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venerdì 12 marzo 2021

Catania, l’ex sindaco Enzo Bianco e la giunta a processo per il buco nel bilancio del comune.

 

La Procura contesta  il falso ideologico per avere, tra l’altro, "falsamente attestato la veridicità delle previsioni di entrata" anche se "consapevoli della loro sovrastima" e per avere "dolosamente omesso l’iscrizione nell’atto contabile di somme sufficienti a finanziare gli ingenti debiti fuori bilancio".

L’ex sindaco di Catania, Enzo Bianco, la sua giunta in carica tra il 2013 e il 2018 e l’allora collegio dei revisori di conti saranno processati nell’ambito del procedimento per il buco di bilancio del Comune del capoluogo etneo, che è in dissesto finanziario. Lo ha deciso il gup Pietrò Currò ordinando il rinvio a giudizio per 29 le persone che il prossimo 16 settembre dovranno comparire davanti alla prima sezione del Tribunale monocratico per la prima udienza del processo. Si sono costituiti come parti civili il Comune di Catania, la Cgil e l’Ugl. La Procura contesta il falso ideologico per avere, tra l’altro, “falsamente attestato la veridicità delle previsioni di entrata” anche se “consapevoli della loro sovrastima” e per avere “dolosamente omesso l’iscrizione nell’atto contabile di somme sufficienti a finanziare gli ingenti debiti fuori bilancio”.

L’inchiesta si è basata su indagini del nucleo di Polizia economica finanziaria della guardia di finanza di Catania. E’ coordinata dal procuratore Carmelo Zuccaro, dall’aggiunto Agata Santonocito e dai sostituti Fabio Regolo e Fabio Saponara. Atti dell’inchiesta sono stati trasmessi anche alla Corte dei conti della Sicilia che ha condannato Bianco al risarcimento del Comune per 48mila euro e disposto l’interdittiva legale per 10 anni, contro cui è stato presentato ricorso. Con l’ex sindaco sono stati condannati la sua giunta in carica tra il 2013 e il 2018 e l’allora collegio dei revisori di conti “per avere contribuito al verificarsi del dissesto finanziario” dell’Ente. Gli assessori hanno avuto condanne da 51mila fino a 14mila euro. Per i revisori dei conti l’interdittiva stata disposta per cinque anni. E’ pendente il ricorso per tutte le posizioni.

https://www.ilfattoquotidiano.it/2021/03/12/catania-lex-sindaco-enzo-bianco-e-la-giunta-a-processo-per-il-buco-nel-bilancio-del-comune/6131089/

lunedì 7 settembre 2020

Catania, aule del tribunale nell’immobile dei Leonardi, i “re dei rifiuti”: sequestrata società a cui venivano pagati i 35mila euro d’affitto. - Smone Olivelli

Catania, aule del tribunale nell’immobile dei Leonardi, i “re dei rifiuti”: sequestrata società a cui venivano pagati i 35mila euro d’affitto

Antonello e Salvatore Leonardi sono stati arrestati a giugno nell'inchiesta su tangenti e rifiuti smaltiti in modo illecito. La loro Leonhouse Immobiliare ha incassato dal ministero della Giustizia migliaia di euro ogni mese per l'uso di parte dei locali situati in via Guardia della Carvana, dove ha sede la sezione Lavoro del tribunale.
Centinaia di migliaia di euro che ogni anno finivano sui conti dei fratelli Leonardii re dei rifiuti siciliani arrestati a giugno dalla guardia di finanza. A pagarli, sotto forma di affitto, era il ministero della Giustizia che, per la sezione Lavoro del tribunale di Catania, usa gli immobili di proprietà della Leonhouse Immobiliare. La società è tra quelle sequestrate nel secondo troncone dell’indagine Mazzetta Sicula che ha scoperchiato il sistema di corruzione con cui Antonello e Salvatore Leonardi si sarebbero garantiti, grazie alla complicità di alcuni funzionari, la possibilità di abbancare i rifiuti in discarica senza rispettare le prescrizioni in maniera ambientale.
Stando ai dati diffusi a inizio anno dall’Organismo congressuale forense (Ocf), la Leonhouse incassa dal ministero oltre 35mila euro al mese per l’uso di parte dei locali situati in via Guardia della Carvana. Tra i proprietari dell’immobile ci sono anche la Femacar, la Leocam e la Centro Turistico La Scogliera, tutte società (non sequestrate, ndr) riconducibili ai Leonardi che, negli anni, hanno deciso di investire nel mattone e non solo nella gestione della spazzatura. Nel complesso, secondo i calcoli effettuati dall’Ocf, l’importo complessivo dell’affitto a carico del ministero supera i 740mila euro. La notizia del sequestro e della nomina di un amministratore giudiziario, che garantirà il prosieguo dell’udienze, riporta l’attenzione sul tema dell’uso delle locazioni di immobili privati da parte della giustizia catanese. In totale in città si spende più di un milione e mezzo all’anno, anche se le cose potrebbero cambiare dopo la costruzione della nuova cittadella giudiziaria di cui è stato già approvato il progetto.
Il caso di via Guardia della Carvana aveva già fatto discutere nel 2013. La scelta dell’immobile in cui trasferire gli uffici arrivò fino in consiglio comunale, dove si dibatté sull’opportunità di fare svolgere i processi in aule situate in un piano seminterrato. Qualche anno dopo, invece, al centro dell’attenzione finì il tentativo di sfratto operato proprio dai Leonardi, nel frattempo subentrati nella proprietà dello stabile. I re dei rifiuti, infatti, lamentavano l’eccessiva morosità del Comune, all’epoca incaricato a far fronte all’affitto per poi chiedere in un secondo momento il rimborso delle spese al ministero.
Ma il motivo per cui nei mesi scorsi la Leonhouse – e con essa anche la Eta Service, l’altra società posta sotto sequestro – è finita sotto la lente degli uomini del Gico è un altro: i mezzi dell’impresa sono stati notati all’interno della discarica. Anzi, dagli accertamenti è emerso che era proprio la Leonhouse a lavorare nelle fasi di abbancamento dei rifiuti. Un contributo che per i magistrati è stato determinante nella commissione dei reati ambientali di cui sono accusati i fratelli Leonardi. Ma c’è di più: il rapporto tra la Leonhouse e la Sicula Trasporti, titolare della mega-discarica di Lentini, sarebbe stato viziato da escamotage che avrebbero garantito alla seconda la creazione di fondi neri. “I servizi forniti dalla Leonhouse Immobiliare (trasporto e noleggio mezzi) sono risultati sovrafatturati di almeno il 30 per cento – si legge nel decreto – In questo modo, la Sicula Trasporti, contabilizzando costi fittizi con queste fatture gonfiate, ha potuto creare disponibilità occulte di denaro”. Somme che, secondo gli inquirenti, gli imprenditori avrebbero sfruttato anche per remunerare i funzionari corrotti. Sono due quelli che sono stati arrestati a giugno: un dipendente dell’ex Provincia e un funzionario in servizio all’Arpa, l’agenzia deputata alla protezione ambientale. Entrambi sarebbero venuti meno ai propri doveri, garantendo controlli blandi e comunicando in anticipo le date delle ispezioni nella discarica. A poca distanza da dove la guardia di finanza ha trovato interrato oltre un milione di euro in contanti.
https://www.ilfattoquotidiano.it/2020/09/07/catania-aule-del-tribunale-nellimmobile-dei-leonardi-i-re-dei-rifiuti-sequestrata-societa-a-cui-venivano-pagati-i-35mila-euro-daffitto/5920550/

giovedì 19 dicembre 2019

GIUSTIZIA & IMPUNITÀ Fallimento Banca Base di Catania, arrestati il presidente e il direttore generale: sono accusati di bancarotta. Diciotto persone indagate.

Fallimento Banca Base di Catania, arrestati il presidente e il direttore generale: sono accusati di bancarotta. Diciotto persone indagate

I reati ipotizzati, a vario titolo, dalla Procura distrettuale di Catania per gli arrestati e i 18 indagati, sono, in concorso, bancarotta fraudolenta, falso in prospetto, ostacolo all’esercizio delle funzioni di vigilanza e aggiotaggio. 
Sono stati arrestati e posti ai domiciliari con l’accusa di aver pilotato il fallimento della Banca di Sviluppo Economico di Catania (Banca Base) il presidente del Cda, Piero Bottino, di 63 anni, e il direttore generale, Gaetano Sannolo, di 47. L’operazione è stata condotta dai militari della guardia di finanza di Catania e dal nucleo speciale di polizia valutaria nell’ambito dell’inchiesta sul crak dell’istituto di credito che vede indagate anche altre 18 persone.
I reati ipotizzati, a vario titolo, dalla Procura distrettuale di Catania per gli arrestati e i 18 indagati, sono, in concorso, bancarotta fraudolenta, falso in prospetto, ostacolo all’esercizio delle funzioni di vigilanza e aggiotaggio. Al centro dell’inchiesta lo stato d’insolvenza della Banca Sviluppo Economico s.p.a. dichiarato dal Tribunale civile di Catania nel dicembre 2018 e confermato in appello nell’aprile 2019. L’operazione delle Fiamme Gialle, denominata “Fake Bank’, secondo l’accusa, avrebbe consentito di “tracciare la perpetrazione ripetuta di illecite condotte operate dalla governance della ‘fallita’ banca etnea consistenti in operazioni finanziarie anti-economiche e dissipative del patrimonio societario in dispregio dei vincoli imposti dall’Autorità di Vigilanza”.

sabato 30 novembre 2019

Tangenti Anas Catania, altri 9 arresti. -

Tangenti Anas Catania, altri 9 arresti

Si allarga l’inchiesta “Buche d’oro” su corruzione e manutenzione delle strade: scoperto controllo di appalti per 4 milioni di euro. Il pm: “Molta amarezza, nessuno ha denunciato”.

CATANIA – Nove persone (quattro funzionari Anas e cinque imprenditori) sono state arrestate dalla Guardia di finanza di Catania con l’accusa di corruzione perpetrata nell’esecuzione di lavori di rifacimento delle strade affidati all’Anas Spa (Area Compartimentale di Catania), nella sostituzione di barriere incidentate e nella manutenzione del verde lungo le stesse arterie. Il Gip ha disposto il carcere per sei persone e i domiciliari per altre tre.

I provvedimenti di oggi riguardano la terza misura restrittiva adottata dall’Autorità Giudiziaria, nell’ambito dell’operazione ‘Buche d’Oro’, condotta dal Nucleo di Polizia Economico Finanziaria di Catania che aveva già portato all’emissione di 9 misure cautelari e al controllo di appalti per milioni di euro. Il terzo filone di oggi riguarda il controllo di appalti per 4 milioni di euro e l’individuazione di profitti criminali per 500 mila euro.
I nuovi fatti corruttivi riguardano persone già raggiunte da precedenti misure cautelari (per l’Anas Riccardo Carmelo Contino, Giuseppe Panzica e Giuseppe Romano già ai domiciliari, destinatari oggi di analoga misura; per le imprese corruttrici, vi è Pietro Matteo Iacuzzo, rappresentante legale della “Isap srl” di Termini Imerese, già ai domiciliari e, da oggi, ristretto in carcere), si registra il coinvolgimento di ulteriori responsabili di corruzioni perpetrate nell’ultimo biennio.
In carcere sono finiti: Giorgio Gugliotta, 45 anni, dipendente Anas, competente alla manutenzione delle seguenti strade statali 114 Orientale Sicula, 114 dir “Costa Saracena”, 194 (Ragusana, dal km 0,3 al km 11,7); Amedeo Perna, napoletano, 50 anni, dipendente della “Ifir, tecnologie stradali srl”, società che si occupa della “costruzione di strade, autostrade e piste aeroportuali”, con sede a Milano; Santo Orazio Torrisi, 62 anni, rappresentante legale della “Sicilverde srl”, impresa che si occupa della “cura e manutenzione del paesaggio, compresi parchi e giardini” con sede ad Aci S. Antonio (Ct); Giuseppe Ciriacono, 51 anni, padre del rappresentante legale della “Ital costruzioni group srl”, società che si occupa di “attività di costruzione e opere di ingegneria civile” con sede a Caltagirone (Ct); Vincenzo Baiamonte, 54 anni, già dipendente della “Safe Roads srl”, che si occupa dell’attività di “costruzioni di edifici residenziali e non residenziali” con sede a Misilmeri (Pa), e dal 2019, dipendente anche della “Truscelli Salvatore srl”, con sede a Caltanissetta, il cui rappresentante legale, Salvatore Truscelli lo scorso 18 ottobre è stato posto agli arresti domiciliari quale imprenditore corruttore sorpreso dai finanzieri a consegnare negli uffici dell’Anas una tangente di 10.000 euro in contanti.
Il faro della Procura sull’imprenditore Perna è stato acceso sui lavori di ‘manutenzione ordinaria delle opere di sicurezza lungo le strade statali 114 Orientale Sicula, 194 Ragusana, 114 dir Costa Saracena e 193 di Augusta per la sostituzione di barriere incidentate o inadeguate. Il lavoro era stato aggiudicato con un ribasso del 25% per 150 mila euro, iniziato nell’aprile 2018 e concluso nel febbraio 2019.
Nella circostanza, i funzionari Anas corrotti favorivano la registrazione in contabilità della sostituzione di barriere mai avvenuta. Questo, secondo quanto ricostruito dagli stessi pubblici ufficiali, alcuni dei quali stanno collaborando, poteva avvenire in quanto vi sarebbero state barriere di sicurezza in buone condizioni che non andavano sostituite. Il risparmio di costi a vantaggio dell’azienda aggiudicatrice era di circa 90.000 euro che avrebbero fruttato ai 3 funzionari una ‘tangente’ di 30.000 euro.
L’accordo però, per difficoltà dell’impresa coinvolta, non si concretizzava nella sua interezza, ma con il solo pagamento di 5.000 euro. A ‘garanzia’ della Ifir sarebbe intervenuto un altro imprenditore per ‘assicurare’ ai funzionari Anas l’integrale versamento della ‘mazzetta’. Quest’intervento permetteva all’impresa corruttrice di portare fino al termine il suo progetto illecito pur non essendo poi in grado di assolvere all’impegno di pagare l’intera tangente pattuita di 30 mila euro.
“Vi è un retrogusto molto amaro. Non vi sono stati soggetti che hanno dall’interno segnalato i fatti nonostante le leggi che consentono l’anonimato, non vi sono state stazioni appaltanti che dovevano controllare che abbiano esercitato questi controllo”, ha commentato il procuratore di Catania Carmelo Zuccaro.
“Non vi è dubbio che al di là della sistematica violazione da parte di tutti i vertici dell’area compartimentale di Catania – aggiunge il procuratore – vi è anche una maggiore responsabilità delle stazioni appaltanti perché, quantomeno, l’anomalia dei ribassi avrebbe dovuto indurre a dei maggiori controlli”.
“Questi episodi hanno fatto in modo che Anas sia intervenuta in maniera decisa: bonificando e azzerando l’area dei vertici dell’area compartimentale di Catania – continua Zuccaro -. Li hanno sistematicamente sostituiti con persone che in gran parte vengono da fuori così come noi auspicavamo e che sembrano in grado di poter iniziare un nuovo corso a Catania”.
“Amarezza tanta – ha sottolineato Zuccaro – ma la constatazione che c’è la volontà di cambiare. Il Paese non può più tollerare questa sistematica spoliazione delle poche risorse pubbliche per avere dei lavori che non soltanto sono fatti male, ma che espongono al rischio la sicurezza degli utenti”.

mercoledì 14 novembre 2018

Gioco online, le mani delle mafie sul mercato delle scommesse: 68 arresti tra Reggio Calabria, Catania e Bari. - Lucio Musolino

Gioco online, le mani delle mafie sul mercato delle scommesse: 68 arresti tra Reggio Calabria, Catania e Bari

Tre inchieste, tre procure (Reggio Calabria, Bari e Catania) coordinate dalla Dna: in carcere sono finiti importanti esponenti della criminalità organizzata ma anche diversi imprenditori che di fatto erano i prestanome dei clan. Dalle indagini, condotte anche dallo Scico di Roma, è emerso un giro d’affari superiore ai 4,5 miliardi di euro. L'indagato al telefono: "Cerco nuovi adepti nelle migliori università mondiali, non quattro scemi che fanno bam, bam".

Avevano bisogno di “quelli che cliccano, che movimentano” i soldi facendoli transitare da un Paese all’altro senza lasciar traccia delle transazioni online, non di quelli che fanno “bam bam”, cioè di quelli che sparano. E così avevano puntato tutto sul gioco online, impadronendosi – secondo la Direzione nazionale antimafia – del mercato delle scommesse. Tutte insieme: clan della ‘ndrangheta, famiglie mafiose siciliane e pugliesi che poi puntavano all’estero per riciclare il denaro.

Oltre 60 arresti in Puglia, Calabria e Sicilia – Sessantotto arresti (13 a Catania, 22 a Bari: si tratta di esponenti legati alle famiglie storiche della criminalità organizzata) e un’ottantina di perquisizioni sono stati eseguiti stanotte dalla guardia di finanza, dalla Dia, dalla polizia e dai carabinieri. Tre inchieste, tre procure (Reggio Calabria, Bari e Catania) e centinaia di uomini impegnati nel blitz coordinato dalla Dna e dal procuratore Federico Cafiero De Raho. In sostanza le mafie si sono spartite e controllano il mercato della raccolta illecita delle scommesse on line. 

Volume d’affari da 4,5 miliardi di euro – Oltre all’ordinanza di custodia cautelare emessa dalla procura di Bari e ai due provvedimenti di fermo eseguiti dalle Dda di Reggio Calabria e Catania, c’è stato un sequestro di beni in Italia e all’estero per oltre un miliardo di euro. Il volume delle giocate relative agli eventi sportivi, e non solo, era molto più vasto. Dalle indagini, condotte anche dallo Scico di Roma, infatti è emerso un giro d’affari superiore ai 4,5 miliardi di euro.
Imprenditori e prestanome – In carcere sono finiti importanti esponenti della criminalità organizzata pugliese, reggina e catanese. Ma anche diversi imprenditori che, stando alla ricostruzione degli inquirenti, di fatto erano i prestanome dei clan. Le tre procure contestano i reati di associazione mafiosa, trasferimento fraudolento di valori, riciclaggioautoriclaggio, illecita raccolta di scommesse on line e fraudolenta sottrazione ai prelievi fiscali dei relativi guadagni. In Calabria, in Sicilia e in Puglia il sistema è pressoché lo stesso: seguendo il percorso del denaro utilizzato per scommettere su internet, la guardia di finanza è riuscita a ricostruire come i gruppi criminali coinvolti nell’inchiesta si sono spartiti e controllavano, con modalità mafiose, il mercato delle scommesse clandestine on line.
I sequestri da Malta a Curacao – Il tutto utilizzando diverse piattaforme gestite dalle stesse organizzazioni. I soldi, accumulati illegalmente, venivano poi reinvestiti in patrimoni immobiliari e posizioni finanziarie all’estero intestati a persone, fondazioni e società, tutte ovviamente schermate grazie alla complicità di diversi prestanome. E proprio per rintracciare il patrimonio accumulato ed effettuare i sequestri è stata fondamentale la collaborazione di Eurojust e delle autorità giudiziarie di Austria, Svizzera, Regno Unito, Isola di Man, Paesi Bassi, Curacao, Serbia, Albania, Spagna e Malta.
Le giovani leve dei “teganini” – Nel corso di una conferenza stampa che si terrà stamattina a Roma, nella sede della Dna, saranno illustrati i dettagli delle tre operazioni che, per quanto riguarda la ‘ndrangheta, sono state coordinate dal procuratore Giovanni Bombardieri e dai sostituti della Dda Stefano Musolino e Sara AmerioIl provvedimento di fermo ha riguardato anche le giovani “leve” delle cosche. In particolare, nel provvedimento di fermo sono finiti alcuni dei “teganini”, i figli dei boss Tegano che, assieme ai De Stefano e i Condello, hanno fatto la storia criminale della città dello Stretto.
Il ruolo dei “teganini” – Tra i destinatari del provvedimento di fermo c’è Domenico Tegano, detto “Mico”, figlio del boss ergastolano don Pasquale. Quest’ultimo dopo anni di latitanza era stato catturato nel 2004 e, da allora, è detenuto al 41 bis nel carcere di Spoleto perché ritenuto dagli inquirenti un “elemento verticistico della cosca”. Mico Tegano è il suo primogenito e, secondo gli investigatori, ha un carisma “fuori dal comune”. Fino a ieri erano conosciuti in città per aver terrorizzato la movida reggina con risse, estorsioni, spaccio di cocaina e controllo quasi militare dei lidi sul lungomare di Reggio. Oltre alle tradizionali attività criminali, però, il rampollo si occupava di scommesse e da anni è solito recarsi anche all’estero. Di Mico Tegano ne ha parlato anche il collaboratore Mariolino Gennaro che, prima di pentirsi, era l’uomo della cosca che, da Malta, gestiva gli affari legati alle scommesse online.
L’esuberanza dei “baby boss” – Il pentito ha raccontato al pm Musolino di quando Mico Tegano ha piazzato una bomba in una delle sue sale giochi solo perché si era rifiutato di dare dei soldi al figlio del boss intanto cresciuto e a capo di un “un gruppo malavitoso di 40 persone tutti facenti parte della zona di Archi”. I Teganini appunto che, nell’ultimo periodo, hanno creato non pochi problemi a Reggio Calabria. Un paio d’anni fa sono arrivati ad aggredire anche due poliziotti intervenuti a sedare una rissa. Proprio per l’esuberanza dei baby boss, con le altre cosche si sono registrate frizioni che, in determinati momenti, stavano per degenerare. Approfittando del fatto che i mammasantissima sono tutti, o quasi, in carcere, i “teganini” stavano cercando di ridiscutere gli accordi sulle estorsioni e non sono mancate le intimidazioni e i danneggiamenti anche ad esponenti storici della ‘ndrangheta reggina.
L’inchiesta del 2015 e gli “adepti” – L’operazione di oggi quindi prende le mosse dall’inchiesta “Gambling” che nel 2015 aveva portato all’arresto di Mario Gennaro. Le sue dichiarazioni ai magistrati avevano confermato i sospetti della Dda di Reggio Calabria sull’interessamento della ‘ndrangheta nel settore delle scommesse. Già nelle intercettazioni dell’epoca gli indagati parlavano di “pennette” e “percentuali nelle scommesse”. La collaborazione del pentito Gennaro, che dal pm Sara Amerio in un interrogatorio è stato definito “la rappresentazione vivente della ‘ndrangheta unitaria”, si è rivelata fondamentale per riscontrare quello che il pm Stefano Musolino e la guardia di finanza avevano già scoperto in quegli anni e che può essere sintetizzato in un’intercettazione finita agli atti dell’inchiesta. Una conversazione tra indagati in cui uno di loro spiega la nuova frontiera delle cosche: “Io cerco i nuovi adepti nelle migliori università mondiali e tu vai ancora alla ricerca di quattro scemi in mezzo alla strada che vanno a fare così.. Bam, bam!!. Io cerco quelli che fanno così, invece: Pin, pin!! Che cliccano! Quelli cliccano e movimentano… È tutta una questione di indice, capito?”.
Fonte: ilfattoquotidiano del 14 novembre 2018

venerdì 4 maggio 2018

Catania, corruzione all’Ispettorato del lavoro: 4 ai domiciliari. C’è anche l’ex deputato regionale Marco Forzese.

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Nove le persone coinvolte nell'inchiesta, secondo cui il centrista Forzese, definito un "cavallo di razza" da Pierferdinando Casini, fece sparire un fascicolo per permettere a un imprenditore di non pagare. In cambio - sostengono gli investigatori - ottenne voti alla Regionali 2017. Ai domiciliari anche l'ex consigliere comunale di Forza Italia, il direttore dell'Ispettorato e la responsabile legale. Un'altra operazione anti-corruzione a Foggia: 13 arresti, c'è anche un carabiniere.

A ottobre era la punta di diamante dei Centristi per Micari alle Regionali siciliane, il “cavallo di razza”, come lo definì Pierferdinando Casini durante un incontro elettorale. Ora l’ex deputato regionale Marco Forzese è ai domiciliari, indagato assieme ad altre 8 persone per corruzione. Secondo la procura di Catania, aveva preso un fascicolo sanzionatorio dall’Ispettorato del lavoro e lo aveva consegnato a un imprenditore, che lo fece sparire per non pagare”.
Fascicoli scomparsi e rateizzazioni al minimo – Il gip del tribunale etneo ha disposto gli arresti domiciliari per altre tre persone e ha interdetto dalla professione altre cinque sulla base delle indagini della Guardia di finanza, che avrebbe scoperto, all’interno dell’Ispettorato del lavoro, ente che dipende dall’assessorato regionale al ramo, “un quadro corruttivo consolidato e alimentato da uno spregiudicato scambio di favori” attraverso il quale i pubblici ufficiali indagati, precedenti titolari di cariche istituzionali pubbliche e imprenditori, “non hanno esitato a sancire accordi sacrificando i rilevanti interessi collettivi in gioco”. Fascicoli scomparsi, richieste di sanzioni annullate, rateizzazioni al minino in cambio non di soldi, ma di favori: voti dagli imprenditori aiutati, e un soccorso politico alla Regione per ottenere promozioni o assunzioni in strutture pubbliche.
Forzese, candidato lo scorso novembre con i Centristi per Micari e definito “un cavallo di razza” da Casini durante un incontro elettorale a San Giovanni la Punta lo scorso 9 ottobre, è finito ai domiciliari come l’ex consigliere comunale di Forza Italia Antonino Nicotra, il direttore dell’Ispettorato Domenico Amich e la responsabile legale dell’ufficio Maria Rosa Trovato
Corruzione: ispettorato lavoro Catania, in 4 ai domiciliari © ANSA
Gli investigatori sostengono che l’ex deputato regionale, eletto nella scorsa legislatura con Mpa e poi passato per UdcMegafono e Centristi per la Sicilia, “prese un fascicolo sanzionatorio dall’ispettorato e lo consegnò a un imprenditore che lo fece sparire per non pagare”. 
Il fascicolo è stato trovato oggi a casa dell’imprenditore e, stando alle indagini, Forzese in cambio ottenne voti per le Regionali 2017. L’ex deputato è stato il più votato della lista, ma le sue 7.785 preferenze raccolte non sono bastate per tornare all’Ars poiché i Centristi per Micari non hanno superato la soglia di sbarramento del 5%.
“Situazione devastante” – Per gli altri cinque indagati – il direttore sanitario dell’Asp Franco Luca, il rappresentante legale dell’Enaip Ignazio Maugeri, il commercialista Giovanni Patti, gli imprenditori Orazio Emmanuele e Salvatore Calderaro – il giudice per le indagini preliminari ha emesso un provvedimento di interdizione dalla professione. I finanzieri, che ha condotto l’inchiesta tra la fine del 2017 e i primi mesi del 2018, hanno eseguito perquisizioni, anche nella sede dell’ufficio dell’Ispettorato provinciale del lavoro di Catania. “Ci sono funzionari pubblici che invece di fare gli interessi della comunità si mettono al servizio dei privati. È una situazione devastante: imprese che hanno appoggi politici e amministrativi grazie all’amico ‘buono’ riescono a ottenere illeciti benefici, mentre imprese oneste guardano attonite quello che accade”, ha detto il procuratore di Catania, Carmelo Zuccaro.

Quattro casi contestati – Quello del fascicolo fatto sparire da Forzese è uno dei quattro episodi contenuti nell’ordinanza del gip che “ha svelato l’esistenza, all’interno dell’ufficio pubblico in questione, di un consolidato circuito corruttivo alimentato da saldi legami di amicizia che uniscono corrotti e corruttori”. Per la procura “è stato appurato come il continuo scambio di utilità (pacchetto di voti, incarichi alla Regione Siciliana, assunzioni in ospedali e fornitura di beni) ruotasse intorno all’illegittima archiviazione di verbali originati dagli accertamenti ispettivi dai quali sono emerse, spesso, violazioni per lavoratori assunti irregolarmente o in nero”. “In alcuni casi – rivela la Procura – si è assistito anche alla materiale sparizione dei verbali stessi e/o comunque ad audizioni “amichevoli” nelle quali è stata palese la mancata tutela degli interessi erariali in gioco”. Sotto accusa il potere discrezionale attribuito al direttore dell’ente pubblico che, sostiene la procura “anziché essere interpretato quale fonte di responsabilità è stato asservito alle volontà dei corruttori comprimendo così definitivamente gli interessi pubblici confliggenti”.
A Foggia 13 misure cautelari – Un’altra operazione ha coinvolto l’Ispettorato del lavoro, a Foggia. Tredici le persone per le quali è stata disposta una misura cautelare. Coinvolti anche pubblici ufficiali, un carabiniere consulenti e professionisti, accusati a vario titolo di reati contro la pubblica amministrazione, il patrimonio e la fede pubblica. Secondo quanto accertato nel corso dell’inchiesta, venivano pagate tangenti per evitare o addolcire i controlli sul lavoro, in particolare in agricoltura. Stando all’operazione, denominata “Mercanti nel tempio”, uno dei consulenti si era interfacciato con alti funzionari della Marina militare – non indagati, ma le cui posizioni sono ancora al vaglio degli inquirenti – per far superare il concorso al figlio di un ispettore, che in cambio avrebbe rallentato un procedimento su irregolarità legate alla sicurezza e all’assunzione di lavoratori in nero.

venerdì 19 giugno 2015

Sicilia, viadotto crollato: “L’Anas sapeva delle frane”. La relazione del ministero contro Ciucci e i suoi uomini. - Daniele Martini

Sicilia, viadotto crollato: “L’Anas sapeva delle frane”. La relazione del ministero contro Ciucci e i suoi uomini

Le cento pagine elaborate da 4 ingegneri incaricati dal ministro Delrio sono un atto d'accusa: secondo i tecnici la società era consapevole di esistenza, entità e gravità del dissesto e delle criticità geologiche fin dalla definizione del progetto "e a conoscenza dell'aggravio della situazione dal 2005". Eppure, uscito di scena il presidente, sono rimasti al loro posto tutti i suoi collaboratori.

Dissero che era colpa del destino cinico e baro, che i piloni del viadotto Himera sull’autostrada tra Palermo e Catania avevano ceduto a causa degli smottamenti causati dalle piogge torrenziali e quindi non era assolutamente possibile prevedere il repentino evento in modo da evitare il disastro. E che in ogni caso la faccenda non riguardava l’Anas. Non era vero niente. Il vertice della società stradale, a cominciare dal presidente di allora, Pietro Ciucci, e compresa la prima linea tecnica che gli faceva corona e che è rimasta al suo posto con il nuovo presidente ed amministratore Gianni Armani, sapevano benissimo che quel ponte era a rischio, ma non fecero assolutamente nulla per metterlo in sicurezza. Il risultato è che dal 10 aprile il viadotto è chiuso, impraticabile, l’autostrada in quel tratto non percorribile e la Sicilia spaccata in due dal punto di vista automobilistico. La situazione è così grave e destinata a durare a lungo che per unire le due importanti città le Ferrovie hanno deciso di impiegare sette treni in più al giorno.
Le gravi responsabilità dell’Anas emergono chiaramente dal rapporto di un gruppo di tecnici incaricati di fare chiarezza sull’accaduto dal ministro dei Trasporti, Graziano Delrio. I tecnici sono gli ingegneri Salvatore Acampora, Giovanni CoppolaCarlo Ricciardi e Andrea Tumbiolo. Dopo un’indagine accurata i quattro hanno consegnato al ministro un documento molto dettagliato di un centinaio di pagine che è un severo atto d’accusa nei confronti dell’ex presidente Ciucci e del vertice Anas. Le conclusioni non lasciano spazio a dubbi: “L’Anas era in possesso degli elementi atti ad avere la consapevolezza della esistenza, entità e gravità del fenomeno di dissesto e delle criticità geologiche sin dalla definizione della scelta di progetto ed era a conoscenza dell’aggravio della situazione dal 2005″. Detto in parole più semplici: l’Anas sapeva fin dal momento della costruzione del viadotto all’inizio degli anni Settanta che c’erano movimenti franosi gravi in atto, ma fecero finta di niente. Peggio: nel 2005, quando le condizioni complessive si aggravarono tanto da far temere il crollo, i responsabili dell’azienda pubblica delle strade fecero di nuovo orecchie da mercante.
Ciucci diventò presidente Anas l’anno successivo ed è rimasto in carica per circa un decennio fino alle dimissioni forzate a metà maggio 2015: in tutto questo tempo non ha mosso foglia per il viadotto Himera. E invece era suo dovere intervenire. A disastro avvenuto l’allora presidente si giustificò dicendo che avrebbero dovuto provvedere altri, a cominciare dalla Protezione civile. Il rapporto ministeriale sostiene esattamente l’opposto: “L’Anas aveva l’onere di intervenire in quanto soggetto cui spetta la gestione e la manutenzione delle infrastrutture autostradali in gestione diretta e, di conseguenza, aveva l’obbligo di vigilare sull’efficienza e salvaguardia di tali opere”.
Il disastro dell’Himera purtroppo non è isolato. In Sicilia soprattutto, ma anche in molte altre parti d’Italia, al sud in particolare, le strade, i ponti e i viadotti, segnatamente quelli costruiti dalla Cassa del Mezzogiorno, stanno letteralmente cadendo a pezzi. E’ un fatto gravissimo, ma assolutamente non imprevedibile. I tecnici Anas delle gestioni precedenti a quella di Ciucci sapevano che quelle opere stavano arrivando a fine corsa e per questo cercavano di curarle con una manutenzione costante. Con Ciucci cambiò tutto. Ossessionato dai tagli dei nastri e dalle grandi opere, l’ormai ex presidente mise la manutenzione in terza fila. I tecnici che più gli sono stati vicini hanno condiviso con lui questa scelta. Uscito di scena il capo, sono rimasti tutti ai loro posti.
A cominciare da Michele Adiletta ingegnere specializzato in aeronautica che conserva il compito di responsabile della manutenzione delle strade Anas. Sopra Adiletta c’è Alfredo Bajo condirettore generale tecnico, ex Stretto di Messinaex Toto costruzioni dove si occupava di nuove opere, ma a corto pure lui di competenze inerenti la manutenzione. Sul suo curriculum pesano i crolli e i monumentali fallimenti sulla Salerno-Reggio Calabria. Il vicedirettore esercizio e coordinamento del territorio, Roberto Mastrangelo, è laureato in ingegneria meccanica, quindi anche lui non ha competenze specifiche in geologia, geotecnica, frane, fondazioni, asfalti e cemento armato. Ancora:Stefano Caroselli fu assunto da Ciucci il primo gennaio 2014 per seguire le manutenzioni straordinarie, anche se nel suo curriculum ufficiale non sono segnalate precedenti e specifiche attività in materia.
Al suo posto resta pure Ugo Dibennardo, direttore centrale progettazione e per anni direttore regionale proprio in Sicilia, la regione del viadotto Himera e del record di crolli e strade interrotte. E non ha mosso un passo neanche Salvatore Tonti, il direttore regionale attuale della Sicilia, il tecnico che aveva negato di essere a conoscenza dei pericoli incombenti sull’Himera. Ai tempi di Ciucci era stato pure premiato per gli eccellenti risultati ottenuti sulla Salerno-Reggio.