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mercoledì 11 settembre 2024

Hubble cattura un'immagine unica e mozzafiato della Galassia di Andromeda. - Gianluca Cobucci

 

Il telescopio spaziale Hubble ha regalato al mondo un'immagine straordinaria della Galassia di Andromeda, la nostra vicina cosmica distante 2,5 milioni di anni luce. L'immagine, rilasciata il 30 agosto, svela dettagli stellari mozzafiato dei bracci a spirale e delle regioni di formazione stellare di questa maestosa galassia.

Grazie all'impiego di strumenti all'avanguardia come l'Advanced Survey Camera e la Wide Field Camera, i ricercatori hanno potuto penetrare le dense nubi di gas e polveri che avvolgono Andromeda, rivelando un tripudio di colori e strutture che testimoniano la presenza di vivai stellari e supernove.

Le tonalità rosa e rosse che dominano l'immagine sono il risultato dell'eccitazione dell'idrogeno circostante, innescata dall'energia dirompente di questi fenomeni cosmici.

Lo studio condotto dai ricercatori ha abbracciato un ampio spettro di stelle, fornendo preziose informazioni sulla storia e sulla diversità stellare di Andromeda, nonché sui meccanismi che governano la formazione delle stelle e la loro evoluzione.

Questa ricerca consentirà agli scienziati di comprendere meglio anche le stelle che popolano le galassie più remote dell'Universo, gettando luce sui processi che plasmano la nascita e lo sviluppo delle galassie stesse.

Ma l'immagine catturata da Hubble non è solo un trionfo della scienza e della tecnologia. È anche un invito a riflettere sul destino ultimo della nostra galassia e di Andromeda. Secondo le attuali teorie, le due galassie sono destinate a fondersi tra relativamente poco tempo, in un abbraccio cosmico che ridisegnerà radicalmente la loro struttura.

domenica 20 maggio 2018

Chi ha paura del buio? - Matteo Miluzio.

Nessun testo alternativo automatico disponibile.

Si potrebbe rispondere in tanti modi a coloro che blaterano sproloqui circa l'inutilità della ricerca astronomica e spaziale.

Io sono stufo di spendere parole inutilmente, quindi mostro risultati concreti come questa immagine che non è di un pianeta ma di un legamento umano all'interno di un ginocchio la cui nitidezza è stata raggiunta proprio grazie ad... Hubble!

Tempo fa vi parlai di come la tecnologia all'avanguardia utilizzata per migliorare le immagini di Hubble abbia aiutato ad effettuare diagnosi molto più tempestive del cancro al seno. 

Non solo: se adesso gli esami artroscopici sono meno invasivi un gran merito lo ha proprio Hubble! Proprio quelle tecniche di miglioramento delle immagini hanno aiutato i medici a ottenere migliori diagnosi durante la chirurgia artroscopica (l'esame visivo e il trattamento di un articolazione come il ginocchio o la spalla).

Come sapete, le prime immagini di Hubble erano totalmente sfocate a causa del fatto che lo specchio primario era stato levigato eccessivamente e risultava appiattito di 2 millesimi di millimetro di troppo. Più o meno un cinquantesimo dello spessore di un foglio di carta, ma abbastanza per far rimbalzare la luce incidente leggermente fuori fuoco. Si svilupparono così, prima della sua riparazione, varie tecniche per cercare di migliorare la gamma dinamica e la risoluzione spaziale delle immagini inizialmente sfocate di Hubble.

Gli algoritmi di elaborazione delle immagini della NASA sono stati applicati per migliorare le visualizzazioni trasmesse da un microendoscopio, uno strumento che consente ai chirurghi di vedere cosa sta accadendo all'interno del corpo in tempo reale. Il microendoscopio richiede solo l'anestesia locale e consente al paziente di essere vigile durante un esame. Ottenere immagini chiare da un microendoscopio elimina la necessità di una procedura più invasiva che potrebbe aggiungere tempo, costi e disagio enorme per il paziente.

Questo è uno dei tanti, tantissimi, infiniti esempi di come la ricerca spaziale possa migliorare la vita di TUTTI noi. Anche quando, apparentemente, un progetto sembra non avere i risultati sperati, anche da un presunto fallimento le ricadute sulla vita quotidiana degli esseri umani sono enormi.

La ricerca spaziale è vita, nel senso letterale della parola.

Credits: Zimmer Biomet
Fonte: https://www.nasa.gov/feature/goddard/image-enhancement-aids-arthroscopic-surgery

venerdì 12 maggio 2017

Il telescopio Hubble festeggia 27 anni con due amici.

Le galassie a spirale NGC 4302 (a sinistra) e NGC 4298 fotografate dal telescopio spaziale Hubbel per i suoi 27 anni (fonte: NASA, ESA, M. Mutchler/STScI) © Ansa
Le galassie a spirale NGC 4302 (a sinistra) e NGC 4298 fotografate dal telescopio spaziale Hubbel per i suoi 27 anni (fonte: NASA, ESA, M. Mutchler/STScI)

Sono le galassie a spirale della Chioma di Berenice.


Il telescopio spaziale Hubble si prepara a festeggiare 27 anni di onorata carriera. Lanciato in orbita il 24 aprile 1990, lo strumento gestito da Nasa e Agenzia spaziale europea (Esa) continua instancabile a regalare immagini mozzafiato del cosmo, come l'ultima scelta proprio per celebrare il suo compleanno: ritrae due galassie a spirale localizzate nella costellazione della Chioma di Berenice, a 55 milioni di anni luce da noi, che mostrano come potrebbe apparire la nostra Via Lattea ad un osservatore esterno.

Individuate per la prima volta nel 1784 dall'astronomo William Herschel, le due galassie sono piuttosto simili per struttura e composizione, anche se appaiono differenti per via della loro diversa inclinazione. Hubble le ha immortalate grazie ad una serie di osservazioni fatte tra il 2 e il 22 gennaio 2017 con lo strumento Wide Field Camera 3 (Wfc3). La prima galassia visibile 'di profilo', a sinistra nell'immagine, si chiama NGC 4302: con un diametro di circa 87.000 anni luce, ha una grandezza pari al 60% della Via Lattea e un decimo della sua massa. La seconda galassia, che invece appare a destra inclinata di 70 gradi, si chiama NGC 4298: con un diametro di 45.000 anni luce, è grande quanto un terzo della Via Lattea e ha un centesimo della sua massa.

Nel punto di massima vicinanza, le due galassie sono separate in proiezione da appena 7.000 anni luce. Nonostante ciò, non sono visibili evidenti deformazioni della loro struttura dovute ad interazioni gravitazionali.

Abituato a osservare lo spazio nel vicino ultravioletto, nel visibile e nel vicino infrarosso, Hubble in questi 27 anni ha rivoluzionato il campo dell'astronomia e dell'astrofisica, dimostrando di essere un vero e proprio scrigno di dati scientifici preziosissimi che hanno consentito all'umanità di vedere il cosmo come mai prima. Un compito che porterà avanti ancora per diversi anni, lavorando in coppia con il suo erede designato, il telescopio spaziale James Webb.

domenica 3 luglio 2016

Giove 'si fa bello' per Juno, con un'aurora brillante.

L'immagine dell'aurora polare di Giove ottenuta combinando le immagini nell'ottico e nell'ultravioletto (fonte: NASA, ESA)

Fenomeno spettacolare come la grande macchia.


Giove 'si fa bello' in vista dell'incontro con Juno, la sonda della Nasa che all'alba del 5 luglio entrerà nella sua orbita per osservarlo da vicino come nessuna missione spaziale ha mai fatto. Il pianeta gigante sta infatti sfoggiando una bellissima aurora polare, particolarmente brillante, fotografata dal telescopio spaziale Hubble. 

In questo modo Hubble prepara la strada al programma di osservazione che si prepara a condurre insieme a Juno, destinata a studiare in dettaglio l'atmosfera del più grande pianeta del Sistema Solare. Le foto dell'aurora, scattate nell'ultravioletto, sono appena arrivate a Terra e sono spettacolari quanto quelle della celebre grande macchia rossa. Sono prodotte dall'incontro di particelle elettricamente cariche con il campo magnetico del pianeta.

Quando Juno sarà nell'orbita di Giove, Hubble continuerà a osservare e misurare le aurore, mentre la sonda misurerà le caratteristiche del vento solare. "Quelle di Giove sono le aurore più attive mai viste e sembra quasi che il pianeta stia preparando una festa con fuochi d'artificio per l'arrivo di Juno", ha osservato il responsabile scientifico della ricerca, Jonathan Nichols, dell'università britannica di Leicester. 

Viste per la prima volta nel 1979, dalla sonda Voyager 1, le aurore di Giove sono state nuovamente osservate nel 2000 dalla sonda Cassini, nata dalla collaborazione fra Nasa, Agenzia Spaziale Europea (Esa) e Agenzia Spaziale Italiana (Asi). Solo adesso, però, sono state ottenute le loro immagini più dettagliate. E' possibile determinare, per esempio, che occupano una superficie più vasta della Terra e che sono centinaia di volte più ricche di energia di quelle osservate sul nostro pianeta.

mercoledì 11 febbraio 2015

Il sorriso di Einstein immortalato da Hubble. - Francesca Mancuso

hubble sorriso einstein

Il sorriso di Einstein appare in cielo. Non è una visione apocalittica né miracolosa ma l'ultima immagine regalata dal telescopio spaziale Hubble che ha fotografato l'ammasso di galassie SDSS J1038 + 4849.
A guardarlo sembra un volto sorridente, con i due occhi arancioni e il naso pulsante di colore bianco. E in questo “faccia felice”, i due occhi sono galassie molto luminose e le linee che creano il sorriso sono archi causati da un effetto noto come lente gravitazionale.
Quest'ultima è un fenomeno caratterizzato dalla deflessione della radiazione emessa da una sorgente luminosa per via della presenza di una massa che si trova proprio tra la sorgente e il punto di vista di chi osserva.
Ma torniamo alla bella immagine scattata da Hubble. Quest'oggetto è stato studiato dalla Wide Field and Planetary Camera 2 (WFPC2) e dalla Wide Field Camera 3.
Si tratta di un ammasso di galassie, una delle strutture più massicce nell'Universo. Esse esercitano una potente attrazione gravitazionale che deforma lo spazio-tempo intorno e agiscono come lenti cosmiche in grado di ingrandire, distorcere e piegare la luce dietro di loro. Questo fenomeno, cruciale per molte delle scoperte di Hubble, può essere spiegato con la teoria della relatività generale di Einstein.
In questo caso particolare di lente gravitazionale, un anello - noto come anello di Einstein - è prodotto da questa deflessione della luce, in conseguenza dell'esatto e simmetrico allineamento della sorgente, della lente e dell'osservatore.
Il risultato è la struttura anulare che si vede nell'immagine.
Hubble ha fornito agli astronomi gli strumenti per sondare queste galassie massicce e modellare gli effetti della lente. Ciò ha permesso agli scienziati di guardare indietro nella vita dell'universo, come mai era accaduto.
Credits: Nasa-Esa

lunedì 1 dicembre 2014

Hubble scopre un buco nero al centro della galassia più piccola mai conosciuta!

buco nero
Un gruppo di astronomi della University of Utah guidati da Anil Seth hanno identificato nella galassia nana ultracompatta, la più piccola che conosciamo, un buco nero supermassiccio. La scoperta è alquanto sorprendente e suggerisce il fatto che i buchi neri di grandi dimensioni possono essere molto più comuni di quanto ipotizzato. I risultati sono stati pubblicati sulla prestigiosa rivista Nature.
Questa immagine ripresa dal telescopio spaziale Hubble mostra la gigantesca galassia M60 e la galassia nana ultracompatta M60-UCD1 che risulta l’oggetto più piccolo che conosciamo contenente un buco nero supemassiccio. M60 sta attirando un’altra galassia, NGC4647, con la quale colliderà tra qualche tempo. Credit: NASA/Space Telescope Science Institute/European Space Agency

Le osservazioni sono state condotte con il Gemini North 8-meter optical-and-infrared telescope situato a Mauna Kea, nelle Hawaii, mentre il telescopio spaziale Hubble è stato utilizzato per identificare il buco nero di 21 milioni di masse solari nella galassia nana M60-UCD1. La scoperta suggerisce il fatto che devono esistere tante galassie nane ultracompatte contenenti un buco nero supermassiccio nei loro nuclei. Si ritiene che queste piccole galassie siano i residui di galassie più grandi che sono state ‘strappate’, per così dire, a seguito delle interazioni gravitazionali con altre galassie. “Non conosciamo altro modo con cui si può fare un buco nero così grande in un oggetto così piccolo“, spiega Seth. I buchi neri sono stelle o insiemi di stelle collassate la cui gravità è tale che nemmeno la luce riesce a sfuggire alla loro intensa attrazione gravitazionale. Di solito, i buchi neri giganti, che hanno masse dell’ordine di qualche milione di masse solari o più, si trovano nei nuclei delle galassie. Ad esempio, il buco nero della Via Lattea, Sagittarius A*, possiede una massa pari a 4 milioni di Soli e nonostante sia così massiccio la sua massa risulta meno dello 0,01 percento della massa dell’intera galassia, che viene stimata essere dell’ordine di circa 50 miliardi di masse solari. Dunque, per confronto, il buco nero della galassia nana in questione ha una massa cinque volte superiore rispetto a quella del buco nero della nostra galassia che, a sua volta, è equivalente al 15 percento della massa totale della galassia nana, che è di 140 milioni di masse solari. “Ciò è molto sorprendente, se pensiamo che la Via Lattea è 500 volte più grande e 1.000 volte più pesante di M60-UCD1“, dice Seth. “Inoltre, pensiamo che una volta la galassia nana doveva essere enorme, forse contenente 10 miliardi di stelle, e che passando in prossimità delle regioni centrali di una galassia ancora più grande, M60 distante circa 60 milioni di anni-luce nella costellazione della Vergine, perse tutte le stelle e la materia scura delle regioni periferiche che diventarono parte di M60. Forse, questo processo è avvenuto qualcosa come 10 miliardi di anni fa, certamente non lo sappiamo con certezza“. E’ probabile che la galassia nana possa subire un processo di “merging galattico” con M60, che contiene un buco nero supermassiccio di 4,5 miliardi di masse solari, mille volte superiore a quello della Via Lattea in termini di massa, e quando ciò accadrà anche il buco nero di M60-UCD1 si fonderà con quello di M60. In più, bisogna dire che M60 sta attirando un’altra galassia a spirale, NGC 4647 che è circa 25 volte meno massiccia. Una ipotesi alternativa suggerisce che M60-UCD1 non abbia in realtà un buco nero di grossa taglia e che invece il suo nucleo sia popolato da un insieme di stelle massicce e deboli. Ma le osservazioni realizzate con il telescopio Gemini North e le analisi effettuate utilizzando l’archivio delle immagini del telescopio spaziale Hubble hanno rivelato che la massa è concentrata nel nucleo della galassia nana, suggerendo la presenza di un oggetto supermassiccio. Insomma, pare proprio che M60-UCD1 sia ciò che rimane del nucleo di quella che una volta doveva essere una galassia più grande e che è probabile che altre galassie nane supercompatte possano in definitiva ospitare buchi neri di grandi dimensioni.

sabato 14 dicembre 2013

Spruzzi d’acqua nel cielo d’Europa. - Marco Galliani




Poderosi getti d'acqua sollevati fino a 200 chilometri sopra l'atmosfera della luna ghiacciata di Giove sono stati individuati da un team di ricercatori statunitensi e tedeschi grazie alle riprese del 'solito' Hubble. Giuseppe Piccioni (INAF): "Le lune di Giove possiedono caratteristiche uniche all'interno del Sistema solare. Con la prossima missione JUICE dell'ESA riusciremo a studiare con un livello di dettaglio mai raggiunto questi mondi potenzialmente abitabili".

A prima vista, quelle immagini così sgranate e indistinte di Europa, una delle lune di Giove, che compaiono oggi in un articolo pubblicato su Science Express, non sembrano particolarmente interessanti. Eppure dietro a quei pixel che assumono colori dal celeste chiaro fino al bianco assoluto, potrebbe celarsi una importantissima scoperta: la presenza di pennacchi d’acqua che si stagliano sopra la superficie di Europa, letteralmente sparati verso l’alto fino ad altezze di 200 chilometri e fuoriusciti da qualche frattura nella spessa calotta ghiacciata che avvolge il corpo celeste.
Le riprese dei presunti ‘geyser’ d’acqua sono state ottenute nella banda di radiazione ultravioletta dal telescopio spaziale Hubble con il suo spettrografo STIS (Space Telescope Imaging Spectrometer) nel corso di alcune osservazioni effettuate tra novembre e dicembre del 2012. Lorenz Roth, ricercatore della Southwest Research Institute negli USA e Joachim Saur dell’Istituto di Geofisica e Meteorologia di Colonia in Germania, insieme al loro team hanno individuato in quelle immagini delle anomale abbondanze di ossigeno e idrogeno al di sopra di due differenti regioni nell’emisfero sud della luna di Giove.
“I risultati dell’articolo pubblicato oggi su Science danno una risposta chiave ed inequivocabile della presenza di getti d’acqua transienti nell’emisfero sud del satellite galileiano Europa” commenta Giuseppe Piccioni, planetologo dell’INAF-IAPS di Roma. “La rivelazione è stata resa possibile grazie allo spettrometro ultravioletto a bordo del telescopio spaziale Hubble (HST), in grado di identificare le deboli emissioni provenienti dall’interazione del vapor d’acqua con l’ambiente estremamente energetico del sistema di Giove, i cui elettroni sono in grado di modificare ed eccitare energeticamente le molecole. Osservazioni precedenti dallo spazio ci avevano già dato la certezza della presenza di un oceano sotterraneo ad Europa e questi risultati sono compatibili con getti supersonici di 700m/s, ovvero 2500 chilometri all’ora, in grado di arrivare a 200 km di altezza. Questi poderosi geyser sarebbero generati dal potente stress mareale esercitato sulla luna dall’enorme e vicino pianeta Giove. È notevole anche il fatto della variabilità nel tempo di questi fenomeni, osservati quando Europa è all’apocentro (ovvero al suo punto di massima distanza da Giove) e non al pericentro (il punto di massimo avvicinamento al pianeta), compatibili con i modelli matematici attuali”.
I ricercatori, forti di queste importanti evidenze osservative, avanzano similitudini tra i fenomeni scoperti su Europa con quelli già noti che avvengono su un’altra luna nel Sistema solare, ovvero Encelado, che orbita attorno a Saturno, dove emissioni di vapore ad alta pressione emergono da sottili crepe sulla crosta del corpo celeste.
“Lo sapevamo già che Europa e più in generale le lune di Giove possiedono delle caratteristiche uniche all’interno del Sistema solare, non ultima la presenza di un enorme bacino di acqua allo stato liquido sotto la sua crosta, dove forse potrebbero essersi sviluppate elementari forme di vita” aggiunge Piccioni. “Con la missione JUICE dell’ESA recentemente approvata, avente come obiettivo lo studio approfondito del sistema di Giove in cui l’Italia figura con ruoli di primissimo piano grazie allo sforzo di ASI, INAF e le altre Università ed enti coinvolti, riusciremo a studiare con un dettaglio mai raggiunto precedentemente questi ed altri fenomeni peculiari di questi mondi potenzialmente abitabili”.