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giovedì 11 luglio 2024

MATERIA OSCURA ATTORNO A GIOVE? - Elisabetta Bonora

SCHEMA DELLA PRODUZIONE DI H3+ SU GIOVE. L’EMISSIONE AURORALE DI H3+ VICINO AI POLI MAGNETICI È ORIGINATA DALLA PRECIPITAZIONE DI ELETTRONI E GLI UV ESTREMI PROVENIENTI DAL SOLE IRRADIANO IL LATO DIURNO E DOMINANO LA PRODUZIONE DI H3+ VICINO ALL’EQUATORE. MA È PREVISTO ALCUN H3+ SIGNIFICATIVO ALLE BASSE LATITUDINI SUL LATO NOTTURNO. CREDITI: LETTERE DI REVISIONE FISICA (2024). DOI: 10.1103/PHYSREVLETT.132.26100

Nel loro studio, pubblicato su Physical Review LettersCarlos Blanco e Rebecca Leane hanno analizzato le misurazioni notturne sulla regione equatoriale di Giove, per ridurre al minimo le influenze aurorali.

La materia oscura è un'ipotetica componente di materia che, diversamente dalla materia ordinaria, non emetterebbe radiazione elettromagnetica ma sarebbe rilevabile attraverso i suoi effetti gravitazionali. È stata proposta negli anni '30 del secolo scorso e ancora elude gli scienziati i quali, però, ritengono che costituisca circa il 70-80% di tutta la materia nell’universo. È stata introdotta per giustificare diverse osservazioni astrofisiche, in particolare delle stime della massa delle galassie o degli ammassi di galassie e delle proprietà delle fluttuazioni nel fondo cosmologico.

I ricercatori ipotizzano che potrebbe essere rilevata indirettamente identificando il calore o la luce emessa quando le particelle di materia oscura si scontrano e si distruggono a vicenda. E la natura della luce nell’atmosfera esterna sul lato notturno di Giove potrebbe essere proprio questo genere di prova.

Il team suggerisce che le particelle di materia oscura vengano attratte verso il pianeta dalla sua forte gravità e si scontrino con la ionosfera, producendo, talvolta, fotoni.

Per confermare la propria teoria, il team ha analizzato i dati del Visual and Infrared Mapping Spectrometer a bordo della sonda Cassini, che sorvolò il pianeta nel dicembre 2000, prima di iniziare la sua storica missione nel sistema di Saturno. Particolare attenzione è stata rivolta alle tre ore di osservazioni sul lato notturno di Giove, sulla sua regione equatoriale. Gli scienziati cercavano prove di una maggior produzione di  H3+, un catione idrogenonio che, secondo le teorie, sarebbe prodotto dalle collisioni di materia oscura e non dovrebbe essere presente al buio alle basse latitudini.

In effetti, l' H3+ è stato trovato ma ancora non è chiaro se tale quantità è effettivamente superiore a quella che potrebbe essere prodotta in altre circostanze.

https://aliveuniverse.today/flash-news/spazio-astronomia/8883-materia-oscura-attorno-a-giove/

lunedì 15 aprile 2024

Hubble ha scoperto una galassia vicina senza materia oscura!

Una galassia trasparente - credit: NASA/ESA

È la prima volta che viene scoperta una galassia vicino alla Via Lattea priva di materia oscura. Ecco il motivo.

Utilizzando Hubble e diversi altri telescopi terrestri gli astronomi hanno trovato un oggetto astronomico unico: una galassia che sembra non contenere quasi materia oscura. Hubble ha contribuito a confermare con precisione che la distanza di NGC 1052-DF2 (questo il nome della galassia) è di 65 milioni di anni luce e ne ha determinato le dimensioni e la luminosità. Sulla base di questi dati il ​​team ha scoperto che NGC 1052-DF2 è più grande della Via Lattea, ma contiene circa 250 volte meno stelle.

“Ho passato un’ora a fissare questa immagine”, ha detto il ricercatore capo Pieter van Dokkum dell’Università di Yale, quando ha visto per la prima volta l’immagine di Hubble. “Questa cosa è sorprendente: una massa gigantesca così sparsa che puoi vedere le galassie dietro di essa. È letteralmente una galassia trasparente.”

Senza materia oscura.

Ulteriori misurazioni hanno permesso al team di dedurre un valore approssimativo della massa della galassia, portando alla conclusione che NGC 1052-DF2 contenga almeno 400 volte meno materia oscura di quanto previsto dagli astronomi per una galassia della sua massa. Questa scoperta non è prevista dalle attuali teorie sulla distribuzione della materia oscura e sulla sua influenza sulla formazione delle galassie.

Il collante che tiene insieme le galassie.

“Si ritiene convenzionalmente che la materia oscura sia parte integrante di tutte le galassie, il collante che le tiene insieme e l’impalcatura sottostante su cui sono costruite”, spiega la coautrice dello studio Allison Merritt dell’Università di Yale. “Questa sostanza invisibile e misteriosa è di gran lunga l’aspetto più dominante di qualsiasi galassia. Trovare una galassia senza alcuna sostanza è del tutto inaspettato, mette in discussione le idee standard su come funzionano le galassie”.

Cosa possiamo dedurre da questa scoperta.

La scoperta di NGC 1052-DF2 dimostra che la materia oscura è in qualche modo separabile dalle galassie. Ciò è previsto dalla teoria solo se la materia oscura è legata alla materia ordinaria esclusivamente attraverso la gravità. Nel frattempo, i ricercatori hanno già alcune idee su come spiegare questa mancanza di materia oscura in NGC 1052-DF2. Forse un evento catastrofico ha spazzato via tutto il gas e la materia oscura? Oppure la crescita della vicina galassia ellittica NGC 1052 miliardi di anni fa ha condizionato NGC 1052-DF2? Per trovare una spiegazione, il team sta già cercando altre galassie carenti di materia oscura, vi terremo aggiornati con tutti i dettagli su questo argomento.

https://www.passioneastronomia.it/hubble-ha-scoperto-una-galassia-vicina-senza-materia-oscura/

giovedì 4 marzo 2021

Buchi neri supermassicci dalla materia oscura. - Giuseppe Donatiello

 

UNO STUDIO ESPLORA UNA POSSIBILE ORIGINE DI QUESTI MOSTRI CELESTI.

È probabile che ogni grande galassia ospiti nel suo centro un buco nero supermassicio (Smbh), pesante milioni o miliardi di masse solari, come quello ripreso nel cuore di Messier 87. Esistono prove della presenza di questi oggetti già nel giovane Universo, 800 milioni di anni dopo il Big Bang.

Una presenza precoce che contrasta con lo scenario che indica la formazione di tali mostri da un collasso stellare e da un successivo accrescimento a spese della materia normale (stelle e nubi di materia).

Si ritiene che le primissime stelle, quelle di “Popolazione III”, fossero più massicce di quelle formatesi in seguito, quindi in grado di generare, esplodendo come supernove, i buchi neri di taglia stellare che sarebbero stati gli embrioni per quelli supermassici. Tuttavia, stime ragionevoli sulla tempistica rendono molto improbabile che i Smbh si siano formati con questo meccanismo in pochi milioni di anni. Deve essere intervenuto un meccanismo completamente diverso, ma quale?

Sono stati proposti scenari diversi per spiegare l’arcano, invocando per esempio il collasso d’intere regioni nel centro delle proto-galassie, considerando anche il ruolo della materia oscura in questi processi.

Un nuovo studio, guidato da Carlos R. Argüelles, ricercatore presso l’Universidad Nacional de La Plata e l’Icranet, propone la formazione di Smbh unicamente dal collasso di materia oscura. Questo modello era già stato proposto, ma il merito del nuovo studio consiste nel descrivere l’intero processo, partendo da regioni ad alta densità poste nel centro delle attuali galassie, con tutte le implicazioni cosmologiche che ne derivano.

Lo studio considera la presenza di notevoli concentrazioni di materia oscura nelle galassie. Le simulazioni hanno mostrato la possibilità di un collasso da nuclei di materia oscura, una volta raggiunta una soglia critica. Così, si formerebbe direttamente un buco nero con milioni di masse solari senza la necessità di una progressiva accrezione ai danni della materia circostante.

Due intriganti conseguenze.

Tale processo è piuttosto rapido al confronto con altri meccanismi e introduce un’intrigante conseguenza: i Smbh si formano prima della galassia e non dopo, come ritenuto in precedenza. Questi oggetti fungerebbero da nuclei di aggregazione per la formazione gerarchica successiva.

Un’altra intrigante conseguenza è che non tutti gli aloni di materia oscura raggiungono la massa critica per collassare in Smbh, conservandosi sotto forma di piccoli aloni, come quelli che sembrano avvolgere le galassie nane, tenendole insieme. Questo è ciò che si osserva in molti sistemi diffusi, dove il nucleo denso di materia oscura produrrebbe effetti gravitazionali simili a quelli di un buco nero supermassicio.

Alcune galassie che non manifestano la presenza di nuclei attivi, come la Via Lattea, potrebbero invece ospitare un nucleo denso di materia oscura in luogo di un Smbh, pur esibendo movimenti stellari del tutto simili.

https://bfcspace.com/2021/02/25/buchi-neri-supermassicci-dalla-materia-oscura/?fbclid=IwAR2k9_Sq8W2Ue53PglIm3anzjYn50tl48hEuJUmNXk782eC6Nm8nNbrBpQE

domenica 28 febbraio 2021

Buchi neri supermassicci fatti di materia oscura. - Laura Leonardi

Rappresentazione artistica di una galassia a spirale racchiusa in una distribuzione più ampia di materia oscura invisibile, nota come alone di materia oscura (colorata in blu). Studi sulla formazione di aloni di materia oscura hanno suggerito che ogni alone potrebbe ospitare un nucleo molto denso di materia oscura, che potrebbe potenzialmente imitare gli effetti di un buco nero centrale, o eventualmente collassare per formarne uno. Crediti: Eso / L. Calçada

Uno studio pubblicato su Monthly Notices of the Royal Astronomical Society teorizza la formazione di buchi neri supermassicci a partire dalla materia oscura, e mostra come quest’ultima possa distribuirsi fra alone e centro di una galassia fino a dar luogo a un nucleo di materia oscura molto denso.

Come si sono formati i buchi neri supermassicci nell’universo primordiale? Questa è una delle domande più intriganti della ricerca astrofisica moderna e, ad oggi, uno dei maggiori problemi ancora aperti per chi si occupa di evoluzione galattica. I buchi neri supermassicci sono stati osservati già a partire da ottocento milioni di anni dopo il Big Bang, ma come possano formarsi ed evolvere così rapidamente rimane inspiegabile.

Un team di astrofisici guidato Carlos R. Argüelles – ricercatore all’Universidad Nacional de La Plata, in Argentina, e all’ IcraNet (centro internazionale con sede a Pescara) – suggerisce ora la possibilità di un meccanismo che consentirebbe la formazione di buchi neri supermassicci a partire dalla materia oscura presente nelle regioni ad alta densità nei centri delle galassie.

Negli scenari convenzionali, è la normale materia barionica – ovvero, gli atomi e gli elementi che compongono le stelle, i pianeti e tutti gli oggetti che conosciamo, noi compresi – a collassare sotto il peso della gravità, formando così i buchi neri supermassicci, che poi crescono e si evolvono nel tempo. La nuova ipotesi, illustrata sul numero di aprile di Monthly Notices of the Royal Astronomical Society, prendendo in esame la potenziale esistenza di nuclei galattici stabili fatti di materia oscura e circondati da un alone diffuso sempre di materia oscura, mostra come le zone centrali di queste strutture possano diventare così dense da collassare anch’esse in buchi neri supermassicci una volta raggiunta la soglia critica. Stando a questo modello, ciò avverrebbe molto più rapidamente di quanto non sia possibile attraverso altri meccanismi di formazione, al punto da consentire ai buchi neri supermassicci dell’universo primordiale di essersi formati prima delle stesse galassie in cui abitano – contrariamente a quanto si ritiene sia avvenuto.

«Questo nuovo scenario di formazione», dice infatti Argüelles, «può spiegare in modo naturale come i buchi neri supermassicci abbiano avuto origine nell’universo primordiale, senza richiedere che si fossero già formate le stelle né invocare la presenza di “semi” di buchi neri con tassi di accrescimento irrealistici».

Un altro aspetto interessante del nuovo modello è che la massa critica che induce il collasso in un buco nero potrebbe non essere raggiunta nel caso degli aloni di materia oscura più piccoli, come quelli che circondano alcune galassie nane. Gli autori suggeriscono che ciò potrebbe dar luogo a galassie nane con un nucleo centrale di materia oscura ma senza un buco nero. Un tale nucleo di materia oscura potrebbe imitare la firma gravitazionale di un buco nero centrale convenzionale, mentre la presenza dell’alone esterno di materia oscura potrebbe spiegare le curve di rotazione della galassia.

«Questo modello mostra come gli aloni di materia oscura possano ospitare al loro centro concentrazioni ad alta densità, che potrebbero avere un ruolo cruciale per comprendere la formazione dei buchi neri supermassicci», osserva Argüelles.

La speranza degli autori è che, a partire dal loro modello teorico, ulteriori studi saranno in grado di far luce sulla formazione dei buchi neri supermassicci nelle epoche primordiali dell’universo, oltre a indagare se i nuclei delle galassie non attive, inclusa la Via Lattea, possano ospitare questi densi nuclei di materia oscura.

https://www.media.inaf.it/2021/02/25/smbh-dark-matter/?fbclid=IwAR1y1ArhbBv1WfZs9SaxXVV2SIvKaBbjMggO-fzcd7RFmt1mOfSvNrem4lQ

martedì 23 febbraio 2021

Gli scienziati hanno trovato un portale per la quinta dimensione, dicono. - Simone Cosimi

 

Secondo un nuovo studio la materia oscura può essere il frutto dei fermioni spinti, e bloccati, in una quinta dimensione.

Che cos’è la materia oscura? Si tratta, almeno per i cosmologi, di un’ipotetica componente che, al contrario di tutto ciò che conosciamo, non emetterebbe radiazione elettromagnetica e dunque sarebbe rilevabile solo in modo indiretto. Ad esempio tramite i suoi effetti gravitazionali. Dovrebbe costituire quasi il 90% della massa dell’universo. In un nuovo studio un gruppo di scienziati afferma ora di poterla spiegare ipotizzando una particella in grado di collegarsi alla quinta dimensione, sorta di dimensione parallela dove i parametri (appunto, le dimensioni) superano di gran lunga quelle di altezza, larghezza e profondità per come le conosciamo.

La ricerca, pubblicata nell’Europea Physical Journal C, sarebbe la prima – spiega Popular Mechanics – a utilizzare in modo coerente una teoria introdotta nel 1999 per spiegare l’enigma della materia oscura all’interno del campo della teoria delle particelle. Si tratta della teoria nota come modelli di Randall-Sundrum, descrizioni del mondo in termini di un universo ad alta dimensione a geometria deformata, o più concretamente come uno spazio anti-de Sitter a cinque dimensioni in cui le particelle elementari sono appunto localizzate su una brana a-dimensionale o brane. A sua volta una tesi che si ricollega alla teoria delle stringhe che interpreta l’universo come una specie di “sandwich” tridimensionale immerso in iperspazio a undici dimensioni.

La nostra conoscenza dell’universo fisico è condannata ad affidarsi all’idea della materia oscura, che come dicevamo ne occuperebbe la parte preponderante e ci consentirebbe di spiegare il funzionamento della gravità per il semplice fatto che senza questa sorta di “infrastruttura” di sostegno nascosta molte teorie crollerebbero. Ciononostante la materia oscura non compromette le particelle che vediamo e sentiamo, “e questo significa che deve avere altre proprietà speciali”. Ci sono per esempio, raccontano gli scienziati spagnoli e tedeschi, alcune domande a cui il modello standard della fisica non riesce a rispondere: “Uno dei più significativi esempi è il cosiddetto problema della gerarchia, cioè la questione per cui il bosone di Higgs sia più leggero” della massa di Planck. “La fisica teorica non riesce poi a risolvere altri fenomeni che osserviamo. E uno dei più evidenti è l’esistenza della materia oscura”.

bird like energy eruption from a neutron star with star field in background 3d rendering
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Il nuovo studio tenta dunque di spiegarne l’esistenza attraverso l’uso di un modello basato sulle teorie descritte prima: “Gli scienziati hanno studiato le masse dei fermioni che ritengono possano comunicare con la quinta dimensione attraverso dei portali, creando quindi della materia oscura fermionica all’interno di quello spazio". Cosa sono i fermioni? Prendono il nome da Enrico Fermi e sono l’altro lato dei bosoni, cioè una delle due famiglie fondamentali in cui si dividono le particelle (quest'ultime sono particelle-forza, le altre particelle-materia). Hanno spin – cioè un momento angolare intrinseco - semintero e sono sempre dotati (al contrario dei bosoni come fotoni o gluoni) di massa visto che di fatto tutta la materia conosciuta e rilevabile è costituita da fermioni (quelli fondamentali sono i quark, come protoni e neutroni, e i leptoni, come gli elettroni). Rispondono al principio di eslcusione di Pauli, che è un principio seminale della meccanica quantistica secondo cui due fermioni identici non possono occupare simultaneamente lo stesso stato quantico.

Questi fermioni in grado di comunicare fra le diverse dimensioni potrebbero almeno spiegare parte della materia oscura che gli esperti non sono in grado di osservare: “Sappiamo che non esiste un candidato a spiegare la materia oscura praticabile nel modello standard della fisica", dicono gli scienziati,"quindi già questo fatto richiede la presenza di nuova fisica". Dunque secondo l’indagine masse di fermioni riuscirebbero a manifestarsi nella quinta dimensione e lì rimanere bloccati, sfuggendo a ogni misurazione a nostra disposizione almeno relativa al modello standard che infatti riesce a descrivere tutte le particelle che conosciamo, e non le altre.

Come osservare questo tipo di materia è il problema di tutte le teorie che hanno tentato di postularne l’esistenza. Ma tutto ciò che serve per identificare la materia oscura fermionica in una quinta dimensione deformata sarebbe un dispositivo paragonabile al rivelatore di onde gravitazionali. Che potrebbe appunto svelarci, su un diverso livello superiore a geometria deformata, la presenza di quelle stesse particelle che conosciamo.

https://www.esquire.com/it/lifestyle/tecnologia/a35479555/quinta-dimensione-portale/?fbclid=IwAR0wjXbwEcGPLONShUhAoVNATW4mtM54jwNtKLwpKqSsPShhqniMzl4ND7k

martedì 16 febbraio 2021

La materia oscura abita nella quinta dimensione? - Mara Magistroni

Alcuni scienziati ipotizzano l’esistenza di “strani” fermioni in grado di attraversare portali per una quinta dimensione “deformata” dell’Universo. Una teoria per spiegare, almeno in parte, la materia oscura.

La materia oscura: si sa che c’è ma non si vede. E se il modello standard della fisica non riesce a spiegarla pare ovvio – almeno per i fisici teorici – che ci debba essere qualcos’altro, una nuova fisica tutta da scoprire.

Per Adrian Carmona dell’università di Granada (Spagna), Javier Castellano e Matthias Neubert dell’Università Johannes Gutenberg di Mainz (Germania), in particolare, esisterebbero delle particelle subatomiche di tipo fermionico in grado di viaggiare attraverso dei portali in una quinta dimensione deformata dell’Universo. Proprio questi fermioni, rimanendo intrappolati, costituirebbero almeno in parte la materia oscura.

Quella di Carmona, Castellano e Neubert, beninteso, rimane una teoria, ma il loro studio pubblicato su European Physical Journal C è considerato degno di nota, perché è il primo a utilizzare in modo coerente la teoria dei modelli di Randall-Sundrum che introduce appunto una quinta dimensione deformata dell’Universo – impossibile da vedere (per il momento) ma intuibile per le stranezze che genera sul nostro piano di realtà.

I tre scienziati hanno studiato le masse dei fermioni (cioè le particelle subatomiche alternative ai bosoni che costituiscono la materia conosciuta e rilevabile nell’Universo) e ritengono che alcuni tipi possano viaggiare tra diverse dimensioni. Quelli che compaiono nell’ipotetica quinta dimensione e vi rimangono intrappolati diventano per i nostri attuali strumenti di misurazione inaccessibili. E li chiamiamo materia oscura.

Sarà mai possibile dimostrare questa teoria? Per il momento no, scrivono gli autori della ricerca, ma potremmo non essere così lontani da poterlo fare: per identificare la materia oscura fermionica in una quinta dimensione deformata basterebbe costruire il giusto tipo di rilevatore di onde gravitazionali.

sabato 28 novembre 2020

Materia oscura, pincipio di parità violato? - Giulia Bonelli

 

Immaginiamo che l’intero universo possa riflettersi in un gigante specchio. Anche in questa versione cosmica ‘capovolta’, in linea teorica, tutte le leggi della fisica resterebbero valide. Si tratta di una simmetria nota come principio di parità, che indica appunto la capacità di un fenomeno di ripetersi immutato dopo un’inversione delle coordinate spaziali. I fisici hanno trovato diverse prove della validità cosmica di questo principio. Ad esempio, è stato dimostrato che l’elettromagnetismo funziona allo stesso modo indipendentemente dal fatto che ci si trovi nel sistema originale o in un sistema a specchio in cui tutte le coordinate spaziali sono state capovolte.

Eppure, secondo un nuovo studio condotto dall’High Energy Accelerator Research Organization giapponese e dal Max Planck Institute for Astrophysics tedesco, la violazione della parità potrebbe essere la chiave per comprendere i più grandi misteri del cosmo: la materia e l’energia oscura. Insieme, questi due ineffabili ingredienti costituiscono oltre il 95% dell’universo. Il che significa che tutte le particelle osservate fino a oggi occupano uno scarso 5% della massa e dell’energia conosciute. Tutto il resto è ancora da capire.

La nuova ricerca, pubblicata su Physical Review Letters, afferma che la materia e l’energia oscura potrebbero causare una violazione del principio di parità. Gli scienziati affermano di aver trovato questa violazione nella cosiddetta radiazione cosmica di fondo (o Cmb, dall’inglese cosmic microwave background), ovvero la radiazione elettromagnetica residua prodotta dal Big Bang che ancora oggi permea l’Universo. In particolare, gli autori della ricerca si sono basati su misurazioni della Cmb effettuate dal satellite Planck dell’Esa.

La chiave di tutto è la luce polarizzata ‘intrappolata’ nella radiazione cosmica di fondo. La luce è un’onda elettromagnetica che si propaga. Quando è costituita da onde che oscillano in una direzione preferita, i fisici la definiscono ‘polarizzata’. Per intenderci, la luce che proviene dal Sole non è polarizzata perché è costituita da onde che si propagano in tutte le direzioni. Invece la luce di un arcobaleno è polarizzata perché le sue onde seguono una direzione definita, venendo disperse dalle goccioline d’acqua nell’atmosfera. Allo stesso modo, la luce dello sfondo cosmico a microonde è stata polarizzata quando è stata diffusa dagli elettroni, circa 400.000 anni dopo il Big Bang.

I dati di Planck mostrano che questa luce polarizzata, che ha viaggiato attraverso l’universo per 13,8 miliardi di anni, potrebbe aver interagito con la materia o l’energia oscura, che a sua volta avrebbero fatto ruotare il piano di polarizzazione. In altri termini, avrebbero violato il principio di parità.

Gli autori dello studio parlano di una precisione delle misure del 99,2% – esiste quindi ancora un certo margine di errore. Ma se questi dati fossero confermati, ecco che la violazione di una importante teoria della fisica classica potrebbe aiutare a risolvere l’enigma della materia e dell’energia oscura.


https://www.globalscience.it/24106/materia-oscura-pincipio-di-parita-violato/?fbclid=IwAR2GMcl7sbOIph9-8VPv2kjWudqQaKJyJXEbLpIOGYUCA3Mcn0KEHIgSiRM

sabato 24 ottobre 2020

Materia oscura, nuova teoria spiega meccanismo della comparsa nell’universo primordiale.

 

La materia oscura, che sembra così abbondante dell’universo nonostante non sappiamo neanche di cosa si tratti (ne avvertiamo però l’impatto gravitazionale), potrebbe essersi formata in una fase di “transizione cosmologica” dell’universo. Così la definisce Michael Baker, un ricercatore post dottorato dell’Università di Melbourne e uno degli autori di un nuovo studio, pubblicato su Physical Review Letters, che propone una nuova teoria sulla formazione sull’essenza della materia oscura.

Tali transizioni di fase debbono essere venute durante l’universo primordiale. Si tratterebbe di bolle cosmiche simili alle bolle di gas che si formano e scoppiettano su di un liquido bollente.
“Dimostriamo che è naturale aspettarsi che le particelle di materia oscura trovino molto difficile entrare in queste bolle, il che dà un nuova spiegazione per la quantità di materia oscura osservata nell’universo”, spiega Baker nel comunicato stampa dello studio.
Essendo sfavorevole per le particelle di materia oscura entrare in queste bolle in espansione, iniziano a riflettersi e si annichiliscono in maniera molto rapida.
“Le bolle alla fine si fondono al completamento della transizione di fase e solo le particelle di materia oscura che sono entrate nelle bolle sopravvivono per costituire la materia oscura osservata oggi”, descrive l’abstract dello studio.

In passato si è ipotizzato che la materia oscura possa essere fatta di particelle non ancora scoperte e la maggior parte delle ricerche in tal senso si è concentrata su particelle massicce ad interazione debole. Il un nuovo studio, però, propone l’idea che la materia oscura sia fatta da particelle più pesanti della maggior parte delle altre particelle candidate, come spiega Joachim Kopp, professore al CERN e all’università di Mainz, altro autore dello studio.

https://notiziescientifiche.it/materia-oscura-nuova-teoria-spiega-meccanismo-della-comparsa-nelluniverso-primordiale/?fbclid=IwAR0f5z6EQwvs0OzQxefbhg87tuam1mOmCpssTl0A3DyMULPB1vXKJUlqOd0

sabato 10 ottobre 2020

Onde gravitazionali, origine dell’universo e universo ciclico. - Emanuele Tumminieri

 

In base a recenti osservazioni delle increspature dello spazio-tempo, il premio Nobel Roger Penrose ritiene che il nostro universo potrebbe aver avuto un’origine diversa da come si pensa. E il tempo potrebbe essere esistito prima dell'inizio dell'universo.

La teoria più accettata sulle origini dell’universo, il Big Bang, stabilisce che esso è iniziato come un punto infinitamente piccolo e infinitamente denso, che si è progressivamente espanso e raffreddato, fino a diventare la struttura che oggi conosciamo. Ma, qual è stata la causa che ha generato questo evento, verificatosi circa 14 miliardi di anni fa?

Questa è una domanda che porta con sé una serie di problemi. Infatti, se, come stabilito convenzionalmente, il Big Bang ha dato origine al tempo, non è possibile parlare di un “prima”, o di una causa precedente, in quanto queste sono nozioni che hanno senso solo se il tempo fosse già esistito.

Roger Penrose, a cui qualche giorno fa è stato assegnato il Premio Nobel per la fisica, crede di avere un modo per superare le difficoltà poste dall’origine del tempo; e sembra che gli astronomi abbiano trovato la prova che avvalora l’ipotesi di Penrose. La sua teoria è chiamata Cosmologia Ciclica Conforme (CCC), e stabilisce che la nascita esplosiva del nostro universo si è realizzata nel corso della fase terminale di un altro universo. In altre parole, esisteva già un tempo prima del Big Bang.

Secondo lo scienziato, vi è una grossa evidenza che i cosmologi oggi non prendono in considerazione: in che modo l’universo primordiale, nel momento del Big Bang, fosse in qualche modo simile allo stato in cui l’universo attuale si sta dirigendo verso il lontano futuro. In entrambi i casi, la massa fornisce all’energia un contributo all’energia totale dell’universo, significativamente inferiore rispetto a quanto faccia oggi.

Sappiamo che l’energia cinetica di un corpo, ovvero l’energia che possiede un corpo in movimento, è data dal prodotto della metà della massa del corpo per il quadrato della sua velocità. Nei primissimi momenti successivi al Big Bang, quando il cosmo era molto caldo, le particelle si muovevano con una velocità elevatissima. Questo significa che il maggior contributo all’energia totale dell’universo è stato fornito dalla velocità delle particelle, non dalla loro massa.

Lo stesso può dirsi per l’universo successivo al Big Bang. Nel 1998, i fisici fecero una scoperta che sconvolse la comunità astronomica: l’universo si stava espandendo con una velocità crescente. Ci si aspettava, invece, che, finito l’effetto del Big Bang, il cosmo avrebbe rallentato la sua espansione. Così, per giustificare l’accelerazione dell’espansione, gli astronomi hanno ipotizzato l’esistenza di una entità invisibile, l’energia oscura, che spinge ogni cosa verso l’esterno. Ci sarà un momento in cui tutta la materia dell’universo sarà separata, in modo tale che la massa giocherà nuovamente un ruolo insignificante nel computo dell’energia totale dell’universo.

In entrambi i casi, alla fine l’universo sarà dominato dalla luce e non dalla materia. E per un fotone (una particella di luce priva di materia), la luce e la lunghezza non esisteranno più. Immaginando di cavalcare un fotone, si potrebbe attraversare l’universo visibile praticamente in un tempo prossimo allo zero. Questa intuizione è stata la svolta chiave di Penrose.

Egli infatti dice che, in entrambi i casi, l’universo non ha contezza delle proprie dimensioni. Per come è concepito l’universo, il suo inizio, caldo e di piccole dimensioni, è identico al suo futuro, freddo e immenso. Di per sé, questa situazione appare controversa, ma Penrose fa un passo avanti. Egli afferma che questo “futuro” remoto rappresenterà un nuovo Big Bang; e quindi, cosa è accaduto prima del Big Bang?

Secondo Penrose, l’inizio di un universo non è altro che il risultato della fine di quello precedente. Penrose chiama ognuno di questi periodi, eoni. Gli eoni vanno indietro nel tempo senza la necessità di trovare un inizio. In qualche modo, questa teoria richiama il modello a stato stazionario, che prevaleva prima che il modello del Big Bang diventasse la teoria dominante, a partire dalla metà del XX secolo.

Lo stesso Penrose ammette che si tratta di una teoria abbastanza suggestiva, ma è convinto che, come tutte le buone teorie scientifiche, essa debba essere testata attraverso degli esperimenti e delle osservazioni. Questi test nascono dall’idea che il nostro eone, e quello che lo ha preceduto, non siano completamente isolati l’uno dall’altro. Penrose afferma che l’informazione attraversa la materia oscura iniziale nella forma di un’onda d’urto.

La materia oscura, come l’energia oscura, è una sostanza oscura, utilizzata nelle teorie attuali per spiegare il modo in cui strutture come le galassie e gli agglomerati di galassie si sono formate nell’universo primordiale. Secondo i calcoli di Penrose, l’onda d’urto avrebbe avuto un effetto sul fondo cosmico di microonde (Cosmic Microwave Background – CMB), ovvero la radiazione residuale del Big Bang, rilasciata quando l’universo non aveva ancora raggiunto i 400.000 anni di età. È possibile vedere degli anelli, nel CMB, che sono leggermente più caldi, o più freddi, della temperatura media.

Le equazioni della Cosmologia Ciclica Conforme prevedono che un’onda d’urto, proveniente da un precedente eone, dovrebbe aver trascinato materia nel nostro universo. Se ciò avesse causato lo spostamento della materia verso di noi, vedremmo la luce, proveniente da quella regione, deviata a lunghezze d’onda più corte – un effetto che gli astronomi chiamano blueshift (spostamento verso il blu). Allo stesso modo, una regione che si allontana da noi per effetto dell’onda d’urto della CCC subirebbe un redshift (spostamento verso il rosso), ovvero la sua lunghezza d’onda sarebbe allungata.

Le regioni che hanno subito il blueshift apparirebbero più calde, mentre le aree che hanno subito il redshift sarebbero più fredde. Secondo Penrose, queste variazioni sono quegli anelli che noi vediamo nel fondo cosmico di microonde. Onde d’urto multiple avrebbero addirittura prodotto una serie di anelli concentrici.

Diversi anni fa, la scoperta di quegli anelli sembrava fosse la verifica definitiva della validità della Cosmologia Ciclica Conforme (CCC). Solo che la comunità scientifica non riponeva alcuna fiducia sulla teoria, associando i risultati a un colpo di fortuna.

Anche se le ricerche condotte da un gruppo di scienziati polacchi e canadesi, confermano la presenza degli anelli, con una precisione del 99,7%, sussistono ancora dei dubbi. Vahe Gurzadyan, un fisico impegnato da lungo tempo nello studio della Cosmologia Ciclica Conforme, asserisce che queste strutture sono reali e che non vi sono dubbi sulla correttezza e precisione dei calcoli. Tuttavia, lo stesso Penrose ha esplorato altri approcci che potessero meglio supportare le ipotesi avanzate dai due scienziati, sia sulla CCC che sull’esistenza di un tempo “prima” del Big Bang.

La transizione tra eoni va a generare qualcosa di più che la semplice creazione di onde d’urto nella nostra materia oscura e anelli nel fondo cosmico di microonde. In questa transizione, secondo Penrose, viene creato un nuovo materiale, la materia dominante nell’universo. Egli considera quel materiale come la forma iniziale della stessa materia oscura. Questo materiale, affinché non vada ad accumularsi da eone a eone, deve necessariamente decadere. Penrose chiama queste particelle iniziali di materia oscura ereboni, da Erebos, il dio greco dell’oscurità.

In media, un erebone impiega circa 100 miliardi di anni per decadere, ma alcuni di essi saranno decaduti durante i 14 miliardi di anni del nostro universo. Penrose afferma che, quando decadono, gli ereboni trasferiscono tutta la loro energia alle onde gravitazionali.

La scoperta delle onde gravitazionali

Le onde gravitazionali sono una distorsione nel tessuto dello spazio-tempo, previste da Einstein più di un secolo fa, come parte della sua teoria della relatività generale. Per gran parte del secolo scorso, non si era mai avuta alcuna evidenza dell’esistenza delle onde gravitazionali. Ma, il 14 settembre 2015, i fisici impegnati con le osservazioni del Laser Interferometer Gravitataional-Wave Observatory (LIGO), hanno annunciato il rilevamento di onde gravitazionali in arrivo sulla Terra, formatesi a seguito dello scontro tra due buchi neri, a una velocità 1,5 volte quella della luce. A questa, sono seguite diverse altre osservazioni, tra cui anche la fusione di più buchi neri, insieme alla collisione di due stelle di neutroni – i nuclei collassati di grandi stelle (che però non hanno le dimensioni per diventare dei buchi neri), che si sono trasformati in una supernova.

Nell’estate del 2017, tra gli astronomi vi era qualcuno che pensava che questi rilevamenti potessero anche non essere ciò che si credeva. Un gruppo di ricercatori del Niels Bohr Institute, di Copenhagen, aveva pubblicato un articolo, nel quale si asseriva che quei segnali non derivassero da onde gravitazionali, ma fossero degli errori presenti nei dati. Quando un’onda gravitazionale arriva sulla Terra, il suo segnale è molto debole, rendendo difficile ai fisici discernere questi disturbi al di sopra del rumore di fondo di eventi terrestri più banali, che potrebbero addirittura spostare i sensibili specchi del LIGO. Se uno stesso segnale viene segnalato da entrambi i rilevatori, vi è una probabilità elevata che provenga dallo spazio. Il rumore, tuttavia, non dovrebbe essere correlato allo stesso modo.

Il gruppo di Copenhagen ha sviluppato un’analisi indipendente dei dati acquisiti dal LIGO e ha trovato che, invece, il rumore era abbastanza correlato. I fisici del LIGO potrebbero essere stati ingannati, pensando di rilevare onde gravitazionali, quando invece non lo stavano facendo. È probabile che ci fosse qualche problema con i rilevatori, nel senso che producevano segnali di onde gravitazionali, dove invece queste onde non esistevano.

L’articolo del gruppo di Copenhagen è stato subito sottoposto a critica da Ian Harry, un fisico componente del gruppo di ricerca LIGO, il quale sostiene che le analisi dei dati effettuate dai ricercatori di Copenhagen non sono corrette e che non esiste alcun rumore correlato.

Potrebbe trattarsi dell’evidenza del decadimento degli ereboni?

Quando Roger Penrose si è imbattuto in questo acceso dibattito, ha subito pensato che il dilemma fosse legato al decadimento degli ereboni. Quindi ha pubblicato il suo articolo nel quale spiega nei dettagli il suo punto di vista.

L’arrivo di onde gravitazionali provenienti dal decadimento degli ereboni potrebbe essere correlato tra i due rilevatori, poiché le onde incontrano l’uno, prima di raggiungere l’altro. Tuttavia, poiché queste onde gravitazionali non sarebbero afferite a buchi neri o a stelle di neutroni, potrebbero essere considerate come semplice rumore. Invece, Penrose sostiene che il gruppo di Copenhagen non ha scoperto un rumore di fondo terrestre correlato, ma un rumore correlato proveniente dal decadimento degli ereboni di fondo, in qualche parte dell’universo.

E allora, in che misura tutto ciò può essere vero e la Cosmologia Ciclica Conforme essere il giusto approccio, per rispondere alle problematiche domande sul Big Bang?

Secondo Andrew Pontzen, un cosmologo dell’University College di Londra, si tratta di un’idea molto stimolante che mette insieme una serie di filoni intelligenti, in una visione davvero bella del modo in cui l’universo potrebbe comportarsi su scale temporali molto ampie. È una teoria che merita molta attenzione.

Tuttavia, Pontzen sottolinea che l’analisi dei dati originali, sugli anelli del fondo cosmico di microonde – il primo test della CCC proposto da Penrose – peccavano di perfezione e portavano a delle conclusioni che non potevano essere sostenute. Allo stesso modo, Pontzem sostiene le conclusioni raggiunte da LIGO, dalle quali si deduce che il rumore correlato tra i suoi rilevatori non è reale, e quindi non può essere causato da un decadimento di particelle erebon. L’analisi dei dati è un processo assolutamente delicato, che può facilmente condurre in errore gli sperimentatori.

Questo non significa che la Cosmologia Ciclica Conforme sia errata, ma sembra che prove convincenti della sua veridicità debbano essere trovate nei rilevatori di fondo cosmico di microonde e di onde gravitazionali LIGO.

Anche se il rumore correlato, di cui parlano i ricercatori di Copenhagen, fosse fittizio, i prossimi rilevatori di onde gravitazionali potrebbero rilevare un rumore correlato dal decadimento degli ereboni.

Penrose dice che spera di poter vedere un giorno questi effetti, provenienti da galassie distanti, in modo da avere un quadro chiaro della distribuzione della materia oscura nell’universo.

E si potrebbero avere le idee più chiare anche sull’esistenza del tempo prima del Big Bang.

Fonte: space.com

https://www.reccom.org/2020/10/09/onde-gravitazionali-origine-delluniverso-e-universo-ciclico/?fbclid=IwAR3ylalaTsdCjaOyWXeeNohtmT_chVNm_7dbUyejJpgNAO3OCkBWbqSwqnw