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martedì 1 febbraio 2022

Palermo, banche truffate: tra gli arrestati 2 dipendenti pubblici. - Riccardo Lo Verso

 

Provvedimento per cinque, tra cui un impiegato comunale e un ex funzionario regionale. Prestiti a persone fantasma.

PALERMO – La truffa ai danni di banche e finanziarie correva lungo la linea telefonica della Regione siciliana. C’è, infatti, un ex funzionario del Dipartimento regionale Sviluppo rurale e territoriale fra i cinque arrestati nel blitz di carabinieri della compagnia di Bagheria. Assieme a lui finiscono in carcere altre quattro persone, tra cui un impiegato dell’ufficio anagrafe del Comune di Palermo. I due dipendenti pubblici in cambio di soldi avrebbero dato una mano all’organizzazione per creare false identità e ottenere prestiti per oltre mezzo milione di euro. Ecco i nomi degli arrestati: Lorenzo Motisi, 44 anni, funzionario regionale; Salvatore Randazzo, 58 anni, dipendente comunale dell’ufficio anagrafe di Palermo; Rosario Di Fatta, 56 anni; Stefano Ganci, 53 anni; Saverio Giunta, 66 anni. Ci sono altre sette persone indagate: avrebbero fornito le fotografie per taroccare le carte d’identità.

I reati contestati sono associazione per delinquere finalizzata alle truffe e sostituzione di persona, fabbricazione di documenti falsi, corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio ed accesso abusivo ad un sistema informatico. Il dipendente comunale forniva i dati anagrafici (stato civile e numero dei documenti di riconoscimento) di facoltosi professionisti in pensione. Quindi venivano falsificate le carte d’identità per avviare le pratiche di finanziamento con importi compresi tra 12.000 e 80.000 euro. In altri casi grazie alle false identità venivano comprate macchine che poi sarebbero state subito rivendute a terze persone.

Il piano non sarebbe potuto andare a buon fine se non ci fosse stato l’aiuto dell’altro impiegato pubblico. Una volta confezionata la falsa identità nella domanda per il prestito veniva indicato che la persona che chiedeva i soldi era dipendente della Regione siciliana. Per rendere più credibile il tutto si aggiungeva il numero di telefono dell’ufficio a cui chiedere informazioni.

Dall’altro capo della cornetta l’impiegato della Regione, già indagato per truffa e sospeso, rispondeva e confermava che sì, era tutto vero, a chiedere il prestito era un dipendente pubblico. Il tutto ripetuto per decine di volte, fino a raggiungere la cifra di mezzo milione di euro. Almeno per i casi fin qui scoperti. Ce ne potrebbero essere, infatti, molti di più. Le indagini coordinate dal procuratore aggiunto Sergio Demontis e dai sostituti Chiara Capoluongo e Andrea Fusco vanno avanti.

https://livesicilia.it/palermo-banche-truffate-5-arresti-ci-sono-due-dipendenti-pubblici/

lunedì 6 settembre 2021

Da Siena alle garanzie di Stato: Amco fa fruttare le “sofferenze”. - Nicola Borzi

 

“La scopa del sistema”. L’ex Sga di BancoNapoli si prepara al post-Covid con il piano sul recupero dei finanziamenti assistiti.

La scopa del sistema (bancario). È il ruolo di Amco, la società di recupero crediti del ministero delle Finanze in grado di acquistare, digerire e trasformare in incassi – e utili – le sofferenze (i crediti ormai inesigibili di aziende insolventi) e le inadempienze probabili (i crediti di clienti incamminati verso l’insolvenza). L’ex Società gestione attivi (Sga) deve assicurarsi grandi masse da lavorare per mantenere le proprie economie di scala. Le dimensioni contano: in base ai dati al 30 giugno 2020, è sesta per masse in Italia tra gli operatori attivi nei crediti non performing e seconda per quanto riguarda le inadempienze probabili (unlikely to pay, Utp) e i crediti scaduti (past due). L’ex bad bank sorta nell’89 per gestire 36mila posizioni creditizie a rischio che gravavano per 6,4 miliardi di euro sui conti del Banco di Napoli, poi passata al SanPaolo Imi e da questi a Intesa Sanpaolo che nel 2016 l’ha ceduta al Mef, ha una storia di successi: ha recuperato il 90% dei crediti che acquisì da BancoNapoli al 70% del loro valore, tanto che a fine 2015 contava su 469 milioni cash e 214 milioni di crediti residui. Oggi ha chiesto l’accesso al dataroom di Mps per giocare un ruolo nel piano di cessione a UniCredit della banca di Siena. Conti che Amco d’altronde già conosce bene: di Siena è parte correlata perché entrambe sono controllate dal Tesoro. Ma si prepara a giocare da protagonista anche nello scenario post-pandemico.

Dopo anni di calo, con la recessione dovuta al Covid la marea dei crediti malati sta per tornare a salire in Italia. Il 2020 ha visto cessioni di crediti a rischio dalle banche per un valore lordo totale di 40 miliardi. Così lo stock di incagli che gravano sul settore è calato da 135 a 99 miliardi (-27%) . Per la prima volta, le sofferenze (47 miliardi a fine 2020) sono state superate dalle inadempienze probabili (49). Il processo di deleveraging è proseguito anche nei primi sei mesi di quest’anno, con operazioni per 2 miliardi, ma in calo dai 6 dello stesso periodo del 2020. A frenare le cessioni sono le garanzie e moratorie pubbliche, che ritardano l’emersione di incagli e sofferenze: i crediti assistiti sono ancora 83 miliardi, di cui 64 a carico di piccole e medie imprese. Ma le moratorie, che scadranno a fine anno, sono volontarie e valgono solo per la quota capitale, mentre incombono le nuove regole europee che ne prevedono la verifica e la copertura con tempi certi nei bilanci delle banche. Così si prevede che nei prossimi due anni e mezzo emergeranno tra 80 e 100 miliardi di nuovi crediti a rischio.

Amco si candida a gestire questa nuova ondata in un mercato sempre più competitivo, tra tassi di recupero in calo e prezzi di cessione dei crediti deteriorati notevolmente aumentati. L’operatore pubblico ha infatti esperienza sia nel recupero delle sofferenze che, soprattutto, nella possibilità di erogare direttamente fondi per consentire continuità e rilancio di imprese con inadempienze probabili e crediti scaduti. A un aumento di capitale da 1 miliardo nel 2019 e bond già emessi per 2,8 miliardi ha affiancato un piano per emettere obbligazioni per altri 6 miliardi. D’altronde nel 2018 ha acquisito in gestione due portafogli da 16,7 miliardi di 90 mila debitori delle liquidazioni del 25 giugno 2017 di Veneto Banca e Popolare di Vicenza. Le acquisizioni sono poi proseguite con portafogli di crediti targati Banca del Fucino, Credito Sportivo, Carige, con la creazione della prima piattaforma di crediti a rischio immobiliari, da Creval (447 milioni lordi totali in più tranche), Carige (281 milioni totali), poi ancora Fucino, Banca Igea, Banco Bpm (600 milioni), Popolare di Bari (2 miliardi), operazioni immobiliari e cartolarizzazioni varie da sola e insieme a terzi. Il salto è arrivato a fine 2020 con il compendio da 7,7 miliardi di crediti deteriorati acquisito da Mps.

Oggi così Amco gestisce 34 miliardi di crediti dubbi lordi con circa 230 mila controparti, 45 mila delle quali sono imprese, per lo più piccole e medie. Il 58% sono sofferenze, il 42% inadempienze probabili. Il 74% sono gestiti in house da 287 dipendenti a Milano, Napoli, Vicenza, 88 dei quali provenienti da Mps, il resto in outsourcing. Il 2020 si è chiuso in utile per 76 milioni, in crescita dell’80% sul 2019 grazie al contenimento delle spese (il rapporto costi/ricavi è calato dal 45,9% del 2019 al 25,8%), anche grazie al raddoppio dei ricavi per il boom delle masse gestite. Ora il piano al 2025 della ad Marina Natale prevede di mantenere i 30 miliardi di masse tramite nuove acquisizioni. La società è vigilata da Banca d’Italia, Corte dei Conti e Direzione Concorrenza della Commissione Ue che mira a scoprire e bloccare eventuali aiuti di Stato.

In sostanza, Amco compra crediti dubbi a prezzi di mercato e poi cerca di incassarli, evitando però di mandare in fallimento le imprese debitrici che hanno qualche possibilità di risollevarsi. Lo fa attraverso l’analisi delle garanzie e l’ottimizzazione dei recuperi attraverso modelli matematici e negoziazioni. Qualche incidente di percorso non è mancato: la relazione della Corte dei Conti sul bilancio 2019 segnala la mancata erogazione di due corsi di formazione finanziati da fondi inter-professionali a consulenti esterni con costi non corrispondenti alle prestazioni ricevute. Le irregolarità sono state sanate con provvedimenti disciplinari e l’azione di contrasto è stata valutata positivamente dalla magistratura contabile.

Sempre la Corte dei Conti segnala che, a 4 anni e 3 mesi dalla liquidazione di Vicenza e Veneto Banca, Bankitalia non ha ancora varato le regole per favorire il recupero delle “operazioni baciate”: crediti a rischio per 1,8 miliardi finanziati dalla banche venete stesse per sostenere surrettiziamente il patrimonio, attraverso l’acquisto di azioni o obbligazioni subordinate proprie. Nel 2019 Amco ha comunque lavorato 855 delle 900 posizioni “baciate” totali per un valore lordo di 1,6 miliardi, incassando però appena 14 milioni.

Da inizio anno è operativa una nuova divisione immobiliare e, da aprile, Amco fornisce garanzie su cartolarizzazioni sintetiche. Ora la società controllata dal Tesoro lavora alla due diligence di Mps per valutarne i crediti deteriorati classificati “stage 2”. Sono le esposizioni con il rischio più elevato di deterioramento, anche se al momento risultano ancora “in bonis”. La valutazione dei crediti “stage 2” sarebbe legata ad alcune clausole sulla retrocedibilità dei crediti di Mps che potrebbero essere acquistati da UniCredit, se si dovessero deteriorare rapidamente dopo la cessione. Si tratta dello stesso percorso di garanzia ottenuto nel 2017 da Intesa Sanpaolo su PopVicenza e Veneto Banca.

Come scrive Amco nei suoi bilanci, nel contratto con il quale a giugno 2017 acquisì per 2 euro la parte “in bonis” delle due banche venete, Intesa si riservò il diritto di retrocedere ad Amco, tra il 26 giugno 2017 e la data di approvazione del suo bilancio al 31 dicembre 2020, i crediti delle due banche venete originariamente “in bonis” che in seguito fossero riclassificati “ad alto rischio”. Intesa ha esercitato questa facoltà sette volte: tre nel 2018 , due nel 2019 e due ad aprile e giugno 2020. Nell’operazione sul Monte, ora UniCredit vuole, insomma, che il Mef le conceda lo stesso trattamento di favore erogato alla sua concorrente.

Se sul fronte di Mps fonti finanziarie fanno sapere che per Amco le ipotesi sono ancora tutte sul tavolo, la bad bank si sta però muovendo rapidamente sul progetto Glam: vuol gestire lo stock di 148 miliardi di finanziamenti “in bonis” garantiti dal Medio Credito Centrale attraverso il Fondo Pmi. Amco avrebbe presentato alle banche diverse ipotesi in ottica win-win: gli istituti potrebbero deconsolidare dai propri bilanci i crediti garantiti, riducendone i costi relativi all’assorbimento di capitale e Amco si garantirebbe un enorme flusso di masse da gestire anche per i prossimi anni. La “scopa del sistema” fa progetti a lungo termine per assicurarsi il futuro.

ILFQ

domenica 12 luglio 2020

Il paese della Fase come vi pare. - Antonio Padellaro

Fase 2, la diretta - Mezzi pubblici, parchi aperti e il ritorno ...
“Soltanto chi lascia il labirinto può essere felice, ma soltanto chi è felice può uscirne”.
Michael Ende, “Lo specchio nello specchio”
Lo scorso 23 giugno, con apposita disposizione a tutte le compagnie aeree, l’Enac ha vietato ai passeggeri l’uso delle cappelliere, quegli utili vani posti sopra i sedili dove riporre i trolley e le altre borse di piccole dimensioni. “La misura”, recita rigoroso ma giusto il comunicato, “è per evitare assembramenti delle persone nel momento in cui devono posizionare il proprio bagaglio a bordo dell’aeromobile”. Infatti, chi avesse la disavventura di frequentare lo scalo di Fiumicino per motivi (indovinate un po’) di viaggio sarà costretto a file mostruose per raggiungere gli sportelli del check-in (pur essendo già provvisto di check-in) onde spedire nella stiva il bagaglio (se eccedente la misura 36 per 45 per 20, praticamente la calza della befana). Si posizionerà accanto ad altri sventurati, che avranno almeno la soddisfazione di imbarcare degli armadi a quattro ante. Infatti, in forza della prima legge della termodinamica, secondo la quale dei corpi umani in fila (anche soltanto un paio) tendono comunque a premere gli uni sugli altri, per evitare qualche assembramento a bordo se ne creano altri, di massa, in aeroporto, perfetti per la trasmissione di eventuali contagi (coronavirus o peste bubbonica). Infatti, stremati, accaldati e incazzati dalle attese, una volta seduti e allacciate le cinture condivideremo una distanza di circa venti centimetri con il passeggero accanto, che potrà tranquillamente starnutirci addosso milioni di germi, naturalmente protetto dall’indispensabile mascherina (che va tenuta comodamente sulla bocca e sul naso fino ad avvenuta asfissia). È il “Comma 22” del comitato tecnico scientifico: il modo migliore per evitare gli assembramenti è crearne di nuovi.
Capitolo sotto la banca il cliente crepa. Come sanno i comuni mortali, negli istituti di credito si può entrare uno alla volta. Capita quindi che sul marciapiede, e sotto il saettante sole estivo si creino vasti assembramenti, con anziani stramazzati sull’asafalto. Del resto, può capitare che proprio nel bar accanto si creino davanti al bancone degli allegri assembramenti (e senza mascherina non potendosi altrimenti sorbire il caffè). Del resto, siamo il paese dove negli stadi, rigorosamente senza pubblico, i giocatori, dopo ogni segnatura, festeggiano con veri e propri amplessi, poco profilattici. Siamo il paese dove ci si assembra e senza precauzione alcuna nelle strade della movida. E dove nelle spiagge carnaio ci si assembra gli uni sugli altri (tanto, come dice Jair Bolsonaro, tutti dobbiamo morire). Siamo il paese dove il dibattito politico si accende sullo stato d’emergenza che il governo intende prorogare a fine 2020, con politici e giornalisti dell’opposizione che evocano (senza ridere) la dittatura di Pinochet. Siamo il paese della Fase Come Vi Pare. Dove per uscire dal labirinto delle proibizioni basta non entrarci, direbbe Michael Ende. Perché siamo il paese dove sarebbe bello se il ministro della Salute, Roberto Speranza, con codazzo di esperti, prima di escogitare nuove misure per tormentare inutilmente il prossimo, si facessero un giretto negli aeroporti, tra le cappelliere, davanti alle banche, al bar sottocasa, sulla spiaggia di Ostia (ma anche Fregene e Ladispoli vanno bene). Per vedere l’effetto che fa.

giovedì 19 dicembre 2019

GIUSTIZIA & IMPUNITÀ Fallimento Banca Base di Catania, arrestati il presidente e il direttore generale: sono accusati di bancarotta. Diciotto persone indagate.

Fallimento Banca Base di Catania, arrestati il presidente e il direttore generale: sono accusati di bancarotta. Diciotto persone indagate

I reati ipotizzati, a vario titolo, dalla Procura distrettuale di Catania per gli arrestati e i 18 indagati, sono, in concorso, bancarotta fraudolenta, falso in prospetto, ostacolo all’esercizio delle funzioni di vigilanza e aggiotaggio. 
Sono stati arrestati e posti ai domiciliari con l’accusa di aver pilotato il fallimento della Banca di Sviluppo Economico di Catania (Banca Base) il presidente del Cda, Piero Bottino, di 63 anni, e il direttore generale, Gaetano Sannolo, di 47. L’operazione è stata condotta dai militari della guardia di finanza di Catania e dal nucleo speciale di polizia valutaria nell’ambito dell’inchiesta sul crak dell’istituto di credito che vede indagate anche altre 18 persone.
I reati ipotizzati, a vario titolo, dalla Procura distrettuale di Catania per gli arrestati e i 18 indagati, sono, in concorso, bancarotta fraudolenta, falso in prospetto, ostacolo all’esercizio delle funzioni di vigilanza e aggiotaggio. Al centro dell’inchiesta lo stato d’insolvenza della Banca Sviluppo Economico s.p.a. dichiarato dal Tribunale civile di Catania nel dicembre 2018 e confermato in appello nell’aprile 2019. L’operazione delle Fiamme Gialle, denominata “Fake Bank’, secondo l’accusa, avrebbe consentito di “tracciare la perpetrazione ripetuta di illecite condotte operate dalla governance della ‘fallita’ banca etnea consistenti in operazioni finanziarie anti-economiche e dissipative del patrimonio societario in dispregio dei vincoli imposti dall’Autorità di Vigilanza”.

martedì 25 giugno 2019

Evasione fiscale, Ubs paga al Fisco 111 milioni. Scoperto manuale anti-Gdf. - Angelo Mincuzzi

Ubs, la banca svizzera verserà all’Italia 111,5 milioni di euro: “Evasione fiscale”

Ubs, la principale banca svizzera, verserà all’agenzia delle Entrate 111,5 milioni di euro per chiudere un contenzioso fiscale con risvolti penali.

C'era anche un manuale segreto che illustrava ai gestori patrimoniali di Ubs le precauzioni da adottare quando, senza esserne autorizzati, venivano in Italia per incontrare i clienti che investivano il proprio denaro nel colosso bancario svizzero. Slide e istruzioni simili a quelle ritrovate nel 2014 dagli uomini della Guardia di Finanza nella sede milanese del Credit Suisse durante un'inchiesta che aveva portato alla scoperta di un'evasione fiscale da 14 miliardi di euro e che si era chiusa con il pagamento di oltre 100 milioni al Fisco italiano. Ora quel copione si ripete per Ubs, la principale banca svizzera, che verserà all'Agenzia delle Entrate 111,5 milioni di euro per chiudere un contenzioso fiscale con risvolti penali. L’accordo è stato firmato la scorsa settimana nella sede della direzione provinciale di Milano dell’Agenzia. Il fronte penale, con un probabile patteggiamento, non si è invece ancora concluso.
Grazie all'attività svolta proprio dall'Agenzia delle Entrate sono, infatti, 220 le banche estere sulle quali la procura di Milano ha acceso un riflettore e sta, da tempo, indagando con un pool di magistrati apposito guidato dal procuratore Francesco Greco. Si tratta di istituti finanziari non solo svizzeri ma anche domiciliati in altri paradisi fiscali come Lussemburgo, Liechtenstein, Principato di Monaco, Isole Vergini Britanniche, Bahamas, San Marino, Panama, Dubai e molti altri.
Per mesi sono stati passati al setaccio i movimenti e le telefonate che I gestori patrimoniali di Ubs e delle altre banche si sono scambiati tra loro e con I clienti. I colloqui telefonici con i relativi metadati (posizione, celle agganciate, durata, giorno e ora) sono stati monitorati e classificati da un pool di agenti della Guardia di Finanza e di Vigili urbani di Milano in servizio presso la polizia giudiziaria della procura di Milano. Una quantità di dati e di informazioni impressionante.
Poiché tutti i redditi di capitale percepiti da soggetti non residenti sono assoggettati alla ritenuta alla fonte a titolo d'imposta, le banche estere sono tenute a trattenere l'imposta sulle commissioni percepite sui mutui o sulla gestione patrimoniale e a girarla al Fisco italiano. Ma questo, per anni, non è stato fatto. Ed è su questo che gli uomini dell'Agenzia delle Entrate hanno lavorato in collaborazione con la Procura di Milano sfruttando l'enorme mole di dati finanziari ricavati dalla voluntary disclosure.

mercoledì 17 aprile 2019

ALT! COSA C'È DIETRO L'INDAGINE SU SANDRO GOZI E SULLA PRESIDENTE DELLA BANCA CENTRALE DI SAN MARINO CATIA TOMASETTI?

Alt! Cosa c'è dietro l'indagine della magistratura – anzi di un magistrato – di San Marino sull'ex sottosegretario agli esteri Sandro Gozi e sulla presidente della Banca Centrale Catia Tomasetti? Davvero si tratta solo di una "consulenza fittizia" da 120mila euro in un anno, concessa dall'istituzione a Gozi, oppure c'è in ballo un gioco molto più grande da cui dipende il futuro e la sopravvivenza stessa del micro-stato che si professa indipendente dal 301 dopo Cristo? Cosa c'entra l'inverosimile visita ufficiale del ministro degli esteri russo Lavrov dello scorso 21 marzo?

giulio tremonti (2)GIULIO TREMONTI (2)
Facciamo un passo indietro fino alla storia recente. San Marino ha vissuto trent'anni di sfrenata crescita economica sostenuta solo dal suo mercato finanziario: dalle quattro banche che aveva all'inizio degli anni '80, altri istituti sono spuntati come funghi per approfittare di un grande e fiorente mercato: quello del riciclaggio del denaro. Il pil passa dagli 1,1 miliardi del 2000 ai 2,7 del 2008. Tutto è pubblico: mense, farmacie, ospedali. Il tenore di vita e il reddito pro-capite fanno impallidire gli italiani che vivono a pochi chilometri di distanza e attraggono migliaia di frontalieri.

Tutto fila liscio finché nel 2009 Giulio Tremonti, all'epoca ministro del Tesoro, non inserisce quel ''neo'' incastonato tra la Romagna e le Marche nella black list dei paradisi fiscali. Di fatto è un embargo finanziario per gli imprenditori italiani: chi fa affari con San Marino, si aspetti di ricevere la visita della Guardia di Finanza. Praticamente una condanna a morte.

Da lì, complice anche la crisi dei mutui subprime e il clima di grande sfiducia nei confronti delle istituzioni finanziarie, tutto inizia ad andare a rotoli, anche perché nessuno nel frattempo ha pensato a un piano B né investito in altri settori.

MONTE TITANO - SAN MARINOMONTE TITANO - SAN MARINO
Senza entrare nei dettagli, il seguito è noto: partono inchieste sui soldi della criminalità organizzata che passano per San Marino, politici e banchieri vengono arrestati, e i ricchi romagnoli che tenevano le loro fortune nelle banche del Titano iniziano a portare via i soldi perché annusano la mala parata.

Più o meno quello che succede allo Ior: le istituzioni internazionali come Commissione Europea, Moneyval (Consiglio d'Europa) e OECD cominciano a menare duro sui paesi che lucrano sull'opacità finanziaria. Se volete fare affari con i nostri paesi membri, dovete rinunciare al segreto bancario e ai traffici loschi.

catia tomasettiCATIA TOMASETTI
Passano gli anni e i conti di San Marino finiscono in pezzi, il welfare al collasso, le banche cadono come mosche. L'unica strada, sembra, è quella di fare pace con l'Unione Europea, che nel 2013 si dice pronta a offrire un ''Accordo di Associazione'' anche ad Andorra e Monaco. I tre campioncini dell'offshore non diventerebbero stati membri né farebbero parte dell'Area Economica Europea (in cui troviamo Islanda, Liechtenstein e Norvegia), ma se accettano l'aquis, la mole di legislazione comunitaria (inclusa la trasparenza fiscale), potranno ricominciare a fare affari con i loro vicini di casa.

Il processo va avanti ma molto lentamente, e una parte della politica locale, quella che vuole portare lo staterello nelle white list, decide che bisogna dare una sterzata, almeno di facciata.

Nell'aprile 2018 Catia Tomasetti, già partner dello studio legale Bonelli Erede, viene nominata presidente della Banca Centrale di San Marino (Bcsm), e due mesi dopo arriva la consulenza a Sandro Gozi. Lei ha il compito di ripulire le finanze del Titano e di studiare un futuro senza riciclaggio, magari puntando sulle agevolazioni fiscali. Se di questo campano Irlanda, Paesi Bassi e Lussemburgo, perché non può farlo San Marino?
Sandro Gozi Romano ProdiSANDRO GOZI ROMANO PRODI

Lui deve invece trattare con le istituzioni europee la definizione dell'Accordo di Associazione: non rieletto in Parlamento e con molti agganci e conoscenze a Bruxelles visto che è stato per 10 anni il braccio destro di Romano Prodi, aveva il profilo giusto per occuparsi ai negoziati che languono.

Da qui nasce l'inchiesta, o meglio nasce sulla base di un esposto anonimo che ''appare'' a dicembre sulla scrivania del magistrato Alberto Buriani, che accusa la Tomasetti di aver ''indotto il consiglio direttivo di Bcsm a stipulare un contratto di consulenza fittizia con Gozi, di cui aveva nascosto l'amicizia''. Lei replica al Resto del Carlino: ''Il consiglio direttivo era perfettamente al corrente della consulenza'', tanto che lei stessa aveva fatto pubblicare sul sito (la legge di San Marino non lo prevedeva) l'entità e la durata dell'ingaggio, e il loro rapporto era noto a tutti.

Poi aggiunge: ''Abbiamo commissariato un istituto (Banca Cis) e chi ci va intorno finisce sempre indagato''. E in effetti basta fare una rapida ricerca su Google per scoprire cosa succede a chi tocca questa banca.

Gli ultimi che avevano provato a riformare il sistema bancario di San Marino, firmando un Memorandum of Understanding con Bankitalia, sono stati condannati in primo grado e hanno perso il lavoro alla Bcsm, finché non sono stati assolti in appello e ri-assunti dall'attuale dirigenza.

Lui invece sostiene che la consulenza non sia affatto fittizia: si è recato molte volte a Bruxelles per trattare con la delegazione ufficiale di San Marino (ci sono i verbali), ha prodotto diversi report per la banca e lo stesso magistrato gli ha sequestrato 2800 email di lavoro attinenti all'incarico, che dunque in qualche modo è stato svolto.

Ma ora bisogna tornare alla visita di Lavrov a San Marino lo scorso 21 marzo, quando il ministro degli esteri russo è stato accolto trionfalmente dal Segretario di Stato per gli Affari Esteri Nicola Renzi (solo omonimo) e ai due Capitani (capi di Stato) Tomassoni e Santolini.

lavrov e nicola renziLAVROV E NICOLA RENZI
"Apprezziamo il fatto che San Marino, nonostante le pressioni esercitate sulla Repubblica dall'esterno, non abbia aderito alla spirale sanzionatoria antirussa promossa da Bruxelles, su dirette istruzioni di Washington. Questo approccio autonomo e pragmatico del vostro Paese, che favorisce lo sviluppo ulteriore dei nostri legami economico-commerciali e finanziari, merita il più profondo rispetto", ha dichiarato Lavrov.

Perché un uomo così potente si è prestato a un viaggio ufficiale in un micro-stato, per giunta nel pieno delle trattative di accordo con l'Unione Europea, a parlare male di Bruxelles e Washington? È presto detto: a San Marino molti non vogliono affatto abbandonare lo stile di vita da vitelloni di cui hanno goduto per decenni. Rinunciare al riciclaggio, attività in cui si erano specializzati senza necessità di chissà che titoli di studio, vuol dire imparare un mestiere e mettersi a lavorare per stipendi decisamente meno esorbitanti.
CATIA TOMASETTICATIA TOMASETTI

E allora, per mantenere lo status quo, non resta che l'alleanza con la Russia, vendere il debito a Mosca e garantire in cambio uno sbocco finanziario ''protetto'' per oligarchi in cerca di paradisi. Magari facendo passare per San Marino un po' di merci italiane, così da sfuggire all'embargo sull'export verso il puzzone Putin. A Lavrov non pare vero di mettere un'altra spina nel cuore dell'Europa.

Per farlo però, le trattative di Gozi con Bruxelles devono saltare, e il processo di pulizia della Tomasetti deve fermarsi. Lui si è appena candidato all'Europarlamento con la Renaissance macroniana, e dunque la sua collaborazione era già stata interrotta.

Mentre per costringere alle dimissioni lei, e rimettere al suo posto qualcuno più compiacente, niente di meglio di una bella inchiesta con grande rilancio sulla stampa italiana, interessata più a menare su Gozi (in quanto euro-macronista, un nemico perfetto per i sovranisti) che alle sorti delle finanze del Titano.

SANDRO GOZI EMMANUEL MACRONSANDRO GOZI EMMANUEL MACRON
Insomma San Marino è al bivio: mollare le vecchie abitudini per un futuro incerto ma ''inserito'' nel contesto europeo, o tenere in piedi i vecchi sistemi sperando nella protezione russa per tirare a campare. Quale strada sceglierà?

Ps: pochi minuti fa i dipendenti ''di ogni ordine e grado'' della Banca centrale di San Marino hanno emesso un comunicato a sostegno di Catia Tomasetti:

I dipendenti di ogni ordine e grado della Banca Centrale della Repubblica di San Marino, venuti a conoscenza tramite i media della notizia di un'indagine avviata dal Tribunale di San Marino che coinvolge l'Avv. Catia Tomasetti Presidente di Banca Centrale, esprimono la loro piena solidarietà alla stessa che, sin dal suo insediamento, si è impegnata con determinazione per il rilancio e consolidamento del sistema bancario e finanziario ed a difesa dell'autorevolezza dell'istituzione e delle professionalità dei dipendenti della Banca Centrale.

I dipendenti della BCSM, nell'esprimere la loro fiducia nell'operato della magistratura, auspicano che quanto emerso possa essere chiarito in tempi celeri, a tutela degli interessati, di BCSM e nel superiore interesse del Paese.


https://www.dagospia.com/rubrica-3/politica/alt-cosa-39-dietro-39-indagine-sandro-gozi-201270.htm

lunedì 8 aprile 2019

Le 4 balle che ci raccontano sulla crisi dell’economia italiana. - Paolo Becchi e Giovanni Zibordi



Ci sono una serie di balle che continuano a circolare su un giornalone di cui non vogliamo fare il nome, perché non è certo nostra intenzione fargli pubblicità. Con tanto di grafici vorremmo smontare tutte queste balle una vota per tutte.

1 balla. Il primo, e forse il più micidiale di questi luoghi comuni riguarda la nostra moneta unica. Il M5Stelle e la Lega hanno vinto le elezioni con una piattaforma “no euro”. La realtà delle cose e il buon senso degli italiani, primo fra tutti il presidente della Repubblica, si sono poi fatti carico di smorzare i loro entusiasmi isolazionisti. Ma questo governo continua a comportarsi come se l’euro fosse una gabbia dalla quale non si può liberare.
Trascuriamo le cosiderazioni politiche. Sono irrilevanti. Ognuno è libero di scrivere le cazzate che vuole. Passiamo però ai fatti. La produzione industriale, che in un paese senza materie prime è quello che da da mangiare, prima dell’euro cresceva in linea con quella degli altri maggiori paesi. Dall’introduzione dell’euro è collassata.
Difficile che sia una mera coincidenza perché la stessa cosa, anche se in misura minore, è accaduta per la produzione industriale della Francia.
Ancora oggi in Italia è del -22% sotto il livello del 2008 e neanche negli anni ‘30 della Grande Depressione è successo, perchè nel giro di tre anni la produzione tornò sopra i livelli del 1930. L’unico crollo di oltre il -20% della produzione mai verificatosi è tra il 1942 e il 1946 causa una guerra persa.
A cosa è dovuto il crollo, avvenuto soprattutto tra il 2008 e il 2013 ?
In Italia, la domanda interna, cioè la spesa dei cittadini è sprofondata del -12% in questi cinque anni e quindi nonostante un ottimo andamento dell’export, dato che la domanda interna è ¾ del totale della domanda, la spesa totale si è ridotta di colpo. In Germania e Francia ad esempio la domanda interna non si è ridotta.
GOVERNO MONTI
Il motivo? L’austerità ovviamente, il blocco della spesa pubblica e l’aumento delle tasse, soprattutto sotto il governo Monti. L’Italia è stato l’unico paese a ridurre i deficit pubblici dopo il 2009, per cui mentre tutti facevano deficit tra il 5 e l’8% del PIL noi siamo stati gli unici a riportarli sotto al 3%. Abbiamo dovuto causa lo “spread” ? Come mai prima dell’Euro non si sentiva mai parlare dello “spread” ? Perchè Bot, CCT e BTP erano in mano a famiglie italiane le quali se il rendimento cresceva non vendevano i titoli solo perchè il prezzo oscillava in basso. Solo le banche e i fondi esteri liquidano di colpo i BTP e però lo facevano per motivi loro, nel 2008 liquidavano titoli di ogni genere perchè stavano fallendo causa derivati su mutui in altre parti del mondo. Le Banche estere con l’euro erano arrivate a detenere 1,300 mld di titoli italiani e li hanno liquidati di colpo.
Con la crisi globale del 2008, dovuta ad una “bolla” dei mutui e dei derivati sul debito immobiliare in USA, Spagna, Irlanda ecc.. le banche in tutto il mondo sono andate in crisi, molte hanno dovuto essere salvate dai loro Stati e di conseguenza si è creato panico sui mercati del debito e le banche maggiori hanno venduto di colpo titoli di ogni genere, tra cui anche i nostri BTP di cui con l’euro si erano riempite arrivano ad averne per 1,300 miliardi.
L’effetto dell’euro è stato di far uscire le famiglie italiane e far entrare al loro posto massicciamente le banche estere come acquirenti di BTP, con i danni che sono ben noti a tutti.
2 balla. Bisognerebbe allora ricordare che solo grazie alla moneta unica l’Italia ha potuto in questi anni sostenere il peso di un debito pubblico che avrebbe schiantato qualsiasi altra valuta. Nel 2001, quando c’era ancora la lira, gli interessi sul debito pubblico ci sono costati l’equivalente di 79 miliardi di euro. Nel 2018, nonostante il debito sia passato da 1.400 a 2.300 miliardi, gli interessi sono scesi a 65 miliardi.
L’Italia come Stato ha pagato dal 1980 quasi 4 mila miliardi di interessi sui titoli di stato (in euro di oggi), cioè due volte e mezzo il PIL attuale che è di 1,700 miliardi e quasi il doppio del debito pubblico che 2,340 miliardi. Il debito pubblico è dovuto all’accumulo degli interessi che si sono cumulati su debiti contratti in molti anni.
Nessuno ha pagato quanto lo stato e quindi i contribuenti italiani di interessi, più di qualunque altra nazione al mondo dopo gli Stati Uniti. E in percentuale del reddito nazionale più di chiunque. Abbiamo arricchito le banche e i fondi esteri che si sono riempiti di BTP quando grazie all’euro sono stati garantiti che il tasso di cambio non sarebbe sceso. Per un cittadino italiano con in tasca le lire se il tasso di cambio della lira scendeva non importava, comprava lo stesso BTP o CCT se rendevano più dell’inflazione. Ma per gli stranieri era importante non perdere sul cambio e con l’euro hanno potuto garantirsi da quel rischio. Il risultato è stato che gli interessi che prima rimanevano in Italia sono finiti all’estero. Non importa pagare 65 miliardi invece di 79 se questi soldi poi vanno a banche francesi, fondi del Qatar o fondi pensione giapponesi! Sono soldi delle tasse degli italiani che con l’euro sono andati ad arricchire i ricchi di tutto il mondo (azionisti e proprietari di banche e fondi).
L’EXPORT
3 balla. Lo stesso discorso vale per le esportazioni: nonostante l’impossibilità di ricorrere a svalutazioni competitive, l’Italia registra da anni un forte attivo della bilancia commerciale.
Il saldo delle bilancia commerciale è fatto di esportazioni meno importazioni. Con l’euro il cambio era forte, le importazioni erano meno care e il risultato è che l’Italia è andata in deficit con l’estero fino al 2011, grazie al boom delle importazioni.
Come di vede dal grafico però l’austerità imposta dall’euro ha fermato le importazioni per cui il saldo con l’estero è migliorato, ma grazie alla perdita di reddito e quindi di spesa e poi anche di importazioni. Se deprimi l’economia, spendi meno e importi di meno certamente migliora il saldo della bilancia commerciale. Ma hai mandato in rovina il paese.
4 balla. Se tutto questo non si è tradotto in crescita economica, come è avvenuto in tutti gli altri Paesi della Ue, la colpa non è dell’euro, ma dei governi che hanno lasciato declinare la produttività e la competitività del Paese. Fino ad arrivare all’attuale governo anti-europeo: il primo che sia riuscito ad imporre all’Italia, unica in Europa, una recessione le cui cause sono essenzialmente politiche e non economiche.
La produttività in Giappone e Corea è più bassa che in Italia (se si cercano le statistiche del PIL diviso ore lavorate, si scopre che siamo meglio noi). Nel Regno Unito la produttività negli ultimi dieci anni è piatta, non cresce, come in Italia. Ma in Giappone, Corea e nel Regno Unito il reddito ha continuato a crescere e la disoccupazione è tra il 3 e il 4% mentre in italia è l’11%. Quello che invece differenzia l’Italia da tutti gli altri è il crollo della domanda interna, della spesa, dovuto al taglio indiscriminato del credito da parte delle banche italiane nei confronti delle imprese e all’austerità con l’aumento continuo delle tasse.
Come si vede dal grafico la forza della Germania è che ha continuato a spendere, la “domanda aggregata” tedesca (il termine che si usa per indicare la spesa totale all’interno di un economia di beni e servizi) ha continuato a salire. La differenza l’ha fatta la spesa, che in Italia è collassata. Noi abbiamo avuto meno soldi da spendere, perchè sono state aumentate le tasse di circa 40 miliardi e perchè le banche hanno tagliato il credito alle imprese di oltre 200 miliardi. Se avessimo avuto la nostra Banca Centrale al posto della BCE questa avrebbe garantito le banche per non spingerle a tagliare il credito e avrebbe finanziato i deficit pubblici per non far aumentare le tasse.

mercoledì 9 maggio 2018

Io so quale sarà la prossima nazione ad essere invasa dagli Stati Uniti. - Lee Camp



Alla fine di questo articolo, sarà chiaro quale sarà la prossima nazione ad essere invasa e devastata dagli Stati Uniti. O, in mancanza di ciò, quale sarà la prossima nazione che il nostro complesso industriale militare e di intelligence cercherà a tutti i costi di invadere.


Noi tutti vorremmo sapere perché l’America fa quello che fa. E non intendo riferirmi al perché gli Americani fanno quello che facciamo noi. Penso che questa domanda se la potrebbe fare, fra molti secoli, qualche futuro professore, mentre mostra ai suoi studenti un video telepatico di qualche incontro attuale di UFC [Ultimate Fighting Championship – arti marziali miste] dove i contendenti si prendono a calci in faccia davanti ad una folla che fa il tifo (non per l’uno o per l’altro dei due combattenti, ma piuttosto per (vedere) più calci in faccia).

Ma sembra che noi tutti diamo per scontato che l’America, intesa come entità e come corporazione, abbia un qualche genere di più alta motivazione per i suoi comportamenti, per le azioni portate avanti dalla sua classe dirigente. Però, in pratica, la maggior parte di tutti noi si rende condo che le ragioni che ci vengono ammannite dagli addetti stampa e dai ridicoli conduttori dei telegiornali della sera sono le stronzate più marce e puzzolenti che ci possano essere.

Sappiamo che l’invasione dell’Iraq non aveva nulla a che fare con le armi di distruzione di massa. Sappiamo adesso che la distruzione della Libia non è avvenuta affatto per “fermare un uomo cattivo.” Anche se si da uno sguardo veloce a quello che hanno fatto fino ad ora i dittatori di tutto il mondo, si scoprirà che agli Stati Uniti non importa assolutamente nulla il fatto che siano buoni o cattivi, che usino il loro tempo libero per uccidere migliaia di innocenti o per dedicarsi al giardinaggio. Infatti gli Stati Uniti concedono aiuti militari al 70% dei dittatori di tutto il mondo

(Speriamo però solo durante le vacanze).

Allora, se non è per le motivazioni che ci vengono fornite, perché gli Stati Uniti , invadono, distruggono e talvolta occupano alcune nazioni? E’ chiaro che sotto ci devono essere risorse petrolifere o giacimenti di minerali rari. Ma c’è qualcos’altro che collega fra di loro tutte le nostre guerre recenti.

Come ha riferito il Guardian, subito prima dell’inizio della guerra in Iraq, “nell’ottobre del 2000, l’Iraq aveva insistito per abbandonare il dollaro americano, la valuta del nemico, per il molto più flessibile euro.”

Comunque, un esempio non fa tendenza. Se così fosse, io sarei un famoso campione mondiale di beer-pong [1], mentre ho un personal best di 1-27 (numeri che certamente non mi fanno annoverare nella categoria dei professionisti).

Ma c’è dell’altro. Appena la Libia aveva iniziato a fare i primi passi verso una valuta africana su base aurea, convincendo tutti i suoi vicini africani ad adottarla, noi abbiamo invaso anche lei, con l’aiuto della NATO. L’autrice Ellen Brown l’aveva fatto notare al momento dell’invasione:

[Gheddafi] aveva dato inizio ad un movimento per il rifiuto del dollaro e dell’euro e si era appellato alle nazioni arabe ed africane perché usassero, al loro posto, la nuova valuta, il dinaro d’oro.


Anche John Perkins, l’autore di “Confessions of an Economic Hitman”, ha sostenuto che la vera ragione dell’attacco alla Libia è stato l’allontanamento di Gheddafi dal dollaro e dall’euro.

Questa settimana, The Intercept ha riferito ha riferito che la cacciata di Gheddafi, voluta sopratutto dal Presidente francese Nicolas Sarkozy, è, in pratica, da collegarsi al fatto che Sarcozy aveva segretamente ricevuto alcuni milioni da Gheddafi e questa sua corruzione stava per diventare di pubblico dominio. Ma l’articolo nota anche che “il reale zelo militare [di Sarcozy] e il suo desiderio di un cambio di regime si erano manifestati solo dopo che [Hillary] Clinton e la Lega Araba avevano manifestato il loro desiderio di vedere estromesso [Gheddafi].” Il fatto poi che Gheddafi avesse in progetto di eliminare l’uso del petrodollaro in Africa ha certamente fornito le motivazioni necessarie. (Non ci vuole molto per eccitare gli Stati Uniti ad intraprendere una nuova campagna di bombardamenti.

Sono quasi sicuro che noi abbiamo invaso una volta il Madagascar, negli anni ‘70, solo perché laggiù si fumava roba buona).
In questo momento starete pensando, “ Ma, Lee, la tua teoria è ridicola. Se queste invasioni riguardassero tutte quante l’attività bancaria, allora i ribelli libici, aiutati dalla NATO e dagli Stati Uniti, dopo aver abbattuto Gheddafi avrebbero dovuto subito instaturare un nuovo sistema bancario.”

In pratica, non avevano aspettato così a lungo. Nel bel mezzo di quella guerra brutale, i ribelli libici si erano creati la loro banca centrale.

La Brown ha affermato: “Diversi autori hanno notato un fatto strano, che i ribelli libici abbiano avuto il tempo, durante la rivolta, di crearsi una banca centrale, ancora prima di dotarsi di un governo (vero e proprio)”.

Caspita, detto così sembra proprio che tutto giri attorno al sistema bancario.

Molti di voi conoscono la famosa frase del Generale Wesley Clark sulle sette nazioni (da invadere) in cinque anni. Clark è un generale a quattro stelle, è stato a capo del Comando Alleato Supremo della NATO ed ha partecipato alle elezioni presidenziali del 2008 (chiaramente, potrebbe fare di meglio). Ma è abbastanza probabile che, fra 100 anni, l’unica cosa per cui sarà ricordato sarà per il fatto di averci fatto sapere quello che il Pentagono gli aveva detto nel 2002: “Abbatteremo sette nazioni in cinque anni. Cominceremo con l’Iraq, poi la Siria, il Libano, poi la Libia, la Somalia, il Sudan. Torneremo indietro e ci faremo anche l’Iran fra cinque anni.”

La maggior parte di queste cose si è verificata. Abbiamo, naturalmente, aggiunto all’elenco alcune nazioni, come lo Yemen. Stiamo dando una mano a distruggere lo Yemen sopratutto per rendere felice l’Arabia Saudita. Sembra che il nostro governo e i nostri media si preoccupino solo dei bambini siriani (per giustificare un cambio di regime). Non potrebbe importarcene di meno dei bambini iemeniti, iracheni, afgani, palestinesi, nord-coreani, somali, di Flint (Michigan), di Baltimora, dei bambini nativi americani, portoricani o Na’vi…. un momento, penso che questi siano di “Avatar.” Non era un film? Sto iniziando a confondere i miei ricordi con i film in 3D.

La Brown si spinge anche oltre nella sua analisi delle rivelazioni di Clarke:
Che cosa hanno in comune queste sette nazioni?… Nessuna di esse è nell’elenco dei 56 membri del BIS ( Bank for International Settlements). Questo evidentemente le tiene al riparo dai poteri regolatori dei banchieri della banca centrale svizzera. I più infidi di tutto il gruppo potrebbero essere stati la Libia e l’Iraq, le due nazioni che sono state effettivamente attaccate.

Quello che sto cercando di dire è: tutto gira intorno al sistema bancario.

Adesso starete pensando: “Ma, Lee, allora, perché gli Stati Uniti sono così smaniosi di trasformare la Siria in uno stato fallito, se la Siria non ha mai abbandonato il dollaro? Tutta la tua stupida teoria va in frantumi proprio qui.”

Per prima cosa, non mi piace il vostro tono. Secondo, nel febbraio 2006, la Siria ha cessato di utilizzare il dollaro come valuta forte primaria.

Penso di intravvedere una certa tendenza. Infatti, è stato riportato, il 4 gennaio, che il Pakistan stava abbandonando il dollaro nel commercio con la Cina e, nello stesso giorno, gli Stati Uniti lo hanno inserito nella lista nera per le violazioni alla libertà di culto. Lo stesso giorno? Dovremmo veramente credere che il Pakistan abbia smesso di commerciare in dollari con la Cina nello stesso giorno in cui ha iniziato a tirare pugni sul naso ai cristiani, senza neanche una buona ragione? No, chiaramente il Pakistan ha violato la nostra fredda e dura religione valutaria.

Tutto questo ci lascia con un’unica domanda: chi sarà il prossimo nell’elenco delle invasioni americane, illegali ma ammantate di giustificazioni fasulle? Beh, la settimana scorsa l’Iran lo ha finalmente fatto: è passato dal dollaro all’euro. E, ovviamente, questa settimana il complesso industriale-militare, i media corporativi ed Israele, si sono messi tutti insieme a dire che l’Iran sta mentendo sul suo programma di riarmo atomico. Quante sono le probabilità che una notizia del genere possa essere data solo dopo pochi giorni dall’abbandono del dollaro da parte dell’Iran? Quante sono le possibilità?

La cosa bella riguardo alla fabbrica del consenso del nostro stato corporativo è quanto essa sia prevedibile. Vediamo come i media mainstream pubblichino sempre più articoli, che spingono tutti sul fatto che l’Iran è uno sponsor del terrorismo e sta cercando di sviluppare l’atomica (che è un’arma di distruzione di massa, WMD, ma, per qualche strana ragione, i nostri media sono riluttanti a dire “loro hanno le WMD”). Qui c’è un articolo del 2017 di PSB dove si afferma che l’Iran è lo stato che, più di tutti gli altri, sponsorizza il terrorismo.

Bisogna allora pensare che l’elenco degli sponsor del terrorismo non comprenda la nazione che ha prodotto le armi che hanno migliorato in modo significativo le capacità militari dello Stato Islamico. (Sono gli Stati Uniti).

O la nazione che ha sganciato centinaia di bombe al giorno in Medio Oriente. (Sono gli Stati Uniti). Ma quelle bombe non causano nessun terrore. Quelle sono chiaramente bombe felici. Pare che abbiamo appena sganciato 1995 Richard Simmons [comico americano] su gente ignara.

Il punto è, mentre guardiamo i nostri patetici media corporativi continuare la preparazione del consenso alla guerra con l’Iran, non caschiamoci.
Tutte queste guerre sono per le banche. E ci muoiono milioni di persone. Altri milioni ne hanno la vita distrutta.
Io e voi in questo gioco siamo solo delle pedine, ma, l’ultima cosa che le elites vogliono, sono delle pedine che mettano in dubbio la narrativa ufficiale.

(Lee Camp è un comico americano, scrittore, attore ed attivista. Considerato da Salon “il John Oliver di Russia Today”, Camp è l’ospite del primo telegiornale comico di RT of America “Renacted Tonight”, che affronta la scaletta delle nozie con una salutare dose di satira e umorismo. L’esperienza giornalistica di Lee è molto vasta, avendo scritto per The Onion, Comedy Central e The Huffington Post, compresa una raccolta di saggi di successo, come Moments of Clarity e Neither Sophisticated Nor Intelligent. I suoi spettacoli di cabaret sono stati rappresentati anche a Comedy Central,  ABC’s Good Morning America, Showtime’s The Green Room con Paul Provenza, Al-Jazeera, BBC’s Newsnight, E!, MTV, e Spike TV.)

5.06.2018

Scelto e tradotto per www.comedonchisciotte.org da MARKUS

[1] una gara di bevute in cui i giocatori cercano di gettare palline da ping-pong dentro boccali di birra; il perdente deve bere il contenuto del boccale in cui entra la pallina.

https://comedonchisciotte.org/io-so-quale-sara-la-prossima-nazione-ad-essere-invasa-dagli-stati-uniti/