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venerdì 30 aprile 2021

Andrea Scanzi

 

Ecco, queste sono le cose che mi fanno andare via di testa. Letteralmente.
Scopro questa notizia da Filippo Rossi. Ne parla anche La Stampa.
Un signore di 90 anni, Angelo, era tenuto di fatto segregato da una “rsa” di Torino. Inchiodato al letto, bloccato da una fascia che lo teneva fermo e si apriva solo con una chiave apposita. Non era libero di muoversi, non si poteva alzare neanche per i bisogni.
La struttura vietava pure l’accesso ai parenti dei pazienti. Ma stiamo scherzando?
Per fortuna il medico curante nonché nuora, Caterina Rusz, è riuscita comunque a entrare, rimanendo sconvolta dalle condizioni in cui ha trovato il suocero, “ospite”della struttura da poco tempo.
Così la nuora: “Era tutta la settimana che trovavo mio suocero legato al letto quando andavo a vistarlo. Quel mattino (il 21 marzo n.d.r) lui mi disse: ‘Ti prego, portami via da qui. Portami vai e chiama i carabinieri’”.
Ancora la nuora: “Andai la prima volta a visitarlo in quanto suo medico curante il secondo giorno che era ricoverato. Era legato. Mi dissero che era stato ordinato dal medico della struttura. Era mattino inoltrato: Angelo non lo avevano neanche pulito. Era lì che aspettava il suo turno. Come si fa a tenere una persona nelle sue deiezioni? Mio suocero, ogni giorno l’ho lavato io”.
La struttura è stata denunciata dalla famiglia di Angelo.
Io non ho parole, ragazzi. Le ho finite.

Andrea Scanzi Fb

martedì 17 novembre 2020

Covid: 232 ispezioni del Nas nelle Rsa, irregolarità in 37.

 

Deferite all'autorità giudiziaria 11 persone.

Nell'ultima settimana, d'intesa con il Ministero della Salute, i carabinieri del Nas hanno realizzato 232 ispezioni presso strutture sanitarie e socio-assistenziali, quali Residenze Sanitarie Assistite e di lungodegenza, case di riposo, comunità alloggio, con la finalità di accertare la regolare attuazione delle misure di contenimento e prevenzione alla diffusione epidemica e individuare eventuali situazioni di insufficiente erogazione di servizi assistenziali e di mancato possesso dei titoli abilitativi professionali da parte degli operatori, propedeutici a episodi di omessa custodia e maltrattamento. In 37 strutture sono state riscontrate irregolarità, contestando, complessivamente, 59 violazioni, di cui 9 penali e 43 amministrative; sono state deferite all'autorità giudiziaria 11 persone e segnalate ulteriori 42. 


Finalmente ispezionano i lager per anziani.
Lo sapevano tutti, ma non si faceva nulla, bastava che qualcuno elargisse qualche "mancetta" e le irregolarità scomparivano come per magia.
Questo governo, che finalmente fa il suo lavoro, dà fastidio a molti, ed è per questo che i vecchi volponi, che sulle mancette ci hanno marciato a lungo, vogliono farlo cadere.
cetta.

domenica 12 luglio 2020

Rsa Lombardia, altro che 147 pazienti dimessi: quasi 5 mila. - Natascia Ronchetti

Rsa Lombardia, altro che 147 pazienti dimessi: quasi 5 mila

Sullo scandalo lombardo dei pazienti Covid inviati nelle Rsa ora sta emergendo quello che il Fatto scrive da mesi. E cioè che quelli trasferiti sono stati molti di più di quanti ne ha sempre dichiarati la Regione: “Ne sono stati accolti solo 147, in 15 strutture”, ha continuato a dire l’assessore al Welfare Giulio Gallera. Ma le cose non sembra affatto che stiano così. Non in base ai documenti sequestrati dagli investigatori del Nucleo di polizia economico finanziaria (come ha riportato ieri La Stampa), nel centro di smistamento dei pazienti che la Regione ha istituito al Pio Albergo Trivulzio di Milano. Documenti, acquisiti su ordine della Procura meneghina, che parlano di 7.500 pazienti, dei quali 4.700 Covid a bassa intensità e 2.800 negativi (anche se non tutti erano stati sottoposti al doppio tampone per escludere definitivamente la positività). Ma riavvolgiamo il nastro.
Era il 28 marzo quando il Fatto scriveva che i dimessi dagli ospedali perché clinicamente guariti, cioè senza più sintomi ma ancora con carica virale, venivano dirottati su hospice e Rsa. Scelta che allora aveva già riguardato almeno il 30 per cento di ottomila dimessi: vale a dire 2.400 persone, come precisato dallo stesso portavoce di Gallera, da noi interpellato nell’occasione. Dichiarazione stranamente ritrattata alcune settimane dopo: “Un mio errore”, il dietrofront del portavoce.
Arriviamo al 24 aprile, quando il Fatto, di fronte al silenzio della Regione Lombardia e delle Ats scopre, chiamando una per una le case di riposo, che il numero è ben diverso da quello dichiarato da Gallera: sono almeno 225. E i trasferimenti, a quella data, stanno proseguendo. Il presidente Attilio Fontana, l’assessore Gallera e le Ats continueranno a non rispondere, limitandosi a sostenere che le Rsa accoglievano i pazienti su base volontaria e solo a determinate condizioni, come la presenza di un’area autonoma, per evitare il possibile contagio degli anziani.
Non risponderanno nemmeno quando il Fatto, il 25 marzo, pone loro dieci domande. Primo: come è possibile che si parli sempre di 147 pazienti Covid e che a distanza di giorni e settimane il numero rimanga sempre invariato? Nel frattempo la “strage dei nonni” è già iniziata. La Regione Lombardia ha sempre sostenuto che gli anziani morti nelle case di riposo non possono dipendere dal ricovero di pazienti Covid. Ma è un fatto che l’Istituto superiore di sanità ha appurato, con una indagine che ha coinvolto il 43,1 per cento delle 678 Rsa presenti in Lombardia, che sono stati quasi 2.100 i decessi dall’1° febbraio al 5 maggio.
Ancora non si sa quanti dei 7.500 pazienti movimentati dal centro di smistamento del Trivulzio siano effettivamente finiti nelle Rsa, quanti in altre strutture sociosanitarie o centri per le cure intermedie: gli investigatori dovranno analizzare i documenti per ricostruire il percorso ospedaliero. “Ma era evidente fin dall’inizio che non potevano essere solo 147 in tutto – dice Cesare Maffeis, medico, presidente dell’associazione delle case di riposo del Bergamasco –. Solo nella nostra provincia ne abbiamo accolti molti di più. I numeri la Regione ce li ha ma non li fornisce. E non ha nemmeno un esperto di strutture socio sanitarie, si vede da come è stata scritta l’ultima delibera sulla riapertura delle Rsa, che non hanno ancora ricevuto nulla per aver aperto le porte ai pazienti Covid: cornuti e mazziati. La Regione Lombardia è sorda ma siamo pronti ad alzare la voce”.
Quanto all’effettivo numero dei morti, restano i dati dello Spi-Cgil, che ha fatto una indagine sul territorio regionale: cinquemila. “Un tasso di mortalità superiore del 400 per cento a quello degli anni precedenti”, dice il segretario regionale del sindacato, Valerio Zanolla.

sabato 18 aprile 2020

Fontana scarica uffici e Rsa. Ma per i Covid pagava triplo. - Natascia Ronchetti

Fontana scarica uffici e Rsa. Ma per i Covid pagava triplo

Il governatore difende la delibera che chiedeva posti nelle case di riposo per i pazienti positivi: “Toccava a loro e alle Ast decidere”.
L’operazione scaricabarile sulla famosa delibera dell’8 marzo, con la quale la Regione Lombardia ha disposto il trasferimento dei pazienti Covid in via di miglioramento nella case di riposo, è iniziata. “La delibera è stata proposta dai nostri tecnici – ha detto ieri il presidente della Regione, Attilio Fontana –. I nostri esperti ci hanno riferito che a determinate condizioni, e cioè che esistessero dei reparti assolutamente isolati dal resto della struttura e addetti dedicati esclusivamente ai malati Covid, la cosa si poteva fare”.
I tecnici sono i dirigenti del settore Welfare della Regione, a partire da Luigi Cajazzo, direttore generale: e infatti la proposta di delibera è stata messa sul tavolo della giunta direttamente dall’assessore al Welfare, Giulio Gallera. Poi c’è la questione relativa ai controlli, cioè alla verifica che effettivamente le Rsa che hanno aperto le porte ai malati Covid avessero i requisiti richiesti: tutto in capo alle aziende sanitarie – dice adesso Fontana –, vale a dire alle Ats. In Regione spiegano che il percorso è stato limpido, trasparente, regolare; che la delibera è arrivata, come sempre avviene, dopo una istruttoria tecnica: anche se con l’approvazione scatta contemporaneamente anche un’altra responsabilità, quella tutta politica. Ma tant’è.
Così, mentre procede l’indagine della magistratura, il cerino viene dato in mano ai cosiddetti tecnici, alle aziende sanitarie e, per ultime, alle stesse case di riposo. Sulle quali la Regione indaga con due sue commissioni: una sul Pio Albergo Trivulzio, l’altra sulle stesse Rsa. Alle aziende sanitarie è già stata chiesta una relazione, qualcuna l’ha già inoltrata. Lo hanno fatto quelle che hanno competenza sulle aree dove sono presenti le case di riposo che hanno effettivamente accolto pazienti Covid. Si sa, sono solo 15 su oltre 700 (dati diffusi dalla stessa Regione), delle quali sei nel Bergamasco, tre in provincia di Mantova, due nel Lodigiano, una in provincia di Brescia, una a Milano. Poi ci sono Sondrio, Pavia…
Proprio nel Bergamasco, una delle zone più colpite dal contagio, c’è chi ha aggiornato puntigliosamente i conti della mattanza dei nonni. È la Cgil. “Dal primo marzo alla prima metà di aprile, 1.326 decessi, il 24% del totale degli anziani ospiti”, dice il segretario provinciale Gianni Perecchi –. Abbiamo fatto una ricognizione noi, perché l’Ats di Bergamo i numeri non ce li fornisce”. E dire che fino a pochi giorni fa, ufficialmente, gli anziani morti erano meno della metà: 600. Perecchi è tra quelli che non ci stanno al gioco del rimpallo. Perché se è vero che le case di riposo sono strutture private, come sottolinea la Regione, è anche vero che operano su accreditamento, con un contratto di budget, condizione che le mette anche, inevitabilmente, in una posizione di subalternità. “La Regione ha una funzione di controllo, di sorveglianza e di supporto – prosegue Perecchi –. E ricordo che alle Rsa che a fine febbraio avevano chiuso agli accessi per prudenza, ordinò la riapertura, mandando degli ispettori attraverso l’Ats. Nella nostra provincia le case di riposo di pazienti Covid ne hanno accolti una settantina. L’operazione, voluta per alleggerire gli ospedali, non ha dimostrato nemmeno efficacia”.
Al gioco si sottraggono anche le associazioni delle Rsa, come Uneba, a cui ne fanno capo in Lombardia circa quattrocento: “Fino al 30 marzo la Protezione civile requisiva le mascherine destinate alle case di riposo – dice il presidente Luca Degani -, solo adesso che il dramma è esploso le cose sono cambiate. La verità che si doveva porre fin dall’inizio grande attenzione a queste strutture perché hanno in carico le persone più fragili”. È ancora Degani a ricordare che l’accreditamento da parte della Regione può essere sospeso o revocato. “È già successo”, dice. E quando questo avviene viene meno quel contributo pubblico, da parte del sistema sanitario regionale, che per ogni anziano oscilla tra i 29 e i 49 euro al giorno, a seconda delle patologie.
Questione non irrilevante, visto che sullo sfondo resta il tema del rimborso previsto dalla Regione come retta giornaliera per ogni paziente Covid degente: 150 euro, più del triplo della tariffa massima prevista. Quanto alle commissioni di indagine, tutte le associazioni hanno chiesto di essere ascoltate. “Una cosa è certa – dice Degani –. C’è stata difficoltà a cogliere il rilievo di luoghi di rischio come le nostre strutture”.