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domenica 21 giugno 2020

Palamara, la replica dell’Anm agli avvertimenti: “Mente e inganna l’opinione pubblica”. Caputo: “Inventa realtà”. E Albamonte lo querela.

Palamara, la replica dell’Anm agli avvertimenti: “Mente e inganna l’opinione pubblica”. Caputo: “Inventa realtà”. E Albamonte lo querela

Il sindacato delle toghe diffonde un comunicato per spiegare perché non ha sentito il suo ex presidente prima di espellerlo: "Semplicemente perché lo Statuto non lo prevede. Non vi sono altre ragioni". Il leader di Area querela il collega, che ai giornali riferisce di cene con l'onorevole dem Donatella Ferranti per discutere della nomina del vicepresidente del Csm David Ermini. Il segretario dell'Anm Caputo, tirato in ballo sempre dal pm sotto inchiesta, replica: "Per difendersi attacca, ma con lui mai parlato di nomine".
“Un Giudice dovrebbe essere in grado di leggere lo Statuto di una associazione. Ancora di più quando ne è stato Presidente”. Nel day after dell’espulsione di Luca Palamara dall’Associazione nazionale magistrati – da lui presieduta tra il 2008 e il 2012 – le polemiche nel mondo delle toghe sono tutt’altro che svanite. Il sindacato dei magistrati, infatti, ha affidato a un comunicato stampa la sua replica per il pm al centro dell’inchiesta che imbarazza il mondo della giustizia. Ma a Palamara non è indirizzata solo la nota ufficiale dell’Anm, ma pure la smentita – si presume a titolo personale – del segretario del sindacato delle toghe, Giuliano Caputo. E poi l’annuncio di querela di Eugenio Albamonte, collega di Palamara alla procura di Roma e come lui ex presidente dell’Anm. Ma andiamo con ordine.
Anm: “Palamara mente” – Già ieri, quando il comitato direttivo centrale aveva respinto all’unanimità la sua richiesta di audizione, Palamara aveva attaccato: “Mi è stato negato il diritto di parola e di difesa, nemmeno nell’Inquisizione”. Poi aveva fatto trapelare alle agenzie di stampa il testo del suo discorso denso di rivendicazioni e avvertimenti. Quindi, in una serie di interviste ad alcuni quotidiani (compreso Il Fatto) rincara la dose: “Non ho agito da solo e non farò, come ho già detto più volte, da capro espiatorio. Questo deve essere estremamente chiaro”, dice il pm indagato dalla procura di Perugia. Ed è tornato nuovamente ad attaccare, che a suo dire non gli avrebbe dato modo di difendersi dalle contestazioni. “Quando dice che non ha avuto spazio per difendersi, Palamara mente” e “cerca ora di ingannare l’opinione pubblica con una mistificazione dei fatti”, replica la giunta dell’Associazione nazionale magistrati. “Il dottor Palamara – si legge nella nota dell’organismo guidato da Luca Poniz – non è stato sentito dal Cdc semplicemente perché lo Statuto non lo prevede. Non vi sono altre ragioni. Quando dice che non ha avuto spazio per difendersi Palamara mente: è stato sentito dai probiviri e in tutta la procedura disciplinare non hai mai preso una posizione in merito agli incontri con consiglieri del Csm, parlamentari e imputati. E, come lui, gli altri incolpati. Le regole si rispettano, anche quando non fanno comodo”.
“Albamonte a cena col Pd”. E lui querela – Molto diverso il dibattito che si è acceso per le dichiarazioni rilasciate da Palamara ai giornali, nei minuti dopo l’espulsione. Il pm è stato chiamato a chiarire cosa intende dire nel suo discorso quando si scaglia contro “quelli che ancora oggi siedono nell’attuale Comitato direttivo Centrale e che forse troppo frettolosamente hanno rimosso il ricordo delle loro cene o dei loro incontri con i responsabili giustizia dei partiti politici di riferimento”. A chi si riferiva, gli chiede Antonio Massari del Fatto: “A Eugenio Albamonte e Donatella Ferranti, per esempio. Per quanto mi risulta, si sono frequentati come io ho incontrato Luca Lotti e Cosimo Ferri. Non credo che abbiano parlato solo di calcio”, risponde Palamara. Che poi evoca su quelle cene l’ombra degli accordi per le nomine degli uffici giudiziari: “Diciamo che non lo posso escludere. Esisteva un rapporto anche tra Ferranti ed il vice presidente del Csm David Ermini: erano compagni di partito”. Segretario di Area, la corrente di sinistra delle toghe, storicamente in buoni rapporti con Palamara – che era il leader di Unicost, la corrente moderata e per lungo tempo alleata di Area – Albamonte ha dato mandato al proprio legale per presentare querela nei confronti del collega. Il motivo? Lo ha diffamato – spiega l’avvocato Paolo Galdieri- parlando di fatti mai avvenuti, in particolare di non meglio precisate cene tra il mio assistito e l’onorevole Donatella Ferranti, già presidente della commissione Giustizia della Camera, nelle quali si sarebbe discusso della nomina del vicepresidente del Csm David Ermini e delle nomine di avvocati generali della Cassazione”. “Non vediamo cosa ci sia di diffamatorio nelle dichiarazioni del nostro assistito. Sarà comunque un’occasione di chiarimento. Piuttosto ci si dovrebbe seriamente interrogare sul trattamento ricevuto da Palamara, privato di difesa e di come il trojan inoculato non abbia carpito nulla di penalmente rilevante”, controreplicano i legali di Palamara, gli avvocati Benedetto e Mariano Marzocchi Buratti.
“Caputo? Ha beneficiato del sistema”. “Tutto falso” – Al quotidiano Repubblica, invece, il pm sotto inchiesta fa il nome del segretario dell’Anm, che come lui fa parte di Unicost: “Se penso a Giuliano Caputo – le parole di Palamara – penso a un beneficiato assoluto di questo meccanismo che si trova lì perché Enrico Infante, anche lui di Unicost, era ritenuto troppo di destra. Questi sono gli errori che hanno fatto fallire un sistema facendo prevalere gli accordi tra correnti”. Caputo, da parte sua, non querela ma smentisce: “Nel disperato tentativo di difendersi attaccando, Palamara inventa una realtà che non corrisponde ai fatti“. Il segretario dell’Anm smentisce di aver discusso con lui di nomine: “Mai ne avevo parlato con lui e la pubblicazione integrale delle chat chiarirà forse anche le sue idee sulla mia nomina.Con un chiaro tentativo mistificatorio accosta le dinamiche associative alle prassi relative alle nomine per posti direttivi e semidirettivi ed al mercato delle nomine di cui è stato assoluto (anche se non unico) protagonista negli ultimi anni. Non ho mai parlato né con lui né con altri di domande presentate da me o da altri magistrati”, dice Caputo. “Raramente – prosegue il segretario dell’Anm – mi sono confrontato con lui, come con altri ex esponenti apicali dell’Anm, su questioni dell’associazione. Era nota la sua aspirazione a diventare procuratore aggiunto a Roma, resa possibile dall’abrogazione di una norma, avvenuta con dinamiche ancora da chiarire, rispetto alla quale l’Anm ha assunto da subito una posizione di ferma condanna. Ignoravo assolutamente i suoi tentativi di condizionare la nomina del procuratore della Repubblica di Perugia che avrebbe dovuto gestire il procedimento a suo carico, che si confrontasse con un parlamentare imputato per la nomina del procuratore di Roma e che pensasse di screditare, per varie ragioni, altri colleghi, circostanze che hanno rappresentato le ragioni della sua espulsione dall’Anm”.

martedì 26 maggio 2020

Bufera Procure, nuove intercettazioni su Palamara.

Palazzo dei Marescialli (Foto d'archivio) © ANSA
Palazzo dei Marescialli

Pm romano ascoltato mentre parla del Pm Perugia Miliani.

"E pure per la ragazza c'è un procedimento disciplinare se mi iscrive dopo sei mesi senza motivo...": a dirlo era Luca Palamara con l'amico Luigi Spina, membro dimissionario del Csm, in un'intercettazione agli atti dell'indagine della procura di Perugia. A riportarla è "La Nazione", collegando il riferimento al Pm Gemma Miliani, titolare del fascicolo con il collega Mario Formisano.
Secondo la ricostruzione del quotidiano, l'ex presidente dell'Anm, e già consigliere a Palazzo dei Marescialli, riteneva ci fosse stato un ritardo nell'iscrizione dopo la trasmissione degli atti dalla Procura di Roma. L'intercettazione si riferisce alla notte del 16 maggio 2019. La conversazione venne registrata dal trojan piazzato sul telefono. "M'ha detto una cazzata Alberto...", inveisce Palamara riferendosi probabilmente a una comunicazione di un collega che gli avrebbe fatto capire che l'indagine era stata archiviata. Spina - scrive ancora La Nazione - ribatte: "Non lo so, non ce l'hanno mandata... può essere pure che qualcuno che se ne sta per andare in pensione te la vuole far pagare ed intanto ti manda questa cosa... eh... e poi la richiesta di archiviazione".
La vicenda delle intercettazioni del Pm romano Luca Palamara, che ha già portato alle dimissioni dei vertici dell'Anm, continua ad agitare le acque anche della politica. Il senatore della Lega Matteo Salvini chiede infatti al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella di sciogliere il Csm. "Mi aspetto che colui che comanda il Csm, ovvero il presidente della Repubblica Mattarella, lo sciolga, perchè dopo quello che abbiamo letto, qualche dubbio che la giustizia sia uguale per tutti viene e dunque serve una rinomina con un'estrazione a sorte per tagliare il sistema di potere della magistratura e dare fiato ai tanti magistrati liberi". Lo afferma il leader della Lega Matteo Salvini che aggiunge: "Il Csm va azzerato, noi faremo una riforma della giustizia in nome del popolo italiano e non in nome di qualche corrente".
"Sono sorpreso. Io ho sempre scritto da solo i miei provvedimenti, anche quelli più complessi. Forse é anche possibile scriverli a più mani ma ciò dovrebbe risultare ufficialmente". Il sostituto procuratore generale di Bologna Valter Giovannini reagisce così alla pubblicazione, su 'La Verità', di conversazioni in chat agli atti dell'inchiesta della Procura di Perugia. Da questi dialoghi sembrerebbe che, nonostante l'estensore della sentenza disciplinare del Csm su Giovannini fosse Luca Palamara, un altro magistrato consigliere, Nicola Clivio, abbia contribuito alla redazione. "A questo punto - dice all'ANSA Giovannini, ex procuratore aggiunto - è urgente chiedere alla Procura di Perugia copia di tutte le chat che in qualche modo mi riguardano". Ieri il magistrato aveva annunciato l'intenzione di chiedere alla Procura umbra, attraverso il suo legale, se vi siano intercettazioni sulla sua vicenda disciplinare, per valutare di chiedere la revisione del procedimento. Giovannini è stato sanzionato con la censura da parte del Csm, confermata dalla Cassazione, per il caso di Vera Guidetti, farmacista di 62 anni che uccise la madre e poi si suicidò, qualche giorno dopo essere stata ascoltata dal pm, nel marzo 2015, come testimone in un'indagine su un furto di gioielli. La sezione disciplinare del Csm aveva condannato il magistrato per aver "trascurato" le garanzie difensive a tutela della donna e per avere così violato norme processuali.
Ma oggi sull'inchiesta di Perugia, dalla quale emergono queste intercettazioni di Palamara, intervengono anche l'ex presidente del Csm Gianni Legnini e l'ex ministro Giulia Bongiorno in due interviste separate. 
"Gran parte delle intercettazioni si riferiscono ad un periodo successivo. Quelle relative alla mia consiliatura riguardano chat e messaggi tra consiglieri e magistrati, che io non potevo conoscere. Sono sorpreso per certe espressioni. Personalmente ho sempre cercato di garantire il corretto funzionamento dell'organo, come era mio dovere fare, rifiutando qualunque logica spartitoria". Lo dice l'ex vicepresidente del Csm, Giovanni Legnini, in una intervista a 'La Repubblica' riguardo al terremoto che sta coinvolgendo la magistratura italiana in seguito alla pubblicazione delle intercettazioni dell'inchiesta di Perugia con al centro il pm romano, Luca Palamara. 
"Quello che ho letto finora mi fa tremare i polsi perché sono consapevole dell'enorme potere che ha un magistrato. Davanti allo scandalo, molti dicono che non si meravigliano della logica delle correnti. Io dico invece che è una logica intollerabile, che non attenua e non giustifica un bel nulla". Ad affermarlo, in una intervista a 'La Stampa', è la senatrice e avvocato della Lega, Giulia Bongiorno che sostiene come la separazione delle carriere dei magistrati possa essere la soluzione al problema. "La sola idea che un giudice possa assolvere o condannare per non scontentare un pubblico ministero, in quanto esponente di una corrente capace di influenzare la valutazione della carriera di quello stesso magistrato - spiega - mi fa paura. Più in generale tra i cittadini si sta diffondendo sfiducia nei giudici, se non diffidenza".
"Sembra che il Governo, le opposizioni, tutti i partiti, i magistrati e le loro associazioni, i mass-media scoprano oggi ciò che è noto da decenni: l'istituzionalizzazione delle correnti nella magistratura, tramite il voto di lista nelle elezioni del Csm. Noi radicali questo problema lo abbiamo sollevato da oltre 20 anni, infatti già nel 2000 abbiamo raccolto oltre 500.000 firme su un referendum popolare per l'abrogazione del voto di lista per la nomina dei membri togati del Csn. Se la politica ci avesse dato retta invece di tentare di usare le correnti della magistratura a proprio illusorio vantaggio, oggi saremmo un altro Paese". A dichiararlo sono Massimiliano Iervolino, Giulia Crivellini e Igor Boni, Segretario, Tesoriera e Presidente di Radicali Italiani che rilanciano la richiesta di separare le carriere dei magistrati.

sabato 1 giugno 2019

Luca Palamara, Filippo Facci e la verità sul "sottobosco delle nebbie": cosa c'è dietro la guerra tra le toghe. - Filippo Facci

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Ci sono dei magistrati che indagano su altri magistrati accusati di aver favorito o danneggiato altri magistrati, e per il resto, se arrivate in fondo a questo articolo, siete degli eroi. Già fatichiamo a render conto di forze politiche che bene o male conosciamo - addirittura votiamo - benché occupate dal personale più dilettantesco di sempre: figurarsi che cosa può impicciarvene, ora - meno che mai - di burocrati che nessuno o quasi conosce, gente autoriferita, non eletta, invischiata nella propria corporazione e abituata a cantasela, suonarsela e arrestarsela: la magistratura, ma quella di potere, quella correntizia e para-politica, quella al centro della cagnara impazzita che abbaia a margine della prossima elezione del procuratore capo di Roma.

Parliamo di un sottobosco che resta un porto delle nebbie (da sempre) e dove il controllo mediatico-sociale è ridotto al minimo, le opinioni si mischiano alle notizie - ieri lo spiegava bene Bruno Tinti, ex magistrato, su ItaliaOggi - e ci sono veline che diventano articoli, cordate di cronisti che pubblicano e contro-pubblicano per logiche di parte, notizie che starebbero in tre righe con presunti retroscena che ne occupano ottanta. Scusate l' introduzione, ma era necessaria.
Dopodiché le notizie, dicevamo, sono poche, anche se i cronisti, per ottenere spazio, cercano di convincere i capo-cronisti che a Roma stia succedendo di tutto, e che questo faccia parte di piani e complotti per favorire o sfavorire la nomina di tizio e di caio al vertice della Procura di Roma, ora che Roberto Pignatone è andato in pensione.
Una notizia l' abbiamo data ieri: Luca Palamara, magistrato, ex segretario dell' Associazione magistrati, ex Csm, leader della corrente Unità per la Costituzione, è indagato a Perugia per corruzione. Ci sono nuovi particolari. L' accusa indaga sui suoi rapporti con Fabrizio Centofanti (area Pd, arrestato e poi scarcerato nel febbraio 2018 per frode fiscale, capo delle relazioni istituzionali di Francesco Bellavista Caltagirone sino al 2012) il quale Centofanti avrebbe avuto, con Palamara, un rapporto disinvolto fatto di viaggi e di «regali galanti».

La perquisizione. La procura di Perugia indaga anche sui rapporti di Palamara e Centofanti con tal avvocato Piero Amara, un palermitano a sua volta coinvolto nelle indagini sulle sentenze comprate al Consiglio di Stato e su alcune inchieste depistate riguardanti l' Eni. Sono stati perquisiti l' abitazione e gli uffici di Palamara, l' abitazione del suo commercialista e anche quella di Adele Attisani, amica del magistrato. Altri avvisi di garanzia (tutti per concorso in corruzione) hanno raggiunto il citato Pietro Amara e il suo avvocato Giuseppe Calafiore, oltre, naturalmente, a Fabrizio Centofanti. Ora: nonostante tutti i giornali abbiano messo in relazione l' indagine su Palamara (eccetera) con valenze politico-dietrologiche legate a questa o quest' altra nomina romana, è venuto fuori che l' indagine di Perugia riguarda fatti che con la Capitale non c' entrano niente: l' obiettivo della corruzione sarebbe stato il danneggiare un ex pm di Siracusa, Marco Bisogni, già oggetto di vari esposti di Amara e Calafiore nonché di un procedimento disciplinare contro la cui archiviazione Palamara, da membro del Csm, si oppose, anzi, chiese l' incolpazione di Bisogni che poi fu assolto.

Pilotare nomine. Più in generale, Amara e Calafiore avrebbero corrotto Palamara affinché «mettesse a disposizione la sua funzione di membro del Csm, favorendo nomine di capi degli uffici cui erano interessati». A parte questo, ora tutti vogliono sapere di quali «viaggi galanti» stiamo parlando, vista l' ambiguità dell' espressione. In pratica, indagando su Fabrizio Centofanti nel dicembre scorso, sono saltati fuori quattro viaggi-weekend in Toscana, Sicilia, Ibiza e Dubai: alla presenza di Luca Palamara nonché di suoi familiari e conoscenti.
Ha pagato Centofanti, anche se Palamara - informalmente - nega, e dice che lui rimborsava tutte le spese, compresa, evidentemente, quella per un «anello non meglio individuato del valore di 2 mila euro in favore della sua amica Adele Attisani», indagata.
Palamara invece è indagato in realtà da dicembre, anche se l' iscrizione è saltata fuori adesso (a parte un articolo solitario del Fatto Quotidiano risalente al 27 dicembre scorso) perché le carte, intanto, sono arrivate in quel colabrodo che è il Csm. Ad arricchire c' è una notizia di ieri: la Procura di Perugia, nella sua indagine su Palamara, ha indagato anche il suo collega Stefano Rocco Fava (favoreggiamento e rivelazione del segreto di ufficio) oltre al consigliere del Csm Luigi Spina (stesse accuse). Fava, in pratica, avrebbe spifferato a Palamara che a Perugia lo stavano indagando, e poi l' avrebbe aiutato: questo «rispondendo alle plurime e incalzanti sollecitazioni» di Palamara e «specificandogli che gli accertamenti erano partiti dalle carte di credito dell' imprenditore Fabrizio Centofanti e si erano estesi alle verifiche dei pernottamenti negli alberghi». Il favoreggiamento, invece, sarebbe legato a un' altra indagine del 2016 su Palamara «in relazione a profili di mancata astensione dei predetti procuratori», e in cui Rocco Fava «aiutava Palamara ad eludere le investigazioni a suo carico».
complotti vari Vien da dire che le notizie finiscono qui - non che sia poco - anche se ad addensare le nebbie romane, sulla stampa, potreste trovare infinite altre «notizie» che si cerca di appiccicare allo sfondo della prossima nomina del procuratore capo di Roma, e, in particolare, a corredo di un presunto complotto per danneggiare il candidato Francesco Lo Voi (attuale procuratore capo di Palermo) e favorire invece Marcello Viola (attuale Procuratore Generale a Firenze). In realtà, tra chiacchiericci e vari esposti incrociati di tizio contro caio, e pettegolezzi sulle cene di sempronio e i conflitti d' interesse di altri ancora, nulla avvalora la tesi di nessun complotto. A parte Roma, che è un complotto di per sé.

sabato 30 giugno 2018

Giustizia, l’Anm incontra il ministro Bonafede: “D’accordo su riforma della prescrizione. Stop dopo il primo grado”.



Il presidente dell'Associazione nazionale magistrati alla fine del colloquio con il guardasigilli: "La riforma della prescrizione da sola non serve: bisogna intervenire anche sul codice di procedura penale con provvedimenti per accelerare i processi. Va introdotta anche la possibilità in appello di aumentare la pena per l’imputato".

La prescrizione bloccata dopo la sentenza di primo grado. E la nuova riforma delle intercettazioni prima rinviata e poi riscritta. Sono le due misure che il nuovo ministro della giustizia, Alfonso Bonafede, ha confermato di volere varare al più presto incontrando una delegazione dell’Associazione nazionale magistrati. Lo ha spiegato Francesco Minisci, il presidente del sindacato delle toghe, alla fine del colloquio con il guardasigilli. durato oltre un’ora. “Abbiamo fatto proposte per un sistema sempre più efficiente e per una magistratura sempre più credibile” fuori da “posizioni corporativistiche”, ha detto Minisci ai cronisti che lo attendeva fuori da via Arenula.
“Con il ministro – ha aggiunto Minisci – siamo d’accordo che occorre intervenire sulla prescrizione. E ci ha confermato che interverrà bloccando la riforma delle intercettazioni“. L’Anm ha proposto di fermare la prescrizione dopo la sentenza di primo grado. “Al ministro – continua il magistrato – abbiamo però detto che la riforma della prescrizione da sola non serve: bisogna intervenire anche sul codice di procedura penale con provvedimenti per accelerare i processi. Va introdotta anche la possibilità in appello di aumentare la pena per l’imputato” e bisogna intervenire sulle notifiche “perché è inammissibile che nell’epoca di internet si proceda ancora con il metodo del camminamento“. Ma non basta: l’altro nodo da affrontare è la carenza di personale amministrativo. “Mancano 8mila unità: 1862 persone hanno superato il concorso ma non sono stati ancora chiamati. Basterebbe far scorrere la graduatoria per dare un pò di respiro”, ha detto il presidente dell’Anm.
E anche a proposito dell’annuncio fatto ieri dal guardasigilli di una legge per impedire che i giudici possano tornare in magistratura dopo un’esperienza in politica, Minisci si è detto favorevole: “Da circa un anno abbiamo detto che il magistrato che fa politica non può tornare a indossare la toga: deve essere destinato a funzioni amministrative al ministero della Giustizia, tecniche e non apicali”. Un intervento necessario – spega il numero uno dell’Anm – “perché il cittadino non deve avere dubbi sull’imparzialità del magistrato”. E che deve prevedere “regole predeterminate, valide per tutti , per garantire trasparenza e correttezza”.
Negativa, invece, l’opinione dell’Associazione nazionale magistrati sulla riforma della legittima difesa: “Non si può prescindere dalla proporzionalità tra difesa e offesa , così come non possiamo prescindere dalla valutazione del giudice sul singolo fatto, dal suo libero convincimento senza automatismi”. L’argomento, però, non è stato trattato durante l’incontro. Ma sul punto il sindacato delle toghe ha le idee chiare. “Bisogna anche evitare la possibilità di un accesso facile all’acquisto di armi – dice Minisci occorre una valutazione rigorosa dei requisiti soggettivi di chi compra un’arma”.

sabato 23 aprile 2016

Davigo: "La classe dirigente che delinque fa più danni dei ladri".



Il presidente dell'Anm rincara la dose e da Pisa attacca: "Dire che i magistrati devono parlare solo con le loro sentenze equivale a dire che devono stare zitti". Critico Legnini (Csm): "Così si alimenta il conflitto con le istituzioni." 
Roma, 22 aprile 2016 - La classe dirigente italiana "quando delinque fa più danni di un qualunque delinqunte". Parole come pietre che arrivano dal presidente dell'Anm Piercamillo Davigo, mentre interviene all'università di Pisa a un convegno organizzato dal Master in analisi, prevenzione e contrasto della criminalità organizzata e della corruzione. E si schiera con forza in difesa dei magistrati: "Dire che i magistrati devono parlare solo con le loro sentenze equivale a dire che devono stare zitti". Era stato il premier Matteo Renzi a rivolgersi più volte alla magistratura, anche dopo l'inchiesta sul petrolio in Basilicata, esortando i giudici "a fare veloci", a "parlare con le sentenze". Oggi Davigo da Pisa commenta: "Le avete mai lette le sentenze?". E a proposito del protagonismo dei magistrati aggiunge: "Sui giornali di provincia qualche volta c'è il pescatore che ha pescato un luccio enorme. Io dico: è il pescatore affetto da protagonismo o è il luccio che è enorme?". Affermazione che nel corso della giornata diventano un caso, e che vengono criticate dal presidente del Csm Giovanni Legnini.

L'ATTACCO - Questa mattina dalle pagine del Corriere della Sera il magistrato sferzava un duro attacco alla classe dirigente italiana, colpevole, diceva nell'intervista, di continuare a "rubare" anche dopo Mani Pulite: "ma non si vergognano più", diceva. Oggi rincara la dose da Pisa: "La classe dirigente di questo paese quando delinque - dice Davigo - fa un numero di vittime incomparabilmente più elevato di qualunque delinquente da strada e fa danni più gravi". Davigo aggiunge: "Rubano tutti? No, mi fa arrabbiare questa cosa, rubano molti. Non tutti. Altrimenti non avrebbe senso fare i processi".                                                        
E a proposito della diffusione della corruzione, continua: "Per un paio di decenni l'attività di questo paese non è stata quella di contrastare la corruzione ma i processi sulla corruzione. Questo è stato un messaggio fortissimo". Ancora: "Dobbiamo avere regole che aiutano a comportarsi bene, se abbiamo regole che prevedono misure premiali per gli imputati che collaborano". Il presidente dell'Anm ha ricordato che secondo gli indici internazionali di percezione sulla corruzione "l'Italia è, a parte la Bulgaria, uno dei paesi più corrotti d'Europa". "Tutti devono rispettare la legge persino quelli che le fanno: la caratteristica dello stato di diritto è che la legge vincola tutti - ha sottolineato -. E poi la separazione dei poteri che, ci si dimentica sempre, ma serve a garantire la libertà". "La corruzione è un reato particolarmente segreto, occulto, non si fa davanti a testimoni, è noto solo a corrotti e corruttori - ha concluso il magistrato, negli anni Novanta membro del pool di Mani Pulite -, non viene quasi mai denunciato. E' un reato a cifra nera. E' un reato seriale, per questo è un errore trattarli come casi singoli, ed è anche un reato diffusivo: si cerca di coinvolgere altri soggetti".                                                                                
LEGNINI: NO CONFLITTI - Le parole del magistrato diventano un caso e a stretto giro arriva la condanna da parte di Giovanni Legnini, vicepresidente del Consiglio Superiore della magistratura (Csm). "Le dichiarazioni del Presidente Davigo rischiano di alimentare un conflitto di cui la magistratura e il Paese non hanno alcun bisogno, tanto più - spiega in una nota - nella difficile fase che viviamo nella quale si sta tentando di ottenere, con il dialogo ed il confronto a volte anche critico, riforme, personale e mezzi per vincere la battaglia di una giustizia efficiente e rigorosa, a partire dalla lotta alla corruzione e al malaffare". Critica le dure parole di Davigo anche Luciano Violante, ex presidente della Camera ed ex magistrato. "Chi ha la responsabilità di una prestigiosa associazione come l'Anm deve dimostrare più senso della misura, più rispetto delle istituzioni e più prudenza quando parla", dice intervistato da Affaritaliani.it. "Io conosco bene Davigo - continua -, lo stimo come magistrato, ma credo che abbia fatto un errore molto grave".                                      
Anche il procuratore capo di Catanzaro Nicola Gratteri ospite di Lilli Gruber a Otto e mezzo su La7 non appoggia le affermazioni  dell'ex pm di Mani Pulite e commenta: "Davigo è una persona intelligente, preparata e brillante ma penso che abbia sbagliato a generalizzare, bisogna sempre entrare nello specifico. Se si dice che “sono tutti ladri”, facciamo il gioco dei ladri". Parole a cui Davigo, poco dopo, risponde in una nota: "Mi spiace che alle mie dichiarazioni sia stato attribuito un significato diverso da quello che hanno. Non ho mai inteso riferirmi ai politici in generale ma ai fatti di cui mi sono occupato e a quelli che successivamente ho appreso essere stati commessi". Ancora: "Non ho mai pensato che tutti i politici rubino, anche perché ho più volte precisato - ha aggiunto l'ex pm di Mani Pulite - che se cosi' fosse non avrebbe senso fare processi che servono proprio a distinguere".

http://www.quotidiano.net/davigo-anm-1.2087750

Concordo pienamente con il pensiero di Davigo. E Violante farebbe meglio a star zitto, ricordiamo ancora con disgusto le sue parole circa le reti tv di Berlusconi.

sabato 24 ottobre 2015

Il piede sull'Anm - Liliana Milella

Anm: "Contro di noi strategia di delegittimazione". Tensione fra politica e magistratura
Il presidente dell'Anm, Rodolfo Sabelli

La politica contro i giudici. 
Li vorrebbero muti, ciechi, sordi. 
Elettroencefalogramma piatto. 
Nessuna reazione. 
Nessuna disobbedienza. 
Solo e sempre "sissignore". 
Bari, Anm a congresso. 
Il presidente Sabelli, magistrato moderato di Unicost, anche caratterialmente un uomo misurato e attento agli equilibri istituzionali, ripete quello che ha sempre detto, critiche tecniche alle misure del governo (vedi corruzione, intercettazioni, prescrizione...). Aggiunge che mal vede certa "strategia dì delegittimazione" che proviene, per esempio, da chi, come Cantone, parla male delle correnti e della stessa Anm. La politica non aspettava altro. Attacca Sabelli come se avesse di fronte un giudice rosso rivoluzionario e guerrafondaio. Il Guardasigilli è velenoso e vede nelle parole di Sabelli un modo per coprire le divisioni interne dell'Anm. Il ministro dell'Interno Alfano, immemore degli scandali che hanno pesantemente coinvolto molta gente del suo partito, consiglia all'Anm di guardare in casa propria, allo scandalo della Saguto a Palermo. S'arrabbia pure il Pd renziano David Ermini, vede "critiche ingenerose". La triste impressione è che una politica arrogante voglia solo toghe prone e pronte a dire "evviva" a qualsiasi riforma, fatte anche in modo provocatorio, come fu per il taglio delle ferie.

http://milella.blogautore.repubblica.it/2015/10/24/il-piede-sullanm/

Giustizia, Anm: “Governo più attento alle intercettazioni che alla mafia. Strategia di delegittimazione verso i giudici”.

Giustizia, Anm: “Governo più attento alle intercettazioni che alla mafia. Strategia di delegittimazione verso i giudici”

Nella relazione annuale davanti al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, il presidente dell'Associazione Nazionale Magistrati, Rodolfo Sabelli, critica l'azione del governo. I magistrati puntano il dito anche contro la riforma della responsabilità civile: "Discutibile nel merito, nel metodo e nei tempi" e "ha preceduto perfino quelle – tuttora irrealizzate – del processo e dell’organizzazione". Ermini, responsabile Giustizia del Pd: "Frasi ingenerose".

Più attenzione sulle intercettazioni che sulla mafia. “Timidezza” nel contrasto all’evasione fiscale. “Consapevole strategia di delegittimazione” della magistratura. Politica e giustizia “subordinate al potere economico”. Nella relazione annuale davanti al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, il presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati,Rodolfo Sabelli, punta il dito contro l’azione del governo Renzi in materia di giustizia.
Il primo affondo arriva nelle prime righe. “I temi economici vanno ricondotti all’alveo delle decisioni politiche – dice Sabelli al congresso del sindacato dei magistrati- va dunque respinta l’idea strisciante che a minori garanzie e a minori controlli possa corrispondere una maggiore crescita, come se il problema consistesse nella regola e non piuttosto nella sua violazione. L’approdo di una tale impostazione sarebbe la subordinazione della politica e della giurisdizione al potere economico“. Difficile non leggere nelle parole del presidente dell’Anm un riferimento alla norma, contenuta nella legge di Stabilità, che consente i pagamenti fino a 3.000 euro in contanti, presentata dall’esecutivo come uno strumento per favorire la crescita. E una risposta alla posizione del governo, secondo cui – come ha detto il premier Matteo Renzi – “il limite del contante non aiuta l’evasione, né la combatte”.
Al contempo il governo fa poco per combattere la corruzione e la penetrazione delle organizzazioni criminali nella P.A.. “C’è una “timidezza nella disciplina dei mezzi di contrasto al fenomeno della corruzione (…) condotte che spesso si uniscono a fenomeni di criminalità organizzata e per mezzo delle quali realtà mafiose si insinuano nel tessuto della pubblica amministrazione impongono maggiore determinazione e richiedono più penetranti strumenti di indagine e di prova”. Una timidezza, continua Sabelli, che risulta “incoerente” con la scelta di aumentare le sanzioni per alcuni reati comuni, che sa invece di “cedimento a superficiali appetiti giustizialisti“.
Il secondo j’accuse Sabelli lo lancia contro la riforma della responsabilità civile dei magistrati realizzata dal governo prima di quella del processo, ritenuta dai giudici prioritaria. Tra politica e magistratura “oggi si sviluppano tensioni nuove o si riaccendono altre antiche e mai davvero sopite, che alimentano delegittimazione e sfiducia nel sistema giudiziario – affonda il presidente dell’Anm – il terreno sul quale sono state realizzate riforme relative al trattamento giuridico della magistratura, discutibili nel merito, nel metodo e nei tempi, che hanno preceduto perfino quelli delle riforme – tuttora irrealizzate – del processo e dell’organizzazione; sul quale è intervenuta la nuova legge sulla responsabilità civile, che appare condizionata da ragioni estranee alle finalità risarcitorie che le sono proprie; sul quale avanzano proposte di nuovi illeciti disciplinari, incoerenti con l’attuale sistema di fattispecie tipiche; sul quale si muovono disegni di riforma processuale che riflettono sulla responsabilità del magistrato le carenze dell’organizzazione e l’inadeguatezza delle regole. Tutti aspetti troppo delicati, perché siano fatti materia di scontro e oggetto di riforme affrettate“.
“Le riforme operate sullo stato giuridico di una categoria già sofferente per il peso dei carichi di lavoro, delle crescenti responsabilità e della carenza di risorse, unite a demagogiche semplificazioni – ha detto ancora Sabelli – hanno aggravato il diffuso malcontento dei colleghi e rischiato di incoraggiare istanze e reazioni di stampo corporativo”. I giudici sono “consci dei pericoli che potrebbero venire dall’immagine, facile e falsa, di un’associazione raffigurata come espressione di una corporazione rivendicativa, tutta volta alla difesa dei propri privilegi, immagine purtroppo sostenuta e rilanciata da più parti, in una consapevole strategia di delegittimazione“.
Concentrandosi sui temi relativi all’organizzazione e alle procedure interne alla sfera giudiziaria, il governo ha tralasciato di intervenire in aree che toccani più da vicino la vita dei cittadini. Il tema delle intercettazioni, ad esempio, “ha finito con l’assumere una centralità che risulta persino maggiore dell’attenzione dedicata ai problemi strutturali del processo e a fenomeni criminali endemici” come la mafia. Tutto questo avvienne nonostante una criminalità organizzata “diffusa ormai in ogni ambito e le forme di pesante devianza infiltrate nel settore pubblico e dell’economia“.
Sabelli ha anche lamentato la disorganicità degli interventi nella materia penale e chiesto misure per l’efficienza. Ma anche maggiore attenzione ai temi civili: “Le persistenti lacune legislative in materie delicate quali i rapporti di convivenza e il fine vita, oggetto di casi giudiziari anche drammatici, vedono il giudice affrontare ancora, da anni, un impegno difficile e solitario, a fronte di una richiesta di giustizia che viene da una società in continua evoluzione“.
La replica del Partito Democratico è affidata a Davide Ermini: “Bisogna fare attenzione a non fare confusione. Fino ad oggi né il governo né il parlamento hanno messo mano al sistema delle intercettazioni – afferma il responsabile Giustizia dei dem – per questo alcune frasi sulla ‘politica non attenta’ ci appaiono ingenerose“. “Non è stata toccata nessuna delle attuali competenze degli organi inquirenti o di quelli giudicanti. Ci siamo preoccupati solo dell’aspetto legato alla pubblicità delle intercettazioni”, ha detto ancora Ermini.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/10/23/giustizia-anm-da-governo-piu-attenzione-alle-intercettazioni-che-alla-mafia-strategia-di-delegittimazione-verso-i-giudici/2153974/

Questa, assieme alle altre, è la prova che il governo vuole agevolare la parte malata del paese e intralciare l'unica Istituzione che garantisce la legalità. 
Mi sembra di rivivere il deprecato periodo berlusconiano.

Infine: se adesso si sono limitati ad impedire che le intercettazioni vengano pubblicate, e mi risulta incomprensibile accettarlo, quanto tempo pensate che passerà prima che ne impediscano del tutto l'uso?

Cetta

martedì 17 marzo 2015

Grandi opere, Anm: schiaffi ai giudici Renzi replica: frasi false e tristi.

Grandi opere, Anm: schiaffi ai giudici
Renzi replica: frasi false e tristi


Rodolfo Sabelli critica pesantemente una serie di interventi legislativi che favorirebbero la corruzione, dalla "depenalizzazione del falso in bilancio alla riduzione della prescrizione". Dura risposta del premier.


"Uno Stato che funzioni dovrebbe prendere a schiaffi i corrotti e accarezzare chi esercita il controllo di legalità. In Italia accade il contrario". 
Così il presidente dell'Associazione nazionale dei magistrati Rodolfo Sabelli commenta l'inchiesta di Firenze sulle tangenti sulle Grandi opere. "I pm sono stati virtualmente schiaffeggiati e i corrotti accarezzati", afferma Sabelli. Dura la replica di Renzi: frasi false e tristi.
Il numero uno dell'Anm si riferisce a una serie di interventi legislativi che avrebbero favorito i corrotti, a cominciare dall'epoca di Tangentopoli, per arrivare nel 2002 "alla depenalizzazione del falso in bilancio e nel 2005 alla riduzione della prescrizione". Sabelli conclude quindi: "Chi semina vento raccoglie tempesta". E chiede a "chi ha responsabilità della cosa pubblica" di dare "il buon esempio" perché nel Paese possa "diffondersi la cultura della legalità".

Dura replica del premier Renzi - "Questo governo intende combattere perché in questo Paese non si formi uno stato di polizia ma di pulizia". Così Matteo Renzi alla Scuola superiore di polizia, spiegando che il ruolo dell'Anticorruzione è quello di "eliminare la sporcizia". Ha poi replicato alle accuse dell'Anm: "Lo Stato non dà schiaffi a magistrati e carezze ai corrotti. Sostenere questo è falso e triste". E ha esortato: "Non abbiate paura dell'appartenenza allo Stato".

sabato 13 aprile 2013

Giustizia, l’Anm attacca i “saggi”: “Proposte insoddisfacenti e conservatrici”.


Rodolfo Sabelli


Il presidente Sabelli critica le proposte finali in fatto di intercettazioni telefoniche e controllo politico del Csm: "Sembra più una riforma del giudice". E lamenta la mancanza di "ricette" in tema di mafia, corruzione, falso in bilancio. A Ingroia dice: "Aosta non è una punizione".

L’Associazione nazionale magistrati attacca i “saggi” voluti da Napolitano: ”Con rammarico” l’Anm ritiene le proposte dei saggi in materia di riforma della giustizia “fortemente insoddisfacenti”. Lo ha detto il presidente Rodolfo Sabelli in apertura della riunione del parlamentino dell’Associazione. “Ci sembrano proposte di ispirazione sostanzialmente conservatrice”, ha spiegato. Le proposte, sottolinea Sabelli”, sembrano mirate sulla riforma del giudice e non della giustizia“.
Sabelli ripropone ai saggi molte delle critiche rivolte ai governi Berlusconi e Monti in tema di tangenti e mafia. Il presidente dell’Associazione magistrati lamenta infatti “scarsa attenzione ai temi del contrasto alla criminalità organizzata e alla corruzione. Non si parla di voto di scambio, di falso in bilancio né di autoriciclaggio e non si affronta neanche il tema della prescrizione, tranne nelle note di Valerio Onida“. Quanto al tema delle intercettazioni “si sottolinea solo la necessità di modificarne i presupposti”, osserva ancora Sabelli, che ricorda poi le indicazioni contenute nelle riforme sul lavoro dei pubblici ministeri che “evocano precedenti già definiti fortemente negativi per la limitazione alla capacità di acquisire notizie di reato“.
Sabelli esprime quindi “forti perplessità sull’alta Corte di giustizia, sia pure di secondo grado”, in riferimento all’organismo a nomina in maggioranza politica pensato per intervenire sulle decisioni del Csm in materia di provvedimenti disciplinari contro i magistrati. “Non si fa cenno su questo al pericolo di interferenza per l’esercizio della funzione giudiziaria e si dimenticano le differenze tra le magistrature”. 
Non è mancato un riferimento al caso Ingroia, dopo l’intervento del Csm che ha stoppato un possibile incarico del magistrato sceso in politica presso la Regione Sicilia. ”Aosta non è una punizione”, ha sottolineato Sabelli rispondendo a una domanda sull’assegnazione, disposta dal Csm, di una sede giudiziaria per Antonio Ingroia, al ritorno dall’aspettativa per motivi elettorali. “Ci sono realtà serie ed importanti anche ad Aosta: si lavora e non è certo un posto dove andare a riposare”.

giovedì 13 settembre 2012

Caselli: Su quel palco c’ero anch’io, Sabelli sopra le righe. - Gian Carlo Caselli



C’ero anch’io, alla festa del “Fatto” di Marina di Pietrasanta, domenica scorsa. E non fra le seimila persone assiepate sotto e intorno al palco. Proprio sul palco. Insieme con Antonio Ingroia, Nino Di Matteo, Marco Travaglio e Marco Lillo. Per assistere e partecipare – dall’inizio alla fine – all’iniziativa organizzata in occasione della consegna di oltre 150 mila firme di cittadini raccolte dal “Fatto” per solidarietà verso i magistrati della Procura di Palermo. Posso quindi dire – serenamente – che le reazioni del collega Rodolfo Sabelli, presidente dell’Associazione nazionale magistrati (Anm), mi sono sembrate decisamente sopra le righe. 

Sostiene Sabelli che la legittimazione della magistratura si fonda sulla fiducia e non sulla ricerca del consenso della piazza. Vero. Ma a Marina di Pietrasanta i magistrati di Palermo si sono limitati a prendere atto che un numero enorme di cittadini voleva esprimere loro proprio e solo fiducia. Fiducia per il lavoro di complessità assolutamente eccezionale che essi stanno svolgendo. Con un coraggio intellettuale non comune, essendosi inoltrati consapevolmente – guidati soltanto dall’interesse generale all’osservanza della legge – nel labirinto vischioso rubricato alla voce delle “trattative” fra Stato e mafia che si sarebbero variamente intrecciate, persino dandovi causa, con le stragi del 1992 / 93. Un labirinto nel quale si intravvedono o si intuiscono – oltre ad interessi propriamente criminali – altri interessi, non meno oscuri e torbidi. 

L’idea di raccogliere le firme è stata di Margherita Siciliano, una signora di Collegno, lettrice del “Fatto”, apparsa poi (anche lei era sul palco) piuttosto timida. Nulla che evochi piazze esagitate. Semplicemente un’iniziativa autenticamente popolare e spontanea, non richiesta né sollecitata in alcun modo dai magistrati. Un’iniziativa che il capo del Sindacato della magistratura dovrebbe apprezzare, anche perché ha determinato una valanga di adesioni (ben oltre ogni più ottimistica previsione) che rappresentano una formidabile manifestazione di fiducia verso la categoria. Esattamente quello che Sabelli chiede e che si inserisce nella situazione di difficoltà e di isolamento dei colleghi palermitani come una preziosa boccata d’ossigeno. 

Questa situazione di isolamento è stata denunziata soprattutto da Nino Di Matteo, che ha anche lamentato il silenzio assordante dell’Anm. Bè, dal capo dell’Anm mi sarei aspettato un contraddittorio basato sull’analitico e scrupoloso elenco degli interventi svolti a sostegno della Procura di Palermo, da tempo nell’occhio del ciclone di polemiche spesso pretestuose. Invece nulla di simile. Anzi, una stizzita presa di posizione che si è risolta in una serie di bacchettate su vari versanti: dall’accusa di sovraesposizione a quella di comportamenti oggettivamente politici che rischiano di offuscare l’imparzialità, soprattutto se si è titolari di inchieste che si prestano a strumentalizzazioni. Accuse che la magistratura palermitana (e non solo) sente ripetere da tempo e che possono facilmente essere contrastate dalla constatazione che non è la magistratura a essersi inventata i rapporti fra mafia e politica. Essi sono realtà della storia di ieri e di oggi del nostro Paese, e Ingroia – parlandone – non fa politica ma storia, peraltro senza mai entrare nel merito delle inchieste, ma proprio al fine di contrastare le strumentalizzazioni che giustamente preoccupano Sabelli. Il quale ha anche sostenuto che i magistrati presenti sul palco avrebbero dovuto dissociarsi, magari alzandosi e andandosene, da alcune considerazioni espresse nei confronti del presidente Napolitano. 

Senonché, dopo la consegna delle firme, l’iniziativa è proseguita non con un confronto-dibattito ma con l’esposizione di vari contributi autonomi. Difficile condividere la tesi che vi sarebbero responsabilità in caso di mancata esplicita dissociazione quando uno dei partecipanti all’iniziativa esponga sue opinioni su argomenti obiettivamente controversi. Fino a pretendere una qualche forma di dissenso plateale, quasi si trattasse di un talk-show qualunque. Credo che in questo modo si finisca per fare, involontariamente, un torto allo stesso presidente Napolitano. Perché non siamo più ai tempi (1852) del consigliere di cassazione Ignazio Costa della Torre, condannato ad una pesante sanzione (poi condonata in parte) perché in un opuscolo in difesa del privilegio della giurisdizione ecclesiastica aveva sostenuto, offendendo la persona sacra ed inviolabile del Re, che un ministro gli aveva posto in bocca il discorso della corona. Dallo Statuto Albertino siamo passati alla Costituzione repubblicana. Che impone ai magistrati, come a tutti i cittadini italiani, di rispettare l’istituzione Capo dello Stato, ma non impedisce di discutere – ad esempio – sull’opportunità o meno di sollevare il noto conflitto avanti alla Consulta. 


http://temi.repubblica.it/micromega-online/caselli-su-quel-palco-c%E2%80%99ero-anch%E2%80%99io-sabelli-sopra-le-righe/

mercoledì 12 settembre 2012

Manuale del perfetto pm. - Marco Travaglio. 12/09/2012




Breve decalogo del perfetto magistrato imparziale, indipendente, inodore e insapore nell’era delle Larghissime Intese. 

1. Se il Presidente della Repubblica parla al telefono con un politico coinvolto in un’indagine e intercettato, è colpa del pm che l’ha intercettato. Se uno critica il Presidente della Repubblica per quei colloqui, è sempre colpa del pm che li ha intercettati. 

2. Se un pm spiega le collusioni della classe dirigente col potere mafioso e invita i cittadini a cambiarla, dipende da dove lo fa: alle feste del Pd o sull’Unità va bene, perché dietro c’è un partito di governo; al congresso del Pdci no, perché il partito non è di governo; peggio ancora alla festa del Fatto , che non ha dietro partiti, ma 150 mila firme (troppe: “populismo giudiziario”).

3. Se in un convegno qualcuno, dal palco o dal pubblico, critica il Capo dello Stato, i magistrati presenti devono nell’ordine: fare la faccia contrariata storcendo naso e bocca; chiedere la parola e dissociarsi; andarsene bofonchiando; chiamare la Celere per disperdere con gl’idranti la radunata sediziosa; avvertire il dottor Sabelli in vista dell’agognata medaglietta dell’Anm. La regola vale solo per chi indaga sulla trattativa Stato-mafia: infatti Caselli, presente alla festa del Fatto con Ingroia e Di Matteo, non ha nemmeno avuto l’onore di una citazione dal dr. Sabelli. 

4. Nuovo articolo 104 della Costituzione: “La magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere, fuorché dal Quirinale”. Ergo il Csm deve aprire pratiche a loro tutela, tranne quando ad attaccarli è il Quirinale. 

5. L’Anm, sindacato dei magistrati, deve difenderli dagli attacchi, però dipende dall’attaccante e dall’attaccato: se l’attaccato indaga su B. o Dell’Utri, va difeso a prescindere dall’attaccante; se si occupa anche del centrosinistra, tipo Forleo e De Magistris, non va difeso a prescindere dall’attaccante; se si occupa anche del centrosinistra e dà noia al Colle, va attaccato anche dall’Anm. 

6. L’Anm difende da sempre il diritto dei suoi iscritti a esprimere opinioni in tema di giustizia e lotta alla criminalità, anche in caso di azioni disciplinari. Ma anche qui dipende: se le opinioni sono di un pm che indaga sulla trattativa, il dr. Sabelli lo accusa di “appannare la sua immagine di imparzialità”, additandolo ai titolari dell’azione disciplinare, casomai si fossero distratti un attimo. 

7. Il Pg della Cassazione, con il Guardasigilli, è titolare dell’azione disciplinare contro i magistrati. Fra gli illeciti disciplinari non figurano interviste e dichiarazioni, salvo che contengano segreti su indagini in corso. Però dipende: se l’intervista senza segreti la dà un pm che indaga sulla trattativa, il Pg il procedimento lo apre lo stesso: a lui e al suo procuratore capo che non l’ha denunciato. 

8. Un Pg che, su richiesta di un politico coinvolto in un’indagine, si fa chiamare “guagliò” e si mette “a sua disposizione”, parrebbe – per dirla col dr. Sabelli – “appannare la sua immagine di imparzialità”. Ma se si chiama Esposito e parla con un protetto di Napolitano, il dr. Sabelli si volta dall’altra parte. 

9. Un Pg che convoca il procuratore nazionale antimafia perché soddisfi le pressioni del politico raccomandato e interferisca nell’indagine che lo coinvolge con avocazioni o strani “coordinamenti”, e per giunta viene respinto con perdite, parrebbe – sempre per dirla con il dr. Sabelli – “appannare la sua immagine di imparzialità”. Ma se si chiama Ciani e agisce su mandato del presidente della Repubblica, il dr. Sabelli si volta dall’altra parte. 

10. In casi come quelli di cui ai numeri 8 e 9, di solito intervengono i titolari dell’azione disciplinare. Invece nei due casi suddetti non interviene nessuno. Non il ministro della Giustizia, perché è meglio di no. Non il Pg della Cassazione, perché ai tempi di Esposito era Esposito e ora, ai tempi di Ciani, è Ciani. Dovrebbero processarsi da soli, e come si fa.

Da Il Fatto Quotidiano del 12/09/2012.

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lunedì 10 settembre 2012

L’Anm a Ingroia: “Basta politica”. La replica: “Rivendico la mia analisi”.


pm palermo raccolta firme interna

Il presidente dell'Associazione nazionale magistrati durissimo con il procuratore aggiunto di Palermo: "Chi fa indagini delicate non deve offuscare l'immagine di imparzialità". E sul dissenso nei confronti del Capo dello Stato "lui e Di Matteo avrebbero dovuto dissociarsi e allontanarsi". Il pm: "Era una valutazione storica e sociologica".


L’accusa di fare politica, a questo giro, arriva non da un peana del Pdl, ma dal sindacato dei magistrati, l’Associazione Nazionale Magistrati. E’ il massimo esponente dell’Anm, il presidente Rodolfo Sabelli, a lanciarsi contro il procuratore aggiunto di Palermo Antonio Ingroia e al suo collega Nino Di Matteo, entrambi componenti del pool che ha indagato sulla presunta trattativa Stato-mafia, presenti ieri alla giornata finale della festa del Fatto Quotidiano. Colpevole, il primo, di aver invitato i cittadini a cambiare la classe dirigente. Colpevole, il secondo, di aver lamentato l’assenza dell’Anm quando i magistrati palermitani venivano attaccati da più fronti. Colpevoli, entrambi, infine, di non essersi dissociati dalle critiche al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. A Sabelli ha già risposto Ingroia, rivendicando la propria analisi sull’atteggiamento della politica nei confronti della lotta alla criminalità organizzata e precisando che lui e Di Matteo, sui giudizi negativi nei confronti dell’inquilino del Quirinale non hanno mostrato la minima approvazione e che ognuno si prende la responsabilità di quello che dice. Peraltro resta che l’appunto mosso da Sabelli a Ingroia e a Di Matteo non coinvolge il procuratore capo di Torino Giancarlo Caselli, che pure era presente e pure aveva partecipato allo stesso dibattito.
Sabelli: “Non offuscare l’immagine di imparzialità”. Il presidente dell’Anm ne fa un problema di immagine, insomma: “Tutti i magistrati, e soprattutto quelli che svolgono indagini delicatissime devono astenersi da comportamenti che possono offuscare la loro immagine di imparzialità, cioè da comportamenti politici”. E con il suo invito a cambiare la classe dirigente del Paese, invece, “Ingroia si è spinto a fare un’affermazione che ha oggettivamente un contenuto politico”; con il rischio così di “appannare” la sua immagine di “imparzialità”. 
Poi la mancata reazione alle critiche al Colle, cioè alla “manifestazione plateale di dissenso nei confronti del capo dello Stato”: “In una situazione così – dichiara Sabelli – un magistrato deve dissociarsi e allontanarsi”, aggiunge Sabelli, che invita tutti i magistrati “a evitare sovraesposizioni” e a “non mostrarsi sensibili al consenso della piazza”. 
Sabelli rifiuta poi la ricostruzione fatta da Di Matteo secondo il quale era stato “assordante” il silenzio dell’Anm e del Csm sugli attacchi ricevuti dai magistrati che conducono l’indagine. ”Non ho difficoltà – prosegue Sabelli – a ribadire la difesa e a manifestare il sostegno ai pm di Palermo. Ma questa non è una novità: l’Anm tutta , la giunta e io ripetutamente abbiamo manifestato solidarietà; non capisco come si possa parlare di mancato sostegno”. 
Ingroia: “Rivendico la mia analisi”. Ma Antonio Ingroia insiste ancora oggi nella sua tesi e corregge Sabelli. “Rivendico la mia analisi storica e sociologica del fenomeno mafioso: il collega Sabelli non conosce il contenuto della mia intervista e si è fidato di una frase estrapolata”. ”Io ho fatto – continua Ingroia – un intervento, sul rapporto tra potere mafioso e politica e ho parlato di un certo modo di essere della classe dirigente che, invece di attuare una politica di annullamento, ha attuato una politica di contenimento della mafia e ho detto che per recidere i legami tra Cosa nostra e certa classe politica occorre rinnovare la classe politica. La mia era una valutazione storica e sociologica che rivendico”. 
Così il procuratore aggiunto siciliano precisa che “il discorso riguardante il cambiamento della classe dirigente va inquadrato in un contesto piu’ ampio, in cui parlavo della necessita’ di recidere i legami dello Stato italiano con la mafia dall’Unità ad oggi. In questo senso ho detto che va cambiata la classe dirigente”. 
Quanto alla mancata presa di distanza dalle critiche del Presidente della Repubblica Ingroia ha detto: “In un dibattito ognuno si assume la responsabilità personale delle proprie opinioni. Se si partecipa a un dibattito a più voci ciascuno dice quello che pensa e ne risponde. Nella cronaca cui si riferisce Sabelli è scritto che io e il collega Di Matteo siamo rimasti impassibili, non approvandole in alcun modo”. “Nè io nè i colleghi abbiamo espresso ieri critiche nei confronti del Capo dello Stato – ribadisce – Secondo me sono polemiche fuori luogo. Come in ogni dibattimento ciascuno è responsabile delle proprie opinioni, ma noi siamo rimasti impassibili”.
Il pm aveva detto: “Dovete cambiare la classe dirigente”. Sulla stagione delle stragi mafiose “non è ancora emersa tutta la verità”, aveva detto il magistrato palermitano, ma “a queste condizioni questo è il massimo risultato possibile”. E secondo il pm “queste condizioni” difficilmente potranno cambiare “con questo parlamento che ha approvato leggi ad personam e che è responsabile del disastro legislativo in cui ci siamo trovati”. Da qui un invito – applauditissimo – ai lettori del Fatto Quotidiano, che affollavano (solo posti in piedi) la platea a Marina di Pietrasanta: “Dovete cambiare la classe dirigente e questo ceto politico. Si deve voltare pagina”.
Ingroia incassa anche la difesa da parte della presidente dell’Associazione tra i familiari delle vittime della strage di via dei Georgofili, Giovanna Maggiani Chelli. ”Non crediamo affatto – spiega in una nota – che il pm Antonio Ingroia abbia ‘bestemmiato’ chiedendo ai cittadini di cambiare questa classe politica che non ha versato una sola lacrima sincera per bambini e ragazzi ammazzati al posto di uomini politici”. 
Secondo la presidente “l’Anm avrà le sue buone ragioni” a rimproverare il pm Ingroia, “ma noi abbiamo le nostre” a volere “la verità ad ogni costo, anche cambiando questa classe politica che vuole gettare la verità sulle stragi del 1993 alle ortiche, perché troppo compromettente per tutti”. “Possibile che ogni giorno ci sia un buon motivo per farci pensare che la verità sulle stragi del 1993 non la voglia nessuno?”, si chiede Maggiani Chelli che si dice convinta che “la strage del 27 maggio 1993 è molto più di un ragionevole dubbio sia stata il prezzo pagato dai nostri figli affinchè uomini politici minacciati dalla mafia non morissero”.
Gasparri: “Perché Sabelli si sveglia solo ora?”. Nella polemica si infila anche il capogruppo al Senato Maurizio Gasparri: “E’ davvero stupefacente e commovente la rapidità con cui il presidente dell’Anm Sabelli ha censurato le esternazioni politiche di Ingroia. Sabelli ne ha contestato l’impropria esortazione a cambiar classe dirigente. Probabilmente nei mesi e negli anni precedenti il dottor Sabelli è stato lontano dal nostro Paese o ha ignorato i comportamenti e le affermazioni di Ingroia, che da tempo si è rivelato militante politico di parte provvisoriamente impegnato in una doppia attività di magistrato e di ideologo”. 
Così, con Gasparri apripista, il dibattito interno alla magistratura diventa tutto politico. “Gasparri ha perso un’occasione per tacere – ribatte Donatella Ferranti (Pd) – La presa di posizione dell’Anm sulla partecipazione di Ingroia e di Matteo alla festa del Fatto Quotidiano non può essere oggetto dell’ennesima rozza strumentalizzazione sulla giustizia che il capogruppo del Pdl continua incessantemente a portare avanti minando la credibilità delle istituzioni e ostacolando ogni qualsiasi forma di confronto politico su temi fondamentali, a partire dal ddl anticorruzione”.