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sabato 10 luglio 2021

Alla scoperta del labirintico (e abbandonato) "Seminario": l'ipogeo più grande di tutta Bari. - Federica Calabrese e Giancarlo Liuzzi - foto Antonio Caradonna

 

BARI – Con i suoi 1500 metri quadri di superficie rappresenta il più grande tra gli insediamenti sotterranei presenti nelle campagne baresi. Parliamo dell’ipogeo del Seminario, un vero e proprio mondo nascosto che con il suo susseguirsi di archi, corridoi e ambienti concatenati forma un intricato labirinto posto a pochi passi dalla zona commerciale di Santa Caterina(Vedi foto galleria)

Un sito per nulla valorizzato e di fatto abbandonato a se stesso, nonostante la sua millenaria storia: venne infatti creato nel V secolo e poi ampliato tra il VII e l’VIII secolo. Fu concepito come laboratorio produttivo agricolo per un vasto monastero che comprendeva altri ipogei come il Santa Caterina e il Milella, posti a poche centinaia di metri da qui. Un complesso che prendeva il nome di Casale rupestre del Vulpiclano.

Per raggiungere il luogo ci lasciamo alle spalle il centro commerciale di Santa Caterina e, superando il cavalcavia che sovrasta la statale 16, proseguiamo per 400 metri fino all’incrocio con strada Caratore del Carmine. Alla fine di quest’ultima si staglia la grigia facciata della settecentesca Masseria del Seminario, di proprietà ecclesiastica che dà il suo “religioso” nome anche all’ipogeo.Notizia pubblicata sul portale barinedita.it e di sua proprietà.

Costeggiamo alla nostra destra l’edificio per addentrarci su un sentiero di campagna delimitato da muretti a secco. Attraverso un varco ci facciamo strada tra gli alberi di ulivo fino a un avvallamento nel terreno colmato da folta vegetazione: siamo di fronte all’ingresso del sito sotterraneo. Una scaletta in pietra ci permette di scendere per cinque metri lungo la parete rocciosa e raggiungere un ampio atrio rettangolare: l’anticamera dell’intera struttura.Notizia pubblicata sul portale barinedita.it e di sua proprietà.

Subito di fronte a noi si apre una piccola “stanza”: sui muri tufacei notiamo verdi segni di umidità, massi e detriti, risultato dei crolli delle arcate superiori. Sulla nostra sinistra scorgiamo invece un passaggio che ci permette di introdurci nella prima vera cavità del complesso, avvolta dall’oscurità.Notizia pubblicata sul portale barinedita.it e di sua proprietà.

Ci rendiamo conto della sua estensione soltanto dopo aver illuminato tutto l’antro con dei faretti. Scopriamo così un ampio locale, chiuso sul soffitto da una copertura a volta, invaso quasi interamente da un alto cumulo di terriccio e pietre che ne ostruisce altri accessi. Tra le macerie notiamo anche alcune ossa di animali di cui non è possibile capire la provenienza. Notizia pubblicata sul portale barinedita.it e di sua proprietà.

Siamo in quello che era un tempo il laboratorio centrale del casale rupestre, fulcro delle attività produttive dei monaci. Su di esso si affacciano altri piccoli vani ciechi segnati da archi scavati nella roccia che poggiano su mezzi pilastri quadrangolari. Spostandoci sulla sinistra seguiamo l’andamento semicircolare della stanza con le sue tre piccole feritoie di areazione.Notizia pubblicata sul portale barinedita.it e di sua proprietà.

Proseguiamo il nostro viaggio tra cupe cavità e ci ritroviamo in un vasto spazio contraddistinto dalla presenza di un’antica macina utilizzata per pressare cereali e olive e di alcuni affossamenti artificiali: antiche vasche per l’approvvigionamento dell’acqua.Notizia pubblicata sul portale barinedita.it e di sua proprietà.

Da qui si dirama un lungo corridoio, chiuso da un tompagno, che probabilmente collegava questo complesso agli altri siti sotterranei vicini. Il tunnel ci conduce, dopo qualche metro, l'angolo più suggestivo di tutto l’ipogeo. La fioca luce che trapela da un’apertura ci permette di ammirare uno spesso pilastro centrale e le arcate superiori che sorreggono l’intera struttura. Dalle crepe aperte nella muratura rossastra pendono centinaia di piccole radici che “decorano” il luogo a mo’ di fitte tende.Notizia pubblicata sul portale barinedita.it e di sua proprietà.

Qui gli spazi si fanno sempre più angusti e tetri data la mancanza totale di luce derivante dall’esterno. Proseguiamo per una decina di metri, quasi perdendoci tra i vari ambienti concatenati tra loro, sino a incrociare un piccolo varco in un muro crollato che superiamo con difficoltà.Notizia pubblicata sul portale barinedita.it e di sua proprietà.

Una cascata di macerie e terra che scende da un’apertura nel soffitto invadendo l’intero antro, ci costringe a camminare carponi per oltrepassarla, arrivando così nella parte più nascosta di tutto il complesso. 

Di fronte a noi si aprono diversi locali e stanze cieche, molte delle quali murate e invase da ragnatele sulle pareti. Per terra troviamo vecchie bottiglie e pezzi di vasellame ceramico gettati negli anni dalla fessura circolare presente sul soffitto semiocclusa dalla vegetazione.Notizia pubblicata sul portale barinedita.it e di sua proprietà.

Ritorniamo sui nostri passi e ci poniamo su un ultimo corridoio di cui a stento riusciamo a intravedere la fine. Lo percorriamo per circa venti metri fino a renderci conto che risulta interamente murato: anche questo doveva servire un tempo da raccordo con le altre cavità ipogeiche presenti in zona.Notizia pubblicata sul portale barinedita.it e di sua proprietà.

Non potendo proseguire riemergiamo nell’avvallamento da dove era iniziato il nostro viaggio e raggiungiamo esternamente un secondo accesso posto a cinquanta metri dal principale. Quest’ultimo è inaugurato da un dromos: un corridoio a cielo aperto che, scendendo nel terreno, conduce a una serie di ambienti in passato probabilmente destinati a uso religioso.Notizia pubblicata sul portale barinedita.it e di sua proprietà.

Una ventina di anni fa alcuni privati ne avevano progettato una rifunzionalizzazione come locale notturno sotterraneo, snaturando interamente la sacralità del luogo. Lo stesso ingresso si presenta infatti trasformato da lavori edilizi tra l’altro non conclusisi e risulta in più non più utilizzabile a causa della vegetazione incolta che ne blocca la discesa.Notizia pubblicata sul portale barinedita.it e di sua proprietà.

Una situazione quindi di completo abbandono: la stessa che accomuna la totalità dei numerosi ipogei che costellano da secoli e secoli l’agro barese.

















bariinedita.it

venerdì 8 febbraio 2019

Focaccia barese.



Ingredienti:

300 gr. farina di grano tenero tipo "0" per impasto
200 gr. semola rimacinata di grano duro per impasto
100 gr. patate per impasto
200 gr. lievito madre per impasto
10 gr. sale per impasto
50 ml. olio extra vergine di oliva per impasto
300/350 ml. acqua per impasto
400 gr. pomodori ciliegino per condire
20 olive baresane in salamoia per condire
origano q.b per condire
olio extra vergine di oliva q.b per condire
sale q.b per condire
La focaccia è la merenda per eccellenza dei baresi. Non c’è un momento della giornata in cui è più giusto mangiarla, infatti nei panifici della città è pronta sin dalla prima mattina e il profumo che emana si diffonde per strada. La focaccia barese è lo snack per eccellenza nella città pugliese, si usa per sostituire il pranzo o la cena ma si mangia in qualsiasi altro momento della giornata, per “sfizio” e non è raro incontrare persone che la gustano tranquillamente per strada, costretti a fare attenzione perchè, ad ogni morso, si corre il rischio che il pomodoro possa cadere e macchiare i vestiti. I ragazzi la portano a scuola, avvolta nella carta oliata, per fare merenda durante l’intervallo oppure quando marinano le lezioni. Si porta in spiaggia e diventa il pasto di una lunga giornata passata al mare sotto l’ombrellone. E’ il pasto che viene consumato durante le partite di calcio viste in compagnia degli amici, accompagnata, in questo caso dall’immancabile mortadella. Insomma, da prima mattina fino a tarda sera la focaccia accompagna la giornata dei baresi. E’ difficile descrivere ogni sensazione gustativa che la focaccia barese trasmette, l’unico modo per comprendere quello che dico è entrare in un panificio di Bari e acquistarla appena sfornata oppure provare questa ricetta. (Testo di Sandro Romano – Console per il Sud Italia dell’Accademia Italiana Gastronomia Storica)

Istruzioni:

  1. Per preparare la focaccia barese, iniziate lessando una patata in acqua bollente, quindi pelatela e schiacciatela con uno schiacciapatate. Dopodichè versate la farina di grano tenero “0” e la semola rimacinata di grano duro nella tazza di una planetaria. Se non possedete una planetaria, versate in una ciotola per poi impastare a mano.
  2. Aggiungete anche la patata schiacciata, il sale ed il lievito madre in un pezzo unico da 200 gr. (Procuratevelo presso il vostro panettiere di fiducia. Ricordatevi che il lievito madre dovrà essere rinfrescato da almeno 4 ore).
  3. Incorporate un pò d’acqua e azionate la planetaria a bassa velocità, aggiungendo il resto dell’acqua a filo. Se vi accorgete di lavorare in un ambiente caldo vi consigliamo di aggiungere l’acqua molto fredda, altrimenti dovrà essere a temperatura ambiente. Per ultimo unite l’olio, che servirà a dare elasticità e croccantezza al prodotto.
  4. Dopo i primi 5 minuti aumentate la velocità della planetaria e continuate ad impastare per 15 minuti: bisognerà lavorare l’impasto finché non si staccherà bene dalla ciotola e risulterà completamente liscio ed elastico, cioè quando inizierà a “scoppiettare”, rumore che fa l’impasto quando si riempie di bolle e viene lavorato velocemente.
  5. Se vi accorgete che l’impasto fatica a staccarsi dalla ciotola potete aggiungere un pizzico di farina ai bordi della ciotola della planetaria per facilitare l’operazione. Fate attenzione a non aggiungere troppa farina per evitare di indurire troppo l’impasto.
  6. Una volta che l’impasto sarà pronto, staccatelo dal gancio. Oliate il piano di lavoro, che non dovrà essere di legno altrimenti l’olio lascerà una macchia indelebile, e sistemate l’impasto, rigirandolo per oliarlo da entrambi i lati. Lavoratelo quanto basta per formare due palline da circa 400 gr. l’una.
  7. Prendete un vassoio di media misura e oliatelo, aiutandovi con un pennello per cospargere meglio l’olio. E’ importante che il vassoio non sia troppo grande per far sì che le due forme di impasto siano vicine. La vicinanza ravvicinata, infatti, gli permetterà di crescere meglio. Dopodichè sistemate le palline di impasto nel vassoio oliato.
  8. Questa è la fase della lievitazione: lasciate l’impasto a temperatura ambiente, senza coprirlo, per circa 8-12 ore. Se vi trovate in un ambiente che supera i 20°, il vostro impasto lieviterà in 8 ore, se, invece, il vostro ambiente sarà tra i 15 e i 20° ci potranno volere anche 12 ore. Trascorso questo tempo noterete che il vostro impasto sarà lievitato e avrà formato una leggera crosticina in superficie.
  9. Per sapere se l’impasto è lievitato correttamente e non è collassato, occorrerà fare una prova: schiacciate leggermente la superficie dell’impasto con un dito, la pasta dovrà ritornare alla forma iniziale perché sufficientemente elastica.
  10. Ora che il vostro impasto è pronto, potete stendere e condire la focaccia: prendete una teglia del diametro di 32 cm e oliatela, spargendo l’olio in tutta la teglia con le mani o un pennello. Adagiatevi una pallina di impasto al centro, capovolgendola per oliarla da entrambi i lati, e schiacciate l’impasto con le dita per stenderlo fino a coprire l’intera superficie della teglia.
  11. Una volta steso l’impasto, rompete i pomodorini a metà con le mani per far colare tutto il succo e i semi e disponeteli rivolti verso il basso, fino a riempire tutta la superficie della focaccia. Mettete ora le olive, oliate nuovamente, aggiungete un pizzico di sale e dell’origano secco.
  12. Fate cuocere la vostra focaccia in forno statico (o ventilato) preriscaldato alla massima potenza per 20-25 minuti. L’ideale sarebbe 270°, ma se il vostro forno non arriva a questa temperatura basterà impostarlo alla massima potenza, di solito 250°. Se avete a disposizione una pietra refrattaria, posizionatela sul ripiano basso del forno e preriscaldate per almeno 40 minuti.
  13. Una volta sfornata, la focaccia dovrà risultare croccante e alta circa 1-1,5 cm.
(Ricetta del panettiere Giovanni Di Serio, Presidente del Consorzio della Focaccia Barese)

mercoledì 14 novembre 2018

La prima auto elettrica "Made in Bari".

Gioco online, le mani delle mafie sul mercato delle scommesse: 68 arresti tra Reggio Calabria, Catania e Bari. - Lucio Musolino

Gioco online, le mani delle mafie sul mercato delle scommesse: 68 arresti tra Reggio Calabria, Catania e Bari

Tre inchieste, tre procure (Reggio Calabria, Bari e Catania) coordinate dalla Dna: in carcere sono finiti importanti esponenti della criminalità organizzata ma anche diversi imprenditori che di fatto erano i prestanome dei clan. Dalle indagini, condotte anche dallo Scico di Roma, è emerso un giro d’affari superiore ai 4,5 miliardi di euro. L'indagato al telefono: "Cerco nuovi adepti nelle migliori università mondiali, non quattro scemi che fanno bam, bam".

Avevano bisogno di “quelli che cliccano, che movimentano” i soldi facendoli transitare da un Paese all’altro senza lasciar traccia delle transazioni online, non di quelli che fanno “bam bam”, cioè di quelli che sparano. E così avevano puntato tutto sul gioco online, impadronendosi – secondo la Direzione nazionale antimafia – del mercato delle scommesse. Tutte insieme: clan della ‘ndrangheta, famiglie mafiose siciliane e pugliesi che poi puntavano all’estero per riciclare il denaro.

Oltre 60 arresti in Puglia, Calabria e Sicilia – Sessantotto arresti (13 a Catania, 22 a Bari: si tratta di esponenti legati alle famiglie storiche della criminalità organizzata) e un’ottantina di perquisizioni sono stati eseguiti stanotte dalla guardia di finanza, dalla Dia, dalla polizia e dai carabinieri. Tre inchieste, tre procure (Reggio Calabria, Bari e Catania) e centinaia di uomini impegnati nel blitz coordinato dalla Dna e dal procuratore Federico Cafiero De Raho. In sostanza le mafie si sono spartite e controllano il mercato della raccolta illecita delle scommesse on line. 

Volume d’affari da 4,5 miliardi di euro – Oltre all’ordinanza di custodia cautelare emessa dalla procura di Bari e ai due provvedimenti di fermo eseguiti dalle Dda di Reggio Calabria e Catania, c’è stato un sequestro di beni in Italia e all’estero per oltre un miliardo di euro. Il volume delle giocate relative agli eventi sportivi, e non solo, era molto più vasto. Dalle indagini, condotte anche dallo Scico di Roma, infatti è emerso un giro d’affari superiore ai 4,5 miliardi di euro.
Imprenditori e prestanome – In carcere sono finiti importanti esponenti della criminalità organizzata pugliese, reggina e catanese. Ma anche diversi imprenditori che, stando alla ricostruzione degli inquirenti, di fatto erano i prestanome dei clan. Le tre procure contestano i reati di associazione mafiosa, trasferimento fraudolento di valori, riciclaggioautoriclaggio, illecita raccolta di scommesse on line e fraudolenta sottrazione ai prelievi fiscali dei relativi guadagni. In Calabria, in Sicilia e in Puglia il sistema è pressoché lo stesso: seguendo il percorso del denaro utilizzato per scommettere su internet, la guardia di finanza è riuscita a ricostruire come i gruppi criminali coinvolti nell’inchiesta si sono spartiti e controllavano, con modalità mafiose, il mercato delle scommesse clandestine on line.
I sequestri da Malta a Curacao – Il tutto utilizzando diverse piattaforme gestite dalle stesse organizzazioni. I soldi, accumulati illegalmente, venivano poi reinvestiti in patrimoni immobiliari e posizioni finanziarie all’estero intestati a persone, fondazioni e società, tutte ovviamente schermate grazie alla complicità di diversi prestanome. E proprio per rintracciare il patrimonio accumulato ed effettuare i sequestri è stata fondamentale la collaborazione di Eurojust e delle autorità giudiziarie di Austria, Svizzera, Regno Unito, Isola di Man, Paesi Bassi, Curacao, Serbia, Albania, Spagna e Malta.
Le giovani leve dei “teganini” – Nel corso di una conferenza stampa che si terrà stamattina a Roma, nella sede della Dna, saranno illustrati i dettagli delle tre operazioni che, per quanto riguarda la ‘ndrangheta, sono state coordinate dal procuratore Giovanni Bombardieri e dai sostituti della Dda Stefano Musolino e Sara AmerioIl provvedimento di fermo ha riguardato anche le giovani “leve” delle cosche. In particolare, nel provvedimento di fermo sono finiti alcuni dei “teganini”, i figli dei boss Tegano che, assieme ai De Stefano e i Condello, hanno fatto la storia criminale della città dello Stretto.
Il ruolo dei “teganini” – Tra i destinatari del provvedimento di fermo c’è Domenico Tegano, detto “Mico”, figlio del boss ergastolano don Pasquale. Quest’ultimo dopo anni di latitanza era stato catturato nel 2004 e, da allora, è detenuto al 41 bis nel carcere di Spoleto perché ritenuto dagli inquirenti un “elemento verticistico della cosca”. Mico Tegano è il suo primogenito e, secondo gli investigatori, ha un carisma “fuori dal comune”. Fino a ieri erano conosciuti in città per aver terrorizzato la movida reggina con risse, estorsioni, spaccio di cocaina e controllo quasi militare dei lidi sul lungomare di Reggio. Oltre alle tradizionali attività criminali, però, il rampollo si occupava di scommesse e da anni è solito recarsi anche all’estero. Di Mico Tegano ne ha parlato anche il collaboratore Mariolino Gennaro che, prima di pentirsi, era l’uomo della cosca che, da Malta, gestiva gli affari legati alle scommesse online.
L’esuberanza dei “baby boss” – Il pentito ha raccontato al pm Musolino di quando Mico Tegano ha piazzato una bomba in una delle sue sale giochi solo perché si era rifiutato di dare dei soldi al figlio del boss intanto cresciuto e a capo di un “un gruppo malavitoso di 40 persone tutti facenti parte della zona di Archi”. I Teganini appunto che, nell’ultimo periodo, hanno creato non pochi problemi a Reggio Calabria. Un paio d’anni fa sono arrivati ad aggredire anche due poliziotti intervenuti a sedare una rissa. Proprio per l’esuberanza dei baby boss, con le altre cosche si sono registrate frizioni che, in determinati momenti, stavano per degenerare. Approfittando del fatto che i mammasantissima sono tutti, o quasi, in carcere, i “teganini” stavano cercando di ridiscutere gli accordi sulle estorsioni e non sono mancate le intimidazioni e i danneggiamenti anche ad esponenti storici della ‘ndrangheta reggina.
L’inchiesta del 2015 e gli “adepti” – L’operazione di oggi quindi prende le mosse dall’inchiesta “Gambling” che nel 2015 aveva portato all’arresto di Mario Gennaro. Le sue dichiarazioni ai magistrati avevano confermato i sospetti della Dda di Reggio Calabria sull’interessamento della ‘ndrangheta nel settore delle scommesse. Già nelle intercettazioni dell’epoca gli indagati parlavano di “pennette” e “percentuali nelle scommesse”. La collaborazione del pentito Gennaro, che dal pm Sara Amerio in un interrogatorio è stato definito “la rappresentazione vivente della ‘ndrangheta unitaria”, si è rivelata fondamentale per riscontrare quello che il pm Stefano Musolino e la guardia di finanza avevano già scoperto in quegli anni e che può essere sintetizzato in un’intercettazione finita agli atti dell’inchiesta. Una conversazione tra indagati in cui uno di loro spiega la nuova frontiera delle cosche: “Io cerco i nuovi adepti nelle migliori università mondiali e tu vai ancora alla ricerca di quattro scemi in mezzo alla strada che vanno a fare così.. Bam, bam!!. Io cerco quelli che fanno così, invece: Pin, pin!! Che cliccano! Quelli cliccano e movimentano… È tutta una questione di indice, capito?”.
Fonte: ilfattoquotidiano del 14 novembre 2018

martedì 16 ottobre 2018

Bari, queste carrozze mai usate sono costate 22 mln, sono da rottamare.


(FOTO LUCA TURI)

Mai utilizzate dalle Sud Est, sono al centro di uno scandalo e il reato sta per prescriversi.

Il giudice Laura Calzolaro aveva fissato fino a fine anno un calendario di udienze fitto, che avrebbe potuto portare in tempi ragionevoli almeno a una sentenza di primo grado. Ma non aveva fatto i conti con la crisi della giustizia barese, tutt’ora senza casa. E così anche il processo per i treni d’oro di Ferrovie Sud-Est si avvia mestamente sul binario che porta alla prescrizione. Con una ulteriore beffa: le 25 carrozze acquistate nel 2006 per 22,5 milioni di euro, che non potranno più essere utilizzate, presto o tardi dovranno essere avviate alla demolizione.
Lo scandalo da cui è nato tutto il caso delle Sud-Est, partito da un articolo della «Gazzetta», si chiuderà dunque senza colpevoli. L’udienza teoricamente prevista oggi non si terrà, 
né sono state eseguite nuove notifiche per stabilire la data di rinvio. 

Le accuse di truffa allo Stato si prescriveranno nel corso del 2019, dunque ormai non si fa più in tempo a completare l’istruttoria che necessità dell’ascolto di buona parte dei testimoni di accusa e di quelli di difesa. Esclusa la competenza della Corte dei conti (lo hanno stabilito le Sezioni unite della Cassazione) resta soltanto il Tribunale delle imprese di Bari, dove è in corso l’azione di responsabilità che Sud-Est ha intentato a carico dell’ex amministratore Luigi Fiorillo. Ma, anche qui, si tratta di risarcimenti teorici perché il patrimonio dell’avvocato tarantino è stato completamente sequestrato.
Parliamo delle 25 carrozze acquistate da Sud-Est di seconda mano dalle ferrovie tedesche, con oltre un milione di km l’una sulle spalle, per 37.500 euro l’una, poi rivendute all’intermediaria Varsa di Varsavia per 280mila ciascuna, quindi ristrutturate in Croazia e infine rivendute a Sud-Est a circa 900mila euro l’una. Totale, appunto, 22,5 milioni di euro. Peccato che in base a una perizia chiesta dalla Procura di Bari (e contestatissima da parte delle difese) il loro valore di mercato è pari a circa la metà: con 900mila euro si acquista infatti materiale nuovo, di ultima generazione. Nei numerosi passaggi di mano - è l’ipotesi di accusa - il valore delle carrozze si è progressivamente incrementato: nell’affare sono intervenute fiduciarie sparse in mezza Europa, ma le indagini non hanno mai approfondito questo aspetto se non per evidenziare alcune curiose coincidenze.
Che fine hanno fatto quelle carrozze? Sono abbandonate sui binari delle stazioni Sud-Est, ormai in condizioni disastrose: alcune (come mostrano le foto in alto) sono state chiuse con tavole di legno per evitare che possano diventare rifugio per i disperati della notte. Il punto è che non potranno mai circolare (solo dieci sono state effettivamente utilizzate, le altre non hanno mai percorso nemmeno un chilometro), perché - come confermano alla «Gazzetta» fonti ministeriali - anche ammesso che possano essere rimesse in sesto, non sarebbe possibile ottenere l’autorizzazione all’esercizio da parte dell’Ansf. Potrebbero al limite essere vendute in qualche Paese extraeuropeo dove non sono in vigore le normative di sicurezza Ue, ma che esista un acquirente interessato è tutto da dimostrare. Il destino inevitabile è dunque la demolizione: non nel primo lotto di 60 rotabili che l’azienda del gruppo Fs si avvia a distruggere nelle prossime settimane, ma con ogni probabilità quando gli accertamenti giudiziali saranno definitivamente conclusi.
Nelle aule del Tribunale di Bari si sta infatti discutendo della richiesta da 260 milioni che Sud-Est (con gli avvocati dello studio Grimaldi) ha avanzato nei confronti di Fiorillo per il buco in bilancio creato nei suoi ultimi dieci anni di gestione della società. Nell’elenco degli atti ci sono anche una serie di decreti ingiuntivi che riguardano, a vario titolo, le carrozze d’oro. Nella prima udienza del 12 settembre, davanti al giudice Magaletti, le parti hanno depositato una serie di memorie e si sono costituiti i componenti del collegio sindacale che Fiorillo ha chiamato come presunti corresponsabili delle spese a lui contestate. L’udienza è stata aggiornata al 27 marzo, ed è ipotizzabile che non si arrivi a sentenza prima di altri due anni.


Fonte: lagazzettadelmezzogiorno del 16/10/2018

sabato 23 luglio 2016

18 luglio, la Lorenzin a Bari.....



È vergognoso...😡😡😡
Oggi al policlinico di Bari hanno bloccato tutti gli ingressi impedendo a pazienti di essere accompagnati con l'autovettura per eseguire chemioterapia, che hanno dovuto raggiungere il nostro ambulatorio a piedi sotto il sole e perché!??? Perché c'era la Lorenzin che prontamente accompagnata da auto e tanto di scorta ha paralizzato l' accesso alle varie strutture... ma dimenticavo... siamo in Italia dove un povero malato deve camminare x fare la chemioterapia ma la cara ministra dei miei stivali deve avere l'auto sotto il sedere fino alla porta d'ingresso 😡😡😡😡
Ripeto... è l'Italia


Teresa Di Bisceglie

sabato 24 ottobre 2015

Il piede sull'Anm - Liliana Milella

Anm: "Contro di noi strategia di delegittimazione". Tensione fra politica e magistratura
Il presidente dell'Anm, Rodolfo Sabelli

La politica contro i giudici. 
Li vorrebbero muti, ciechi, sordi. 
Elettroencefalogramma piatto. 
Nessuna reazione. 
Nessuna disobbedienza. 
Solo e sempre "sissignore". 
Bari, Anm a congresso. 
Il presidente Sabelli, magistrato moderato di Unicost, anche caratterialmente un uomo misurato e attento agli equilibri istituzionali, ripete quello che ha sempre detto, critiche tecniche alle misure del governo (vedi corruzione, intercettazioni, prescrizione...). Aggiunge che mal vede certa "strategia dì delegittimazione" che proviene, per esempio, da chi, come Cantone, parla male delle correnti e della stessa Anm. La politica non aspettava altro. Attacca Sabelli come se avesse di fronte un giudice rosso rivoluzionario e guerrafondaio. Il Guardasigilli è velenoso e vede nelle parole di Sabelli un modo per coprire le divisioni interne dell'Anm. Il ministro dell'Interno Alfano, immemore degli scandali che hanno pesantemente coinvolto molta gente del suo partito, consiglia all'Anm di guardare in casa propria, allo scandalo della Saguto a Palermo. S'arrabbia pure il Pd renziano David Ermini, vede "critiche ingenerose". La triste impressione è che una politica arrogante voglia solo toghe prone e pronte a dire "evviva" a qualsiasi riforma, fatte anche in modo provocatorio, come fu per il taglio delle ferie.

http://milella.blogautore.repubblica.it/2015/10/24/il-piede-sullanm/

mercoledì 19 novembre 2014

Gli allievi di Bari.

Allievi

Vento teso e pioggerellina gelida: così ci ha accolto Bari qualche giorno fa. Ci vuole ben altro, però, per scoraggiare chi ha intrapreso un viaggio in aereo, per scoprire le  specialità del cibo di strada pugliese. Così ho trascinato mia moglie a N-ddèrr’a la lanze, vecchio porto della città, dove sotto una tettoia c’è una sfilata di banchi adibiti alla vendita di pesce freschissimo.

Damiano, vecchio amico e nostra guida, ci racconta che venire qui a mangiare pesce crudo è il rito della domenica mattina per molte famiglie baresi da molti secoli prima dell’apparizione in Italia del primo sushi bar. Pesce, ho scritto, ma per essere più preciso avrei dovuto dire soprattutto molluschi, crostacei ed echinodermi. Fra questi, le seppioline che ho fotografato e assaggiato.

Qui si chiamano allievi o meglio allìive. Anche il modo di servirtele ha un che di rituale. Il pescatore tuffa un piatto della bilancia in una tinozza piena d’acqua di mare, riempiendolo per un quarto, e poi ci adagia gli allievi nel numero che tu gli hai indicato.

Ne ho mangiati due. Sapidi e appena un po’ metallici. Per descriverne la consistenza mi viene in mente un termine dell’italiano regionale campano: callosi. Respingono la stretta dei denti con elasticità, poi cedono di botto, lacerandosi con un taglio perfetto. Danno soddisfazione a chi ama masticare.

Di solito qui si trovano anche polpi, cozze, cozze pelose, altri frutti di mare e soprattutto ricci, che insieme agli allievi fanno impazzire i baresi. Ma oggi non è domenica, fa freddo e piove, perciò pochi sono andati a pescare e meno ancora sono rimasti qui a vendere. Mi tocca tornarci in un’altra stagione.

domenica 6 ottobre 2013

Scoperta a Bari cava con impronte dinosauri.

Scoperta a Bari cava con orme di dinosauri


Orme risalgono al Cretaceo, circa 100 milioni di anni fa.


Una cava con migliaia di orme di dinosauri, risalenti al periodo del Cretaceo, circa 100 milioni di anni fa, è stata scoperta la scorsa estate dal paleontologo barese, Marco Petruzzelli, all'interno del parco Lama Balice, nella città di Bari. Una anticipazione della ricerca è data dal quotidiano La Repubblica. Il paleontologo, specializzato in icnologia (branca che studia le impronte fossili degli animali) ha rilevato le impronte in un'area compresa nel parco di Lama Balice, che si trova ad un chilometro dall'aeroporto e a ridosso della periferia cittadina.
Si tratta di un giacimento con un numero stimato di circa diecimila orme di dinosauri, con una concentrazione di tre-quattro impronte per metro quadrato. Secondo lo studioso, le impronte fanno pensare che sull'area abbiano camminato ''dinosauri sia di specie erbivora che carnivora''. Il ritrovamento è stato notificato alla Soprintendenza ai beni archeologici, alla presidenza del parco e alla Regione Puglia, affinché l'area possa essere messa sotto tutela''


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mercoledì 7 novembre 2012

La Banca del Germoplasma di Bari, migliaia di varietà di semi a rischio.

sementi

BARI – Non tutti sanno che Bari è sede dell’unica Banca del Germoplasma in Italia, al secondo posto in Europa e tra le prime dieci in tutto il mondo per dimensioni e standard di conservazione. La Banca del Germoplasma si occupa essenzialmente di conservare i semi di specie vegetali che appartengono alla flora autoctona, al fine di conservarne il patrimonio genetico, ma da quando nel 2002 è stata accorpata al CNR, il mantenimento delle 84.000 varietà di sementi e collezioni vegetali non sarebbe più apparso garantito.

Il germoplasma rappresenta un’importante risorsa agro- biologica per risolvere i problemi dell’agricoltura senza dover ricorrere all’utilizzo di OGM che oggi si affacciano sempre più prepotenti nel panorama agricolo e alimentare e che nel biologico vedono un concorrente commerciale.
Nel lontano 2003 le  temperature delle camere di conservazione del germoplasma sono salite oltre quelle ottimali, che si affermano a -20° e a 0°. La mancata tempestività nelle riparazioni delle camere del freddo da parte del CNR ha provocato danni ingentissimi al patrimonio genetico per cui, a seguito di un contenzioso tra la Banca e Consiglio Nazionale delle Ricerche, un’indagine della Magistratura avrebbe appurato le responsabilità di quest’ultimo. Nonostante i campioni  siano stati dissequestrati dal 2009, la Regione Puglia pare non averli ancora acquisiti per provvedere alla loro rigenerazione. Nessun altro si è offerto per farlo e per questo sono tornati nelle mani del CNR. Nel frattempo un immenso e preziosissimo patrimonio genetico agro-biologico sta perendo nell’abbandono.
Negli anni passati a poco sono serviti gli appelli, tra gli altri, del Dott. Perrino per impedire che la biodiversità rappresentata e perpetuata attraverso questi semi venisse distrutta. Impedire il peggio è semplice, basta rigenerare quei germoplasti piantandoli. Nessuno inspiegabilmente appare interessato a farlo a partire dalla politica, riferisce sempre l’appello di Perrino, già direttore dell’Istituto del Germoplasma del CNR di Bari (1983 – 1993; 1998 – 2002).

martedì 9 ottobre 2012

Bari, maxi sequestro di taralli pugliesi: “Prodotti con la crusca per cavalli”. - Rosaria Malcangi


Bari, maxi sequestro di taralli pugliesi: “Prodotti con la crusca per cavalli”


Operazione della Forestale. Le confezioni finivano sulle tavole di tutta Italia e anche all'estero come eccellenza del "Madre in Puglia". L'azienda compariva anche tra le 36 accreditate all'Atlante dei prodotti tipici agroalimentari della regione.

Sequestrati nel Barese taralli prodotti con crusca destinata ai cavalli. Gli anelli di pasta di pane non lievitata, prodotti tipicamente pugliesi, finivano sulle tavole di tutta Italia e anche all’estero. A produrre i taralli “taroccati” è la “Fiore di Puglia S.p.A.”. L’azienda vanta tra i suoi clienti Auchan, Carrefour, In’s Mercato, Md Discount, Autogrill. Valica anche i confini nazionali raggiungendo i palati di tutta Europa, nonché i consumatori di Russia, Cina, Giappone e America.
L’azienda figura tra le “eccellenze” del “Made in Puglia”. Visto che compare nell’elenco delle 36 imprese del Tacco d’Italia, produttrici di “prodotti tradizionali” accreditate sul portale www.tipicipuglia.it. A quest’ultimo fa riferimento l’Atlante dei prodotti tipici agroalimentari pubblicato dalla Regione Puglia, in una versione ancora disponibile in rete. Per quanto Dario Stefàno, assessore regionale alle risorse agroalimentari, spieghi: “Quel portale doveva essere da tempo oscurato. L’idea di creare una mappa delle aziende di prodotti tipici è stata abbandonata dalla Regione perché ingestibile”.
Il tarallificio sul proprio sito dichiara una capacità produttiva di cento quintali al giorno di taralli. Ma può sfornare quotidianamente anche 10 quintali di friselle, 25 quintali di pasta secca, 15 quintali di biscotti e pasticceria. Conta 60 dipendenti distribuiti su tre stabilimenti, che occupano una superficie di 12mila metri quadrati. Infine vanta un fatturato annuo di circa 6 milioni di euro. Sotto accusa è finita non tutta la produzione, ma la linea di taralli “integrale” e “multi cereale”.
Gli uomini del Corpo Forestale dello Stato di Bari hanno sequestrato 2700 confezioni di taralli, da 250 grammi e 500 grammi. Sui cartoni pronti alla commercializzazione, oltre al logo che recita “La natura in tavola”, è stampato anche l’avviso sulla corretta conservazione. Si legge “contengono ingredienti genuini, privi di conservanti, quindi temono il caldo e l’umidità”. Peccato che i guai iniziano a monte. L’accusa mossa alla ditta dai forestali è proprio quella di spacciare per “genuini” prodotti che non sono tali.
I militari del Nucleo agroalimentare hanno bussato alla porta del tarallificio inseguendo tutt’altro. Dovevano accertare la correttezza dei dati stampati sulle etichette dei prodotti da forno. In particolare l’uso di olio Dop (Denominazione d’origine protetta), così come segnalato sulle confezioni dei taralli. Stando alle fatture, era tutto in regola. L’azienda effettivamente acquista olio Dop da alcuni fornitori. La sorpresa è arrivata però durante l’ispezione ai locali di produzione, dove i forestali hanno trovato quattro sacchi di crusca etichettati come “mangime” provenienti da un’azienda locale. A quel punto gli agenti di polizia giudiziaria sono ritornati a indagare tra le carte. La documentazione presente in azienda ha confermato che il tarallificio si rifornisce regolarmente di mangime per animali da una ditta pugliese.
L’ispezione è stata estesa anche ai magazzini dove vengono stoccate le materie prime. La visita ha aggiunto altri elementi alla presunta frode. Nei depositi è stata trovata crusca, sempre destinata agli animali, invasa da parassiti. I veterinari della Asl competente hanno prelevato alcuni campioni sia dal prodotto imbustato e destinato alla commercializzazione sia dalle materie prime. Sarà l’Arpa Puglia (Agenzia regionale prevenzione ambientale) ad accertare eventuali altre tossicità presenti nei campioni prelevati. L’amministratore unico della ditta è stato denunciato all’autorità giudiziaria. Deve rispondere di “vendita di sostanze non genuine come genuine” e di “commercio di sostanze alimentari nocive”.
Raggiunti al telefono, i proprietari tagliano corto e dichiarano che si tratta di una “bufala inventata dai giornalisti”. Intanto, in attesa degli esiti delle analisi effettuate sui campioni, il fascicolo è finito sulla scrivania del pm Michele Ruggiero, sostituto procuratore della Repubblica al tribunale di Trani. A lui il compito di vagliare anche eventuali altri reati.