.

Tutto questo, tenendo ben presente i due elementi fondamentali da considerare quando un Stato decide di spendere in deficit: l’obiettivo della piena occupazione ed il limite dell’inflazione.

Certo, dopo 30 anni di surplus governativi, una deflazione perenne ed una disoccupazione ai livelli di guerra, con risorse reali altamente inutilizzate; il compito di rispettare gli elementi sopra citati, potrete benissimo convenire con me, che non appare impossibile da realizzare.

Ma ecco, che come spesso accade negli ambienti di lavoro, nei gruppi e nelle squadre, si manifesta improvvisa la figura del “fuoriclasse”, che decide di portare palla pensando di poter vincere la partita da solo.

Pur parlando al singolare (“la figura”), il concetto di questo termine non e’ riferito ad una sola persona, ma ad un insieme di persone e situazioni, che, vuoi per ambizione professionale, vuoi per mancanza di conoscenza sulla materia trattata, vuoi perche’ si arrogano il ruolo di “novello Galileo Galilei”, fanno in modo di far prevalere il loro interesse personale sulla bonta’ del progetto. E spesso, come e’ accaduto nel nostro caso, contribuiscono a trasformare completamente quelli che erano i buoni intenti iniziali.

Intendiamoci, con questo non dico che in un gruppo non debba esserci un confronto, anzi il confronto porta sempre al miglioramento. Ma il confronto presuppone la conoscenza e la professionalita’, anche nel modo di confrontarsi; e naturalmente di fronte alla realta’ delle verita’ economiche, presuppone la “marcia indietro”… e non il “tirare dritto” per la propria strada, con il pilota automatico, verso il muro che si avvicina. Perche’ portando palla, spesso succede che te la prendono e ti infilano un contropiede devastante.

Quando parliamo al mondo delle associazioni ed all’uomo della strada, e’ facile fare presa proprio perche’ e’ difficile per loro cogliere i dettagli; ma in economia i dettagli fanno la differenza e posizionarsi e’ importante, in una materia dove a seconda da quale parte del tavolo ti trovi, puoi essere creditore o debitore.

Ma entriamo nel merito della questione, ed andiamo subito al dunque; quello che incontrovertibilmente ha bisogno l’economia italiana, dopo 30 anni di surplus governativi, e’ fare deficit.

Come ogni cura vuole, se vuoi guarire, devi fare il contrario di quello che hai fatto e, che ti ha portato al disastro. Tanto per ricordarlo, in economia il surplus di un soggetto corrisponde sempre al deficit di un altro soggetto, e nel nostro caso, il surplus del settore governativo corrisponde al deficit del settore privato. In poche parole e per maggiore chiarezza, quando lo Stato fa surplus, significa una sola cosa: che preleva piu’ soldi con le tasse, dalle tasche dei cittadini, di quelli che mette, sempre nelle loro tasche, con la spesa pubblica.

Quindi, e’ palese che 30 anni consecutivi della situazione sopra descritta, abbiano portato il settore privato e la nostra economia ad una tremenda crisi di liquidita’, la quale ha fortemente compresso i consumi, causando a sua volta fallimenti ed alto tasso di disoccupazione.

In una situazione del genere, non puoi parlare di prestiti al settore privato da parte del mondo bancario, proprio perche’ il mondo bancario, appartenente anch’esso al medesimo settore, opera in modo ciclico rispetto al ciclo dell’economia e risente delle stesse dinamiche negative, quali il forte calo dei consumi e quindi dei fatturati delle aziende che ha finanziato. Fino a subire danni patrimoniali consistenti, derivanti dalle insolvenze conseguenti.

Le banche, lo sanno tutti, non prestano se hanno il sentore che tali prestiti non le verranno restituiti. Ed anche, pur forzate da decisioni dei governi, se tali forzature non fossero accompagnate da politiche fiscali importanti da parte dei governi stessi, si trasformerebbero in inevitabili insolvenze.

Del resto, ed in poche parole, chi finanzierebbe i fatturati di una azienda!

Ma questo e’ quello che e’ avvenuto durante la pandemia, dove le aziende che si sono trovate improvvisamente senza fatturato, sono state indirizzate, per scelte politiche, presso le loro banche a prendere dei prestiti; che seppur garantiti dallo Stato, restano sempre e comunque prestiti che un giorno dovranno essere restituiti.

Fatte queste premesse, potrete ben capire, che l’arrivo nel gruppo di soggetti che apparentemente si dichiarano contrari ad altro debito ma che formalmente vanno diritti per la loro strada, proponendo a fronte, di un supposto intervento nell’economia di 1.000 miliardi, ben 800 miliardi di debiti e solo 200 miliardi di spesa pubblica non a debito…. beehh, lascio a voi immaginare cosa tutto questo ha provocato al gruppo ed all’intento su cui si basava il nostro lavoro iniziale, ossia “Campagna di Salvezza Economica dell’Italia”.

Proporre come ricetta, una banca pubblica che presta a tassi agevolati insieme a dei Conti Correnti di Risparmio utilizzabili per finanziare lo Stato e, mi spiego meglio, proporre per risolvere la crisi dei prestiti a tassi agevolati al settore privato e contemporaneamente far finanziare lo Stato dal settore privato stesso, non e’ affatto una ricetta risolutiva e salvifica, anzi, a dirla tutta, non e’ neanche una ricetta nuova.

Ciò ricorda infatti una esperienza vissuta recentemente: una esperienza, come ben sappiamo finita in tragedia. Sto parlando dei primi anni dell’introduzione dell’euro; chi di voi non ricorda, la corsa nelle banche a prendere prestiti ai tassi bassissimi che l’avvento dell’euro ci proponeva!! Per non parlare degli Stati membri, che si sono ritrovati nella malagurata situazione di farsi finanziare dal settore privato per poter spendere. Con tutte le tragiche conseguenze del caso: i ricatti dello spread, i tagli alla sanita’, alla scuola, i ponti che cadono, la poverta’ crescente, ecc.

Tra le varie discussione all’interno del gruppo, una delle piu’ accese ha riguardato l’introduzione dei Conti Correnti di Risparmio, cioe’ una nuova forma di investimento dei risparmi privati.

Premesso che per fare investire il proprio risparmio al settore privato, presupposto essenziale vuole che questo risparmio ci sia, altrimenti cosa investo! Non possiamo esimerci da fare una considerazione su chi, oggi detiene il risparmio privato.

Basta dare un occhiata a chi deteneva i titoli del debito pubblico nel 1988 e chi li detiene oggi. Il dato piu’ importante, che balza subito agli occhi, e’ quello che: se nel 1988, era detenuto dal 65% degli italiani (intesi come famiglie ed imprese), oggi soltanto il 5% di questi soggetti detiene i titoli del debito pubblico. Tutto questo a vantaggio in parte del settore estero, ma in buona parte del settore finanziario (banche, assicurazioni, fondi).

Una considerazione viene subito alla mente, ed e’ quella che un eventuale trasformazione del debito pubblico da BTP a CCR, a livello macro coinvolgerebbe in gran parte questi settori o tutt’al più‘ i piu’ ricchi, perche’ e’ impensabile che tra quel 5% possa esserci il cassa-integrato.

Certo, direte voi, il reddito da interessi si trasforma poi in consumi, ma vi chiedo quanto puo’ consumare una banca, una assicurazione, un fondo oppure la famiglia Agnelli!!

E non dimenticate, che il nostro paese aderendo all’euro non emette piu’ la sua moneta e quindi e’ costretto a finanziare la propria spesa per interessi tramite la tassazione del settore privato.

Altra situazione, completamente diversa era quella degli anni 80′-90′, dove, come mostrato sopra, il famoso “reddito da divano” derivante dagli interessi sui titoli del debito pubblico, era diffuso ed appannaggio del 65% delle famiglie italiane, le quali con gli interessi sui BOT e sui BTP, facevano le vacanze, compravano il motorino ai loro figli, i mobili nuovi per la casa, ecc. Ma non solo, tale reddito che per lo Stato era una forma di spesa pubblica, non necessitava di essere finanziato attraverso l’imposizione fiscale, ma poteva essere finanziato semplicemente con emissione di moneta dal nulla, stante l’essere, lo Stato italiano, il monopolista della Lira.

Altro tema proposto dai “fuoriclasse” a sostegno dei CCR, e’ quello di una “fantomatica” protezione dal ricatto dei mercati sul debito pubblico. Anche su questo argomento, devo evidenziare un mix-mentale di non comprensione, basato appunto, sulla cattiva comprensione del funzionamento dei sistemi monetari moderni all’interno di una mente ormai intrisa dalle teorie neo-liberal, oggi risultate completamente errate.

I tassi, non li decidono i mercati!

Le politiche monetarie sono esclusive delle banche centrali e se oggi il nostro spread si e’ ridotto notevolemente, come la nostra spesa per interessi, questo e’ dovuto esclusivamente all’operato della Banca Centrale Europea, la quale si e’ messa, finalmente a fare la banca centrale, svolgendo a pieno il suo ruolo di prestatore di ultima istanza, garantendo illimitatamente i debiti pubblici degli stati membri.

Questa realta’ la possiamo facilmente verificare sul campo, dove un rapporto depito/PIL al 130% nel 2011 fece schizzare lo spread oltre 500 punti, quandunque oggi un rapporto debito/PIL al 160% permette allo Stato italiano di finanziarsi a zero.

Dove sono finiti i mercati? Semplice, di fronte ad una banca centrale si sono sciolti come neve al sole!

Allora, cari amici miei partecipanti al gruppo della proposta “Campagna di Salvezza Economica dell’Italia”, mi rivolgo a voi: cosa potete fare voi con i pochi risparmi rimasti agli italiani di fronte al “click” infinito della BCE! NIENTE ASSOLUTAMENTE NIENTE… questa e’ la risposta. Finche’ saremo utilizzatori e non emettitori della moneta euro questa e’, e sara’ la nuda e cruda verita’. E prima la accetterete nelle vostre menti, prima eviterete di sbattere la vostra faccia contro il muro.

Del resto, ve l’ho detto ed avvertito piu’ volte, anche recuperando la possibilita’ di fare politica fiscale tramite i CCF, che  – ripeto – e’ un passo fondamentale, non siamo liberi dal ricatto: per questo, e’ sempre ed opportuno seguire il consiglio del mio maestro e tenersi ben stretto in tasca il suo piano A e B.

ComeDonChisciotte

giovedì 4 febbraio 2021

Bce: 'Recovery vitale per la ripresa, fondi per riforme'.

La sede della BCE a Francoforte. (ANSA)

"Gli investimenti aggiuntivi" nell'ambito Next Generation Ue "svolgeranno un ruolo di primo piano nel sostenere la ripresa, terminata la pandemia".

"Gli investimenti aggiuntivi" nell'ambito Next Generation Ue "svolgeranno un ruolo di primo piano nel sostenere la ripresa, una volta terminata la pandemia". Lo scrive la Bce nel suo bollettino, spiegando che "tale strumento produrrebbe un'espansione di bilancio incentrata sul debito pari, in media, a circa l'1 per cento del Pil nell'area dell'euro, nel periodo 2021-2024".

E "la maggior parte degli interventi" finanziati dal Ngeu "dovrebbe essere destinata agli investimenti e alle riforme strutturali volte a favorire la crescita", sottolinea la Bce. 

"La pandemia continua a porre seri rischi per la salute pubblica e per le economie dell'area dell'euro e del resto del mondo. Il nuovo aumento dei contagi da coronavirus e le rigide misure di contenimento imposte per un prolungato periodo di tempo in molti paesi dell'area stanno minando l'attività economica", osserva la Bce nel suo bollettino, pur sottolineando che "l'inizio delle campagne di vaccinazione nell'area dell'euro rappresenta un traguardo importante nel processo di risoluzione della crisi sanitaria".

Dopo "il brusco e profondo calo" del prodotto dell'area dell'euro nel primo semestre del 2020, la crescita economica ha evidenziato un forte recupero nel terzo trimestre, ma "potrebbe tornare in territorio negativo nel quarto". E' quanto avverte la Bce nel suo bollettino, spiegando che nel settore dei servizi "l'attività si è fortemente ridotta" mentre in quello manifatturiero continua a mostrare "una buona tenuta".

Nell'Eurozona "l'incertezza permane su livelli elevati, anche riguardo all'evoluzione della pandemia e alla velocità delle campagne di vaccinazione". Lo scrive la Bce nel suo bollettino, spiegando che i rischi per le prospettive mondiali "restano orientati al ribasso, trainati dal riacutizzarsi della pandemia di Covid". Per cui "il Consiglio direttivo resta pronto ad adeguare tutti gli strumenti a sua disposizione".

Per continuare "a garantire" a tutti i settori economici condizioni di finanziamento favorevoli nel periodo della pandemia, "continua a essere fondamentale un ampio grado di stimolo monetario". Lo ribadisce la Bce nel suo bollettino, così "contribuendo a ridurre l'incertezza e a rafforzare la fiducia, ciò incoraggerà la spesa per consumi e gli investimenti delle imprese, sostenendo l'attività economica e salvaguardando la stabilità dei prezzi nel medio termine", spiega Francoforte. 

https://www.ansa.it/sito/notizie/economia/2021/02/04/bce-recovery-vitale-per-la-ripresa-fondi-per-riforme_0eb2b9d9-723f-482f-ac81-29d42b2f6801.html

lunedì 23 novembre 2020

Financial Times: ecco le dieci cose che la crisi da covid cambierà a lungo termine. - Martin Wolf

 

Il Covid-19 ha provocato una recessione economica di enormi proporzioni, tutt’altro che uniforme tra i vari Paesi. Dalla globalizzazione, al fallimento dei populismi, all'uso della tecnologia: ci troveremo davanti un mondo diverso.

Cosa ci hanno insegnato 10 mesi di Covid-19? Per il momento, quello che sappiamo è che il mondo non era preparato ad affrontare la pandemia, innanzitutto, e che il virus ha causato finora circa 1,1 milioni di morti, soprattutto tra gli anziani, e alcuni Paesi hanno reagito meglio di altri. Sappiamo anche che il Covid-19 ha provocato una recessione economica di enormi proporzioni, e che questa è stata tutt’altro che uniforme tra i vari Paesi. Ne hanno subito maggiore danno i giovani, i lavoratori relativamente poco qualificati, le madri lavoratrici e gli appartenenti a minoranze deboli.

Sappiamo che il cosiddetto “distanziamento sociale”, in parte spontaneo e in parte forzato, ha danneggiato tutte le attività basate sulla prossimità umana, a beneficio di quelle che si possono fare da casa. Quasi nessuno viaggia più. Sappiamo che tantissime aziende usciranno dalla crisi cariche di debiti e molte altre non ne usciranno affatto. Sappiamo che le istituzioni fiscali e monetarie internazionali hanno messo in campo interventi senza precedenti in tempi di pace, soprattutto nei Paesi con valute accettate al livello internazionale. Sappiamo, non da ultimo, che lo scambio di accuse sulle responsabilità della pandemia ha destabilizzato le relazioni tra Stati Uniti e Cina e che, inoltre, il virus ha già messo in crisi la globalizzazione, soprattutto sul piano delle filiere produttive.

A partire da tutto ciò, è possibile delineare degli scenari a lungo termine? E quali? Nei dieci punti che seguono proveremo a indicare alcuni spunti.

Primo, l’evoluzione della pandemia. È possibile che molto presto si individuerà un vaccino (o più d’uno) definitivo contro il Covid-19, ed è altrettanto possibile che quest’ultimo venga messo a disposizione del mondo intero a tempi di record. Tuttavia, a ben guardare l’una cosa sembra escludere l’altra. Il rischio, perciò, è che il virus resterà ancora per molto tempo una minaccia concreta.

Secondo, la durata della crisi economica. L’entità delle perdite dipende in parte dalla velocità con cui riusciremo a mettere sotto controllo la malattia. Bisognerà però valutare quanto profonde saranno le cicatrici che questa ferita lascerà sul nostro tessuto sociale, in particolare in termini di disoccupazione, debiti insoluti, aumento di povertà, divari nell’accesso all’istruzione e così via. L’economia del mondo intero, come quella della maggior parte dei singoli Stati, usciranno probabilmente dalla pandemia ridotte di taglia in modo permanente, e la popolazione risulterà complessivamente più povera.

Terzo, la composizione dell’economia. Torneremo mai allo stile di vita pre-Covid-19? Oppure smetteremo definitivamente di viaggiare e di lavorare come pendolari? La cosa più probabile è che entrambe le ipotesi si verificheranno, cioè che viaggi e pendolarismo potranno riprendere, ma non torneranno ai livelli precendenti la pandemia. Inoltre, il Covid ci ha catapultato in un mondo nuovo ad alto tasso di “virtuale”, che difficilmente abbandoneremo anche dopo la crisi. Questo avrà effetti positivi su alcune forme di vita e di lavoro.

Quarto, il ruolo della tecnologia. Lo abbiamo detto. Non torneremo indietro sull’espansione tecnologica, ma è vero che il peso sempre maggiore acquisito dalle big tech di recente ha attirato l’attenzione pubblica sul potere che hanno nelle nostre società. È immaginabile che questo accrescerà la tendenza alla regolamentazione dei monopoli tecnologici e all’aumento della concorrenza.

Quinto, la centralità dei governi. Le grandi crisi tendono a provocare grandi salti di qualità nell’azione di governo. Con il Covid è cresciuta la richiesta sociale di “ricostruire” il ruolo del pubblico, ed eventualmente anche accrescerlo. Perciò è opportuno valutare la probabilità che i governi diventino sempre più interventisti in economia.

Sesto, il focus degli interventi. Le banche centrali di tutto il mondo si sono impegnate a tenere bassi i tassi di interesse per molto tempo. Se ciò resterà vero sia per i tassi reali che per quelli nominali, i governi saranno effettivamente in grado non solo di gestire i propri deficit, ma anche di cooperare per la ristrutturazione di quelli altrui. A un certo punto, tuttavia i disavanzi fiscali dovranno necessariamente essere ridotti e, stanti le pressioni dell’opinione pubblica per l’aumento di spesa, è possibile che i governi si orienteranno verso un aumento delle tasse, in particolare quelle per i ricchi.

Settimo, la politica interna. Alcuni paesi hanno messo in campo risposte efficaci contro la crisi pandemica, altri no. Nella valutazione del successo delle misure, tuttavia, non sembra essere stato rilevante il fattore della democraticità dei paesi. Invece, quello che sembra aver giocato un ruolo importante è il senso di responsabilità mostrato dai governanti rispetto all’efficacia delle loro azioni. La demagogia populista dei vari Jair Bolsonaro, Boris Johnson e Donald Trump ha ottenuto pessimi risultati nella gestione della pandemia, perciò il Covid potrebbe forse aver fermato la corsa del populismo.

Ottavo, le relazioni internazionali. La crisi che stiamo vivendo è davvero globale, perciò può essere gestita efficacemente solo attraverso la cooperazione internazionale. Eppure, la pandemia sembra aver rafforzato le tendenze all’unilateralismo e allo scontro frontale tra paesi. Esistono anzi buone probabilità che la situazione peggiori, soprattutto per quanto riguarda il rapporto tra Stati Uniti e Cina.

Nono, il futuro della globalizzazione. La globalizzazione delle merci aveva già subito un brusco rallentamento dopo la crisi finanziaria del 2008. Dopo il Covid-19 è probabile che si ritroverà ulteriormente frenata. La pandemia può erodere il sistema di scambi multilaterale, e in particolare il ruolo dell’Organizzazione Mondiale del Commercio, mentre le controversie commerciali tra Occidente e Cina non sembrano avviate a una risoluzione. Quanto alla globalizzazione virtuale, invece, è probabile che crescerà.

Decimo, la gestione dei beni comuni globali. Da questo punto di vista il Covid-19 è un’arma a doppio taglio. Da un lato, infatti, ha accresciuto il desiderio di una politica milgliore tanto sul piano nazionale che su quello internazionale, in particolare riguardo al clima. Dall’altro lato, però, il Covid ha indebolito la legittimità degli accordi internazionali, soprattutto per paesi come gli Stati Uniti che si sono ritirati dall’accordo di Parigi sul clima e dall’Organizzazione mondiale della sanità.

In conclusione, è chiaro che il Covid-19 è stato e sarà un shock profondo per il mondo, a solo 12 anni dall’enorme sconvolgimento della crisi finanziaria globale del 2008. Sicuramente la pandemia avrà effetti importanti e a lungo termine sull’economia, le imprese, la politica interna e le relazioni internazionali. I cambiamenti saranno molti, e molti di essi saranno imprevedibili.

Fonte: FT.com

Traduzione di Riccardo Antoniucci

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/11/23/financial-times-ecco-le-dieci-cose-che-la-crisi-innescata-dal-coronavirus-cambiera-a-lungo-termine/6013234/

venerdì 20 novembre 2020

Sherlock Holmes e il mistero del debito pubblico. - Fabio Conditi

 

Il debito pubblico è un autentico mistero. A scatenare la discussione è bastata una banale e sensata dichiarazione del Presidente del Parlamento Europeo David Sassoli, che in una intervista a La Repubblica “chiede di cancellare i debiti accumulati dai governi per rispondere al Covid”.

Apriti cielo !!! Sono volati gli stracci.

Il più veloce arriva subito dal Vicepresidente della BCE Luis de Guindos: “I Trattati lo vietano”. Un altro ben più importante arriva anche dalla Presidente della BCE Christine Lagarde: “Leggo sempre con interesse tutto quello che dicono i rappresentanti del Parlamento Ue e soprattutto i presidenti. La mia risposta è molto breve: tutto quello che va in quella direzione è contro i trattati, c’è l’articolo 103 che proibisce quel tipo di approccio e io rispetto i trattati”, ha spiegato.

Altri stracci sono volati dai cosiddetti esperti economici mainstream. Hanno gridato ai quattro venti per anni che il debito pubblico graverà sulle spalle dei nostri figli, ma si trovano oggi nella stessa condizione del Re della fiaba di Hans Christian Andersen, quando un bambino urla “Ma il Re è nudo!!!”. Come potrebbero costoro, seguitare a sostenere che l’Italia ha bisogno di tutti i prestiti elargiti dalla “generosa” Unione Europea ?

La questione è fondamentale e dirimente. Se fosse vero che il debito pubblico è cancellabile, allora diventerebbe inutile seguitare a fare politiche di austerity e soprattutto diventerebbe plausibile, come dice Sassoli, “cancellare i debiti accumulati dai governi per rispondere al Covid”.

Il debito pubblico è un autentico mistero

La maggior parte delle persone è davvero convinta che il debito pubblico graverà come un macigno sulle spalle delle future generazioni, e nonostante tutti i sacrifici che facciamo da anni, il debito pubblico cresce non solo in Italia, ma in tutti i paesi del mondo. Tanto che qualcuno si chiede “ma a chi li dobbiamo tutti questi soldi, agli alieni ?”.

Un mistero degno di Sherlock Holmes.

Vediamo di analizzarlo come farebbe il più famoso degli investigatori, immaginatelo pure nella stupenda e moderna versione di Benedict Cumberbatch. Rechiamoci idealmente a Londra, al numero 221B di Baker Street, ed immaginiamo di assegnare al nostro eroe l’incarico di spiegarci come si risolve il problema del debito pubblico.

Sherlock Holmes sorriderebbe con aria compiaciuta e, rivolgendosi al suo fedele aiutante, direbbe: “Elementare, caro Watson”.

Quando si ha a che fare con un debito e lo si vuole eliminare, ci sono due sole possibilità:

  • cancellarlo, ma deve essere d’accordo il creditore;
  • estinguerlo, ma il debitore deve avere i soldi per farlo.

Cancellazione del debito pubblico

Generalmente un creditore difficilmente sarà d’accordo a cancellare un suo credito, altrimenti sarebbe un benefattore. La questione è diversa se il creditore è una società controllata dal debitore, per la quale è lui che decide. Elementare …

Vediamo ora chi sono i creditori dello Stato e quale percentuale di titoli di stato posseggono, e proviamo a cercare tra essi qualcuno che sia disponibile a rinunciare al proprio credito:

  • famiglie italiane 5%;
  • banche e istituzioni finanziarie italiane 45%;
  • investitori esteri e BCE 30%;
  • Banca d’Italia 20%.

Lasciamo perdere banche e istituzioni finanziarie, investitori esteri e famiglie italiane, che non sono minimamente disponibili a rinunciare al loro credito, e dimentichiamoci per ora della BCE, che sulla base di quanto dichiarato dai suoi vertici, non sembra molto disponibile.

Rimane la Banca d’Italia, che come si potrebbe intuire dal nome, è dello Stato italiano perché nomina il Governatore e soprattutto ha diritto a ricevere a fine anno più del 95% dei suoi utili annuali (come si evince dal successivo piano di riparto dell’utile netto 2019 della Banca d’Italia).

Bilancio bankitalia 2019

Elementare, caro Watson” direbbe Shelrock Holmes “se la Banca d’Italia è una istituzione di diritto pubblico che rientra tra gli organismi dello Stato italiano, significa che in un eventuale bilancio consolidato, il suo debito viene annullato dal credito della sua controllata”.

Detta in parole povere, il debito dello Stato verso la sua Banca Centrale è una questione interna contabile che non ha effetti verso terzi. In particolare la cancellazione di questo debito/credito è ininfluente da un punto di vista macroeconomico.

Non è però ininfluente da un punto di vista degli interessi privati di una piccola categoria di soggetti, quelli che guadagnano enormi cifre dalla intermediazione di questi titoli.

Infatti quando i suoi titoli scadono, lo Stato deve pagare quanto promesso a Banca d’Italia, la quale provvede a ricomprarne altri, ma non direttamente da lui sul mercato primario, come sarebbe giusto e ovvio. Li compra sul mercato secondario, da istituzioni finanziarie che li avevano acquistati dallo Stato sul mercato primario e che li rivendono a Banca d’Italia, lucrando enormi guadagni da queste speculazioni.

Si capisce allora perché gli esperti mainstream gridano allo scandalo, qualcuno si vedrebbe sottrarre la “gallina dalle uova d’oro”.

Maaa … c’è un ma, che è di carattere giuridico-contabile. La cancellazione del debito/credito nel bilancio consolidato è una operazione contabile non solo fattibile, ma anche giusta, come dimostra il Regno Unito che da anni scrive nei suoi bilanci consolidati la frase “I titoli di stato detenuti da enti del settore pubblico, sono eliminati in sede di consolidamento e rimossi dal bilancio”.

Ma la cancellazione del debito/credito nei singoli bilancio ha effetti molto diversi:

  • nel bilancio dello Stato, la cancellazione del debito nei confronti della sua Banca Centrale è sicuramente un fatto positivo perché riduce le uscite costituite dai titoli di stato in scadenza ogni anno, che non devono più essere rinnovati;
  • nel bilancio della Banca d’Italia, la cancellazione del credito nei confronti dello Stato genera un “buco” nell’attivo che non può più compensare il passivo che aveva generato, le riserve che erano state utilizzate, al momento dell’acquisto dei titoli di stato, per pagare il corrispettivo.

Quindi se vogliamo risolvere anche il problema contabile, ci sono due possibilità, entrambe previste dalla norme sia della BCE che dello Stato:

– come affermato dalla BCE nel documento n.169 dell’aprile 2016, dal titolo “Profit distribution and loss coverage rules for central banks“, nota n.7 a pagina 14, le Banche Centrali “sono protette contro l’insolvenza a causa della loro capacità di creare denaro e possono perciò operare con patrimonio netto negativo“. Quindi la cancellazione dei titoli di stato dall’attivo del bilancio della Banca d’Italia genererebbe un passivo superiore all’attivo, quello che si definisce “patrimonio netto negativo”, e questo non è un problema per Banca d’Italia. Deve però essere una soluzione condivisa da tutti, all’interno del SEBC, cioè il Sistema Europeo delle Banche Centrali, e sappiamo già che la BundesBank ha qualche problema in Germania a far accettare questa soluzione, come dimostra la recente sentenza della Corte Costituzionale tedesca;

– uno Stato che ha emesso titoli di stato, può sempre consolidarli, cioè trasformarli in titoli irredimibili e rimborsabili a richiesta, assegnando loro una rendita perpetua. Se questa operazione è ingiusta nei confronti di soggetti terzi come famiglie, banche, istituzioni finanziarie e investitori esteri, risulta invece vantaggiosa se effettuata solo per i titoli di stato detenuti da Banca d’Italia, la quale può mantenere quei titoli nell’attivo del proprio bilancio per un tempo indefinito e non è continuamente costretta a ricomprarne degli altri quando scadono.

La soluzione proposta da Sherlock Holmes per eliminare il debito pubblico detenuto da Banca d’Italia è semplicemente geniale: “È ormai evidente a tutti che il Quantitative Easing della BCE, nato come soluzione temporanea dopo la crisi finanziaria del 2007-2008, è ormai una misura permanente e anche insufficiente all’interno delle sue politiche monetarie. Tanto vale renderlo stabile attraverso la trasformazione dei titoli di stato detenuti dalla Banca d’Italia in titoli irredimibili senza scadenza e rimborsabili solo a richiesta, assegnando loro una rendita perpetua, che però lo Stato si riprende a fine anno quando gli verranno distribuiti gli utili della sua banca centrale. Questa decisione non influisce minimamente sulle regole dell’Eurozona ed è una decisione che lo Stato può sempre adottare unilateralmente, senza arrecare danni a nessuno”.

Estinzione del debito pubblico

Il debito pubblico si può sempre estinguere, ma dove trova i soldi lo Stato?

Dove trova i soldi lo Stato è un altro mistero degno di Sherlock Holmes.

Elementare, caro Watson” direbbe il famoso investigatore “lo diceva anche Aristotele che la moneta è uno strumento di scambio convenzionale, che non esiste per natura ma per nomos, cioè per legge, e per questo essa ha il nome di nomisma. I Trattati Europei hanno trasferito alla BCE le competenze che storicamente erano della Banca d’Italia, cioè le politiche monetarie, compresa l’emissione esclusiva di banconote, ma non hanno trasferito la sovranità monetaria che è ancora dello Stato italiano per il combinato disposto degli artt.1-11 della Costituzione, ma soprattutto dell’art.117 punto e) che assegna allo Stato la legislazione esclusiva nelle materie riguardanti la moneta”.

Infatti per i Trattati Europei (art.128 del TFUE), la BCE ha solo l’esclusiva delle banconote, mentre le monete metalliche sono ancora emesse dagli Stati con simboli riconoscibili e nazionali, anche se la BCE deve approvare il volume di conio. Quindi l’euro non è una moneta unica, ma la somma di tante monete nazionali aventi un rapporto di cambio fisso, ma questo è un altro discorso.

Nei Trattati Europei, però, non si parla mai di altri strumenti monetari che lo Stato può emettere:

  • biglietti di stato (stato-note o note di stato), fattispecie giuridica diversa dalle banconote (banca-note o note di banca) di cui ha ancora la competenza esclusiva;
  • moneta elettronica (art114bis del TUB) o moneta virtuale (basata sulla blockchain).

Questi strumenti potrebbero non essere “moneta a corso legale”, cioè ad accettazione obbligatoria come le monete metalliche e le banconote, ma possono tranquillamente essere “ad accettazione volontaria” come tutta la moneta elettronica bancaria, che costituisce oggi più del 90% di tutta la moneta che usiamo.

In conclusione

La soluzione migliore sarebbe quella di monetizzare il debito pubblico, attraverso il Ministero del Tesoro che ha ancora la sovranità monetaria, quindi può sempre emettere nuova moneta o creare un nuovo strumento di scambio che accetta per il pagamento delle tasse. Evitando solo l’emissione di banconote,  perché di competenza esclusiva della BCE.

La soluzione più semplice, però, è consolidare i titoli di stato detenuti da Banca d’Italia, trasformandoli in titoli irredimibili e rimborsabili solo a richiesta, così rimarranno permanentemente registrati nell’attivo del suo bilancio e lo Stato non sarà più influenzato dalle fluttuazioni di quei titoli sui mercati finanziari.

Dopo aver tratto le sue conclusioni, Sherlock Holmes ci ha congedati dicendo di avere casi ben più difficili a cui dedicarsi.

Quindi ci ha accompagnato all’uscita con una delle sue frasi più celebri:

Sono proprio le soluzioni più semplici quelle che in genere vengono trascurate”.

Chissà cosa penserebbe di questa pandemia.

Glielo chiederò la prossima volta.

Fabio Conditi

Presidente dell’associazione Moneta Positiva - http://monetapositiva.blogspot.it/

https://comedonchisciotte.org/sherlock-holmes-e-il-mistero-del-debito-pubblico/