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mercoledì 22 luglio 2020

I pm: “Regione regalò 1 milione”. Maroni: “È stato tutto regolare”. - Gianni Barbacetto

I pm: “Regione regalò 1 milione”. Maroni: “È stato tutto regolare”

L’indagine “Lombardia Film Commission”.
“Tutto regolare”: contattato dal Fatto, Roberto Maroni non vuole aggiungere altro sul finanziamento da un milione di euro stanziato dalla Regione Lombardia, quando ne era presidente, e destinato alla Lombardia Film Commission. Ottocentomila euro di quei fondi, secondo la Procura di Milano, sono serviti per pagare un immobile a Cormano, ora sede della Fondazione. Quella compravendita adesso però è finita al vaglio dei pm Eugenio Fusco e Stefano Civardi, che vogliono vedere chiaro non solo su tutta l’operazione immobiliare, ma pure sui soldi pubblici erogati. Tanto che ieri i magistrati hanno inviato la Guardia di finanza negli uffici del Pirellone per acquisire, tra gli altri documenti, anche gli atti della delibera con cui nel 2015 la Giunta regionale guidata da Maroni (non indagato) ha stanziato il contributo di un milione di euro. E così le Fiamme gialle tornano nella sede della Regione. C’erano già state per acquisire documenti prima per la questione relativa alla gestione della pandemia, poi nell’ambito di un’indagine sulla fornitura di camici. Ieri una nuova visita, seppur per fatti diversi.
Stavolta l’inchiesta riguarda l’immobile di Cormano. Un acquisto da parte della Lombardia Film Commission che i magistrati definiscono “insensato” e parlano di “ritorni per chi l’ha deciso e attuato”. Per i pm l’operazione era finalizzata al “‘drenaggio’ di risorse che la Regione Lombardia aveva già destinato alla Fondazione e di cui Di Rubba era presidente; e infatti – continuano i magistrati negli atti – Di Rubba e il ‘socio’ Manzoni beneficeranno della quota maggiore”.
Il riferimento è ad Alberto Di Rubba e Andrea Manzoni, il primo amministratore della Lega al Senato, il secondo revisore del gruppo alla Camera. Entrambi sono accusati di peculato e turbata libertà del procedimento di scelta del contraente. Stessi reati per i quali è stato iscritto anche Michele Scillieri, commercialista nel cui studio nel 2017 è stato domiciliato il movimento “Lega per Salvini premier”.
L’operazione immobiliare a prezzo “gonfiato”.
L’operazione immobiliare è piuttosto complessa. La Fondazione infatti nel 2017 acquista questo immobile alle porte di Milano dalla Immobiliare Andromeda srl, società di cui la Procura ritiene essere stato amministratore di fatto Scillieri. Il costo 800 mila euro, pagati anche con i soldi stanziati nel 2015 dalla Regione Lombardia. Denaro che i pm ritengono essere una sorta di “regalo” chiesto e ottenuto in poco più di un mese dalla Fondazione. I magistrati infatti sospettano che quel finanziamento sia stato un escamotage per far arrivare, in qualche modo, i soldi ai commercialisti vicini al Carroccio.
Per i pm però l’immobile è stato comprato a un costo gonfiato. Infatti prima di venderlo alla Lombardia Film Commission, l’Immobiliare Andromeda aveva acquistato quello stesso edificio dalla Paloschi srl, società di cui era liquidatore Luca Sostegni, altro indagato in questa inchiesta. Sostegni è accusato di peculato e di estorsione: secondo i magistrati avrebbe chiesto denaro in cambio del silenzio su ciò che sapeva sulle operazioni immobiliari.
Intercettato a giugno del 2020, al telefono con Scillieri l’uomo “spiegava come non comprendesse la ragione per la quale Di Rubba e Manzoni preferissero per risparmiare ‘pochi soldi’, fare ‘scoperchiare il pentolone, che può fargli danni assurdi’”.
Sostegni stava scappando in Brasile quando mercoledì scorso è stato fermato dagli uomini della Finanza. In un primo interrogatorio ha ricostruito i suoi rapporti con Scillieri. Ma giovedì tornerà davanti ai magistrati.
Le email acquisite e la nomina di Di Rubba.
Intanto il lavoro degli inquirenti si concentra su ciò che è stato acquisito ieri in Regione Lombardia. Dagli atti emerge che Di Rubba il 16 novembre 2015 scrisse una email nella quale chiedeva alla Regione proprio un milione di euro e che il 21 dicembre dello stesso anno la Regione gli rispose che lo stanziamento era stato accordato. Tra le carte utili, anche quelle relative alla nomina nel 2014 di Di Rubba (è rimasto in carica nella Fondazione fino al giugno 2018).

lunedì 6 luglio 2020

Non solo Maroni e Alfano: Sua Sanità ingaggia spioni. - Gianni Barbacetto

Non solo Maroni e Alfano: Sua Sanità ingaggia spioni

San Donato - Il primo gruppo della sanità privata dopo aver arruolato ex ministri, assume anche agenti dell’Aise: in arrivo pure il vicedirettore.
Non ci sono soltanto ex ministri (sempre di centrodestra). Il Gruppo San Donato di Paolo Rotelli, primo in Italia nella sanità privata e attivo in Lombardia, assolda non solo politici del calibro di Angelino Alfano e Roberto Maroni, ma anche agenti segreti. Nell’Aise (i servizi segreti per l’estero) in questi giorni si sta giocando la partita per decidere le nomine dei nuovi vertici. Come direttore è già arrivato Gianni Caravelli, al posto di Luciano Carta, diventato presidente di Leonardo. Mancano le nomine dei vice (che potrebbero arrivare a breve).
Sono due le caselle da riempire: c’è quella lasciata libera da Caravelli e poi quella occupata da Giuseppe Caputo, generale della Guardia di finanza arrivato all’Aise molti anni fa e che ora ha presentato domanda di “collocamento a riposo”, ossia pensione, con decorrenza da fine luglio. Caputo poi andrà al San Donato, il gruppo che conta 19 tra ospedali e cliniche, più di 5 mila posti letto, 4,3 milioni di pazienti curati ogni anno, 16 mila addetti e che nel 2018 ha fatturato di 1,65 miliardi, in buona parte provenienti dai rimborsi pubblici regionali per la sanità accreditata.
Caputo entrerà nell’“Ufficio compliance, protezione aziendale e relazioni con le istituzioni”, che cura la security del gruppo e tiene i contatti politici e istituzionali. Affiancherà un vecchio collega, Claudio di Sabato, anch’egli ex generale della Gdf ed ex ufficiale dell’Aise, arrivato al San Donato nel 2019 e che resta il numero uno.
Caputo dovrà occuparsi delle relazioni istituzionali e della sicurezza, in vista della programmata espansione del gruppo San Donato nei territori del Sud Italia. “Avevamo bisogno di una figura professionale come la sua per operare in un territorio complicato come il Meridione, a rischio di infiltrazioni criminali”, spiegano fonti del gruppo.
Così si è pensato a un professionista che in Aise ha messo piede nel lontano 1998 e che è poi stato capo di gabinetto di Alberto Manenti, quando questi guidava i servizi segreti per l’estero, per poi diventarne vicedirettore.
Con l’arrivo dello 007 si completa la squadra di vertice del San Donato. Nel luglio 2019 era stato scelto l’ex delfino di Silvio Berlusconi e poi fondatore del Nuovo Centro Destra, Angelino Alfano, chiamato con il ruolo di presidente del San Donato. Nel giugno 2020, invece, sono stati formati i nuovi consigli d’amministrazione delle società del gruppo. Tra i nuovi arrivi c’è stato anche Roberto Maroni, ex ministro dell’Interno e del Lavoro e fino al 2018 presidente della Regione Lombardia, entrato nel cda degli Istituti clinici Zucchi, una delle strutture sanitarie del gruppo. E poi c’è Augusta Iannini, ex magistrato di Roma, capo dell’Ufficio legislativo del ministero della Giustizia e poi vicepresidente dell’Autorità garante per la privacy. Iannini, moglie di Bruno Vespa, è entrata a far parte del consiglio d’amministrazione della holding e in quello dell’Ospedale San Raffaele, fiore all’occhiello del gruppo.
E dunque: Alfano, Maroni, Iannini. Impossibile non notare come gli organigrammi del gruppo siano pieni di figure che vengono da partiti e da ministeri, personalità che di certo durante la loro carriera hanno tessuto non pochi rapporti. Inoltre, gran parte del fatturato del San Donato proviene dai soldi pubblici, tramite gli accreditamenti che i suoi ospedali hanno ottenuto, a partire dai bei tempi della riforma di Roberto Formigoni che ha aperto il sistema sanitario lombardo ai privati (un modello che durante la crisi Covid ha mostrato tutti i suoi limiti).
Ma forse la politica non basta. Al gruppo evidentemente serve anche chi ha avuto esperienze di primo piano nelle strutture dell’intelligence.

lunedì 25 maggio 2020

MODELLO LOMBARDIA E TERZO SETTORE. - Niccolò Biondi

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Le polemiche bipartisan al deputato pentastellato Ricciardi (come spesso accade, contro il M5S si uniscono centrodestra e centrosinistra) per il suo intervento contro il “modello Lombardia” nella sanità hanno dell’incredibile. Ha detto una cosa semplicemente banale: che è stato da liberali criminali e incoscienti tagliare 25 mila posti letto negli ospedali pubblici, per erogare fondi alle associazioni e agli ospedali privati degli imprenditori amici di Formigoni & co. Una accusa dovuta, fondata e condivisibile, che è puro buon senso - e pure senso comune, soprattutto dopo l’emergenza Covid19: addirittura i lettori di Repubblica gli danno ragione, andate a leggervi i commenti sotto l’articolo pubblicato stamattina.

Si capisce bene come mai i parlamentari e alcuni membri del governo (pare che anche il ministro Speranza, Leu, abbia dato ragione a Giorgetti) sono insorti: il modello dei tagli al pubblico per aumentare la presenza dei privati nella sanità è stato sposato da tutti negli ultimi 30 anni, sia centrodestra che centrosinistra, e che fosse per dare soldi pubblici agli amici imprenditori o per adesione ideologica all’idea della superiorità del “terzo settore” e del privato sociale sul pubblico, poco cambia. Lombardia e Toscana sono due esempi paradigmatici di questo processo: centrodestra e centrosinistra accomunati nella politica di integrazione nel sistema sanitario di enti del privato sociale, con un’estensione del terzo settore che ha portato a centinaia di milioni di euro (se non miliardi, nel corso degli anni) sottratti alle strutture pubbliche, la cui qualità di conseguenza peggiorava e le cui liste d’attesa si allungavano inesorabilmente (e poi, le accuse di inefficienza, secondo il classico schema: tagli — peggiorano i servizi — cittadini si lamentano — politici accusano il pubblico e privatizzano). In Toscana, inoltre, ci sono strutture del privato sociale in cui i dipendenti sono volontari: un ottimo modo per trasformare l’attivismo della società civile in reddito d’impresa e svalutazione del lavoro.


In Italia abbiamo tante famiglie (una risibile minoranza in termini percentuali sull’intera popolazione, ma comunque migliaia di persone) che guadagnano palate di milioni di euro grazie alla gestione di ospedali, cliniche e servizi sanitari e diagnostici vari. Ciò è una vergogna indicibile: non un solo euro dovrebbe finire nei conti in banca dei privati in relazione alla salute, i servizi sanitari dovrebbero essere tutti pubblici, nessuno escluso, gestiti con soldi che escono dalle casse dello Stato e in queste casse ritornano - e se mancano fondi, si tassano maggiormente le fasce di reddito più alte, come avveniva fino ai primi anni ‘90.


Il caso dei fondi richiesti da FCA allo Stato, 6 miliardi di fondi pubblici per staccare 5,5 miliardi di dividendi agli azionisti, mostra quanto sia disfunzionale e assurdo questo sistema di drenaggio di risorse pubbliche per farlo finire nelle tasche private: l’ormai tristemente celebre “socialismo delle perdite, privatizzazione dei profitti”. Qui siamo in una situazione in cui lo Stato dovrebbe tornare ad essere proprietario e a gestire ben più dei servizi essenziali; figuriamoci quelle strutture che devono garantire il diritto alla salute. Si scrive “terzo settore”, si legge “furto ai danni dei cittadini per riempire i conti in banca di pochi imprenditori”.


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mercoledì 8 aprile 2020

La Regione paga e la Lega incassa: l'affare che ha arricchito gli amici di Matteo Salvini. - Giovanni Tizian Stefano Vergine (26 aprile 2019)



Un immobile di una società della galassia salviniana. Vale 400 mila euro. Ma viene venduto al doppio. A una fondazione partecipata della Lombardia. E i soldi finiscono anche a una srl. La stessa che paga i commercialisti e il tesoriere del Carroccio.
Denari dei cittadini, tutti: quasi 1 milione di euro. Che dopo un lungo girovagare finiscono a società riconducibili sempre alla Lega. Tutto ha inizio con una normalissima compravendita immobiliare. Ed è da qui che inizia la nostra storia. Al confine tra Cormano e Cusano Milanino c’è un fabbricato basso e grigio di quasi mille metri quadrati. Sul portoncino di ferro c’è una targhetta argentata: “Lombardia Film Commission”, si legge. Il fabbricato si trova a pochi metri dall’autostrada Milano-Venezia, in via Bergamo 7. È qui, nell’ex cuore industriale della provincia milanese, che appunto ha sede operativa la Lombardia Film Commission, la fondazione a partecipazione pubblica che si occupa della promozione e dello sviluppo di progetti cinematografici sul territorio regionale. Un ente pubblico importante. La gran parte dei soldi con cui si finanzia arrivano dalla Regione, il resto lo mettono gli altri soci: Comune di Milano, fondazione Cariplo e Unioncamere regionale.
L’edificio di Cormano acquistato di recente dalla fondazione ha una storia molto particolare, che ci conduce direttamente al partito di Salvini.

Già, perché dietro la compravendita dell’immobile di via Bergamo 7 ci sono personaggi legati alla Lega. Infatti, gli 800 mila euro pagati dalla fondazione pubblica all’immobiliare che ha ceduto la struttura finiscono bonifico dopo bonifico ad aziende e nomi strettamente connessi tra loro e con il Carroccio. Un’operazione immobiliare che viene avviata e conclusa quando il presidente del Cda della fondazione era Alberto Di Rubba, piazzato lì dalla giunta Maroni nel 2014.
Quarantenne, bergamasco, Di Rubba è il professionista di fiducia della nuova Lega di Salvini, tanto da essere stato nominato revisore dei conti del gruppo parlamentare alla Camera e amministratore unico della Pontida Fin, la storica cassaforte immobiliare del Carroccio. Di Rubba è insomma il commercialista scelto per far quadrare i conti insieme all’amico di vecchia data, il tesoriere Giulio Centemero, con il quale ha fondato l’associazione Più Voci. È la stessa Più Voci che - come abbiamo raccontato un anno fa sull’Espresso - ha ricevuto donazioni sostanziose dal costruttore Luca Parnasi, una vicenda che vede oggi indagato Centemero per finanziamento illecito, fascicolo aperto dopo le nostre rivelazione e che si avvia alla conclusione: la procura di Roma potrebbe a breve chiudere le indagine e chiedere il rinvio a giudizio.
Lo studio di Di Rubba è a Bergamo bassa, in via Angelo Maj 24, dove hanno sede una sfilza di società che fanno capo a una holding lussemburghese schermata da una fiduciaria italiana. E proprio in via Maj, a dicembre scorso, hanno bussato i detective dalla Guardia di finanza di Genova per cercare ulteriori indizi sul presunto riciclaggio di parte dei 49 milioni dei rimborsi elettorali ottenuti con la truffa di Bossi e Belsito, che per questo sono stati condannati in Appello. Una delle società sospettate dalla Finanza e dalla procura di aver ripulito il denaro è amministrata dal tesoriere Centemero, così c’è scritto nel decreto di perquisizione. Questo è il contesto in cui si muove Di Rubba, il presidente della fondazione pubblica lombarda.
Ripartiamo proprio dalla Lombardia Film Commission. Il professionista bergamasco ha lasciato l’incarico di presidente della fondazione ad agosto scorso. Insediatosi a settembre 2014, a nove mesi dall’incoronazione di Matteo Salvini a segretario del partito, è stato scelto dalla giunta di Roberto Maroni su proposta dell’allora assessore alla Cultura Cristina Cappellini, salviniana che voleva istituire all’interno dello “sportello famiglia” il numero anti-gender (sarebbe servito a segnalare i casi di «indottrinamento gender nelle scuole»). Di Rubba lascia la presidenza dell’ente pubblico quasi quattro anni più tardi, agosto 2018. Al suo posto l’intellettuale Pino Farinotti, critico cinematografico, scrittore e giornalista. Di Rubba fa però in tempo ad assistere dall’alto del suo ruolo al colpo grosso messo a segno da un’immobiliare milanese, la Andromeda Srl.
LA LEGA E IL CONFLITTO DI INTERESSE.
L’immobiliare, il 5 dicembre 2017, incassa dalla Lombardia Film Commission 800 mila euro per la vendita dell’immobile di Cormano. Sull’atto notarile finale del 13 settembre 2018 c’è la firma del successore di Di Rubba, Farinotti. Ma è nel medesimo atto che si dà conto del pagamento ad Andromeda avvenuto tramite due bonifici accreditati il 5 dicembre 2017, cioè quando a capo della fondazione c’era il commercialista della Lega. Fin qui nulla di strano, se non fosse per alcune curiose coincidenze. La prima: la proprietà che sta dietro l’immobiliare Andromeda. La seconda: chiuso l’affare con i soldi dei cittadini, Andromeda è stata messa in liquidazione. Che i soldi finiti all’immobiliare siano pubblici non ci sono dubbi. Dai documenti letti dall’Espresso risulta che il tesoretto accumulato sul conto corrente della fondazione era composto da 1,4 milioni di fondi regionali, destinati all’attuazione della programmazione della Lombardia Film, 99 mila euro provenivano dal Comune di Milano e 100 mila da Cariplo.
Ma a chi è riconducibile l’Andromeda, la società che vende per 800 mila euro l’immobile all’ente pubblico lombardo? Le quote sono detenute dalla “Futuro partecipazioni”, di proprietà di una società fiduciaria con sede a Milano. Impossibile dunque risalire al reale titolare. Ciò che si conosce però è il nome dell’amministratore della “Futuro Partecipazioni”, la società che controlla l’immobiliare che incassa il denaro pubblico: si chiama Michele Scillieri, di lavoro fa il commercialista e revisore contabile, ha lo studio in via privata delle Stelline 1, a Milano. Proprio dove è stato registrato il nuovo brand del Carroccio sovranista, la “Lega per Salvini premier”, a fine 2017. Non solo: Scillieri è stato sindaco della fondazione diretta da Di Rubba, e pochi mesi dopo che Andromeda ha venduto l’immobile di Cormano è stato nominato anche consulente della fondazione con il ruolo di contabile amministrativo. Una nomina avvenuta quando Di Rubba si trovava ancora al comando della struttura pubblica. Il contratto di Scillieri scade nel 2020, la sua retribuzione è di 25 mila euro all’anno più Iva. Nella dichiarazione pubblicata sul sito della fondazione, il commercialista milanese dichiara di non aver alcuna incompatibilità né conflitti di interesse. Eppure quando Andromeda conclude l’affare, lui è allo stesso tempo sindaco supplente della fondazione che eroga 800 mila euro pubblici, e amministratore della società privata che beneficia di quegli 800 mila euro. Come se non bastasse, c’è un dettaglio ulteriore che rischia di mettere in serio imbarazzo la Lega di fronte ai suoi elettori lombardi: Scillieri, dopo la vendita del fabbricato di Cormano, è stato anche nominato liquidatore dell’Andromeda, la srl dai proprietari misteriosi che sta chiudendo i battenti dopo aver incassato i denari dei contribuenti italiani. Abbiamo chiesto a Scillieri che ruolo ha avuto nella compravendita. Non ha risposto. Nel luglio scorso ha invece rilasciato un’intervista a un quotidiano nazionale e ha spiegato perché sia stato scelto il suo studio come domicilio della nuova Lega: «È stato solo per un piacere personale a un collega. L’accordo era chiaro: ho accettato la domiciliazione ma volevo tenermi totalmente fuori a livello politico, finanziario e operativo». Nella stessa intervista sostiene di conoscere solo Andrea Manzoni, il collega di Di Rubba, revisore legale del gruppo Lega al Senato, e Centemero, il tesoriere del partito. E Di Rubba? Di lui non fa cenno. Eppure all’epoca Scillieri era già da qualche mese consulente della Lombardia Film Commission di cui Di Rubba era presidente.
UNA LEGA PER AMICA
La storia dell’immobile venduto dall’Andromeda a 800 mila euro si arricchisce ancora se seguiamo il tragitto dei soldi pubblici incassati dall’immobiliare. Che non li tiene fermi in banca. Partiamo da quando l’immobiliare collegata a Scillieri acquista il fabbricato di Cormano, poi rivenduto all’ente pubblico. L’immobile diventa proprietà di Andromeda solo undici dieci mesi prima della vendita alla fondazione. Quanto è costato ad Andromeda? La metà, ossia 400 mila euro, almeno così è scritto nell’atto notarile. Insomma, grazie a Lombardia Film Commission quei 400 mila lieviteranno e frutteranno alla Andromeda, oggi liquidata da Scillieri, il doppio. Non male. Anche perché nell’atto di compravendita è specificato che l’immobile è «in pessimo stato di conservazione e manutenzione e con necessità di effettuare significative opere di ripristino». Una precisazione, che tuttavia, non compare undici mesi dopo nella cessione alla fondazione Lombardia Film Commission, in cui sono menzionate alcune opere in corso di esecuzione, consistenti in «opere interne ai fabbricati ed al rifacimento della copertura degli stessi». Un affare come tanti, verrebbe da pensare. Ma è ciò che accade nei giorni successivi a riportare i soldi vicinissimi alla Lega. Cinque giorni dopo aver incassato il denaro pubblico per la compravendita dell’immobile di Cormano, l’immobiliare versa 480 mila euro alla società Eco e sei giorni dopo 178.500 alla Sdc. La Eco è un’azienda con sede a Milano, costituita un mese prima che Andromeda vendesse a Lombardia Film Commission. Il proprietario è di Gazzaniga, provincia di Bergamo, 5 mila anime in Val Seriana, paese natale di Di Rubba. Si occupa, recita l’oggetto sociale, di costruzione e ristrutturazione immobili. Possibile che l’imprenditore di Gazzaniga abbia ristrutturato il fabbricato di Cormano in un solo mese e che abbia incassato quasi mezzo milione di euro? Un mistero che solo i protagonisti della vicenda avrebbero potuto chiarire se avessero voluto rispondere alle domande che gli abbiamo inviato. Di certo possiamo aggiungere che la Eco ha intrattenuto rapporti economici con la Lega. Per esempio, il 13 febbraio 2018, Radio Padania e Pontida Fin- la storica società controllata dal partito, amministrata da Di Rubba- versano alla Eco in totale 60 mila euro. Pagamento fatture, recita la causale. Poi, due settimane più tardi, è la Eco a pagare società che orbitano attorno alla Lega. Tre bonifici, per circa 60 mila ero, i cui beneficiari sono lo studio Dea Consulting di Di Rubba (all’epoca era presente anche Andrea Manzoni), lo studio Cld - da poco incorporato in un’unica struttura con Dea Consulting- e Sdc, società il cui capitale sociale è stato versato sempre da Dea Consulting. Ed è proprio Sdc che, negli stessi giorni in cui la Eco riceve la sua parte, incassa la propria.

MEZZO MILIONE PER I LEGHISTI
La Sdc, dunque, riceve parte del denaro pubblico incassato da Andromeda. E ci riconduce ai professionisti pagati dal partito e a uomini organici ad esso: Alberto Di Rubba, cioè l’amministratore all’epoca della Lombardia Film Commission, Giulio Centemero, il tesoriere del partito, e Andrea Manzoni, il contabile del gruppo al Senato. Tra il 2016 e il 2018 la Sdc versa sistematicamente soldi al trio di commercialisti della Lega con causale “pagamento fatture”. Prendiamo Centemero, deputato e tesoriere del partito: in un anno ha incassato da Sdc circa 62 mila euro. Chi ha ricevuto di più da questa azienda nata nel 2016 è certamente Manzoni, il collega di studio di Di Rubba: 211 mila euro in un anno e mezzo fino al gennaio 2018. Anche dopo, quindi, che Sdc incassa i quasi 200 mila euro girati dalla fortunatissima immobiliare Andromeda. Anche Di Rubba non è da meno: riceve 198 mila euro da Sdc, sempre a titolo di pagamento fatture, emesse dal giugno 2016 al gennaio 2018. Le date indicano dunque che Di Rubba, durante la presidenza della Film Commission lombarda, ha guadagnato con prestazioni offerte da Sdc, che a sua volta ha ricevuto gli 800 mila euro pubblici spesi dall’ente che lui presiedeva. Abbiamo chiesto a tutti i diretti interessati di commentare questa vicenda: non abbiamo ricevuto alcuna risposta.

Dell’acquisto dell’immobile abbiamo chiesto conto con domande puntuali anche alla nuova dirigenza della fondazione partecipata dalla Regione. La nostra richiesta di commento è giunta alla consigliera Paola Dubini, che dall’estero ci ha risposto di non riuscire ad aiutarci: «Come giustamente dite voi non ero all’epoca entrata nel Cda e quindi l’approvazione del bilancio non è stato oggetto di lavoro da parte mia». Dubini ha girato le nostre richieste all’ufficio stampa, che però non ci ha più fatto sapere nulla. Una cosa possiamo dirla con certezza: i soldi dei contribuenti lombardi si sono persi in mille rivoli e hanno fatto guadagnare personaggi del partito della Lega, quasi una famiglia per Matteo Salvini. Uno strano caso di catarsi. Da “prima gli italiani” a “prima la famiglia”: the family, come ai vecchi tempi.
https://m.espresso.repubblica.it/plus/articoli/2019/04/26/news/la-lega-incassa%20la-regione-paga-1.334142?fbclid=IwAR3odN-1wHUnOfe4cntRTA4BMrRmgP0ASykE5gmG8zce99NXOrKQhHl7HJs

sabato 20 ottobre 2018

Termini Imerese, i nodi vengono al pettine: la procura apre un’inchiesta su 21 milioni pubblici svaniti nel nulla. - F. Capozzi e G. Scacciavillani

Termini Imerese, i nodi vengono al pettine: la procura apre un’inchiesta su 21 milioni pubblici svaniti nel nulla

I fondi pubblici erano stati erogati nel 2016 attraverso Invitalia per rilanciare l'impianto che l’attuale Fca ha fermato nel dicembre 2011. Tutte le lungaggini delle verifiche sul loro utilizzo.

La Procura di Termini Imerese ha aperto un’inchiesta sulla Blutec, la società che ha rilevato l’ex stabilimento siciliano della Fiat. In fabbrica è arrivato il nucleo di polizia economico-finanziaria per sequestrare documenti e file utili alle indagini sull’azienda che fa capo a Roberto Ginatta, buon amico e socio in affari di Andrea Agnelli. Obiettivo del procuratore Ambrogio Cartosio è far luce sull’utilizzazione del finanziamento pubblico da circa 21 milioni di fondi regionali vincolati a precisi investimenti industriali mai realizzati come aveva raccontato a gennaio ilfattoquotidiano.it.
I fondi pubblici erano stati erogati nel 2016 attraverso Invitalia per rilanciare l’impianto che l’attuale Fca ha fermato nel dicembre 2011. Blutec se li era aggiudicati dopo che gli altri pretendenti alla successione di Fca erano caduti uno via l’altro in scia alle inchieste giudiziarie. E con l’impegno di riaprire l’impianto riassorbendo una parte del personale della fabbrica anche grazie alle commesse per produrre settemila motocicli elettrici di Poste Italiane e per elettrificare 7200 Doblò Fca in quattro anni. L’azienda aveva infatti presentato un piano di rilancio che prevedeva di reintegrare l’intera forza lavoro (694 persone) dell’impianto entro la fine di quest’anno, riportando in fabbrica 400 lavoratori già nel 2017.
In realtà poi le cose sono andate diversamente. Dopo aver incassato i soldi pubblici, Blutec ha fatto i conti con la realtà e si è progressivamente rimangiata buona parte delle promesse fatte mandando avanti a singhiozzo il piano per assumere il personale e rilanciare il sito industriale. Della questione era ben cosciente il ministero dello Sviluppo economico che, ai tempi dell’ex ministro Carlo Calenda che pure aveva ereditato lo spinoso caso dalle passate gestioni, aveva scelto di fare buon viso a cattivo gioco rimandando il caso Termini Imerese a dopo il voto e passando così la patata bollente al governo gialloverde. A metà luglio 2018, in un incontro al ministero dello Sviluppo economico, ormai sotto la guida del vicepremier, Luigi Di Maio, Blutec riferiva che i lavoratori occupati erano solo 135, alle quali si sarebbero aggiunte “con la commessa dei 6800 Doblò di FCA, altre 120 persone nei prossimi tre anni”, come si legge nel verbale della riunione ministeriale. “La piena occupazione verrà quindi assicurata solo nel momento in cui gli accordi commerciali citati avranno concreta realizzazione”, prosegue il documento. Intese che non sono ancora state formalizzate né da parte di Fca, né tanto meno di Poste che, già in passato, ha manifestato l’intenzione di procedere ad una gara per l’assegnazione della commessa sui motocicli elettrici.
Nonostante le proteste del sindaco di Termini Imerese, Francesco Giunta, e dei sindacati, preoccupati dall’imminente scadenza a dicembre degli ammortizzatori sociali il cui rinnovo è scomparso dal decreto fiscale, Invitalia si è mossa con estrema lentezza. I segnali c’erano tutti da mesi, eppure è stato soltanto nell’aprile scorso l’advisor del ministero ha inviato a Blutec una contestazione sulla rendicontazione chiedendo di far luce sull’uso del denaro pubblico. Non avendo ricevuto alcuna informativa, a quasi due anni dall’assegnazione dei fondi regionali, la società guidata da Domenico Arcuri aveva successivamente provveduto a chiedere la restituzione dei fondi. Ironia vuole che proprio nel giorno della notizia dell’inchiesta il manager pubblico, dal palco del Convegno dei Giovani di Confindustria lanci un appello a “portare tutti insieme il Paese fuori dalla tempesta, stando un po’ meno connessi, frequentando più i libri e creando lavoro vero“, sottolineando che “quando lo Stato si è impegnato ed ha fatto il suo dovere, ha raggiunto i risultati”.

Dal canto suo Blutec, interpellata in merito da ilfattoquotidiano.it fin da gennaio si era trincerata dietro il silenzio. Ma poi, nel verbale dell’incontro al ministero datato 18 luglio 2018, si legge che “i rappresentanti dell’azienda hanno comunicato che l’accordo tecnico-legale di restituzione del finanziamento ricevuto da Invitalia, verrà firmato entro luglio 2018”. L’accordo però non è arrivato. E, incredibilmente, nell’ultimo incontro al Mise, datato 4 ottobre, Invitalia ha spiegato “che è stata raggiunta una intesa con l’azienda per restituire la somma di 21 milioni di euro circa”, ma “si attende di completare l’iter autorizzativo del Ministero”. E ha poi aggiunto che “senza questa autorizzazione non è possibile completare l’iter già avviato per il nuovo contratto di sviluppo ed il finanziamento del nuovo Piano industriale”, come si legge nel verbale del ministero.
Nella stessa occasione, il sindacato aveva “lamentato che ad oggi non c’è coincidenza tra il piano di rioccupazione e la realtà”. Inoltre ha chiesto al governo di “verificare che siano stati rispettati gli impegni presi in precedenza con FCA” e di “identificare nuovi investitori industriali che possano realizzare il piano di rioccupazione di tutti i lavoratori Blutec. Del resto, come ha evidenziato, Giampietro Castano, responsabile dell’Unità di gestione vertenze del Mise, “il governo, avendo deciso dieci anni fa di assumere la responsabilità della reindustrializzazione del sito di Termini Imerese e della tutela dei lavoratori interessati, ha dirette responsabilità che non possono essere dimenticate”.Responsabilità politiche presenti e passate nel fallimento di un progetto adeguato per la riconversione di Termini Imerese di cui si discuterà al ministero in un nuovo incontro che si terrà entro fine novembre. Alla Procura toccherà intanto appurare che fine hanno fatto i soldi pubblici intascati da Blutec e di cui Invitalia ha tardivamente richiesto la restituzione.
Fonte: ilfattoquotidiano del 19/10/2018

giovedì 29 marzo 2018

“Crociere e gioielli con i soldi della Uil”, Barbagallo Angeletti e altri sei a processo per appropriazione indebita.

Risultati immagini per barbagallo e angeletti a processo

Il segretario del sindacato: "Personalmente, non ho mai neanche pensato di poter utilizzare risorse della Uil per fini estranei agli interessi dell’organizzazione". L'ex numero uno: "Era per discutere in maniera approfondita, e per più giorni, dei contratti del pubblico impiego".

L’accusa è appropriazione indebita, in concorso con altri sei imputati, per essere stati in crociera con i soldi del sindacato. Ma Carmelo Barbagallo e Luigi Angeletti, segretario nazionale Uil e il suo predecessore, respingono le accuse. I pm di Roma Stefano Pesci e Paolo Marinaro contestano, secondo quanto riporta La Repubblica, ad altri imputati l’acquisto di gioielli da Swarovski per oltre 7mila euro e un soggiorno al “California Camping Village”, in Toscana tra il marzo del 2010 e il maggio del 2012. A giudizio davanti al giudice della IX sezione penale anche ci sono anche Goffredo Patriarca, Giuseppe Caronia, Romano Bellissima, Salvatore Bosco, Luigi Simeone e Ubaldo Conti.
Le indagini hanno accertato che ci sarebbero state contabilizzazioni anomale. Per esempio la causale che ha permesso di pagare le vacanze per 16.456 euro era “contributo per progetto condiviso“. Il 22 marzo del 2010 la Costa crociere ha ricevuto il bonifico da conti Uil. Angeletti, allora numero uno, e Barbagallo si erano imbarcati con altri tre sindacalisti e gli accompagnatori. Anche l’anno successivo c’era stata una vacanza con le stesse modalità pagata il 27 maggio del 2011. A dicembre del 2010 sempre con i soldi del sindacato Goffredo Patriarca avrebbe pagato, questa l‘ipotesi della procura, un soggiorno a Ubaldo Conti per due settimane ad agosto del 2010 accompagnato in Toscana da madre e nipote. Lo stesso Patriarca avrebbe speso circa 7mila euro in quattro puntate in gioielleria usando la carta di credito di Uil Trasporti.

Ho piena fiducia nell’operato della magistratura e resto in attesa di poter chiarire ogni aspetto di questa vicenda. Personalmente, non ho mai neanche pensato di poter utilizzare risorse della Uil per fini estranei agli interessi dell’organizzazione alla quale ho sempre dedicato e dedico tutto il mio lavoro e la mia persona – fa sapere Barbagallo -. Sono impegnato a lavorare h/24 per il sindacato”. Angeletti, sentito dai pm, si era difeso dicendo che le crociere “avevano lo scopo di consentirci di discutere in maniera approfondita, e per più giorni, di importanti tematiche relative principalmente al blocco dei contratti del pubblico impiego e delle politiche previdenziali dei governi in carica”.

lunedì 14 marzo 2016

Spese pazze alla Regione Sicilia: soldi pubblici per musica, giocattoli e gioielli.




La Corte dei Conti ha condannato in primo grado alcuni parlamentari dell'Ars, l'assemblea regionale siciliana. Le indagini della Corte dei Conti, che ora coinvolgono altri parlamentari siciliani, si concentrano sugli acquisti effettuati con soldi pubblici e non rendicontati. Dalle carte emergono acquisti di giocattoli, musica, abbigliamento.

https://www.youtube.com/watch?v=9ROvMQZcHcY

domenica 25 novembre 2012

Quei tre giudici nell'ufficio più costoso del mondo. - Luciano Ferraro


Piazza San Marco: 2,6 milioni annui per affitto e spese
alle Procuratorie, ma sono rimasti solo i giudici di pace.


Tra stucchi cinquecenteschi illuminati d'oro e d'azzurro, c'è l'ufficio giudiziario più costoso del mondo (se si calcola il rapporto tra numero di occupanti e spese). Ci lavorano tre giudici di pace, si occupano di beghe condominiali e infrazioni stradali contestate. Le loro stanze si affacciano su San Marco, a Venezia, e ogni giorno si riempiono della musica dei Caffè storici. Si trovano nelle Procuratorie vecchie, l'edificio delle 100 finestre, lungo 152 metri, dalla Torre dell'Orologio al Museo Correr, costruito nel dodicesimo secolo e rinato dopo un'incendio nel 1538. Queste tre scrivanie costano prima al Comune, poi allo Stato, tra canone d'affitto e spese, 866 mila euro l'una. In totale 2,6 milioni l'anno. 
A sinistra, il Palazzo delle Procuratorie (Ap)A sinistra, il Palazzo delle Procuratorie (Ap)
Il padrone di casa, le Assicurazioni Generali, incassa il canone da un decennio. Il conto è lievitato, anche se gli uffici sono stati progressivamente liberati. Il pasticciaccio inizia nel 1991, quando il Tribunale di Rialto, con vista sul Canal Grande, viene chiuso per carenza di misure di sicurezza. Il Comune cerca, con urgenza, una sede per evitare la paralisi dei processi e delle indagini. Generali mette a disposizione l'enorme ala marciana. Era stata la base della compagnia dal 1832. Alla fine degli anni Ottanta, sulla scia di un esodo di abitanti e posti di lavoro che sembra non finire mai, anche le Generali si trasferirono in un quartier generale in terraferma, a Mogliano Veneto. Nuovo di zecca, accessibile e molto meno costoso di un edificio storico, tra acqua alta e necessità di continui interventi di restauro. 
Il 18 novembre 1991 il Comune si accorda con la compagnia del leone: 1,4 milioni di euro l'anno per 6 anni. La giustizia riparte. Pubblici ministeri e giudici traslocano da Rialto alle stanze di San Marco, nei due splendidi piani poco adatti ai processi. Quando sono di scena imputati o testimoni eccellenti si assiste a inseguimenti dei fotografi tra turisti e piccioni, come capita nei giorni caldi di Tangentopoli a Gianni De Michelis, con la folla che fischia e urla. La distanza dall'imbarcadero costringe poi a far sfilare i detenuti portati dal carcere al palazzo tra vacanzieri e cittadini.
Dopo mesi dal trasferimento, Procura e Tribunale tornano a Rialto: le Fabbriche Nuove del Sansovino sono di nuovo agibili. Ma il gruppo dell'Antimafia rimane nell'edificio. Resta anche la polizia giudiziaria, assieme ai giudici di pace. E il canone intanto non si abbassa. Alla fine del 2003 il Comune chiede una proroga «in attesa della realizzazione della Cittadella della giustizia».
Il sogno è trasferire nella Cittadella, a piazzale Roma, tutte le sedi della magistratura del centro storico. I lavori sembrano interminabili. Se ne parla dagli anni Ottanta. «Il progetto è finanziato e gli appalti assegnati, ma a stralci - spiega con amarezza il sindaco veneziano Giorgio Orsoni, avvocato amministrativista - mancano i fondi statali per l'ultima fase». Nel 2010 il primo «miracolo»: una parte dello scuro e cupo edificio della Cittadella della giustizia è pronta, il team dell'Antimafia ha traslocato con la polizia giudiziaria. Ma il contratto d'affitto per San Marco resta lo stesso del 1991, quello della fuga da Rialto.
Se tutto filerà liscio, il 2013 sarà l'anno in cui Venezia potrà evitare di versare 2,6 milioni l'anno per i tre giudici di pace. «Abbiamo già trovato i nuovi uffici a Riva de Biasio, presto il caso sarà risolto - assicura il sindaco -. Certo, siamo stati vittime di un meccanismo folle: abbiamo dovuto anticipare milioni per far funzionare uffici statali, e l'amministrazione centrale ce li ha restituiti con ritardo di 3-4 anni, solo all'80 per cento. Ma fra qualche settimana tutto questo finirà».
Nel frattempo i tre giudici di pace e gli otto impiegati potranno continuare ad ascoltare i valzer dei Caffè che, dal '700 ad oggi, hanno accolto da Goethe ad Hemingway. «Il miglior fondale per l'estasi» come ha scritto Josif Brodskij, il poeta di «Fondamenta degli Incurabili».