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venerdì 8 ottobre 2021

730, obbligo di tracciabilità ed effetto Covid: così calano bonus e redditi. - Cristiano Dell’Oste e Giovanni Parente

 

(Illustrazione di Giorgio De Marinis)

Secondo la Consulta dei Caf l’imponibile scende dell’11% .Persi 78 euro medi di spese mediche detraibili. Giù gli sconti per scuola e figli.

Quasi 2.700 euro di reddito perso nell’anno della pandemia: -11,2 per cento. E un taglio netto alle detrazioni fiscali: 78 euro in meno di spese mediche – in media – abbinato a un calo del 3% dei beneficiari. I modelli 730 presentati quest’anno fotografano l’effetto combinato del Covid e dell’obbligo di pagamento tracciabile scattato dal 2020. Un doppio fattore che ha generato la prima riduzione delle tax expenditures dopo anni di annunci, come emerge dai dati sui modelli 730/2021 elaborati dalla Consulta nazionale dei Caf per Il Sole 24 Ore del Lunedì.

La «cassa» pesa sui redditi.

La perdita di reddito (2.697 euro in meno rispetto ai 730 presentati nel 2020) dipende soprattutto dal boom della cassa integrazione durante il 2020. Anche perché il grosso dei 18 milioni di dichiarazioni dei redditi gestite dal sistema dei Caf riguarda lavoratori dipendenti e pensionati.

E se è vero che non c’è stato un picco di licenziamenti e dimissioni, i modelli 730 sono un po’ come i dati sulla fattura elettronica per i titolari di partita Iva: un termometro dell’impatto della crisi economica.

Impatto che si vede anche dall’aumento dei contribuenti che hanno scelto di farsi accreditare il rimborso fiscale dall’agenzia delle Entrate anziché dal proprio datore di lavoro. Erano il 7,2% due anni fa, quest’anno sono arrivati all’11,2% sul totale dei modelli inviati dai Caf. Ciò non significa che tutti questi lavoratori siano rimasti senza un sostituto d’imposta, ma indica una chiara preferenza (vuoi perché il sostituto è incapiente, vuoi perché è in difficoltà con i pagamenti).

I pagamenti in contanti.

Non dipende solo dalla pandemia il calo delle detrazioni nei modelli 730 di quest’anno. Certamente ci sono persone che hanno rinviato visite mediche o piccoli interventi non urgenti. Così come molte mense scolastiche o asili nido hanno ridotto o rimborsato le rette. E lo stesso vale per le attività sportive dei ragazzi, a lungo impossibili durante i periodi di lockdown e zona rossa. Ma dall’inizio del 2020 è scattata anche la regola secondo cui le spese detraibili al 19% sono agevolate dal Fisco solo se pagate con strumenti diversi dal contante (con alcune eccezioni come i medicinali e le prestazioni presso strutture pubbliche o convenzionate).

Molti contribuenti non erano informati e hanno continuato a usare i contanti. Tant’è vero che la Consulta nazionale dei Caf ha chiesto di rinviare di 12 mesi la stretta. Ma le esigenze di gettito hanno impedito di accogliere la richiesta e ora i primi effetti si vedono nei 730, anche se è impossibile separarli dalle ricadute della pandemia.

Il risparmio per l’Erario, comunque, è evidente. I 78 euro medi di minori spese mediche detraibili – uniti al calo del 3% dei beneficiari – si traducono in una diminuzione della detrazione usata dai cittadini: 164,6 milioni di euro di bonus in meno. E questo solo riferendosi ai 730 inviati dai Caf, cui andranno aggiunti quelli gestiti dagli altri intermediari, quelli inviati tramite il fai-da-te e i modelli Redditi PF. Insomma, mentre la Nota di aggiornamento al Def conferma l’obiettivo di riordinare le agevolazioni nell’ambito della riforma fiscale, l’obbligo di tracciabilità dimostra di aver prodotto già un primo risultato. Anche se a pagare il conto potrebbero essere soprattutto i contribuenti più svantaggiati, che la riforma vorrebbe tutelare.

Non solo per la tracciabilità, l’effetto nelle dichiarazioni 2021 rischia comunque di essere molto consistente. Le minori detrazioni per spese scolastiche solo nei modelli dei Caf sono 20,8 milioni (80 euro e l’1,3% di beneficiari in meno). Quelle per le attività sportive dei ragazzi 3,4 milioni (25 euro e il 2,4% di beneficiari in meno).

ILSole24Ore

martedì 7 settembre 2021

Draghi ordina, Salvini si piega: adesso più Green pass per tutti. - Giacomo Salvini

 

Il cul de sac è evidente anche ai suoi fedelissimi: “Come si muove, Matteo prende sberle”. Così è stato giovedì scorso quando il presidente del Consiglio, Mario Draghi, per reagire al voto contrario della Lega in commissione sul Green pass, ha rilanciato sull’estensione del certificato verde e sull’obbligo vaccinale, e così sarà nei prossimi giorni quando Matteo Salvini dovrà ingoiare anche l’estensione del pass per i lavoratori. A spiegarglielo sarà Draghi in persona nelle prossime ore a Palazzo Chigi: “Sul Green pass non sono ammessi scherzi” è la linea del premier. E Salvini dovrà accettarlo. Il leader della Lega dunque è isolato e, dicono, sempre più nervoso. Perché sulle misure anti-pandemia alla fine si piegherà alla volontà del premier e alle altre forze di maggioranza che stanno appoggiando in toto la linea di Draghi: tra oggi e domani arriverà il voto alla Camera sul decreto che ha introdotto il Green pass e la Lega sarà costretta a dire “sì” – fiducia o non fiducia – rimangiandosi il voto in commissione per abolirlo; poi in cabina di regia i leghisti appoggeranno anche l’estensione del certificato verde per i dipendenti pubblici. Ipotesi che fino a qualche giorno fa Salvini vedeva come fumo negli occhi. E invece, su pressione dei governatori del nord e dei governisti guidati da Giancarlo Giorgetti, il segretario dovrà cambiare idea. Lo ha spiegato ieri proprio il ministro dello Sviluppo Economico che prevede “un’estensione del Green pass” per i lavoratori perché il certificato deve essere “uno strumento di sicurezza nei luoghi affollati”. D’accordo Massimiliano Fedriga, presidente del Friuli-Venezia Giulia: “Il certificato serve per migliorare la nostra vita”.

Ma Salvini ha grossi problemi anche fuori dal governo. L’altro incubo è quello delle prossime amministrative che potrebbero segnare non solo una pesante sconfitta nelle grandi città ma anche il sorpasso di Fratelli d’Italia nel voto di lista. E i sondaggi che girano a via Bellerio non sono rassicuranti: secondo le ultime rilevazioni FdI triplicherebbe la Lega a Roma (20 a 7%), la doppierebbe in Calabria (16 a 8%) e i due partiti sarebbero appaiati intorno al 10-11% a Milano e Napoli. Il sorpasso nel capoluogo lombardo, spinto dalla candidatura di Vittorio Feltri con Giorgia Meloni, sarebbe una batosta pesante per Salvini, perché Milano è la sua città natale e considerata un luogo simbolo del Carroccio. Per questo ieri pomeriggio Salvini ha convocato la segreteria federale e ha dato la sveglia ai suoi: “Bisogna fare una campagna pancia a terra a Roma, Milano e Napoli – ha detto – io farò 80 comizi in un mese”. Ma l’isolamento e le sberle ricevute negli ultimi giorni stanno portando Salvini ad aprire sempre nuovi fronti nel governo: l’abolizione del Reddito di cittadinanza, gli attacchi alla ministra Lamorgese sugli sbarchi, la battaglia su Quota 100 e l’appoggio a Roberto Cingolani sul ritorno al nucleare. Un modo per mettere pressione su Draghi. “Ma così Salvini spara a salve – attacca un ministro – perché non può permettersi di lasciare l’esecutivo con tutti i soldi del Pnrr”.

Il primo test arriverà oggi sul voto alla Camera. Ieri la Lega ha chiesto in una riunione di maggioranza di non mettere la fiducia ma allo stesso tempo ha deciso di non ritirare i 5 emendamenti che chiedono di eliminare l’obbligo del pass per gli under 12, di introdurre i test salivari e il risarcimento danni da vaccino. Che, se aggiunti ai 10 di FdI, potrebbero mettere in crisi la maggioranza nei voti segreti. Draghi deciderà se mettere o meno la fiducia ma se non lo farà la norma passerà con il voto della Lega. Poi arriverà il decreto per estendere il pass: la cabina di regia non è stata ancora convocata e potrebbe slittare alla prossima settimana. Ma, nel giorno in cui Roberto Speranza annuncia la terza dose da fine settembre e l’estensione “a breve” del pass, il governo vuole introdurre l’obbligo del certificato per i lavoratori da ottobre, dando 15 giorni di tempo ai non vaccinati per fare la prima dose: riguarderà i dipendenti pubblici e quelli di ristoranti, bar, palestre e mezzi pubblici. Per questo ieri Draghi ha ricevuto a Palazzo Chigi il segretario della Cgil Maurizio Landini e in serata i sindacati hanno visto i vertici di Confindustria per parlare del tema. Ma la strada ormai è tracciata.

ILFQ

lunedì 25 maggio 2020

Il virus si mangia pure gli aiuti: il terzo settore chiede ossigeno. - Paolo Dimalio

Il virus si mangia pure gli aiuti: il terzo settore chiede ossigeno

La pandemia miete altre vittime. Lotta al cancro, sostegno ai bimbi disabili, cooperazione internazionale, campagne per l’ambiente: alcuni esempi delle iniziative a rischio per via del calo delle donazioni nel Terzo settore. Secondo L’Istituto italiano delle donazioni il 40% degli enti ha il dimezzato i fondi, nel primo trimestre. Le organizzazioni di volontariato, promozione sociale e senza fini di lucro annaspano e chiedono subito il 5xmille 2018-2019: in tutto, 1 miliardo. ll denaro, del resto, è già nelle casse dello Stato: grazie al Decreto Rilancio (art.156) entro il 31 ottobre andrà ai beneficiari.
Airc (Associazione Italiana per la ricerca sul cancro) l’anno scorso ha raccolto 20 milioni dalle donazioni sul territorio: eventi, cene, manifestazioni. Ma ora è tutto fermo: “Stimiamo di perdere almeno 10 milioni”, dice Niccolò Contucci, direttore generale. Altri 18 milioni, nel 2019, sono arrivati dai bollettini postali. “Introiti sono quasi azzerati”, avvisa Contucci. Il direttore generale teme, a fine anno, perdite per almeno 30 milioni: “Soldi in meno per la ricerca sul cancro, purtroppo”. Su Amazon, però, Airc ha venduto 316 mila azalee: 5 milioni di euro per sostenere le cure oncologiche. Contucci dà un numero: “In Italia di tumore muoiono in media 500 persone al giorno, 180 mila l’anno”. Di Covid, ad oggi, sono decedute meno di 35 mila pazienti.
La Lega del Filo d’Oro assiste dal 1964 bambini ciechi e sordi. Per tutti loro, la quarantena ha acuito il dramma quotidiano dell’isolamento. Rossano Bartoli, il presidente, è preoccupato ma ottimista: “Il 65% delle nostre risorse è frutto di donazioni, a marzo si erano dimezzate ma per fortuna sono risalite”. Il crollo ha investito i bollettini postali, ma le donazioni online e i bonifici hanno compensato, in parte, le perdite.
Emergency è in prima linea sul fronte pandemia. Ma il timore è d’indebolire gli aiuti all’estero, dove le tragedie proseguono. “Ad oggi le donazioni non sono calate – dice Alessandro Bertani, vicepresidente – ma solo perché abbiamo lanciato una raccolta fondi contro il Coronavirus”. Quei soldi però sono destinati solo all’emergenza Covid. I contributi dal territorio sono crollati: eventi pubblici, cene, i ragazzi di Emergency per le strade. “Quella è la nostra fonte primaria – spiega Bertani – e se l’andazzo proseguisse, nel lungo periodo rischia la cooperazione internazionale”. Ad aprile è saltata, in Uganda, l’inaugurazione del centro di chirurgia pediatrica disegnato da Renzo Piano. Non si sa quando i volontari di Emergency (circa 1500) torneranno in strada: intanto, aiutano a distribuire cibo a chi è in difficoltà.
Greenpeace fonda le sue campagne per l’ambiente sulle donazioni raccolte grazie ai “dialogatori”. Sono i ragazzi in strada che avvicinano i passanti per convincerli a contribuire. “L’anno scorso valevano il 50% delle donazioni totali, oggi quei soldi sono evaporati”, dice Andrea Pinchera, direttore Fundraising. Greenpeace punta a raccogliere risorse con altri canali: call center, mail, social. “Il timore è di arrivare a fine anno con le donazioni a picco, senza fondi per le campagne”, avvisa Pinchera: “Ora stiamo valutando se riportare i ‘dialogatori’ in strada”.
L’Associazione italiana contro le leucemie (Ail) finanzia la ricerca sui tumori al sangue e sostiene i pazienti. “L’anno scorso a Pasqua abbiamo ricevuto 7 milioni grazie alle uova di cioccolata nelle piazze – dice il presidente Sergio Amadori –. Stavolta, con gli italiana chiusi in casa, abbiamo incassato zero”. I leucemici sono soggetti fragili, tra i più esposti agli effetti del Covid 19. Perciò la Onlus ha lanciato su internet, a fine marzo, la campagna “Io sono a rischio”. “Ma siamo ben lontani dai 7 milioni delle uova pasquali – dice Amadori –. Continuiamo ad aiutare i pazienti e le loro famiglie, i conti li faremo a fine anno: speriamo di raccogliere il 60% delle donazioni dell’anno scorso”.
L’Unicef porta aiuto ovunque, nel mondo, ci sia una tragedia, come la pandemia. “Le donazioni per noi non sono diminuite”, dice Andrea Iacomini, portavoce per l’Italia. Il fondo delle Nazioni unite per l’infanzia, dal 23 marzo, raccoglie contributi per l’emergenza Covid nello Stivale, con buoni risultati: “I contributi per i vaccini crescono, la raccolta digitale funziona e aumentano le persone che chiedono d’indicare l’Unicef come erede nel testamento”, dice Iacomini. Problema: le donazioni raccolte dai “dialogatori”, con i bollettini postali e gli eventi in piazza sono nulle, o quasi. Gli effetti, scommette Iacomini, si sentiranno tra qualche mese: il rischio, come per Emergency, è di non avere risorse per fronteggiare vecchie e nuove minacce.
Medici senza frontiere contrasta la pandemia in Italia e in altri 40 Paesi. La Onlus, del resto, era già in trincea contro il virus Ebola. Ma le conseguenze del lockdown sono serie: “Le donazioni calano perché le persone non vanno alle Poste e i ‘dialogatori’ restano a casa”, dice Annalaura Anselmi, direttrice della raccolta fondi. Senza il sostegno del territorio, Msf punta su internet e il telefono: il 10 marzo ha lanciato una campagna per raccogliere 100 milioni di euro contro la pandemia. Difficile pareggiare il crollo delle donazioni ‘faccia a faccia’ e via Posta, dice Anselmi: “Alcuni programmi ‘salva-vita’ sono stati convertiti all’emergenza Coronavirus, ma ci sono luoghi nel mondo dove si muore di colera e morbillo, con tassi di mortalità anche superiori al Covid 19. Il timore, sul lungo periodo, è che vengano a mancare risorse vitali per affrontare altri drammi”.
Save the Children sconta, come gli altri, una sofferenza nella raccolta fondi. “Oggi non conosciamo i numeri, ma alcuni sostenitori ci hanno detto di vivere situazioni faticose e hanno dovuto ridurre o interrompere le donazioni”, spiega Giancarla Pancione, direttrice marketing. L’organizzazione per l’infanzia non ha intenzione di rivedere i progetti per i piccoli.
Come l’ospedale pediatrico Meyer di Firenze: “Le donazioni sono diminuite – dice Alessandro Benedetti, segreterio generale della fondazione che sostiene il nosocomio –, ma i servizi proseguono. Certo, se ci fosse un anno senza donazioni, allora caso cambierebbe tutto”.

mercoledì 31 luglio 2019

Lavoro: disoccupazione al 9,7%. Mai così tanti italiani occupati dal 1977.

Lavoro: disoccupazione al 9,7%. Mai così tanti italiani occupati dal 1977



A giugno il tasso di occupazione per i 15-64enni è salito al 59,2% (+0,1 punti percentuali), segnando così un nuovo massimo storico: il livello più alto da quando sono iniziate le serie statistiche, ovvero dal 1977. A rilevarlo è l’Istat che registra per lo stesso mese come la stima degli occupati totali risulti «sostanzialmente stabile» rispetto a maggio, dopo la crescita registrata nei primi mesi dell’anno.

Nel dettaglio, il numero degli occupati a giugno scende di 6 mila unità. Istat spiega che il risultato è frutto di una crescita tra le donne (+15 mila) e una diminuzione tra gli uomini (-21 mila). Così, la disoccupazione segna la quarta flessione consecutiva, scendendo al 9,7%, in calo di 0,1 punti percentuali su maggio. Si tratta del tasso più basso da gennaio del 2012, ovvero da sette anni e mezzo.

Il mercato del lavoro italiano a giugno ringiovanisce, almeno un po’. Stavolta, infatti, dietro un’occupazione che nel complesso è sostanzialmente stabile si registra una crescita mensile di 10 mila unità tra i giovanissimi under25 (+10 mila, +0,9 punti), anche se nella fascia più alta, tra i 25 e i 34 anni si contano 4 mila unità in meno (-0,1 punti). Questo è il tasso più basso dall’aprile del 2011.Dopo mesi invece, come si rileva dai dati dell’Istat, c’è un calo nella classe degli ultracinquantenni, dove gli occupati diminuiscono di 18 mila unità (-0,2 punti).

Intanto, le domande per accedere a Quota 100, la possibilità di andare in pensione anticipata con almeno 62 anni di età e 38 di contributi, presentate all’Inps fino al 30 luglio sono state 164.907. è quanto comunica l’istituto di previdenza spiegando che 121.888 sono arrivate da uomini e 43.019 da donne. Del totale, 61.335 hanno fino a 63 anni d’età, 72.059 tra i 63 e i 65 anni e 31.513 oltre i 65 anni. Inoltre, 60.479 domande riguardano lavoratori dipendenti e 52.607 dipendenti che fanno capo alla gestione pubblica. Sul fronte della distribuzione geografica, in testa alle città metropolitane c’è sempre Roma con 13.152 domande, seguita da Milano con 7.642 e Napoli con 7.068 domande.


martedì 16 luglio 2019

Bankitalia: debito pubblico cala a maggio a 2.364,7 mld.

Una veduta della sede della Banca d'Italia a Palazzo Koch.

Scende di 8,7 miliardi rispetto al mese precedente.


A maggio il debito delle amministrazioni pubbliche è stato pari a 2.364,7 miliardi, in diminuzione di 8,7 miliardi rispetto al mese precedente. Lo si legge nella pubblicazione statistica "Finanza pubblica: fabbisogno e debito" di Bankitalia. L'andamento, spiega Via Nazionale, riflette la riduzione delle disponibilità liquide del Tesoro (11,3 miliardi, a 47,2; erano pari a 57,6 miliardi a maggio 2018), solo parzialmente compensata dal fabbisogno delle amministrazioni pubbliche (1,1 miliardi) e dall'effetto complessivo degli scarti e dei premi all'emissione e al rimborso, della rivalutazione dei titoli indicizzati all'inflazione e della variazione del tasso di cambio (1,6 miliardi). Con riferimento ai sottosettori il debito delle amministrazioni centrali è diminuito di 8,7 miliardi; il debito delle amministrazioni locali e quello degli enti di previdenza sono rimasti pressoché invariati. 

giovedì 11 aprile 2019

Chi diavolo ha fatto fuori Di Battista? - Rosanna Spadini




Non riesco a capire… spero non sia stato Luigi Di Maio, perché infastidito dalle proteste di Dibba contro l’appiattimento troppo servile nei confronti della Lega, vedi salvataggio per il processo farsa di Salvini che si sarebbe risolto in una strabiliante fuffa. Vedi continue critiche a certe linee di governo che tradivano l’identità originaria del MoV, perché né destra né sinistra non vuol dire dare un colpo al cerchio e uno alla botte in maniera indifferenziata, ma riuscire a bypassare le ideologie, intese come camicie di forza che impediscono di scegliere secondo ragione e buon senso.
Lo aveva detto proprio il vecchio Casaleggio: “Un’idea non è né di destra, né di sinistra, ma è buona o cattiva”. E finora lo slogan identitario era stato rispettato, al contrario di quanto è avvenuto al governo Salvimaio, che ha spesso trascurato lealtà e onestà nei confronti dei suoi elettori.
Di Battista è sparito? Sta facendo un corso di falegnameria che lo attizza parecchio? Sta partendo per l’India? Perché non è presente alla kermesse di Ivrea? Perché non sarà presente alla prossima campagna elettorale per le Europee?
Molte sono le domande che si fanno attivisti ed elettori, ma certo non credono alle sue dichiarazioni, circa il desiderio di mettersi a girovagare per il terzo mondo, inviando ficherrimi reportage al Fatto Quotidiano, sulle sue esperienze antropologico culturali, come fosse un novello Ulisse spinto dalla sete di conoscenza.
Forse però la scomparsa di Di Battista è un segnale molto più diretto e meno enigmatico di quanto possa sembrare, che riguarda la crisi interna e identitaria che sta vivendo il M5S. una forza politica che perde sistematicamente le battaglie amministrative, incapace di mettere radici sul territorio, dominato com’è da un anarchismo strutturale endemico, che genera automaticamente correnti antitetiche in continuo conflitto tra di loro per la conquista di un posto al sole, faide interne concepite soltanto al fine di screditare gli amici/avversari, e per far emergere unicamente i propri paladini.
Se l’anarchismo metodologico aveva favorito la nascita del MoV, e permesso di reclutare velocemente una classe dirigente autogeneratasi per palingenesi spontanea, tratta direttamente dalla società civile, ora sta impedendo il radicamento sul territorio, la vittoria in molte elezioni amministrative e il reclutamento di soggetti capaci in grado di affrontare le sfide politico sociali del presente e del futuro.
Nel tempo l’anarchismo endemico ha provocato la nascita di numerosi feudi territoriali dal forte potere gestionale, probabilmente sfuggiti al monitoraggio dei vertici, che pilotano direttamente le candidature, organizzando pacchetti di voti da destinare ai loro epigoni servili, spesso degli emeriti incapaci, che una volta arrivati a ricoprire qualche carica, o rimarranno legati da vincoli indissolubili ai loro feudatari (in cambio di che?), oppure alla prima occasione passeranno al gruppo misto, tradendo il mandato elettorale e i loro elettori.
Forse per questo Di Battista se n’è andato in India… forse non è riuscito a salvaguardare l’identità del MoV, la sua carica rivoluzionaria, i suoi valori tipici quali onestà, trasparenza, democrazia diretta. Vero che governare significa fare scelte, quindi dividere l’elettorato, però molte sono state le delusioni: Tap, vaccini, scuola, Ilva, salvataggio giudiziario di Salvini, Tav (??).
Nel caso del salvataggio di Salvini la scelta del MoV in quel caso fu assolutamente sbagliata e suicida, i 5 Stelle in quell’occasione tradirono i propri valori e dannarono se stessi. È bastato un anno di governo perché il virus del maschio Alfa strozzasse in fieri la rivoluzione.
Infatti se il MoV avesse veramente voluto cambiare le cose, avrebbe dovuto agire diversamente, senza doversi zerbinare in tante occasioni ai ricatti leghisti, molte vicende in cui all’opinione pubblica è sembrato che a decidere la linea del governo fossero stati i capricci dell’alleato/rivale, più che una vera sintonia esecutiva.
Una vera rivoluzione non dovrebbe essere strozzata sul nascere da pentimenti, rimorsi, rammarichi su quello che si sta facendo, ma l’esatto contrario e cioè dovrebbe essere una continua riaffermazione delle strategie poste in atto e una continua sfida verso le competizioni future.
La rivoluzione 5 Stelle voleva dare risposte a domanda di senso e di prospettiva, cercava di reagire alle ingiustizie e alle diseguaglianze. Ma la famosa “rivoluzione culturale” di cui parlava Grillo in realtà non è mai iniziata, basti solo pensare al fanatismo da parte del MoV nei riguardi della profilazione del candidato simbolo, che deve essere necessariamente giovane, non importa se colto/a, ma sempre un assiduo frequentatore del web, generatore indefesso di post di propaganda, sorriso accattivante e simpatico, abile collezionista di consensi, come fosse il ball boy di una partita di tennis.
Come per i “frati cercatori” di un tempo, che svolgevano l’umile mansione di reperire risorse presso il popolo, gli attivisti e portavoce dei 5 Stelle sono investiti dell’incarico di raccattare voti presso il popolo del web, umili yesmen assolutamente prostrati al volere dei loro capibastone di riferimento, che dettano loro programmi ed eventi da svolgere. I contestatori sono merce da scartare nel meraviglioso e libero mondo del MoV, gli eretici sono roba da bruciare sul rogo perché considerati avversi all’unico vero credo ammissibile, deciso sempre e comunque dai vertici, non certo dalla base, che serve come paravento democratico.
L’unico verbo dei 5 Stelle deve essere la rinuncia alla critica, la completa umiltà, l’obbedienza  volontaria, la pace interiore e l’assoluta fede nello spirito del MoV. Deve essere l’esclusiva e acritica sottomissione all’unica fede politica, una sorta di fanatismo ideologico spesso causa d’intolleranza, e di violenza verbale nei confronti di chi ne professa una diversa.
Il MoV è una tecnocrazia applicata alla politica, le votazioni raccolte su Rousseau, spesso attraverso cordate preconfezionate, scandiscono le tappe elettive, favoriscono il clientelismo più malsano, premiando così figure opache, afone, inespressive e ambigue, cioè l’esatto contrario della meritocrazia tanto proclamata.
Ironia della sorte l’umorismo di Grillo, che avrebbe dovuto rappresentare l’antidoto contro ogni forma di fanatismo, non è servito a salvaguardare la verginità della rivoluzione e ha dovuto cedere di fronte ai vizi della politica: arrivismo, superficialità, clientelismo, arroganza, ottusità, autoreferenzialità.
Dibba a questo punto è sparito, non si conoscono i veri motivi, ma si possono intuire. La sua partenza è stata probabilmente provocata da uno scontro interno tra le diverse anime del MoV, i cui vertici non sono stati in gradi di scongiurare.
Il primo segnale di impazzimento è stata proprio la sua scomparsa dalla scena politica, dopo l’exploit a Parigi presso i Gilets Jaunes che avevano fatto lui e Di Maio a febbraio, e dove era apparso marcato a vista e impedito nei movimenti. Però il tentativo di arginare la perdita di punti nei sondaggi non era riuscito, e l’evento aveva rilevato una spaccatura interna tra i due non ancora irrecuperabile, ma certamente evidente.
Nella gestione di governo i 5 Stelle hanno perso troppo tempo a impedire che le numerose “manine” dell’alleato potessero taroccare l’iter delle leggi da approvare, si sono lasciati anche logorare da un partner/avversario che ha cercato quotidianamente di drenare voti dal loro elettorato al suo, e che in parte c’è riuscito alla grande.  Insomma la maionese richiede diversi ingredienti dosati con precisione, va amalgamata e montata al punto giusto, diversamente impazzisce.
Ora il M5S senza Di Battista è come una Ferrari che non riesce a superare i 100 km orari, questo sembrano dire i sondaggi nel momento in cui c’è ancora molta strada da compiere per l’esecutivo. La legislatura ora dovrà proseguire continuando ad affrontare le prossime sfide: europee, flat tax, def. Ma la partita si fa sempre più difficile e la mancanza di Dibba pesa ogni giorno di più.
In parole povere chi li ha votati comincia a nutrire dei dubbi sulla validità della scelta espressa circa un anno fa, magari temendo di aver puntato sulla squadra sbagliata. I vertici hanno compiuto indubbiamente degli errori strategici, ma il ripristino delle posizioni perse non può avvenire senza un’autocritica seria e costruttiva, che al contrario pare essere stata per il momento scartata.
Non bastano migliaia di likes su Facebook e sorrisi smaglianti stampati in faccia per arginare l’inadeguatezza di certe strategie improvvisate, o dettate da scarse conoscenze storico politiche. Occorrerebbe molta più saggezza, che non può che derivare da sapienza e cultura.
Ed escludere dalla battaglia quotidiana un soggetto così fondamentale come Di Battista, dimostra carenza di quell’ingegno strategico, che non si trova tra gli spot di propaganda.
Dibba per il momento se n’è andato, non voglio pensare che sia stata l’arroganza del potere ad escluderlo, ma indubbiamente è sparito dalla scena politica. Forse dalle lontane radure indiane ripenserà alla verità di quel motto famoso espresso proprio da un vecchio arnese in odore di mafia, che lui si era proposto di combattere: “Il potere logora chi non ce l’ha”.
Oppure si siederà sulle rive del Gange aspettando il passaggio del cadavere di qualche suo nemico.

venerdì 12 settembre 2014

Crisi, Confcommercio: ''Redditi tornati a 30 anni fa''.



Nel 2014 il reddito è stato pari a 17.400 euro (come il 2013), mentre nel 1986 era pari a 17.200 euro.

ROMA - Il reddito disponibile delle famiglie italiane è tornato ai livelli di 30 anni fa. Lo ha calcolato la Confcommercio nella nota di aggiornamento del rapporto sui consumi. Nel 2014 il reddito è stato pari a 17.400 euro (come il 2013), mentre nel 1986 era pari a 17.200 euro. Nel 2013, in particolare, la spesa delle famiglie ha registrato una flessione del 2,5%, con una contrazione del 7,6% in otto anni, durante i quali il reddito disponibile reale pro capite è sceso del 13,1%, pari a un ammontare di 2.590 euro a testa. Confcommercio sottolinea poi come sia in atto una vera e propria 'terziarizzazione' dei consumi, vale a dire come le famiglie siano costrette sempre di più a privilegiare i servizi rispetto ai beni. I primi, infatti, coprono ormai il 53% della spesa totale (dal 41,8% del 1992), mentre i secondi sono precipitati dal 58,2 al 47%. Non solo: i consumi cosiddetti 'obbligati' (dalla casa alla benzina, dall'assicurazione alla sanità) coprono ormai il 41% del totale, quindi la cifra che ogni famiglia ha a disposizione per tutto il resto, e su cui ha pertanto libertà di scelta, si è ridotta a 10.900 euro, dai 14.300 del 1992. Per la casa, per esempio, si è passati dal 17,1% al 23,9% del totale. Questo vuol dire, in sostanza, che la spesa ha subito importanti modifiche: nel 2013 si è speso meno per i pasti in casa e fuori casa (-4,1%) e in particolare per l'alimentazione domestica (-4,6%), i viaggi e le vacanze (-3,8%) e la cura del sé e la salute (-3,5%), al cui interno si è registrata la netta flessione della spesa per l'abbigliamento e le calzature (-6,3%).
Nel 2013 la spesa delle famiglie ha registrato una flessione del 2,5%, con una contrazione del 7,6% in otto anni. Lo ha calcolato Confcommercio nel Rapporto sui consumi. Sempre in otto anni il reddito disponibile reale pro capite è sceso del 13,1%, pari a un ammontare di 2.590 euro a testa. A pesare è in particolare la contrazione dei consumi per i beni, che sono fermi da oltre un ventennio. Le spese obbligate, vale a dire quelle che le famiglie devono sostenere per forza come casa, trasporti e sanità, hanno raggiunto il livello record del 41% del totale, contro il 32,3% del 1992. Lo calcola la Confcommercio nel Rapporto sui consumi. Il reddito disponibile per beni e servizi commercializzabili, una volta escluse queste spese, è sceso così a 10.900 euro, da 14.300 del 1992.   

martedì 25 settembre 2012

Crolla il mercato immobiliare, a picco anche i mutui.



Roma - (Ign) - Nel primo trimestre 2012 le compravendite sono diminuite del 16,9% rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente. I mutui sono scesi del 49,6%.Cresce invece la domanda di case in locazione.

Roma, 25 set. (Ign) - Crollo del mercato immobiliare nel primo trimestre del 2012 a causa del razionamento del credito, così come delle maggiori imposte sull'abitazione. Lo certifica l'Istat rendendo noto che nel primo trimestre 2012 le compravendite di unità immobiliari (154.813) sono diminuite del 16,9% rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente, mentre le compravendite di immobili ad uso residenziale sono diminuite del 17,2%, quelle di immobili ad uso economico dell'11,8%.

Il 92,9% delle convenzioni ha riguardato immobili per abitazione, il 6,3% unità immobiliari ad uso economico. Per entrambe le tipologie di utilizzo si registrano variazioni tendenziali negative in tutte le ripartizioni territoriali e le diminuzioni più marcate si osservano al Centro (-21% per le compravendite ad uso residenziale e -22,4% per quelle ad uso economico).
Nel dettaglio le compravendite ad uso residenziale diminuiscono in minor misura al Sud (-14,7%) mentre per quelle ad uso economico è il Nord-ovest a registrare la flessione tendenziale più contenuta (-1,9%). Per le compravendite ad uso residenziale la diminuzione tendenziale registrata nei grandi centri (-17,1%) è lievemente inferiore rispetto a quella osservata nei centri minori (-17,3%). Le compravendite ad uso economico mostrano un calo tendenziale più marcato nelle città metropolitane (-13,5%) e minore, pari al -10,8%, nelle altre città.
Non va meglio il trend dei mutui che nel primo trimestre 2012 (92.415 in totale) sono diminuiti del 49,6% rispetto al primo trimestre 2011. In particolare, i mutui con costituzione di ipoteca immobiliare (64.116) hanno registrato una flessione tendenziale del 39,2%, quelli non garantiti da ipoteca immobiliare (28.299) sono diminuiti del 63,6%.
Tutte le ripartizioni territoriali mostrano variazioni tendenziali negative per entrambe le tipologie di mutuo. Per i mutui non garantiti da ipoteca immobiliare è il Centro (-74,5%) a registrare la flessione tendenziale più marcata. Per i mutui garantiti da ipoteca immobiliare il calo tendenziale maggiore si registra nelle Isole (-45,8%).
La diminuzione tendenziale dei mutui osservata sul territorio di competenza degli archivi notarili distrettuali con sede nelle città metropolitane (-67% per i mutui senza costituzione di ipoteca immobiliare e -40,1% per i mutui garantiti da ipoteca) è maggiore di quella registrata nei restanti archivi (rispettivamente -61,2% e -38,6%).


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