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sabato 18 aprile 2020

Fontana scarica uffici e Rsa. Ma per i Covid pagava triplo. - Natascia Ronchetti

Fontana scarica uffici e Rsa. Ma per i Covid pagava triplo

Il governatore difende la delibera che chiedeva posti nelle case di riposo per i pazienti positivi: “Toccava a loro e alle Ast decidere”.
L’operazione scaricabarile sulla famosa delibera dell’8 marzo, con la quale la Regione Lombardia ha disposto il trasferimento dei pazienti Covid in via di miglioramento nella case di riposo, è iniziata. “La delibera è stata proposta dai nostri tecnici – ha detto ieri il presidente della Regione, Attilio Fontana –. I nostri esperti ci hanno riferito che a determinate condizioni, e cioè che esistessero dei reparti assolutamente isolati dal resto della struttura e addetti dedicati esclusivamente ai malati Covid, la cosa si poteva fare”.
I tecnici sono i dirigenti del settore Welfare della Regione, a partire da Luigi Cajazzo, direttore generale: e infatti la proposta di delibera è stata messa sul tavolo della giunta direttamente dall’assessore al Welfare, Giulio Gallera. Poi c’è la questione relativa ai controlli, cioè alla verifica che effettivamente le Rsa che hanno aperto le porte ai malati Covid avessero i requisiti richiesti: tutto in capo alle aziende sanitarie – dice adesso Fontana –, vale a dire alle Ats. In Regione spiegano che il percorso è stato limpido, trasparente, regolare; che la delibera è arrivata, come sempre avviene, dopo una istruttoria tecnica: anche se con l’approvazione scatta contemporaneamente anche un’altra responsabilità, quella tutta politica. Ma tant’è.
Così, mentre procede l’indagine della magistratura, il cerino viene dato in mano ai cosiddetti tecnici, alle aziende sanitarie e, per ultime, alle stesse case di riposo. Sulle quali la Regione indaga con due sue commissioni: una sul Pio Albergo Trivulzio, l’altra sulle stesse Rsa. Alle aziende sanitarie è già stata chiesta una relazione, qualcuna l’ha già inoltrata. Lo hanno fatto quelle che hanno competenza sulle aree dove sono presenti le case di riposo che hanno effettivamente accolto pazienti Covid. Si sa, sono solo 15 su oltre 700 (dati diffusi dalla stessa Regione), delle quali sei nel Bergamasco, tre in provincia di Mantova, due nel Lodigiano, una in provincia di Brescia, una a Milano. Poi ci sono Sondrio, Pavia…
Proprio nel Bergamasco, una delle zone più colpite dal contagio, c’è chi ha aggiornato puntigliosamente i conti della mattanza dei nonni. È la Cgil. “Dal primo marzo alla prima metà di aprile, 1.326 decessi, il 24% del totale degli anziani ospiti”, dice il segretario provinciale Gianni Perecchi –. Abbiamo fatto una ricognizione noi, perché l’Ats di Bergamo i numeri non ce li fornisce”. E dire che fino a pochi giorni fa, ufficialmente, gli anziani morti erano meno della metà: 600. Perecchi è tra quelli che non ci stanno al gioco del rimpallo. Perché se è vero che le case di riposo sono strutture private, come sottolinea la Regione, è anche vero che operano su accreditamento, con un contratto di budget, condizione che le mette anche, inevitabilmente, in una posizione di subalternità. “La Regione ha una funzione di controllo, di sorveglianza e di supporto – prosegue Perecchi –. E ricordo che alle Rsa che a fine febbraio avevano chiuso agli accessi per prudenza, ordinò la riapertura, mandando degli ispettori attraverso l’Ats. Nella nostra provincia le case di riposo di pazienti Covid ne hanno accolti una settantina. L’operazione, voluta per alleggerire gli ospedali, non ha dimostrato nemmeno efficacia”.
Al gioco si sottraggono anche le associazioni delle Rsa, come Uneba, a cui ne fanno capo in Lombardia circa quattrocento: “Fino al 30 marzo la Protezione civile requisiva le mascherine destinate alle case di riposo – dice il presidente Luca Degani -, solo adesso che il dramma è esploso le cose sono cambiate. La verità che si doveva porre fin dall’inizio grande attenzione a queste strutture perché hanno in carico le persone più fragili”. È ancora Degani a ricordare che l’accreditamento da parte della Regione può essere sospeso o revocato. “È già successo”, dice. E quando questo avviene viene meno quel contributo pubblico, da parte del sistema sanitario regionale, che per ogni anziano oscilla tra i 29 e i 49 euro al giorno, a seconda delle patologie.
Questione non irrilevante, visto che sullo sfondo resta il tema del rimborso previsto dalla Regione come retta giornaliera per ogni paziente Covid degente: 150 euro, più del triplo della tariffa massima prevista. Quanto alle commissioni di indagine, tutte le associazioni hanno chiesto di essere ascoltate. “Una cosa è certa – dice Degani –. C’è stata difficoltà a cogliere il rilievo di luoghi di rischio come le nostre strutture”.

lunedì 6 aprile 2020

Non è andato tutto bene e qualcuno ne dovrà rispondere. - Giulio Cavalli



Ad inizio marzo la Regione Lombardia dava il via libera al ricovero di pazienti Covid nelle case di riposo. In cui ora la situazione è fuori controllo e gli anziani continuano a morire.

Gli anziani morivano e a noi, nonostante l’evidenza dei sintomi, dicevano che si trattava solo di bronchiti e polmoniti stagionali»: sono le parole del delegato Cgil, Pietro La Grassa, a proposito del Pio Albergo Trivulzio, oltre milletrecento anziani ricoverati, il polo geriatrico più importante d’Italia. «Il risultato è che ora al Trivulzio abbiamo sette reparti isolati completamente e due vuoti perché non accettiamo più nuovi pazienti. Nella struttura di Merate novanta sono sotto osservazione. Al Principessa Jolanda di via Sassi due reparti sono in isolamento». E poi «quando l’epidemia non si poteva più nascondere, ci è arrivato l’ordine di non trasferire più i pazienti nel pronto soccorso dove di solito ricevono le cure necessarie», prosegue La Grassa, «il che di fatto significa: lasciateli morire nei loro letti. Niente tamponi, ci mandano allo sbaraglio».
«Chiederci di ospitare pazienti con i sintomi del Covid 19 è stato come accendere un cerino in un pagliaio: quella delibera della giunta regionale l’abbiamo riletta due volte, non volevamo credere che dalla Regione Lombardia potesse arrivarci una richiesta così folle»: lo dice Luca Degani, il presidente di Uneba Lombardia, l’associazione di categoria che mette insieme circa 400 case di riposo lombarde.
C’è una delibera della giunta Lombarda, la numero XI/2906, dell’8 marzo 2020, che chiedeva alle Ats, le aziende territoriali della sanità, di individuare nelle case di riposo dedicate agli anziani strutture autonome per assistere pazienti Covid 19 a bassa intensità. «Come potevamo accettare malati ai quali non era stato fatto alcun tampone né prima né dopo? Senza dire che il nostro personale sarebbe stato comunque a rischio. Si sono infettati medici e sanitari in strutture molto più attrezzate della nostra. Non ci hanno dato i dispositivi di protezione ma volevano darci i malati… insomma», racconta Degani.
Insomma no, non è andato tutto bene e sarebbe ora di smetterla di credere che il giornalismo debba solo celebrare la retorica del state tutti a casa e del si è fatto tutto il possibile. Questi fatti sono avvenuti nella Lombardia che ogni giorno ci tiene a fare la voce grossa contro il governo. E indovinate un po’ chi aveva proposto lo scudo penale in difesa dei dirigenti sanitari lombardi? Sì, proprio la Lega, quello stesso partito che in Lombardia governa e nomina i dirigenti. Accadeva tutto mentre Salvini cercava di distogliere l’attenzione sostituendosi al papa e chiedendo l’apertura delle chiese a Pasqua. E intanto avveniva questa porcata.
No, non è andato tutto bene e qualcuno dovrà risponderne. Perché quando si poserà la polvere dell’emergenza sarebbe il caso che ognuno si assuma le proprie responsabilità. Ognuno.
Buon lunedì.