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venerdì 26 novembre 2021

Riforma del fisco, la simulazione delle nuove aliquote Irpef: risparmi fino a 920 euro l’anno. - Alessandro D’Amato

 

Così la riforma del governo Draghi impatterà sui portafogli dei lavoratori: quattro scaglioni e sei fasce di imponibile. Gli effetti del taglio delle tasse sulle famiglie.

Le simulazioni delle nuove aliquote Irpef spiegano oggi come la riforma del fisco del governo Draghi impatterà sui portafogli dei lavori dipendenti. Che, a seconda della soglia di reddito, risparmieranno fino a 920 euro l’anno. Non solo per effetto della riduzione da 5 a 4 degli scaglioni. Ma anche per le detrazioni, che andranno ad assorbire il bonus 80-100 euro e per l’incremento della soglia della no tax area per pensionati e autonomi. Anche l’Irap viene cancellata per un milione di società di persone, partite Iva, start up e professionisti oltre che per gli enti non commerciali. Il conto totale della riforma ammonta a 7 miliardi per l’Irpef e uno per l’Irap. Ma per adesso a imprese e sindacati la riforma del fisco non piace.

Quanto si risparmia con i 4 scaglioni.

L’accordo politico raggiunto ieri tra maggioranza e governo prevede in primo luogo la riduzione delle aliquote. Si abolisce lo scaglione al 41% e le aliquote diventano quindi quattro. Fino a 15 mila euro l’aliquota sarà al 23%; da 15 a 28 mila euro lo scaglione scenderà di due punti rispetto ad oggi e arriverà al 25%. I redditi da 28 a 50 mila euro invece avranno un imponibile del 35% (tre punti di taglio) mentre oltre i 50 mila euro scatta la trattenuta al 43%. Va spiegato però che l’Irpef è un’imposta progressiva. Se quindi c’è chi vede aumentare dal 38 al 43% l’imponibile sulla fascia di reddito, come quelli che guadagnano da 50 a 55 mila euro l’anno, dall’altra parte usufruisce del taglio degli scaglioni sulle quote di reddito precedenti. Che vanno a compensare l’incremento successivo.

Fatta questa premessa, le prime simulazioni delle nuove aliquote Irpef vanno valutate anche sulla base delle nuove detrazioni. Mentre per quanto riguarda la No tax area, quella dei pensionati passa da 8.125 a 8.174 euro. Quella dei lavoratori autonomi andrà da 4.800 a 5.500 euro. In questo quadro i risparmi per le classi di reddito vanno dai 100 ai quasi mille euro l’anno. Secondo la simulazione di Repubblica il beneficio è massimo per un reddito di 60 mila euro (970 euro) e poi arriva a 270 euro per chi ne guadagna da 75 mila in poi. In termini percentuali chi ha 45 mila euro di redditi porta a casa il 6% di tasse in meno. Ovvero 770 euro l’anno. Nella tabella del quotidiano la fascia dei 70 mila euro risparmia 370 euro, quella dei 65 mila ne risparmia 470, quella dei 55 mila ne risparmia 670.

Le sei fasce di imponibile.

E ancora: la fascia dei 40 mila euro l’anno risparmia 620 euro, la fascia dei 35 mila arriva a 470 e quella dei 30 mila a 320. La simulazione di PwC Tls Avvocati Commercialisti pubblicata da La Stampa invece prevede sei fasce di imponibile. E quindi, rispettivamente:

  • i redditi imponibili fino a 20 mila euro risparmiano 100 euro l’anno;
  • i redditi fino a 30 mila euro ne risparmiano 320;
  • la fascia da 40 mila euro risparmia 620 euro netti l’anno;
  • il reddito imponibile fino a 50 mila euro l’anno risparmia 920 euro l’anno;
  • la fascia da 60 mila euro ne risparmia 570;
  • il reddito da 75 mila euro risparmia 270 euro.

I calcoli del Messaggero riportano anche gli effetti su chi guadagna da 10 a 15 mila euro l’anno. In quel caso il beneficio è pari a zero. Per le fasce che vanno dai 16 ai 19 mila euro l’anno il beneficio aumenta progressivamente di 20 euro ogni mille di reddito. Le aliquote, come ricorda il quotidiano, rideterminano soltanto il 40% dell’effetto redistributivo. Il 60% è determinato da detrazioni per lavoro e famiglia.

Gli effetti del taglio per le famiglie.

Secondo invece la simulazione dei Consulenti del Lavoro citata dall’agenzia di stampa Ansa i vantaggi più significativi riguarderanno a partire dal 2022 chi ha un reddito tra i 30 mila e i 60 mila euro lordi l’anno. I dati del ministero dell’Economia dicono che sono circa 7 milioni di contribuenti. In questa simulazione per la fascia di contribuenti da 20 mila euro l’anno l’Irpef attuale, senza considerare alcun tipo di detrazione, è pari a 4.800 euro. Dal 2022, con il passaggio del secondo scaglione dal 27% al 25%, scenderebbe a 4.700 euro con un beneficio di 100 euro. Una famiglia con due lavoratori e 45 mila euro di reddito complessivo l’anno – equamente distribuito e non tenendo conto delle detrazioni per i figli – passa da un’Irpef lorda di 5.475 euro a 5.325 euro, con un beneficio di 150 euro a testa, pari a 300 euro per il nucleo. Infine, nel caso di un unico percettore di reddito da 30.000 euro si passa da un’Irpef lorda di 7.500 euro a 7.200 euro. Il vantaggio è di 300 euro ma concentrato su un’unica persona. Sale quindi al salire del reddito.

Confindustria e sindacati.

La riforma non piace a Confindustria e sindacati. Per gli imprenditori «se la bozza dovesse essere confermata, saremmo in presenza di scelte che suscitano forte perplessità perché senza visione per il futuro dell’economia del nostro Paese». E questo perché, secondo l’associazione datoriale, «la sforbiciata alle aliquote Irpef disperde risorse, con effetti “impercettibili” sui redditi delle famiglie, soprattutto se venissero eliminate le detrazioni per coprire i costi. L’intervento sull’Irap, poi, non migliora la competitività delle imprese». Il segretario della Cgil Maurizio Landini sostiene che gli 8 miliardi dovrebbero andare tutti ai lavoratori dipendenti e ai pensionati. Mentre il segretario confederale della Cisl Giulio Romani, responsabile del dipartimento fiscale, dice «no ad accordi già confezionati coi partiti che renderebbero solo consultivo il ruolo dei sindacati. Viale dell’Astronomia e i rappresentanti dei lavoratori chiedono al governo una convocazione urgente perché l’intesa non ha coinvolto le parti sociali».

https://www.open.online/2021/11/26/governo-draghi-nuova-irpef-simulazione-aliquote/

sabato 9 ottobre 2021

Fisco, Draghi chiede consigli a B. condannato per frode. - Gianluca Roselli e Giacomo Salvini

 

La telefonata del premier al leader di Forza Italia.

Non potevano incontrarsi di persona causa acciacchi di salute e quindi si sono sentiti al telefono. Dopo il faccia a faccia con Matteo Salvini, ieri mattina il presidente del Consiglio, Mario Draghi, ha chiamato Silvio Berlusconi. Un colloquio che a Palazzo Chigi definiscono “lungo e cordiale” in cui si è parlato di riforma fiscale, legge di Bilancio e delle prossime riforme in cantiere a partire da quella sulla concorrenza. Non sarà l’ultimo colloquio che il premier avrà sul cronoprogramma per rispettare i tempi del Pnrr: nei prossimi giorni sentirà anche gli altri leader del governo, Giuseppe Conte ed Enrico Letta. Draghi ha capito che il dialogo con i capi delegazione dei partiti non basta più e vuole curare anche i rapporti con i leader: qualcuno ipotizza che sia un modo per preparare la sua ascesa al Quirinale. Allo stesso tempo la telefonata di Draghi di ieri ha anche l’obiettivo di mandare un messaggio a Salvini che giovedì era uscito dall’incontro di Chigi soddisfatto per aver ottenuto la possibilità di incontrare il premier “una volta a settimana”.

E invece ieri il presidente del Consiglio, sentendo Berlusconi, ha fatto capire che il dialogo con i leader sarà la nuova routine e che non c’è nessun favoritismo riservato al leader della Lega. Non solo: nella nota di Palazzo Chigi si fa anche sapere che Draghi e Berlusconi hanno “condiviso il percorso avviato sulla delega per la riforma fiscale”. E così è stato: il leader di Forza Italia ha detto sì alla legge delega che contiene anche la riforma del catasto approvata martedì, confermando il voto favorevole dei ministri Brunetta, Carfagna e Gelmini. Un passaggio che aveva provocato lo strappo della Lega che non ha votato in Cdm e che continua a creare tensioni nel Carroccio con Salvini che ancora ieri chiedeva al premier di impegnarsi “per iscritto” a non aumentare le tasse. Su quel versante il leader della Lega non ha ottenuto niente da Draghi e così oggi il premier ha chiesto la legittimazione di Berlusconi anche per mettere all’angolo il leader del Carroccio. Secondo fonti forziste, l’ex Cavaliere al premier ha chiesto rassicurazioni anche sulla manovra di bilancio, che sia “il più possibile espansiva” per favorire la crescita, a partire dal Superbonus. Ma nella telefonata c’è stato un momento anche più politico, con Berlusconi che ha tenuto a far sapere a Draghi che il sostegno al suo governo “fa bene a Forza Italia”. E che la linea del suo partito è quella di “rivendicare i successi del suo esecutivo”. “Con Draghi FI è tornata centrale nel dettare l’agenda”, dicono i berluscones. Cosa ben diversa dalle truppe davanti a Palazzo Chigi schierate da Salvini, che però, come si è visto nelle urne, è in continua emorragia di consensi. E le critiche forziste di queste ore alla strategia di Meloni e Salvini su campagna elettorale e scelta dei candidati non aiuta certo a rasserenare il clima nel centrodestra. Anzi. Dopo una serie di complimenti e elogi reciproci (il premier ha invitato Berlusconi a Roma quando si sarà rimesso al cento per cento), poi, i due sono scesi nel dettaglio del provvedimento più spinoso. Sulla riforma del fisco, Berlusconi ha confermato le posizioni dei suoi ministri (“per noi va bene) ma ha chiesto la garanzia a Draghi che “non ci sarà un aumento di tasse”.

Il leader di FI avrebbe preso le distanze anche dal riottoso Salvini: “Noi siamo responsabili, in questo momento ci vuole stabilità – sono state le parole di Berlusconi – il governo deve andare avanti e noi lo sosterremo lealmente fino in fondo”. Un breve focus sui prossimi passaggi che impegneranno il governo – la riforma della concorrenza e la legge di Bilancio – e i saluti finali. Se da Palazzo Chigi hanno reso nota la conversazione, è scoppiato un piccolo caso in Forza Italia visto che da Arcore non è arrivata alcuna comunicazione ufficiale. Motivo: il partito è spaccato tra l’ala liberal rappresentata dai ministri e quella più filo leghista rappresentata da Antonio Tajani e Licia Ronzulli che hanno un po’ da ridire sulla riforma del catasto. Berlusconi ha deciso di non spaccare ancora il partito evitando di esporsi. Nel frattempo Giancarlo Giorgetti fa il pompiere: “Se Salvini e Draghi sono contenti, io sono felice. Ora è tornato il sereno”.

ILFQ

lunedì 27 settembre 2021

Riforma fiscale e imposte sostitutive: nel mirino 8 aliquote fino al 26%. - Dario Aquaro e Cristiano Dell'Oste

 

(llustrazione di Giorgio De Marinis)

I parlamentari propongono di avvicinare cedolari e ritenute allo scaglione Irpef del 23% ma agendo sull’imponibile si possono evitare rincari. Già prevista un’eccezione per il regime forfettario.

Un’eccezione dopo l’altra, le imposte sostitutive dell’Irpef sono arrivate a contare otto diverse aliquote. Dal 5% dei vecchi minimi (e dei forfettari start up) al 26% dei redditi di capitale. Nell’atto d’indirizzo al Governo sulla riforma fiscale, le commissioni parlamentari la chiamano plural income taxation. Dove l’aggettivo “plurale” sta a significare «elevata frammentazione» e regimi «quasi mai tra di loro correlati». E proprio il riordino delle tante flat tax è uno degli obiettivi del disegno di legge delega atteso domani – martedì – in Consiglio dei ministri.

Sostitutive in salvo.

Tra i parlamentari nessuno pensa di azzerare tutte le sostitutive. Anche perché i regimi fiscali alternativi ormai assorbono un decimo dell’imponibile Irpef e non si intravede la volontà di affrontare l’impopolarità di una loro eliminazione. Per dire, cancellare la cedolare sugli affitti, e rimpiazzarla con le aliquote progressive dell’Irpef, farebbe aumentare il prelievo di 2,3 miliardi; eliminare il regime forfettario di 1,5 miliardi, almeno secondo le stime dell’ultimo Rapporto sulle spese fiscali 2020.

Piuttosto, le commissioni parlamentari guardano a «un modello tendenzialmente duale»: cioè, un sistema adattato alla realtà italiana. In teoria, la dual income taxation prevede un’imposta proporzionale (flat) solo sui redditi di capitale. Ma l’intenzione di deputati e senatori è mantenere anche gli altri «regimi sostitutivi cedolari», avvicinando le loro aliquote a quella del primo scaglione Irpef (23%) e facendo salvo il regime forfettario delle partite Iva.

Che un riordino sia necessario, comunque, lo ammettono anche i parlamentari, perché la proliferazione delle sostitutive ha creato un «carico fiscale diseguale tra le varie fonti di reddito». Tema sottolineato tra l’altro dal presidente di Confindustria, Carlo Bonomi, giovedì scorso all’assemblea degli industriali di fronte al premier Mario Draghi. I prelievi forfettari, secondo Bonomi, «hanno minato l’imponibile e introdotto distorsioni e iniquità inaccettabili sia orizzontali sia verticali».

Sempre giovedì, Draghi ha voluto riaffermare che «il Governo non ha intenzione di aumentare le tasse». Tracciando così una linea di demarcazione anche in vista dell’intervento sulle cosiddette flat tax.

Molte aliquote, infatti, oggi sono lontane dal 23% del primo scaglione Irpef. Ce ne sono alcune settoriali o poco usate, come il 15% sulle lezioni private degli insegnanti o la tassa fissa di 100 euro sulla raccolta di funghi o tartufi. Ma altre sono molto diffuse, come il 12,5% sugli interessi dei titoli di Stato, il 10% sui premi di produttività ai lavoratori e la cedolare secca del 10% sulle locazioni a canone concordato. Come si fa, allora, a portarle verso il 23 per cento? Una soluzione è già stata suggerita dal direttore generale delle Finanze, Fabrizia Lapecorella, in audizione al Parlamento, che l’ha fatta propria: si potrebbero alzare le aliquote proporzionali, ma abbassare le basi imponibili, così da lasciare invariata l’imposta netta.

Se una manovra del genere può sembrare un gioco a somma zero, nella delega per la riforma potrebbero esserci anche altri interventi sulle basi imponibili. In particolare, nel campo del risparmio, dove la distinzione tra “redditi di capitale” e “redditi diversi” oggi impedisce di compensare alcune minusvalenze e crea distorsioni che «pregiudicano l’efficienza del mercato dei capitali», come si legge ancora nell’atto d’indirizzo del Parlamento. Atto che suggerisce anche una riduzione dell’aliquota del 26% oggi applicata praticamente sulla totalità dei redditi finanziari, pari a una base imponibile di circa 43 miliardi: in questo caso, allineare l’aliquota al primo scaglione Irpef comporterebbe un risparmio d’imposta (o un minor gettito) di 1,4 miliardi.

Il nodo degli autonomi.

Due aliquote che il Parlamento non vorrebbe riallineare all’Irpef sono invece quelle della flat tax degli autonomi (5 e 15%). La partita, qui, potrebbe giocarsi sui coefficienti di redditività che determinano l’imponibile su cui applicare l’aliquota proporzionale. Coefficienti che non sono stati modificati dopo l’innalzamento a 65mila euro della soglia di ricavi o compensi per l’accesso al regime agevolato. E che, come ha avvertito il direttore Lapecorella, oggi «non sono coerenti con la struttura dei costi di imprese di dimensioni meno contenute».

/Il Sole 24 Ore

giovedì 23 settembre 2021

Dalle coperture alle tensioni politiche, perché la riforma del fisco resta in salita. - Dino Pesole

 

Per essere incisiva nel sostegno alla crescita la riforma fiscale dovrebbe prevedere interventi a regime certamente non inferiori a 20-30 miliardi.

Nel Documento di economia e finanza di metà aprile il Governo aveva fissato l’asticella del deficit per il 2021 a -11,8%, con il debito a un passo dalla fatidica soglia del 160% del Pil (159,8%). L’intero quadro delle variabili di finanza pubblica si basava su una crescita stimata per l’anno in corso al 4,5% (4,1% nella proiezione tendenziale, vale a dire senza considerare l’impatto delle misure messe in campo per sostenere la ripresa).

Ora, con la Nota di aggiornamento del Def (la Nadef) che dovrebbe essere approvata entro il 27 settembre, il deficit si avvicinerà a quota 10% del Pil, con il debito che potrebbe scendere nei dintorni del 156-157%. Il tutto grazie a una crescita che si attesterà attorno al 6%. A conti fatti, se si guarda al deficit, si tratta di circa 2 punti di Pil in meno, dunque una buona base di partenza per la predisposizione della prossima manovra di bilancio. Meno deficit equivale a un margine di manovra certamente rilevante anche per gli spazi che potranno aprirsi nel bilancio per finanziare le misure in cantiere. Ne potrà trarre beneficio anche la riforma fiscale?

Per la riforma fiscale servono coperture strutturali.

Da questo punto di vista, occorre ricordare che la riforma fiscale, la cui approvazione sotto la forma di un disegno di legge delega dovrebbe essere imminente, non rientrando nel pacchetto di interventi contenuto nel Piano nazionale di ripresa e resilienza non potrà beneficiare dei relativi fondi per il suo finanziamento. E non potrebbe che essere così, se si considera che i 191,4 miliardi del Netx Generation Eu si articolano in prestiti e sussidi il cui orizzonte temporale andrà a esaurirsi nel 2026, ultimo anno di vigenza del piano europeo nella sua attuale formulazione. La riforma fiscale, al contrario, dovrà necessariamente avere un carattere strutturale, e dunque permanente.

Il nodo delle coperture.

Le coperture dovranno seguire la stessa logica. Le cifre al momento sono ancora incerte, dipenderà dall’ampiezza degli interventi che verranno inseriti nel ddl delega e nella legge di Bilancio. Certamente non si potrà ricorrere direttamente all’arma del minor deficit: finanziare anche se solo in parte una riforma di tale rilevanza in deficit difficilmente sarebbe ammesso a livello europeo. Si potrà certamente utilizzare lo spazio di bilancio implicitamente “liberato” dal minor deficit, fermo restando che il set di coperture non potrà che consistere in un pari intervento sul versante della spesa corrente.
Risparmi dunque, da ritagliare all’interno degli oltre 870 miliardi della spesa pubblica, compresa la partita degli eventuali tagli alle agevolazioni fiscali, che sono anch’esse conteggiate nella categoria delle spese pur trasformandosi di fatto in un aumento dell’imposizione a danno delle categorie che si deciderà di “colpire”.

Un percorso a tappe.

Per ambire ad essere effettivamente incisiva nel sostegno alla domanda interna e dunque alla crescita, la riforma fiscale dovrebbe prevedere interventi a regime certamente non inferiori a 20-30 miliardi. Se si guarda alla mole delle misure da finanziare con la prossima legge di Bilancio e con le altre riforme in cantiere (dalla concorrenza alla giustizia), pare oggettivamente non percorribile la strada di un finanziamento della riforma di questa portata. Da qui l’intenzione del Governo di procedere a tappe. Il disegno di legge delega conterrà i principi generali del complessivo disegno di riordino della fiscalità (dall’Irpef all’Irap e all’Iva). Poi spetterà ai singoli decreti legislativi, che dovrebbero vedere la luce nel corso del prossimo anno, fissare il contenuto specifico sulle diverse categorie di imposta. Il costo dovrebbe di conseguenza essere spalmato in più esercizi finanziari.

Verso un primo intervento sul cuneo fiscale.

In contemporanea, con la legge di Bilancio che sarà presentata in Parlamento entro il 20 ottobre, si potrebbe dar vita a un primo intervento sul cuneo fiscale. Anche in questo caso è decisivo il calcolo delle risorse effettivamente disponibili: si parte da una dotazione di 2,3 miliardi, che potrebbe crescere grazie appunto agli effetti della maggiore crescita sui conti pubblici, mentre i risparmi conseguiti finora dal finanziamento dei diversi decreti emergenziali varati negli ultimi mesi dovrebbero essere quasi interamente destinati a contenere il costo della bolletta petrolifera, per evitare il paventato incremento fino al 40% per effetto del combinato disposto dell'aumento del greggio e delle materie prime.

Le ambizioni della “grande riforma”.

Anche per l’ultima, vera “grande riforma” del fisco, quella del 1973 si utilizzò lo strumento della legge delega. E anche in quel caso il disegno di riordino del prelievo prese le mosse dai lavori di una commissione, allora presieduta da Cesare Cosciani (questa volta il riferimento è alle conclusioni della commissione parlamentare presieduta da Luigi Marattin). Se questo è il precedente, la domanda che è lecito porsi è se sussistano ora le condizioni politiche per dar vita a una nuova, importante riforma che agisca sia sul versante del prelievo, sia su quello delle semplificazioni e dello sfoltimento dell’abnorme numero delle attuali “tax expenditures”. Gli imminenti appuntamenti elettorali di autunno, e quello molto rilevante con l’elezione del presidente della Repubblica all’inizio del prossimo anno, inducono a ritenere che al momento tali condizioni difficilmente potranno determinarsi. Troppe e decisamente rilevanti sono le differenze tra le ricette messe in campo dalle forze politiche che sostengono il Governo.

La variabile politica

Quindi oltre alla componente altrettanto decisiva delle coperture, il vero interrogativo riguarda la variabile politica, assai complessa da districare. Anche il ricorso a contestuali tagli di spesa da mettere in campo per finanziare la riforma si annuncia a dir poco complesso. Non a caso, la strada maestra sarebbe di avviare una riforma di tale portata all'inizio della legislatura, mentre ora i decreti legislativi dovrebbero vedere la luce nell’anno che precede le prossime elezioni politiche del 2023 (ammesso che non si vada a elezioni anticipate nel 2022). È una stagione in cui normalmente i partiti sono poco propensi a utilizzare l’arma dei tagli, per evidenti motivi di consenso elettorale. La strada tracciata dal ministro dell’Economia, Daniele Franco lo scorso 21 luglio in Parlamento («Se si intende ridurre in modo strutturale il peso del fisco bisogna agire per contenere la spesa pubblica sul Pil») appare dunque decisamente in salita.

(Illustrazione di Giorgio De Marinis / Il Sole 24 Ore)

IlSole24Ore

domenica 19 settembre 2021

Settimana decisiva per il fisco, la riforma del catasto sarà 'mini'. - Michele Esposito

 

Trincea Lega-Fi, 'stop tasse'. A giorni via alla cabina di regia per il Pnrr.

Archiviato, o quasi, l'epocale dossier sull'obbligo del Green Pass a tutti i lavoratori, per il premier Mario Draghi si apre, di fatto, la fase due del suo governo. E si apre nel segno della polemica su uno dei temi più caldi dell'autunno: la riforma del fisco.

Sulla delega, nei prossimi giorni, il Mef e Palazzo Chigi accelereranno dopo le cautele delle ultime settimane visto che la riforma, nel cronoprogramma iniziale del Pnrr, era indicativamente prevista prima della pausa estiva. Ma il tema è spinoso, i partiti ribollono e la amministrative del 3 e 4 ottobre rendono ogni intesa in maggioranza più faticosa.

L'ipotesi, spiegano fonti di governo, è che l'esecutivo metta in campo una riforma inizialmente più '"light" a partire dal tema più divisivo: il catasto. L'intenzione di Draghi e dell'esecutivo sarebbe quella di fare solo un primo passo sul catasto, nella riforma del fisco. Inserendo nella delega dei principi ispiratori che si limitino ad indicare la direzione verso la quale l'esecutivo vuole andare su un tema, quello del valore degli immobili, che attende una riforma dal 1989.

Anche sui tempi il premier è incline ad esercitare una certa prudenza. Stando agli ultimi aggiornamenti il Consiglio dei ministri della prossima settimana sarà chiamato a varare, certamente, il decreto da 3,5 miliardi contro il caro-bollette.
La riforma del fisco, probabilmente, finirà sul tavolo di Palazzo Chigi ma non è improbabile che il via libera del Cdm arrivi solo nella settimana successiva. Allo stesso tempo Draghi non ha alcuna intenzione di rinviare sine die il dossier.
I "guardiani" del Next Generation Eu, a Bruxelles, restano vigili e entro la fine dell'anno arriveranno le pagelle europee su questa iniziale fase d'attuazione del Pnrr italiano.

Il centrodestra, nel frattempo, scalpita. Casus belli la rivalutazione dei valori catastali che, fino a qualche giorno fa, il governo aveva pensato di inserire nella riforma. Due, innanzitutto, i rischi da evitare: un nettissimo aumento dell'Imu sulla seconda casa e un gonfiamento dell'Isee. "Per aumentare le tasse basta un Monti qualunque, non sta né in cielo né in terra aumentare quelle sulla casa", avverte un Matteo Salvini che, dopo l'ok al super Green Pass, difficilmente incasserebbe una riforma del fisco a lui indigesta. Anche perché, questa volta, il leader della Lega vede al suo fianco tutto il suo partito ed anche Forza Italia. "Quando si parla di riforma del catasto non vorrei che la sinistra pensasse di infilare nuovi balzelli sugli immobili", avverte il coordinatore azzurro Antonio Tajani. "Non è il momento di patrimoniale mascherate", gli fa eco Anna Maria Bernini. E anche la titolare degli Affari Regionali Maria Stella Gelmini chiede un supplemento di riflessione: "se riforma del catasto deve essere, deve avvenire a parità di gettito".

Il Pd, per ora, mantiene un basso profilo mentre Leu, con Federico Fornaro, insiste sull' "ineludibilità" della riforma.
"Chi oggi non vuole toccare nulla, in realtà, difende l'indifendibile: case del centro di Roma ad esempio che hanno un valore catastale inferiore ad abitazioni dell'estrema periferia della città", avverte il capogruppo alla Camera. Il M5s, con il viceministro al Mef Laura Castelli si concentra su altri aspetti della delega. "Sarà incentrata sulla riduzione della pressione fiscale, soprattutto per il ceto medio e su un processo di digitalizzazione e di semplificazione che guardi agli autonomi", spiega.

Draghi, nei prossimi giorni prenderà in mano il dossier e allo stesso tempo, avvierà anche la cabina di regia per il coordinamento e il monitoraggio del Pnrr, con il coinvolgimento degli enti locali. E solo dopo - presumibilmente all'inizio di ottobre - toccherà alla concorrenza. Ma la strada delle riforme non si ferma. "Lo Stato e la macchina amministrativa della Repubblica hanno molte debolezze. E' necessario uno sforzo collettivo per la riparazione della macchina dello Stato", spiega il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Roberto Garofoli.  

ANSA

mercoledì 18 agosto 2021

Il Fisco riparte dopo la tregua di Ferragosto: 163 scadenze entro fine mese. - Giovanni Parente

 

Illustrazione di Federico Bergonzini/Il Sole 24 Ore

Soggetti Isa e forfettari potranno versare le imposte fino al 15 settembre. Senza una nuova proroga pronti a partire 60 milioni di ruoli e atti della riscossione.

Nel lungo e complesso cammino di uscita dalla situazione emergenziale prodotta dalla pandemia anche il fisco prova a recitare la sua parte. La fine della tradizionale tregua di Ferragosto potrebbe, infatti, assumere una valenza ulteriore se proiettata sulle prossime settimane. Certo, parlare di normalità fiscale può sembrare una sorta di ossimoro in un contesto come quello italiano caratterizzato da adempimenti a pioggia e norme in continuo cambiamento (o interpretazione). Ma le sospensioni adottate per far fronte alla crisi di liquidità prodotte dalla difficile congiuntura economica collegata al Covid stanno progressivamente venendo meno. Ecco che allora la ripresa degli adempimenti fiscali con 163 appuntamenti in calendario da venerdì 20 agosto fino al termine del mese può trasformarsi in una sorta di prologo di quanto avverrà da settembre in poi.

Chi ha diritto alla proroga dei versamenti al 15 settembre.

Prima di tutto, però, occorre ricordare come dalla ripresa sia per il momento esclusa la scadenza più pesante in termini di impatto almeno “finanziario”. Con la proroga introdotta nella conversione del decreto Sostegni bis, poco più di quattro milioni di partite Iva soggette alle pagelle fiscali (gli Isa), collegate o nel regime forfettario avranno tempo fino al 15 settembre per pagare le imposte risultanti dal modello Redditi 2021.

Fatture, esterometro e crediti Iva

Nonostante questo, però, non mancano appuntamenti a cui è necessario che operatori economici e professionisti facciano attenzione. Ad esempio, come indica anche lo scadenzario online dell’agenzia delle Entrate, il 20 agosto è l’ultimo giorno per emettere e registrare le fatture differite relative a beni consegnati o spediti a luglio e risultanti da documento di trasporto o da un altro documento idoneo a identificare i contraenti. Ma c’è anche la deadline per la trasmissione dell’esterometro del secondo trimestre 2021 (da aprile a giugno). O ancora, per restare in ambito Iva, entro venerdì va presentato il modello TR per vedersi riconosciuto il credito Iva relativo sempre al secondo trimestre dell’anno in corso.

La rata della rottamazione ter entro il 31 agosto

Non tutti i versamenti, però, sono rinviati a settembre. La riscrittura del calendario della pace fiscale – arrivato sempre con la conversione del decreto Sostegni bis – ha fissato ben due termini ad agosto per il recupero delle rate nel 2020. Il primo appuntamento del 2 agosto ha riguardato gli importi che originariamente andavano saldati a febbraio e marzo dello scorso anno e che sono stati oggetto di diversi differimenti all’interno di provvedimenti sull’emergenza Covid. Il 31 agosto, invece, va recuperata la rata della rottamazione ter, che avrebbe dovuto essere pagata entro fine maggio 2021. A tal proposito, vanno fatte due considerazioni. Da un lato, si applica sempre la regola dei cinque giorni di tolleranza e quindi ci sarà tempo fino ai primi giorni di settembre. Dall’altro lato, non bisognerà dimenticare che l’eventuale mancato pagamento nei termini comporta la decadenza dalla definizione agevolata.

Senza un altro rinvio arrivano le nuove cartelle

Proprio in vista di settembre il capitolo riscossione è quello che, al momento, potrebbe presentare le maggiori insidie per i contribuenti e i professionisti che li assistono. Dal 1° settembre, infatti, agenzia delle Entrate Riscossione (Ader) potrebbe tornare a notificare oltre 60 milioni tra cartelle e altri atti accumulatisi dall’8 marzo 2020, data da cui è scattato il congelamento su tutto il territorio nazionale per l’emergenza Covid. Ma non solo, perché potrebbe tornare ad attivare ipoteche, fermi amministrative e pignoramenti, compresi quelli di pensioni e stipendi. E chi aveva cartelle già notificate prima della sospensione o piani di dilazione in essere dovrà andare alla cassa entro il 30 settembre.

Alla ripresa dei lavori dopo la pausa estiva, la parola passerà a Governo e Parlamento che dovranno decidere se il ritorno alla normalità da subito varrà anche per la riscossione o si troverà l’ennesima soluzione ponte magari con una proroga con effetto retroattivo come già accaduto negli ultimi mesi. Senza dimenticare però che il problema dello «scalone» delle rate arretrate dei piani di dilazione da saldare resta e prima o poi dovrà essere affrontato con qualche meccanismo che, ad esempio, consenta di scaglionare nel tempo i pagamenti dovuti. 

Il Sole24Ore



lunedì 16 agosto 2021

Il Fisco punta a recuperare 12,6 miliardi dall’evasione. - Marco Mobili e Giovanni Parente

 

Si punta a ridurre il tax gap del 5% nel 2023 e poi del 15% nel 2024. Per centrare l'obiettivo digitalizzazione e impulso alla compliance, portando a 2,8 miliardi il gettito da autocorrezioni.

Lo schema è chiaro e l’ex capo di gabinetto del Mef e ora sottosegretario alla Presidenza del Consiglio lo ha ricordato al ministro dell’Economia Daniele Franco: potenziare l'infrastruttura informatica per semplificare gli adempimenti dei contribuenti ma soprattutto ridurre la distanza tra quanto dovrebbe entrare nelle casse dello Stato e quanto realmente i contribuenti versano come imposte. E quest’ultimo obiettivo è già cifrato: nel 2023 il tax gap dovrà essere ridotto del 5% rispetto al gap del 2019. A conti fatti si tratta di poco più di 4 miliardi di euro che però diventano più di 12 miliardi con la riduzione a regime del 15% del tax gap nel 2024.

Si tratta per altro di una somma al ribasso perché, come scrive Roberto Garofoli nell’allegato alla breve missiva sui target che ogni amministrazione dovrà centrare in nome del Pnrr, la differenza tra incassato e dovuto riferito al 2019 non deve tener conto del differenziale su accise e imposte sul mattone, come può essere l’Imu.

Centrare l’obiettivo di riduzione del tax gap vuol dire comunque recuperare in modo strutturale risorse che fino a oggi alimentano soltanto il sommerso. Una risultato ambizioso che, secondo le indicazioni inviate al Mef, potrà essere centrato seguendo soprattutto due direttrici principali. Da una parte il potenziamento della compliance ovvero dell’adempimento spontaneo del contribuente invitato a chiarire eventuali posizioni incongruenti tra quanto dichiarato e quanto effettivamente versato al fisco. La seconda linea d’azione è il completamento del processo di pseudonimizzazione e analisi dei big data per potenziare le analisi di rischio nella selezione dei soggetti da sottoporre a controllo.

Sotto il primo fronte c’è una progressione molto chiara segnalata nella lettera di Garofoli, che punta a obiettivi non solo quantitativi ma anche qualitativi. Il primo traguardo è fissato a fine 2022: aumentare del 20% il numero degli alert inviati ai contribuenti e del 15% il gettito. In entrambi i casi la “maggiorazione” va rapportata all’ultimo anno prima della pandemia (2019) e quindi dovrebbe tradursi, rispettivamente, in quasi 2,6 milioni di lettere e 2,5 miliardi di recupero. Ma - e questo è il target qualitativo - va ridotto di almeno il 5% il numero di falsi positivi. In pratica l’utilizzo dei database deve puntare sempre più a comunicazioni mirate, ossia dirette a contribuenti per i quali vi siano davvero situazioni di anomalia. Il secondo traguardo, invece, è fissato a fine 2024 con il numero di lettere da aumentare del 40% e il gettito del 30 % sempre rispetto al risultato 2019. A conti fatti significa puntare a quasi 3 milioni di lettere e a 2,8 miliardi di gettito aggiuntivo. E nell’ottica di accompagnamento alla compliance va letta anche la strada già intrapresa della precompilata Iva. A settembre c’è il primo appuntamento con i registri precompilati, ma bisogna arrivare anche alla dichiarazione che però partirà dalle operazioni 2022 e quindi arriverà a partire dal 10 febbraio 2023. Il tutto interesserà un numero molto elevato di imprese e professionisti: 2,3 milioni di partite Iva.

Come anticipato, la seconda linea d’azione punta a mettere finalmente a punto la pseudoanonimizzazione dei dati, prevista dalla legge di Bilancio 2020. L’idea è di utilizzare il patrimonio informativo dell’amministrazione per costruire dei modelli di rischio evasione attraverso dei dati preventivamente anonimizzati. Da lì, poi, si potrebbe calare nella realtà gli indici di rischio e procedere alla fase dei controlli sui soggetti ritenuti più pericolosi. La messa a punto - vista la delicatezza delle informazioni trattate - richiede di trovare una quadra con il Garante della Privacy. Dopo di che, si tratterà di sviluppare i modelli informatici. Ma ora la raccomandazione di Garofoli potrebbe accelerare i tempi.

IlSole24Ore

venerdì 6 agosto 2021

Lotta all’evasione, ecco dove colpirà il fisco. - Marco Mobili e Giovanni Parente

 

Guardia di Finanza e agenzia delle Entrate rivedono insieme gli indici di rischio per contrastare frodi e illeciti tributari. Bloccate compensazioni indebite per 1,2 miliardi di euro.

Falsi crediti, fuga di capitali all’estero, commercio elettronico, aiuti Covid e compliance. Si possono sintetizzare così le nuove rotte dell’evasione su cui Guardia di Finanza e agenzia delle Entrate hanno concentrato una revisione congiunta delle analisi di rischio. A chiedere di intensificare il coordinamento e la complementarietà tra le componenti dell’amministrazione finanziaria è l’atto di indirizzo per gli obiettivi di politica fiscale 2021-2023, anticipato dal Sole 24 Ore e diramato dal ministro dell’Economia, Daniele Franco.

L’ANDAMENTO DELLE COMPENSAZIONI

I crediti compensati nel modello F24. Importi in miliardi di euro.

Il rapporto di collaborazione si è ulteriormente consolidato durante la pandemia: l’amministrazione finanziaria si è concentrata sempre più sui contribuenti ad alta pericolosità fiscale e, in particolare, verso le frodi, l’utilizzo indebito di crediti d’imposta (ad esempio, il bonus per ricerca e sviluppo) e di altre agevolazioni, come quelle per fronteggiare il Covid.

«Queste analisi di rischio, condotte a livello centrale, consentono alle unità operative sul territorio di orientare l’attività in modo “chirurgico” e con modalità istruttorie adeguatamente calibrate al profilo di rischio dei contribuenti selezionati», sottolinea Giuseppe Arbore, capo del III reparto Operazioni del Comando generale delle Fiamme gialle. «Non di rado, costituiscono l’input anche per indagini di polizia giudiziaria riguardanti non solo i reati tributari ma anche altri fenomeni di illegalità collegati, come il riciclaggio e l’indebita percezione di finanziamenti pubblici». Ma vediamo nel dettaglio.

Indebite compensazioni.

Un primo filone di analisi (anche a tutela dei saldi di finanza pubblica) ha riguardato l’utilizzo in compensazione di debiti tributari e previdenziali con crediti d’imposta inesistenti a seguito di atti di accollo del debito, come pure la compilazione di deleghe di pagamento con un importo dovuto pari a pochi centesimi di euro. Proprio per arginare gli illeciti, il collegato fiscale alla manovra di bilancio 2020 (Dl 124/2019) ha vietato la compensazione intersoggettiva dei crediti tributari tramite l’accollo prevedendo che i versamenti effettuati in violazione di questa previsione normativa si considerano non avvenuti a tutti gli effetti di legge. Ha inoltre previsto che le compensazioni dei crediti maturati a decorrere dal periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2019 devono transitare obbligatoriamente sui canali telematici gestiti dall’Agenzia. Questo ha consentito finora di bloccare l’utilizzo in compensazione di oltre 1,2 miliardi di euro di crediti fittizi.

Boom dei crediti d’imposta per ricerca.

Un discorso a parte va fatto sulla crescita esponenziale di crediti d’imposta per ricerca e sviluppo nei modelli di pagamento. Tale circostanza, da un lato, può essere spiegata da dinamiche fisiologiche, legate al legittimo utilizzo del credito a fronte di effettivi investimenti agevolabili, dall’altro, può essere attribuita alla diffusione di fenomeni evasivi e fraudolenti di varia natura, spesso ideati da società di consulenza e da pseudo-organismi di ricerca che forniscono documentazione solo formalmente corretta, la relativa certificazione e anche l’assistenza nella fase contenziosa.
Su queste premesse, il settore contrasto illeciti dell’Agenzia ha recentemente realizzato un’analisi di rischio, condivisa con la GdF, sui contribuenti che hanno utilizzato in compensazione crediti d’imposta per ricerca e sviluppo nei periodi d’imposta dal 2016 al 2021 e che risultano connotati da rilevanti indici di anomalia (ad esempio ricerca e sviluppo difficilmente compatibile con l’attività economica dichiarata, con la struttura organizzativa dell’impresa, con l’assenza di costi per l’attività interna nei bilanci depositati o negli anni precedenti all’istituzione del credito d’imposta, eccetera). Come spiega al Sole 24 Ore, Paolo Valerio Barbantini, vicedirettore e capo della divisione Contribuenti delle Entrate, «sono state selezionate circa 4mila posizioni caratterizzate da un elevato profilo di rischiosità su cui sono in corso i necessari approfondimenti degli uffici dell’Agenzia e della Guardia di Finanza».

Commercio elettronico.

Nel mirino di GdF ed Entrate è finito anche il boom registrato dall’e-commerce nel pieno della pandemia. L’incrocio dei dati commerciali comunicati all’Agenzia sui fornitori per i soggetti passivi (residenti o meno), che gestiscono interfacce elettroniche per facilitare le vendite a distanza di beni importati o di beni nella Ue tra fornitori e acquirenti, insieme ad altri dati acquisiti dalle Fiamme gialle dai principali gestori delle piattaforme, ha consentito di avviare un’analisi di rischio dedicata, rivolta sia ai soggetti passivi residenti che ai contribuenti che si sono identificati in Italia.

Vigilanza anche sui contribuenti che, pur con volumi di vendita molto rilevanti, non hanno presentato dichiarazioni dei redditi e Iva, conseguendo così un indebito vantaggio a danno degli operatori tradizionali.

Lettere di compliance.

Le analisi congiunte guardano anche i soggetti destinatari delle comunicazioni per l’adempimento spontaneo che non hanno giustificato anomalie comunicate o non hanno modificato il loro comportamento a seguito dell’invito dell’Agenzia. Particolare attenzione ai contribuenti rimasti inerti dopo le lettere di compliance fondate sulle informazioni relative ai redditi esteri arrivati grazie al Common reporting standard (Crs), o sui dati della fatturazione elettronica obbligatoria e dei corrispettivi telematici, che - come ricorda Barbantini - «sono di fondamentale importanza per le attività di controllo, in quanto consentono, oltre all’attività di promozione della compliance e la prevenzione dei fenomeni evasivi, l’immediato confronto con i dati dichiarativi permettendo di avviare, in presenza di anomalie, istruttorie più approfondite».

Contributi a fondo perduto.

Non solo lotta all’evasione ma anche tutela della spesa pubblica. Con un protocollo d’intesa sottoscritto nel novembre 2020, sono state sviluppate analisi del rischio mirate sul diritto di accesso ai contributi a fondo perduto erogati con i provvedimenti emergenziali. I criteri di rischio, ad esempio, si riferiscono alla verifica della condizione dei ricavi (se prevista), della corretta indicazione della percentuale del contributo in base alla dimensione del richiedente, della congruità dell’importo delle operazioni 2019 e 2020, della ricorrenza dei firmatari e della presenza di eventuali indici di frode fiscale a loro carico.

Illustrazione di Giorgio De Marinis / 

Il Sole 24 Ore

martedì 20 luglio 2021

Irpef, forfait e Iva: riforma del Fisco in 20 punti chiave. - Marco Mobili e Salvatore Padula

Illustrazione di Giorgio De Marinis / Il Sole 24 Ore

Delega entro fine luglio. Certezza delle norme, forfait, Ires, Iva, anti-evasione: ecco per ciascun tema il grado di convergenza, la fattibilità e il nodo dei costi.

I prossimi giorni sveleranno i progetti del Governo sul nuovo Fisco, una delle «riforme di accompagnamento» previste dal Piano nazionale di ripresa e resilienza. Entro fine mese, salvo sorprese, verrà approvato il disegno di legge delega per riordinare alcuni aspetti del sistema tributario, a partire dall’Irpef e con possibili affacci – vedremo quanto ampi, profondi e ambiziosi – su ulteriori ambiti della fiscalità nazionale.

Nella definizione dei principi del Ddl delega, il Governo terrà in considerazione il documento conclusivo dell’«Indagine conoscitiva sulla riforma dell'Irpef e altri aspetti del sistema tributario», approvato il 30 giugno dalle Commissioni Finanze di Camera e Senato con il voto favorevole di tutti i partiti, eccetto l’astensione di Leu e il voto contrario di Fratelli d'Italia.

La scrittura della riforma vera e propria richiederà più tempo. E le proposte arriveranno da una Commissione di esperti, che il Governo nominerà. Difficile immaginare che le nuove norme possano entrare in vigore già nel 2022, almeno non nella loro interezza.

La grande incognita delle risorse.

L’ampiezza della riforma dipenderà anche dalla disponibilità di risorse e dalla capacità di finanziare i nuovi interventi recuperando gettito con tagli e razionalizzazioni. Visti livelli e dinamica del debito pubblico, sembra difficile immaginare che il Governo voglia avventurarsi in una riforma interamente o prevalentemente in deficit. Qualche risorsa si potrà trovare nelle pieghe del bilancio (per altro, già esiste un fondo al quale sono state destinate risorse per avviare la riforma), ma serviranno coperture aggiuntive ad hoc.

Quale contributo può arrivare dalle indicazioni contenute nel documento finale delle Commissioni Finanze di Camera e Senato? Una lettura complessiva del documento conclusivo dell’indagine conoscitiva sulla riforma - si veda la mappa in 20 punti nelle infografiche in questo articolo tracciata dal Sole 24 Ore del Lunedì - può fornire qualche indicazione. Il documento è il risultato di una serie di compromessi tra i partiti, vedremo quanto solidi, e alla capacità di mediazione dei due presidenti, Luigi Marattin (Iv, Camera) e Luciano D'Alfonso (Pd, Senato). Alcune tematiche non hanno trovato spazio nella sintesi finale: non è difficile capire che, su quelle materie, non si siano trovati spiragli di compromesso (Catasto, tassazione immobiliare, patrimoniali).

Posizione unanime dei partiti su semplificazione (anche con la soppressione di un lungo elenco di tributi minori) e certezza delle norme.

In questo senso, la strada per avviare la redazione del Codice tributario non sembra avere ostacoli, anche se, come sappiamo, le difficoltà oggettive non mancano, soprattutto se il risultato finale non deve essere una “raccolta” di norme, ma a una reale razionalizzazione e semplificazione.

La condivisione può durare?

Il documento parlamentare suggerisce l’adozione di un modello di imposta personale basato sulla «Dit» (Dual income taxation): imposta proporzionale sui redditi finanziari (con aliquota coincidente o prossima alla nuova prima aliquota Irpef) e tassazione progressiva per i redditi da lavoro. Con alcune eccezioni, tra cui, quella dell’imposta fissa sulle partite Iva (forfait), insieme ad altre possibili “deviazioni” dal modello, che indeboliscono il presupposto teorico di questo impianto.

Al Governo toccherà una riflessione su una serie di misure proposte per riequilibrare il prelievo, rendere più equa l’imposta personale e favorire la crescita. Vanno in questa direzione sia l’alleggerimento del prelievo per i redditi tra 28 e 55mila euro; sia l’introduzione del reddito minimo esente; sia ancora l’adozione di meccanismi che possano favorire l'ingresso nel mondo del lavoro del secondo percettore di reddito in ambito familiare (mantenendo l’individuo come unità impositiva); sia quella di agevolare fiscalmente i giovani (under 35) che iniziano un’attività lavorativa.

Proposte coraggiose che tuttavia – come in fondo è comprensibile – trasferiscono l’idea che il Parlamento abbia in mente una riforma “a spendere”.

C’è da chiedersi se la “condivisione” che il testo restituisce potrà durare nel tempo. La Lega disposta a rinunciare alla “sua” flat tax generalizzata; il Pd disposto ad accettare la sopravvivenza del forfait per le partite Iva (e, di fatto, anche una sua estensione, per favorire l’uscita morbida dall’agevolazione al superamento del limite di 65mila euro di ricavi/compensi); Italia Viva rinuncia al bonus Renzi da 80-100 euro (buona notizia, guardando alla coerenza del sistema, ma, probabilmente, non sarà facile destinare alla riforma gli oltre 15 miliardi di risparmio senza penalizzare gli attuali percettori del bonus).

Il groviglio tax expenditures.

Su spese fiscali e agevolazioni varie dal documento parlamentare arriva una (cauta) apertura a semplificazione e riduzione, ma con un esplicito riferimento a quelle con benefici e beneficiari minimi. Il che renderebbe l’operazione poco utile, almeno se l’obiettivo è quello di destinare le risorse così risparmiate alla copertura di altri “pezzi” di riforma.

Ed è anche un po' la conferma che tutti sono d’accordo sul taglio delle agevolazioni ma che è più facile metterne di nuove che non eliminare le vecchie: solo pochi giorni dopo l’approvazione del documento condiviso, il Parlamento ha approvato un decreto che introduce un’altra ventina di bonus di varia natura, con un costo complessivo di circa 800 milioni di euro.

Dall’Irap all’Iva.

Tutti d’accordo anche sull’abolizione dell’Irap, che verrebbe di fatto assorbita con un’addizionale Ires/Irpef, che garantirà la parità di gettito ma la cui applicazione determinerà comunque un rimescolamento dei livelli individuali di prelievo.

Nel documento c’è anche un accenno all’Iva, con la proposta di prevedere una delega al Governo per il riordino, in chiave di semplificazione e di possibile riduzione dell’aliquota ordinaria. È una mediazione importante, soprattutto se si pensa che la Lega, nel suo documento conclusivo, escludeva categoricamente qualsiasi intervento sull’Iva. Come molti sostengono, l’Iva avrebbe bisogno di un robusto riordino, finalizzato anche a ridurre gli spazi di evasione (resta l’imposta con il maggiore tax gap), legati anche alla frammentazione delle aliquote.

A Draghi e ai suoi ministri il difficile compito di conciliare i desideri con ciò che è davvero possibile e necessario.

IlSole24Ore

sabato 3 luglio 2021

Anche sul fisco ad esultare sono la Lega e Forza Italia. Nel documento finale delle Camere sparisce la patrimoniale (citata nelle bozze). Resta la mini flat tax e spunta l’abolizione dell’Irap cara a Confindustria. - Chiara Brusini

 

Il tema al centro del dibattito globale non è sfiorato dal testo approvato dalla maggioranza (astenuta solo Leu) che dovrà indirizzare il governo Draghi sulla strada della riforma. Il voto finale ha fatto piazza pulita anche dell'ennesimo tentativo di riformare il catasto, rivalutando le case di pregio. In compenso si auspica che l'aliquota sui redditi da capitale venga ridotta dall'attuale 26 al 23%. La Lega esulta insieme a Forza Italia: per Sestino Giacomoni è il segno che il partito di Berlusconi "ha vinto la battaglia culturale iniziata nel 1994".

Tra un’inevitabile citazione di Federico Caffè e un motto di Luigi Einaudi, il documento delle Commissioni Finanze di Camera e Senato propedeutico alla riforma del fisco ignora il proverbiale elefante nella stanza. Cioè la proposta del segretario Pd Enrico Letta di aumentare la tassa di successione sui patrimoni oltre i 5 milioni di euro. La versione finale, approvata due giorni fa con l’astensione della sola Leu (contraria invece Fratelli d’Italia) e frutto di sei mesi di audizioni degli addetti ai lavori, mette nero su bianco che al fisco italiano non serve più progressività: l’obiettivo principale deve essere “quello di favorire un incremento strutturale del tasso di crescita“. La redistribuzione? Meglio pensarci in una fase successiva, quella in cui lo Stato distribuisce benefit e agevolazioni. Così la parola “patrimoniale” è stata eliminata tout court dal testo. In compenso si auspica che l’aliquota sui redditi da capitale venga ridotta dall’attuale 26% a un livello “prossimo all’aliquota applicata al primo scaglione Irpef”, cioè il 23%. E viene pure promossa, al netto della richiesta di alcuni correttivi, la flat tax per gli autonomi con ricavi fino a 65mila euro cara alla Lega. Che esulta insieme a Forza Italia: per Sestino Giacomoni “con il testo approvato di fatto da tutta la maggioranza di salvezza nazionale” il partito di Berlusconi “ha vinto la battaglia culturale iniziata nel 1994. Nel nostro Paese non ci saranno patrimoniali o altre tasse di scopo, perché questo è il momento del ‘meno tasse per tutti'”.

E dire che le bozze la tassa sulle ricchezze la citavano, pur lasciando il paragrafo in bianco e segnalando che era un “nodo politico da sciogliere“. Le forze di maggioranza – ognuna delle quali ora descrive l’atto parlamentare come un proprio evidente successo – l’hanno sciolto nel senso di ignorarlo. Così il tema al centro del dibattito globale su disuguaglianze e redistribuzione post Covid non è nemmeno sfiorato dal testo che dovrà indirizzare il governo Draghi sulla strada dell’annunciata riforma del fisco, attesa sotto forma di ddl delega entro fine luglio. La votazione finale ha fatto piazza pulita pure dell’ennesimo tentativo – se ne parla dal 2014 – di procedere con la riforma del catasto, che avrebbe il probabile effetto di rivalutare le case di pregio che oggi in molti casi pagano meno del dovuto: non è passato l’emendamento dei presidenti delle Commissioni Luigi Marattin (Iv) e Luciano D’Alfonso (Pd) che esplicitava “l’opportunità di inserire nella prossima legge delega un riordino complessivo dei valori catastali, valorizzando il più possibile ruolo e funzioni dei Comuni”. Non a caso si dice “molto contento” Matteo Salvini, che festeggia il risultato di aver mandato “in archivio la tassa patrimoniale di successione o l’aumento dell’Imu che qualcuno aveva proposto”. Oltre a rivendicare che il documento prefigura labolizione dell’Irap” caldeggiata da Confindustria (il gettito andrebbe “riassorbito nei tributi attualmente esistenti), “la riduzione dell’Irpef soprattutto delle aliquote per il ceto medio, la difesa della Flat tax per le partite Iva fino a 65mila euro” e pure “l’inversione dell’onere della prova, che è molto importante per le imprese. Non è il cittadino o l’imprenditore che deve dimostrare all’Agenzia delle entrate la propria innocenza”.

Letta dal canto suo ostenta soddisfazione perché rispetto all’imposta sui redditi il primo obiettivo indicato è l’abbassamento dell’aliquota media effettiva per quelli compresi tra 28.000 e 55.000 euro (che oggi pagano il 38%) e per gli imprenditori si ipotizza la reintroduzione del regime opzionale Iri, nato nel 2017 e abrogato due anni dopo. “Meno tasse per il ceto medio, per chi lavora e per chi fa impresa”, sintetizza il segretario dem, che però oltre alla tassa di successione vede bocciata (è indicata come “opzione meno preferita”) pure l‘aliquota personalizzata alla tedesca che era l’opzione preferita dai dem in favore di un “intervento semplificatore sul combinato disposto di scaglioni, aliquote e detrazioni per tipologia di reddito, incluso l’assorbimento degli interventi del 2014 e del 2020 riguardanti il lavoro dipendente”, vale a dire il bonus 80 euro di Renzi portato a 100 euro lo scorso anno con effetti deleteri sulle aliquote marginali effettive.

La flat tax che il leader Pd dà per morta (“non passa”) esce poi viva e vegeta dalla mediazione tra i partiti: vero è che le Commissioni non fanno cenno all’estensione del regime forfettario fino a 100mila euro di ricavi, prevista a suo tempo dal governo gialloverde, ma mettono nero su bianco che il regime “agevolato e semplificato” deve restare in vigore. Si chiede solo una modifica che riduca l’incentivo a nascondere al fisco i redditi superiori alla soglia massima, consentendo di godere di una aliquota piatta lievemente meno conveniente (20%) nei due anni successivi al superamento del tetto di almeno il 10%. Evitando così il salto dalla tassa piatta alla normale aliquota Irpef. Più dubbia, vista la dimensione del tax gap degli autonomi, la successiva raccomandazione “di accordare in favore del contribuente quale ulteriore misura di accompagnamento la limitazione dei poteri di accertamento dell’Agenzia delle Entrate per il periodo di vigenza dell’opzione”.

Tra auspici di sfoltimento dei prelievi minori e di rimodulazione della tassazione ambientale per raggiungere gli obiettivi del Green deal, cosa resta dunque per il contrasto all’evasione? Il penultimo paragrafo del documento predica la necessità dell’ennesimo Patto fiscale tra Stato e cittadini incentrato su un “cambio di paradigma nei rapporti tra amministrazione fiscale e contribuente”: “Vi è il bisogno di un’evoluzione culturale da ambo le parti: ciascuna di esse deve allo stesso tempo mutare i propri comportamenti in senso virtuoso e abbandonare i pregiudizi nei confronti della “controparte”“. Le priorità allora sono l’estensione dell’obbligo di fatturazione elettronica e la piena digitalizzazione del fisco, lo “scambio tra digitalizzazione e riduzione degli adempimenti per i professionisti, imprese e intermediari” (si afferma che va anche “valutato attentamente” il meccanismo del cosiddetto reverse charge“, cioè il versamento dell’Iva non a chi venda ma direttamente all’erario, che pure ha consentito un buon recupero di evasione) e “l’interoperabilità delle banche dati” nel rispetto della Privacy. Qui però iniziano i distinguo, dalla necessità che il contribuente sia messo a conoscenza dei dati in possesso dell’amministrazione alla richiesta che l’ente impositore abbia “l’onere di dimostrare che l’incrocio tra i dati è corretto e di motivare puntualmente la risposta in merito agli argomenti difensivi presentati dal contribuente”.

Infine, i componenti delle Commissioni ritengono auspicabile pure “superare le residue forme ancora presenti di attività di controllo basate sulla ricostruzione presuntiva di reddito o ricavi” come il redditometro, di cui pure il ministero dell’Economia ha appena elaborato una nuova veste (il decreto è ora in consultazione), nei casi in cui con i dati sia possibile ricostruire puntualmente l’imponibile. Solo due righe sulla riscossione, di cui il governo dovrebbe a breve presentare una proposta di riforma ad hoc: il Parlamento si limita a immaginare una “rivoluzione manageriale in grado di superare l’approccio meramente formale e virare verso una gestione del processo produttivo interamente concentrata su efficienza ed efficacia“.

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