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sabato 24 aprile 2021

Il condannato Formigoni ha poco da festeggiare. La Corte dei Conti conferma che deve risarcire 47,5 milioni. - Clemente Pistilli

 

Due anni fa gli arresti domiciliari e poi, negli ultimi giorni, il ripristino del vitalizio, nonostante la delibera Grasso lo revochi ai condannati in via definitiva, e il successo legato al suo libro. Il peggio per l’ex governatore centrista della Lombardia, Roberto Formigoni, dopo anni di scandali, sembrava ormai consegnato al passato. Ma qualche intoppo arriva a tutti e per il Celeste è giunto sotto la forma di una sentenza d’appello della Corte dei Conti, che conferma la condanna a lui inflitta a risarcire oltre 47 milioni di euro al Pirellone.

La storiaccia dell’ormai ex uomo forte del centrodestra è iniziata nel 2012, quando sono spuntate fuori le prime accuse su un giro di mazzette con al centro Pierangelo Daccò, un suo amico. Da lì quelle sui circa 70 milioni di euro che sarebbero stati distratti dal patrimonio della fondazione Maugeri e sui milioni di fondi neri attorno all’ospedale San Raffaele. Un terremoto sulla sanità privata lombarda.

Con Formigoni ben presto a sua volta accusato di corruzione, tra vacanze da sogno, yacht e altri lussi, e infine ritenuto dalla Procura di Milano al vertice di un’organizzazione criminale. Condannato in primo grado a sei anni di reclusione, pena aumentata in appello a sette anni e mezzo, nel 2019 l’ex governatore è stato condannato in via definitiva dalla Corte di Cassazione a 5 anni e 10 mesi, finendo nel carcere di Bollate e ottenendo infine i domiciliari.

Sulla stessa vicenda ha indagato anche la Corte dei Conti, che due anni fa ha condannato Formigoni, gli ex vertici della Fondazione Maugeri, Umberto Maugeri e Costantino Passerino, Pierangelo Daccò e Antonio Simone, a risarcire circa 47,5 milioni di euro alla Regione Lombardia, confermando così anche il sequestro al Celeste di 5 milioni di euro. Una decisione presa dai giudici sostenendo che l’organizzazione aveva “ad oggetto il mercimonio delle funzioni politico-amministrative, in un ambito, quale quello sanitario, particolarmente rilevante per l’interesse pubblico”.

Formigoni, Maugeri, la stessa Fondazione, e Passerino hanno impugnato la sentenza, che ora i giudici contabili d’appello hanno però confermato tranne che per Simone. Bocciata dalla Corte dei Conti la tesi degli appellanti di un danno erariale ormai caduto in prescrizione e bocciata anche la richiesta dell’ex governatore di sospendere il giudizio in attesa della definizione di quello civile.

Per i giudici è stata provata “l’esistenza di un accordo finalizzato alla sottrazione dalle casse della Fondazione dell’ingente importo di 71 milioni di euro, di cui 61 destinati a finanziare la corruzione degli amministratori regionali, nonché degli intermediari”. Formigoni dovrà risarcire la Regione.

LaNotizia

martedì 28 luglio 2020

Prima i bahamiani. - Marco Travaglio

La vignetta di Vauro
Accantoniamo per un attimo gli aspetti giudiziari, politici e morali dello scandalo Fontana e concentriamoci su quelli comici che, nella Lega del Cazzaro Verde, prevalgono sempre. Questa è la storia del sedicente governatore della Regione più ricca d’Europa, degno successore di Formigoni (condannato e arrestato per corruzione) e Maroni (condannato per turbata libertà nel procedimento di scelta del contraente), dunque indagato per frode in pubbliche forniture grazie alle prove che lui stesso ha gentilmente fornito agli inquirenti. E, come se ciò non bastasse, viene difeso da B. come “uomo perbene” e dalla Gelmini come “galantuomo”. Le ultime due viti nella bara: se qualcuno nutriva ancora qualche dubbio sulla sua colpevolezza, l’ha perso. Ora, volendo proprio mettere al sicuro la condanna, potrebbe arruolare l’avvocato Taormina. Ma forse non gli servirà, perché a legarsi il cappio al collo provvede ogni giorno da solo con la linea difensiva più suicida mai concepita da mente umana: per nascondere i favori della sua Regione alla ditta di suo cognato e sua moglie, ordinò un bonifico dal suo conto presso l’Unione Banche Svizzere su cui nel 2015 aveva trasferito 4,4 milioni scudati con la voluntary disclosure dei 5,3 nascosti su due trust a Nassau. Così chi lo sospettava di un banale conflitto d’interessi familiare (ordinaria amministrazione per il “modello Lombardia” e la Milano “capitale morale”) ha scoperto che occultava pure i soldi tra le Bahamas e la Svizzera. Come quel tale che, accusato di aver scippato una vecchietta, sfoderò come alibi di ferro la prova che quel giorno a quell’ora stava scannando sua moglie.
Ieri, dopo aver negato di aver mai saputo o fatto qualcosa della fornitura di camici affidata senza gara alla ditta di famiglia Dama dall’agenzia regionale Aria e aver poi dichiarato di aver saputo e fatto un sacco di cose, il Genio di Varese si presenta al Consiglio Regionale e cambia altre tre o quattro versioni. Accusa l’Oms e il governo Conte di avergli negato sul Covid “informazioni adeguate” (tipo su come s’infila una mascherina, infatti rischiò il soffocamento in diretta Facebook). Poi spiega che la “fornitura a titolo oneroso” da 513 mila euro al cognato era “del tutto corretta”. Ma lui la bloccò, chiese “a mio cognato di rinunciare al pagamento” e tentò di “risarcirlo” (parola dell’avvocato) con quei 250 mila euro perché “il mio legame di affinità gli aveva arrecato svantaggio” (parole sue). Poi però si confonde, o non si coordina bene con se stesso, e parla di “semplice donazione” a cui “volevo partecipare personalmente”, sempre col bonifico di 250 mila euro che cambia causale ogni due minuti.
Ma si scorda di spiegare perché usò un conto svizzero che custodiva i due trust domiciliati alle Bahamas dal 1997 e dal 2005 e intestati a lui e alla madre dentista, morta nel 2015 a 92 anni. Intanto il Corriere scopre che la fornitura non è mai stata trasformata in donazione dalla Regione, ergo Fontana parla di una cosa che non esiste. Il contratto oneroso fra Dama e Aria è sempre valido, ma dei 75mila camici pattuiti ne mancano 25mila: quelli che il cognato, senza che il presidente obiettasse nulla, decise di levare alla Regione per venderli a una clinica e rifarsi del mancato business. Infine, come si conviene nell’avanspettacolo, la comica finale: siccome Report e alcuni giornali inspiegabilmente si occupano dello scandalo, Fontana piagnucola per “il grave contraccolpo subìto da Regione Lombardia a livello di reputazione” e “il sentiment (sic, ndr) negativo”: per quel che scrive la stampa, non per quel che ha fatto lui. Tant’è che, pensate, “si arriva a mettere in discussione l’eccellenza del sistema sanitario lombardo, riconosciuto a livello nazionale e internazionale” grazie al record mondiale di 16.801 morti da Covid: una strage – modestia a parte – che manco quella degli ugonotti nella notte di San Bartolomeo.
Ad aggravare la sua già precaria situazione, ci si mettono pure il consigliere leghista Roberto Anelli che lo vuole “Santo subito” e i renziani di Iv che si dissociano dalla sfiducia. Senza contare il tridente degli house organ di destra, che non vedevamo così in forma dai tempi di Ruby nipote di Mubarak. Impermeabili ai fatti, alla logica e soprattutto al ridicolo, scrivono che Fontana è “indagato per un regalo alla Regione” (Giornale); per lui “il dono diventa un reato” (Verità, per giunta a firma Capezzone); e gli “rinfacciano pure la madre” (Libero). In effetti già è assurdo accusarlo senza uno straccio di prova di sapere che suo cognato è suo cognato e sua moglie è sua moglie, ma insinuare che conoscesse sua madre è davvero troppo. Intanto passano i giorni, ma il caratterista lumbard continua a non soddisfare le legittime curiosità di molti cittadini, leghisti e non. Perché lui e la madre avevano 5,3 milioni alle Bahamas? Come han fatto, lei dentista e lui avvocato da 200mila euro l’anno, a guadagnarli? Perché non li hanno tenuti in Italia? Quante tasse ci hanno pagato, se le hanno pagate? Se non c’era nulla da nascondere, perché usare la voluntary disclosure, la legge Renzi varata per far rientrare in Italia i capitali illegalmente detenuti all’estero? E perché, se li ha fatti rientrare in Italia, li teneva in Svizzera? Non si fida del modello Lombardia? O ha equivocato il motto della Lega? È “Prima gli italiani”, non i bahamiani e gli svizzeri.

sabato 25 luglio 2020

L’ex capo di Aria ieri in Procura: “È collaborativo”. - Gianni Barbacetto

L’ex capo di Aria ieri in Procura:  “È collaborativo”

Ha un atteggiamento “costruttivo”, Filippo Bongiovanni, di fronte ai magistrati che ieri mattina lo hanno a lungo interrogato. Bongiovanni è l’ex direttore generale di Aria, la centrale acquisti della Regione Lombardia, che compra tutti i beni e i servizi che servono per le strutture regionali. È indagato, insieme ad Andrea Dini, cognato del presidente della Lombardia Attilio Fontana, per turbata libertà nel procedimento di scelta del contraente. La vicenda è quella ormai famosa della fornitura di camici, copricapi e calzari sanitari da impiegare negli ospedali durante l’emergenza Covid-19: un affidamento diretto, senza gara, del valore di oltre mezzo milione di euro, alla Dama spa, società controllata dal cognato di Fontana e di cui la moglie del presidente lombardo, Roberta Dini, detiene il 10 per cento. Una fornitura in conflitto d’interessi, dunque, avviata il 16 aprile 2020 e consolidata con regolari fatture emesse dalla Dama spa a partire dal 30 aprile. La situazione ha però una svolta nel mese successivo, dopo che un giornalista della trasmissione televisiva Report comincia a fare domande sull’operazione: il 20 maggio la fornitura da 513mila euro viene trasformata in donazione, e le fatture sono di fatto cancellate da note di storno.
Ieri Bongiovanni, ex ufficiale della Guardia di finanza (“Sono stato in divisa per 26 anni e 22 giorni”) è arrivato a palazzo di Giustizia accompagnato dall’avvocato Domenico Aiello (lo stesso che difende l’ex presidente di Regione Lombardia Roberto Maroni in tutte le sue vicende giudiziarie). È stato interrogato per tre ore dai pm che indagano sulla vicenda camici, Paolo Filippini, Luigi Furno e Carlo Scalas, coordinati dal procuratore aggiunto Maurizio Romanelli. L’interrogatorio è avvenuto al quarto piano del palazzo di giustizia, in una stanza vicina a quella del procuratore della Repubblica Francesco Greco, il quale ha disposto che i cronisti non potessero accedere al corridoio dov’era in corso l’atto d’indagine.
Ha spiegato, Bongiovanni. Ha raccontato meticolosamente tutti i passaggi della fornitura trasformata in donazione, ha ricostruito con atti e documenti i passaggi della procedura. Ha voluto spiegare lo stato d’emergenza in cui Aria e Regione Lombardia si sono trovate a operare nelle settimane più drammatiche della pandemia. Ci ha tenuto a sottolineare l’impegno con cui le strutture regionali hanno cercato di far fronte all’emergenza. Oggi Bongiovanni è dimissionario, ha lasciato il suo posto dentro Aria ed è convinto di riuscire a spiegare ai magistrati e agli ex colleghi della Guardia di finanza il suo ruolo nella vicenda degli 82mila camici e altro materiale di protezione cercati affannosamente nei giorni in cui la Lombardia era bloccata dal lockdown, le terapie intensive erano sovraffollate e il virus diffondeva il contagio e mieteva morti. Poi toccherà a Fontana chiarire il suo ruolo nella vicenda.
La Regione Lombardia del presidente Fontana e dell’assessore al Welfare e sanità Giulio Gallera è sotto osservazione e sotto inchiesta anche per altre storie. 
Dalle donazioni per l’inutilizzato ospedale Covid in Fiera ai troppi morti nelle residenze per anziani, dalla mancata chiusura dell’ospedale di Alzano Lombardo alla scelta della società Diasorin come partner unico per i test sierologici.

mercoledì 22 luglio 2020

I pm: “Regione regalò 1 milione”. Maroni: “È stato tutto regolare”. - Gianni Barbacetto

I pm: “Regione regalò 1 milione”. Maroni: “È stato tutto regolare”

L’indagine “Lombardia Film Commission”.
“Tutto regolare”: contattato dal Fatto, Roberto Maroni non vuole aggiungere altro sul finanziamento da un milione di euro stanziato dalla Regione Lombardia, quando ne era presidente, e destinato alla Lombardia Film Commission. Ottocentomila euro di quei fondi, secondo la Procura di Milano, sono serviti per pagare un immobile a Cormano, ora sede della Fondazione. Quella compravendita adesso però è finita al vaglio dei pm Eugenio Fusco e Stefano Civardi, che vogliono vedere chiaro non solo su tutta l’operazione immobiliare, ma pure sui soldi pubblici erogati. Tanto che ieri i magistrati hanno inviato la Guardia di finanza negli uffici del Pirellone per acquisire, tra gli altri documenti, anche gli atti della delibera con cui nel 2015 la Giunta regionale guidata da Maroni (non indagato) ha stanziato il contributo di un milione di euro. E così le Fiamme gialle tornano nella sede della Regione. C’erano già state per acquisire documenti prima per la questione relativa alla gestione della pandemia, poi nell’ambito di un’indagine sulla fornitura di camici. Ieri una nuova visita, seppur per fatti diversi.
Stavolta l’inchiesta riguarda l’immobile di Cormano. Un acquisto da parte della Lombardia Film Commission che i magistrati definiscono “insensato” e parlano di “ritorni per chi l’ha deciso e attuato”. Per i pm l’operazione era finalizzata al “‘drenaggio’ di risorse che la Regione Lombardia aveva già destinato alla Fondazione e di cui Di Rubba era presidente; e infatti – continuano i magistrati negli atti – Di Rubba e il ‘socio’ Manzoni beneficeranno della quota maggiore”.
Il riferimento è ad Alberto Di Rubba e Andrea Manzoni, il primo amministratore della Lega al Senato, il secondo revisore del gruppo alla Camera. Entrambi sono accusati di peculato e turbata libertà del procedimento di scelta del contraente. Stessi reati per i quali è stato iscritto anche Michele Scillieri, commercialista nel cui studio nel 2017 è stato domiciliato il movimento “Lega per Salvini premier”.
L’operazione immobiliare a prezzo “gonfiato”.
L’operazione immobiliare è piuttosto complessa. La Fondazione infatti nel 2017 acquista questo immobile alle porte di Milano dalla Immobiliare Andromeda srl, società di cui la Procura ritiene essere stato amministratore di fatto Scillieri. Il costo 800 mila euro, pagati anche con i soldi stanziati nel 2015 dalla Regione Lombardia. Denaro che i pm ritengono essere una sorta di “regalo” chiesto e ottenuto in poco più di un mese dalla Fondazione. I magistrati infatti sospettano che quel finanziamento sia stato un escamotage per far arrivare, in qualche modo, i soldi ai commercialisti vicini al Carroccio.
Per i pm però l’immobile è stato comprato a un costo gonfiato. Infatti prima di venderlo alla Lombardia Film Commission, l’Immobiliare Andromeda aveva acquistato quello stesso edificio dalla Paloschi srl, società di cui era liquidatore Luca Sostegni, altro indagato in questa inchiesta. Sostegni è accusato di peculato e di estorsione: secondo i magistrati avrebbe chiesto denaro in cambio del silenzio su ciò che sapeva sulle operazioni immobiliari.
Intercettato a giugno del 2020, al telefono con Scillieri l’uomo “spiegava come non comprendesse la ragione per la quale Di Rubba e Manzoni preferissero per risparmiare ‘pochi soldi’, fare ‘scoperchiare il pentolone, che può fargli danni assurdi’”.
Sostegni stava scappando in Brasile quando mercoledì scorso è stato fermato dagli uomini della Finanza. In un primo interrogatorio ha ricostruito i suoi rapporti con Scillieri. Ma giovedì tornerà davanti ai magistrati.
Le email acquisite e la nomina di Di Rubba.
Intanto il lavoro degli inquirenti si concentra su ciò che è stato acquisito ieri in Regione Lombardia. Dagli atti emerge che Di Rubba il 16 novembre 2015 scrisse una email nella quale chiedeva alla Regione proprio un milione di euro e che il 21 dicembre dello stesso anno la Regione gli rispose che lo stanziamento era stato accordato. Tra le carte utili, anche quelle relative alla nomina nel 2014 di Di Rubba (è rimasto in carica nella Fondazione fino al giugno 2018).

domenica 12 luglio 2020

Rsa Lombardia, altro che 147 pazienti dimessi: quasi 5 mila. - Natascia Ronchetti

Rsa Lombardia, altro che 147 pazienti dimessi: quasi 5 mila

Sullo scandalo lombardo dei pazienti Covid inviati nelle Rsa ora sta emergendo quello che il Fatto scrive da mesi. E cioè che quelli trasferiti sono stati molti di più di quanti ne ha sempre dichiarati la Regione: “Ne sono stati accolti solo 147, in 15 strutture”, ha continuato a dire l’assessore al Welfare Giulio Gallera. Ma le cose non sembra affatto che stiano così. Non in base ai documenti sequestrati dagli investigatori del Nucleo di polizia economico finanziaria (come ha riportato ieri La Stampa), nel centro di smistamento dei pazienti che la Regione ha istituito al Pio Albergo Trivulzio di Milano. Documenti, acquisiti su ordine della Procura meneghina, che parlano di 7.500 pazienti, dei quali 4.700 Covid a bassa intensità e 2.800 negativi (anche se non tutti erano stati sottoposti al doppio tampone per escludere definitivamente la positività). Ma riavvolgiamo il nastro.
Era il 28 marzo quando il Fatto scriveva che i dimessi dagli ospedali perché clinicamente guariti, cioè senza più sintomi ma ancora con carica virale, venivano dirottati su hospice e Rsa. Scelta che allora aveva già riguardato almeno il 30 per cento di ottomila dimessi: vale a dire 2.400 persone, come precisato dallo stesso portavoce di Gallera, da noi interpellato nell’occasione. Dichiarazione stranamente ritrattata alcune settimane dopo: “Un mio errore”, il dietrofront del portavoce.
Arriviamo al 24 aprile, quando il Fatto, di fronte al silenzio della Regione Lombardia e delle Ats scopre, chiamando una per una le case di riposo, che il numero è ben diverso da quello dichiarato da Gallera: sono almeno 225. E i trasferimenti, a quella data, stanno proseguendo. Il presidente Attilio Fontana, l’assessore Gallera e le Ats continueranno a non rispondere, limitandosi a sostenere che le Rsa accoglievano i pazienti su base volontaria e solo a determinate condizioni, come la presenza di un’area autonoma, per evitare il possibile contagio degli anziani.
Non risponderanno nemmeno quando il Fatto, il 25 marzo, pone loro dieci domande. Primo: come è possibile che si parli sempre di 147 pazienti Covid e che a distanza di giorni e settimane il numero rimanga sempre invariato? Nel frattempo la “strage dei nonni” è già iniziata. La Regione Lombardia ha sempre sostenuto che gli anziani morti nelle case di riposo non possono dipendere dal ricovero di pazienti Covid. Ma è un fatto che l’Istituto superiore di sanità ha appurato, con una indagine che ha coinvolto il 43,1 per cento delle 678 Rsa presenti in Lombardia, che sono stati quasi 2.100 i decessi dall’1° febbraio al 5 maggio.
Ancora non si sa quanti dei 7.500 pazienti movimentati dal centro di smistamento del Trivulzio siano effettivamente finiti nelle Rsa, quanti in altre strutture sociosanitarie o centri per le cure intermedie: gli investigatori dovranno analizzare i documenti per ricostruire il percorso ospedaliero. “Ma era evidente fin dall’inizio che non potevano essere solo 147 in tutto – dice Cesare Maffeis, medico, presidente dell’associazione delle case di riposo del Bergamasco –. Solo nella nostra provincia ne abbiamo accolti molti di più. I numeri la Regione ce li ha ma non li fornisce. E non ha nemmeno un esperto di strutture socio sanitarie, si vede da come è stata scritta l’ultima delibera sulla riapertura delle Rsa, che non hanno ancora ricevuto nulla per aver aperto le porte ai pazienti Covid: cornuti e mazziati. La Regione Lombardia è sorda ma siamo pronti ad alzare la voce”.
Quanto all’effettivo numero dei morti, restano i dati dello Spi-Cgil, che ha fatto una indagine sul territorio regionale: cinquemila. “Un tasso di mortalità superiore del 400 per cento a quello degli anni precedenti”, dice il segretario regionale del sindacato, Valerio Zanolla.

Aria SpA: 344 appalti Covid E si dimette il dg (indagato). - Andrea Sparaciari

Aria SpA: 344 appalti Covid E si dimette il dg (indagato)

Nuovo colpo di scena ieri nella vicenda “Camici regalati” dalla Dama spa: il direttore generale di Aria spa, la centrale acquisti della Regione Lombardia, Filippo Bongiovanni, ha rassegnato le proprie dimissioni. Si tratta di uno dei due indagati, insieme con il cognato del presidente Attilio Fontana, Andrea Dini, amministratore della Dama: finiti nel fascicolo della procura di Milano nell’indagine per turbata scelta del contraente per l’affidamento da 513mila euro concesso alla società dei familiari di Fontana.
Secondo il Pirellone Bongiovanni avrebbe chiesto di essere assegnato ad un altro incarico. Fonti vicine a Bongiovanni confermano che si tratta di vere e proprie dimissioni, sebbene tecnicamente si tratti di “richiesta di altro incarico”. Le stesse fonti poi ribadiscono il massimo rispetto per il lavoro degli inquirenti da parte dell’ex direttore, che attende con fiducia di chiarire i fatti.
E l’avvocato ed ex finanziere, fino a poche ore fa a capo dell’ente regionale finito nella bufera non solo per i camici, ma anche per le mascherine Fippi, probabilmente sarà una preziosa fonte di informazione per i magistrati.
Ed è chiaro che il suo addio – non del tutto inaspettato, visti i mai celati attriti col presidente di Aria, il forzista Francesco Ferri – lascia presagire nuovi sviluppi in una vicenda che si sta rivelando sempre più imbarazzante per il governatore lombardo. Nonostante il rifiuto di Fontana di presentarsi in Consiglio regionale per spiegare, l’inchiesta sta proseguendo spedita su tre filoni: la mancata sottoscrizione del patto di integrità (con la relativa dichiarazione di conflitto di interessi); il presunto “ruolo attivo” del governatore (che non è indagato), il quale si sarebbe adoperato per trasformare la vendita dei camici in donazione, dopo l’intervista a Report su Rai3; il mancato perfezionamento della fornitura – a quel punto “regalata” – con 2 mila camici mancanti.
Ma Bongiovanni, da dg di Aria, ha seguito anche molti degli acquisti effettuati dalla controllata regionale durante l’intera crisi Covid. Un oceano di affidamenti diretti, fatti in emergenza, rimasto a lungo oscuro, visto anche il continuo rifiuto dei vertici di Aria di riferire in commissione bilancio sulla propria attività. Ma il Fatto Quotidiano ha avuto la possibilità di consultare in esclusiva il rendiconto generale dei contratti stipulati da Aria tra il 23 febbraio e il 18 giugno. Si tratta di 344 appalti in totale, che vanno dalle mascherine, ai camici, dai test, ai tamponi, passando per le visiere. Una gigantesca lista della spesa dal valore di centinaia di milioni di euro.
Tra i fornitori, i grandi di Big Pharma, come Roche (16 affidamenti tra il 30 marzo e il 2 giugno per complessivi 2.746.233 euro), Arrow (16 affidamenti per 3.212.719 euro), Diasorin (quattro affidamenti, per complessivi 2.486.000), a sconosciuti che si accontentano di poche centinaia di euro, come Farmac-Zabban spa che per 40 mila cuffie copricapo fattura 1.152 euro. Nell’elenco degli acquisti della centrale lombarda figura anche il colosso multinazionale Amazon: sulla piattaforma, infatti, Aria spa diretta da Bongiovanni acquista altri camici, guanti, cuffie e mascherine per 795.647 euro.

domenica 5 luglio 2020

La Regione: 300mila euro per “l’armonia dei bilanci”. - Andrea Sparaciari

La Regione: 300mila euro per “l’armonia dei bilanci”
Consulenze - Il 15 luglio scade il nuovo bando per soggetti privati per “interpretare” la contabilità, incomprensibile pure per il Pirellone.
Settecentomila euro di consulenze esterne per farsi spiegare le norme scritte di proprio pugno. È il paradosso che vive da anni Regione Lombardia, colpevole di aver creato un sistema di gestione della contabilità sanitaria talmente complicato, che nessuno è più in grado di comprenderlo. Un mare magnum formato da flussi di soldi tra Ats, Asst, Aziende ospedaliere e Regione, norme sovrapposte, anticipazioni di cassa, compensazioni… E il bello è che quel sistema – tecnicamente “Gestione sanitaria accentrata” (Gsa) – era stato adottato nel 2012 proprio per rendere più chiara la spesa sanitaria regionale, una torta da 19,2 miliardi l’anno.
A dimostrazione della difficoltà, se non proprio sbando, in cui versano gli uffici deputati alla Gsa, ci sono, nel 2017, i circa 400 mila euro versati a Kpmg, i cui esperti dovevano fornire “un supporto al percorso di riallineamento contabile” e redigere relazioni sull’attività svolta. Risale al 20 aprile 2017 il primo affidamento attraverso gara pubblica da 331.779 euro, cui fa seguito, un mese dopo (il 25 maggio), un secondo affidamento, questa volta diretto, da 42.621 euro. Ma nonostante Kpmg, la situazione non è migliorata. Tanto che Aria SpA – l’Azienda regionale per l’innovazione e gli acquisti – ha appena pubblicato il nuovo bando da 300 mila euro per “il servizio di assistenza tecnica in materia di armonizzazione dei bilanci ex d.lgs 118/2011 per la tenuta della contabilità economico-patrimoniale, la predisposizione del bilancio di esercizio e del bilancio consolidato di Regione Lombardia, la riconciliazione tra le poste del bilancio regionale della gestione sanitaria accentrata e quelle iscritte nel bilancio regionale”. Durata del contratto: 36 mesi. Scadenza del bando: 15 luglio 2020.
E che ci sia bisogno di aiuto è indubbio. Lo ha ribadito la Corte dei Conti, nei giudizi di parifica sui bilanci lombardi. E lo ha sancito pochi giorni fa, il 30 giugno scorso, Orac – l’Organismo regionale per le attività di controllo –, nella delibera “Istruttoria su Bilancio 2018 relativo alle Aziende Sociosanitarie Regionali Regolazione delle posizioni debitorie/creditorie pregresse”.
L’organo di controllo indipendente ha scavato nei rivoli dei finanziamenti erogati dal Pirellone tra il 1999 e il 2015, tentando di capire perché nei bilanci non torni circa un miliardo di euro. Si tratta di “regolazioni pregresse”: il consultivo dei debiti-crediti sanitari, una somma algebrica che dovrebbe fare zero, ma che zero non ha mai fatto. Tanto che Regione Lombardia è riuscita ad approvare i bilanci di esercizio del 2015, 2016 e 2017, solo a tardo 2018, quando per legge dovrebbero essere chiusi entro il 30 aprile dell’anno successivo.
Il giudizio di Orac è tranchant: “La creazione di una situazione contabile non perspicua appare dovuta anche alla scelta di percorrere per anni canali di finanziamento difficilmente ricostruibili ex post; poiché questi ultimi non appaiono del tutto allineati a talune regole, affiancandosi o sovrapponendosi ad esse (anticipazioni finalizzate e altro)”.
Un pasticcio, al quale il Pirellone ha messo una “pezza” a fine 2019, con una sanatoria (ma all’appello mancherebbero comunque ancora 180 milioni). Ed è stato per arrivare a quella sanatoria che la Regione ha dovuto chiedere aiuto ai consulenti. La cui opera però sembrerebbe andata persa. Scrive infatti Orac: “La Direzione Bilancio non ha trasmesso le relazioni del consulente (Kpmg) che pure sono state richieste ripetutamente; questa lacuna limita oggettivamente la possibilità di approfondimento tecnico della vicenda e va colmata mediante l’invio delle medesime relazioni”.
Intanto, però, il Pirellone è costretto a pagare degli esterni per spiegare al suo personale come interpretare norme scritte dalla Regione stessa per rendere più trasparente la spesa sanitaria. “Oggi Regione Lombardia ha una contabilità incomprensibile”, commenta Michele Usuelli, consigliere di +Europa (e uno dei due nomi in predicato per presiedere la famosa Commissione d’inchiesta regionale sul Covid, ancora oggi fantasma). “Ed è l’unica regione italiana ad aver adottato questo metodo di analisi. Una situazione peraltro ammessa anche dall’assessore al Bilancio, Davide Caparini, il quale in Commissione Bilancio ha promesso che dall’anno prossimo le cose miglioreranno… Tuttavia mi chiedo cosa succederà con il Covid 19: se già non si riusciva a rendicontare l’ordinario, cosa accadrà con la gestione di tutte quelle spese fatte in emergenza?”.

sabato 25 aprile 2020

Lombardia: i pazienti ex Covid continuano a essere trasferiti oggi. - Maddalena Oliva, Valeria Pacelli e Natascia Ronchetti

Lombardia: i pazienti ex Covid continuano a essere trasferiti oggi

Succede nel Bresciano come a Pavia: "Le Ats chiamano ogni giorno per capire se possiamo accogliere malati."
Al Santa Margherita di Pavia, istituto di riabilitazione e di cura geriatrica, nelle settimane scorse sono arrivati a contare fino a 20 contagiati, tra i circa 200 anziani ricoverati. La situazione ora sta piano piano rientrando, ma il telefono dell’istituto continua a squillare. “È l’Ats che chiama tutti i giorni”, racconta Maurizio Niutta, direttore amministrativo del Santa Margherita. “Monitorano le strutture del territorio per verificare se le nostre condizioni, essendo migliorate, sono idonee a ricevere pazienti Covid sulla base della delibera dell’8 marzo. Ma qui noi, voglio chiarirlo subito, non abbiamo avuto né ordini né pressioni…”. È Priamo, la piattaforma digitale della Regione che collega ospedali a territorio, che “smista” il traffico dei pazienti.
“Online è visibile tutto il percorso di un paziente, anche di quelli Covid: da quando è dimissionabile dall’ospedale a quando può tornare a casa”, spiega, a qualche centinaio di chilometri di distanza, nel Bresciano, Luca Magli, presidente della casa di riposo di Orzinuovi, Orzivecchi e Barbariga (tre sedi e 190 anziani). “I malati Covid noi non li abbiamo presi: mi sono sempre opposto. Ma – racconta – abbiamo dato piena disponibilità ad accogliere i pazienti ex Covid dimessi dagli ospedali, che non possono ancora rientrare a casa. Due giorni fa i militari russi hanno sanificato tutte le Rsa della zona, e così li abbiamo presi: sono già arrivati 4-5 pazienti”. I pazienti ex Covid dimessi dagli ospedali e che non possono ancora rientrare nelle proprie abitazioni continuano quindi a essere trasferiti nelle Rsa. Sono i cosiddetti “clinicamente guariti”, come indicati da delibera regionale del 23 marzo. “Per noi la condizione ovviamente – precisa Magli – è che tali pazienti abbiano il doppio tampone negativo, ma per noi è un dovere etico e morale accoglierli. Li ‘segregheremo’ in una struttura apposita, ma non possiamo girarci dall’altra parte…”.
Per la Regione restano sempre 147. Ma – come abbiamo raccontato ieri nella nostra inchiesta – i conti non tornano. Tanto più se, per quello che riguarda i pazienti ex Covid, i trasferimenti dagli ospedali alle Rsa stanno proseguendo. Dalla Regione non vogliono commentare. Anche se sono in molti a far notare, ultimamente, una certa ritrosia da parte dell’assessore al Welfare e Sanità, Giulio Gallera, attorniato da un cerchio ristretto di collaboratori che un po’ velenosamente qualcuno definisce “il giglio tragico”, e pressoché sparito dalle scene. Gallera stesso, due giorni fa, si era fatto sfuggire in un’intervista a 7Gold che “le Rsa sono enti gestiti da soggetti privati o da fondazioni, quindi che non avevano capacità di affrontare la gestione dei pazienti Covid”. Eppure, passano i giorni, ma la confusione – nel rimpallo generale di responsabilità, e tra le polemiche (e le indagini della magistratura) – aumenta. Ecco perché, visto quanto raccontato dal Fatto sulle Rsa dall’inizio dell’emergenza, abbiamo posto a Regione Lombardia 10 domande sul tema dei trasferimenti e della nostra inchiesta. Aspettiamo fiduciose.
1. È stata Regione Lombardia, con la delibera dell’8 marzo, a chiedere la facoltà a Rsa con determinate condizioni (strutture separate e personale dedicato) di accogliere i pazienti Covid “a bassa intensità”. A oggi di quanti pazienti si tratta?
2. È da inizio aprile che Regione Lombardia parla di “147 pazienti accolti in 15 strutture”. Abbiamo chiesto quotidianamente aggiornamenti alla Regione su questo numero. La risposta è sempre stata 147. Come è possibile che, a distanza di giorni, questo numero sia invariato?
3. Dei 147 pazienti che per Regione Lombardia sono stati trasferiti nelle Rsa, ve ne sono alcuni deceduti? Quanti?
4. Quanti pazienti ex Covid “clinicamente guariti”, ossia che non hanno più i sintomi ma che potrebbero continuare ad avere una carica virale, sono stati trasferiti negli hospice, in seguito alla delibera del 23 marzo?
5. I pazienti ex Covid sono sottoposti a doppio tampone prima di essere trasferiti? Se sì, quando è iniziata questa procedura?
6. Da quando i tamponi vengono effettuati, Ats per Ats, nelle Rsa a degenti e a operatori?
7. Regione Lombardia ha assicurato che il trasferimento dei pazienti nelle Rsa non è mai avvenuto in presenza di “contaminazioni”. Si è detto anche che “sono le Ats ad avere il compito di sorvegliare sulle condizioni delle strutture che hanno accolto pazienti”. C’è stata una verifica da parte della Regione sulle Ats per capire se questo è avvenuto?
8. Come hanno fatto le Ats a verificare che nelle Rsa ci fossero o meno già casi positivi al Covid, se i tamponi in molte Rsa ancora oggi non sono stati eseguiti?
9. Diverse Rsa denunciano di aver subito “pressioni”, “fino a venti telefonate al giorno dalle Ats” per accettare pazienti Covid o ex Covid dimessi. Regione Lombardia ne è a conoscenza? Come risponde?
10. Alla luce di quanto sta emergendo, Regione Lombardia ha intenzione di continuare a inviare pazienti alle Rsa?

martedì 14 aprile 2020

Coronavirus, in Lombardia gli ospiti delle residenze per anziani non vengono portati in pronto soccorso per delibera della giunta. - Gaia Scacciavillani

Coronavirus, in Lombardia gli ospiti delle residenze per anziani non vengono portati in pronto soccorso per delibera della giunta

L'obiettivo di un alleggerimento del peso sugli ospedali difeso a spada tratta dalla Regione, non è avvenuto solo agendo sui flussi in uscita, ma anche su quelli in entrata. E il mezzo, in entrambe le direzioni, sono sempre le Rsa. Leggere delibere per credere. Inclusi gli allegati dove si relegano le "buone prassi" per il fine vita.

“Le cose le abbiamo scritte in atti ufficiali che non possono essere travisati”. Dice bene l’assessore lombardo alla Sanità, Giulio Gallera, quando parla delle decisioni prese dalla Giunta regionale in merito all’invio di pazienti covid nelle Residenze sanitarie assistenziali (Rsa). Cioè le strutture per anziani malati cronici che erogano assistenza sanitaria condivisa tra più persone, prevalentemente in convenzione con il pubblico, sulla base di parametri che vengono definiti dalle regioni stesse. Quegli stessi parametri, come già sottolineato da ilfattoquotidiano.it, però, rendono davvero difficile, se non impossibile, reperire le strutture che secondo la regione sarebbero titolate ad accogliere i pazienti covid. Almeno in base alla definizione della deliberazione di giunta dell’8 marzo scorso ricordata da Gallera lunedì 6 aprile nel suo punto quotidiano.

Le residenze sanitarie non hanno personale in più, anzi – L’assessore ricorda: “Abbiamo detto che le Rsa che avevano strutture autonome dal punto di vista strutturale, cioè padiglioni separati o strutture fisicamente indipendenti, cioè con aree che non entravano in contatto con altri pazienti e autonome anche dal punto di vista organizzativo, cioè con personale da dedicare esclusivamente a questi pazienti, cioè con luoghi totalmente separati e personale dedicato, se potevano e volevano”…ospitare i pazienti covid meno gravi. Peccato che in base ai cosiddetti minutaggi, cioè il tempo minimo che una struttura per convenzione con il pubblico, deve dedicare a un ospite, le Rsa abbiano delle enormi difficoltà a coprire il normale carico di lavoro (che non prevede la gestione di epidemie, ma neanche di polmoniti delle quali normalmente si occupano gli ospedali).
Non a caso non appena ci sono dei concorsi pubblici, il personale delle strutture private corre attratto dall’idea che per lo Stato si lavora molto meno e si prende di più. Figuriamoci avere personale doppio. Quindi, anche senza entrare nel merito delle strutture fisiche separate, resta il nodo del personale e non si capisce quali siano le Rsa lombarde che sono state ritenute idonee a sgravare gli ospedali dai pazienti covid senza mettere a rischio i propri ospiti, com’era nei desiderata di chi ha scritto la delibera. Ilfattoquotidiano.it ha provato a chiederlo a più riprese, quotidianamente all’assessore nelle ultime tre settimane, ma non ha mai avuto risposta.
La decisione della Lombardia del 30 marzo – Il comprensibile obiettivo di un alleggerimento del peso sugli ospedali, in ogni caso, non è avvenuto solo agendo sui flussi in uscita, ma anche su quelli in entrata. E il mezzo, che giustifica il fine, sono sempre le Rsa. Lo si legge neanche troppo tra le righe di un’altra deliberazione della Giunta di Palazzo Lombardia, la numero XI/3018 del 30 marzo scorso, che è stata presa poche ore dopo il primo incontro dall’inizio dell’emergenza tra l’assessorato di Gallera e gli operatori del settore, i gestori delle Rsa, che hanno chiesto di essere almeno posti nelle condizioni di gestire i pazienti covid. Detto fatto.
Nel testo della deliberazione che è seguita all’incontro, è scritto che visto che “per gli ospiti delle Rsa e delle Rsd, in quanto pazienti fragili, l’emergenza da Covid-19 può rappresentare problematica particolarmente significativa”, e che grazie alla delibera di giunta dell’8 marzo scorso, “le Rsa possono accogliere pazienti dimessi da strutture ospedaliere inviati dalla centrale unica regionale dimissione post ospedaliera”, la giunta Fontana ha ritenuto “opportuno fornire alle Rsa e Rsd indicazioni per la gestione operativa degli ospiti e del personale, al fine di contenere le infezioni correlate all’assistenza nell’ambito dell’emergenza da Covid-19”. Seguono quindi “indicazioni per la gestione clinica di eventuali casi di Covid 19. Con particolare riguardo all’ossigenoterapia e alla sedazione palliativa”.
Così la giunta non manda in ospedale gli ospiti delle Rsa – La delibera include vari allegati. Uno dei quali contiene le indicazioni operative per la gestione degli ospiti che presentano sintomi “similinfluenzali” o covid positivi. Con una distinzione. I maggiori di 75 anni che presentano dei valori anomali di saturazione dell’ossigeno e sono in “discrete condizioni di salute”, vengono dirottati sul circuito ospedaliero tramite il 112. Per gli ultrasettantacinquenni che hanno una “situazione di precedente fragilità nonché più comorbilità”, invece, “è opportuno che le cure vengano prestate presso la stessa struttura per evitare ulteriori rischi di peggioramento dovuti al trasporto e all’attesa in Pronto Soccorso”.
In altre parole, considerato che le Residenze sanitarie assistite per definizione ospitano persone di età media superiore ai 75 anni con malattie croniche e, quindi, situazioni di fragilità, come per altro si ammette in testa alla delibera, la giunta Fontana esclude a priori dall’accesso ospedaliero gli ospiti delle Residenze sanitarie che pure fino a un mese e mezzo erano in grado di tollerare il trasporto in ospedale in caso di necessità. A loro, secondo le istruzioni dello stesso allegato, viene misurata la saturazione periferica dell’ossigeno e, in caso di necessità, somministrata l’ossigenoterapia. La terza strada è indicata in meno di due righe dallo stesso allegato dove si legge che “se il paziente è terminale si allegano le linee guida per ‘protocollo di sedazione terminale/sedazione palliativa“.
Le istruzioni sul fine vita in un allegato – Quest’ultimo capitolo è trattato in un ulteriore allegato che definisce asetticamente scopi della sedazione terminale, ambiti di applicazione e modalità di gestione della stessa, raccomandando come “un’attenta e corretta gestione dell’intero processo, decisionale ed attuativo, è importante per realizzare un efficace controllo dei sintomi e per minimizzare lo stress emozionale dei parenti (lutto patologico) e dei sanitari (burn-out dell’equipe)”. La decisione, sottolinea quindi l’allegato, “deve arrivare al termine di un processo decisionale che vede coinvolti l’equipe curante, il malato (se possibile) e i familiari o le persone a lui care”. Resta da capire al termine di quale processo sono invece state prese delle decisioni così importanti e delicate, che riguardano l’etica, l’universalità della sanità e il fine vita e che pure, in Lombardia nel 2020, vengono relegate all’interno di una serie di allegati in coda a una delibera varata in silenzio.

mercoledì 8 aprile 2020

Avanzi di Gallera - Marco Travaglio - Il Fatto Quotidiano dell'8 Aprile

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Quando, per ragioni politiche o giudiziarie o tutt’e due, i fratelli De Rege che sgovernano la Lombardia, al secolo Attilio Fontana e Giulio Gallera, dovranno cambiare mestiere, avranno un futuro assicurato nel mondo dell’avanspettacolo e del cabaret. L’altroieri, nella sit-com quotidiana “Casa Gallera”, in onda ogni santo giorno sul sito della Regione Lombardia e devotamente rilanciata da RaiNews24 a maggior gloria dell’aspirante sindaco di Milano, è andata in scena una gag che, se fosse vivo Paolo Villaggio, ci ispirerebbe un nuovo film di Fantozzi. Il capocomico, che incidentalmente sarebbe pure l’assessore regionale al Welfare nonché il responsabile della nota catastrofe chiamata “sanità modello”, cedeva il microfono alla sua spalla, il vicepresidente Fabrizio Sala. Questi, siccome c’è gloria per tutti, dava la linea al caratterista Caparini, opportunamente mascherinato per non farsi riconoscere, che a sua volta lanciava un filmato: un imbarazzante autospottone con colonna sonora da kolossal hollywoodiano. Il video immortalava un furgone griffato Regione Lombardia e carico di scatole piene (si presume) di mascherine, di cui il Caparini, con voce stentorea da Cinegiornale Luce, annunciava la “distribuzione via via (sic) a tutti i sindaci”, precisando che “è questione di qualche giorno”, ma dimenticando di spiegare perché, se le mascherine devono ancora arrivare, la giunta le abbia rese obbligatorie domenica. E lì irrompeva un giovanotto atletico e scattante, tipico uomo del fare ma soprattutto del dire, chiamato a sostituire il rag. Fantozzi nel ruolo del cortigiano che urla “È un bel direttore! Un apostolo! Un santo!”. Il suo nome è Roberto Di Stefano, sindaco forzista di Sesto S. Giovanni ma soprattutto marito di Silvia Sardone, la pasionaria di B. che si fece eleggere nella Lega a Bruxelles. “Come promesso”, scandiva il principe consorte con l’aria del banditore da fiera, un filino più enfatico di Wanna Marchi, “proprio oggi Regione Lombardia ci ha inviato 25 mila mascherine!”. Stava per aggiungere: “E per i primi prenotati una batteria di padelle antiaderenti!”. Ma sfortuna ha voluto che fosse collegato Mentana, che ha derubricato la televendita a “propaganda” e sfumato il collegamento.

In quel preciso istante è venuto giù il teatrino inscenato ogni giorno dai De Rege padani, dopo il crollo dell’altro trompe-l’œil, il Bertolaso Hospital che doveva ricoverare in Fiera 600 pazienti e finora ne ha tre. E tutti hanno capito che queste baracconate servono a nascondere i disastri (e i morti da record mondiale) della “sanità modello” lombarda e dei suoi corifei.

A noi, che siamo gente semplice, bastavano le loro facce (e quella di Formigoni) per sapere che il “modello Lombardia” era una truffa da magliari, e ci siamo presi tutti gli improperi del mondo per aver osato scriverlo per primi.
Ora però le stesse cose le mettono nero su bianco i presidenti degli Ordini provinciali dei medici di tutta la Lombardia in un impietoso atto d’accusa ai vertici della Regione che ogni giorno si lodano e s’imbrodano: “assenza di strategie nella gestione del territorio”, “tamponi solo ai ricoverati e diagnosi di morte solo ai deceduti in ospedale”; “errata raccolta dati”, “incertezza nella chiusura di alcune aree a rischio”; “gestione confusa delle Rsa e dei centri diurni per anziani che ha prodotto diffusione contagio e triste bilancio di vite umane (nella sola provincia di Bergamo 600 morti su 6mila ospiti in un mese)”; “mancata fornitura di protezioni individuali ai medici e al personale sanitario che ha determinato la morte o la malattia di molti colleghi”; “assenza dell’igiene pubblica (isolamenti dei contatti, tamponi sul territorio a malati e contatti)”; “non-governo del territorio con saturazione dei posti letto ospedalieri”; “sanità pubblica e medicina territoriale trascurate e depotenziate”.

Non bastando questo j’accuse, che dovrebbe tappare la bocca ai destinatari per il resto dei loro giorni, Gallera ammette bel bello che, in effetti, quel che dice Conte da una settimana è vero: la legge 833/1978 consente alle Regioni di chiudere porzioni di territorio (come Alzano e Nembro) in zone rosse per motivi sanitari. Gli sarebbe bastato digitarla su Google, o chiedere ai “governatori” Zingaretti, Bonaccini, De Luca e Musumeci, che hanno istituito zone rosse senza scaricabarile con Roma.
Invece Gallera, fra una televendita e l’altra, ha personalmente “approfondito” e scoperto con soli 42 anni di ritardo che “effettivamente la legge che ci consente di fare la zona rossa c’è”. Con comodo, nel giro di un altro mesetto, scoprirà che lui sapeva dal 23 febbraio dei primi contagi all’ospedale di Alzano (chiuso e riaperto in tre ore senza sanificazione), eppure il suo comitato scientifico ipotizzò di cinturare la zona solo il 4 marzo. Ma la giunta non lo fece perché “pensavamo lo facesse il governo” (che stava preparando il lockdown di tutt’Italia). Peccato che il governo, nel decreto del 23 febbraio, avesse incaricato le Regioni di segnalargli (o disporre in proprio) le eventuali zone rosse nei rispettivi territori.

Anche Fontana ieri era in vena di scoperte: ha persino ammesso che forse, nelle case per anziani, qualcosa è andato storto (anche perché la Regione vi riversava i ricoverati Covid ancora infetti, moltiplicando i contagi e i morti). Dopo una simile Caporetto, se questa fosse gente seria come il generale Cadorna, uscirebbe dal nuovo Pirellone con le mani alzate: non per aver perso la guerra, ma per non averla neppure combattuta. Ma le dimissioni non si addicono ai cabarettisti e, temiamo, neppure i processi: per commettere un reato, bisogna sapere almeno vagamente quel che si fa. E, anche da questo punto di vista, i fratelli De Rege sono al di sotto di ogni sospetto.


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