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giovedì 29 settembre 2022

SQUALO BIANCO.

 

Il mondo cambia, i pantaloni a zampa d’elefante non si portano più, “The Rythim of the Night” di Corona è ormai un lontano ricordo, ma mamma Dc non muore mai.
Anzi lo scudocrociato è più vivo che mai.
Se prima lo trovavamo sotto un unico cartello, adesso è ovunque. Le correnti della balena bianca,
proprio come la nutella sul pane, si sono spalmate dappertutto.
Il popolo dei moderati, dei cattolici, dei centristi, degli immortali, di quelli che in qualunque partita sono in mezzo, è più forte che mai.
La balena bianca di destra.
Fratelli d’Italia, al primo sguardo, potrebbe sembrare la riproposizione della fiamma. Si tratta, però, di un’illusione ottica. Spulciando le liste, si possono intravedere ex chierichetti sparsi in ogni angolo dello stivale. Un meloniano dell’ultimissima ora, ad esempio, è Gianfranco Rotondi. Colui che fino a ieri si è definito l’ultimo Dc in vita, si riprende il feudo dei basisti campani. La famiglia di un tale Ciriaco De Mita, non uno qualunque, scrive sui social che la gente è libera di votare e che non si riconosce nel Pd. Non si tratta di un endorsement, ma certamente di un indizio. Bisogna, poi, ricordare che il fondatore della prima forza politica del Paese non ha militato certamente tra le file del Msi. Stiamo parlando ovviamente
di Guido Crosetto, quell’omone che appare su tutte le emittenti e oggi è in pole per un ministero chiave.
L’ex basista potrebbe andare al Viminale, alla Difesa, addirittura alla segreteria di Palazzo Chigi. Stiamo parlando dell’uomo di potere per eccellenza, che certamente non viene dalla scuola di Gianfranco Fini. Lo stesso Raffaele Fitto, che oggi si candida a diventare il ponte con i conservatori europei, prima di diventare il governatore della Puglia era il rampollo di Rocco Buttiglione.
L’immortale Tabacci.
L’operazione Tabacci è una vera e propria riproposizione plastica di come il vecchio non muore mai.
Il centrista per eccellenza entra in punta di piedi, avanza mano a mano nelle platee, fino a prendersi il palcoscenico e poi il seggio. Come il miglior cowboy, gira il lazo e si fa portare a cavallo dai vari Spadafora, Castelli e Azzolina. Il buon di Maio dopo lo scatto da Nennella finisce fuori non dal ristorante, ma dal palazzo, mentre il buon nonno di Quistello, in silenzio, blocca la poltrona. Non è fantapolitica pensare che tra qualche mese si dimenticherà dell’amico di Pomigliano, quello che lo ha salvato nel momento più buio del centrosinistra per sposare il nuovo leader della sinistra Giuseppe Conte. Come li manovra il Centro Democratico gli avvocati della politica, non lo fa nessuno.
Stiamo parlando, d’altronde, anche in questo caso, di chi ha imparato a giocare a tressette a Nusco.
Un Casini per ogni ora.
A proposito di Unione di Centro,
anche in questa campagna elettorale, nessuno di quel mondo resta a terra. A parte il buon Antonio Saccone, lasciato a casa prima della presentazione delle liste, ma per lui un ente o una partecipata uscirà sempre, chi proviene da quella storia riesce sempre a ritagliarsi uno spazio.
Il simbolo indiscusso è Pier Ferdinando Casini.
L’uomo delle undici consiliature,
dopo aver tentato di rubare addirittura lo scranno a Mattarella, è l’unico dei centristi del Pd che riesce a salvarsi. Non lo scalfiscono neanche le frecciate giornaliere di Vittorio Sgarbi, che gliene dice di cotte e di crude. Il belloccio della tv ha la faccia di bronzo.
Gli puoi lanciare qualunque cosa contro, lui resta immobile, anzi si fortifica.
Sembra quasi un supereroe della Marvel. Un metodo copiato alla perfezione dai suoi ex gregari.
Lorenzo Cesa aveva già rinnovato l’arredamento del suo studio qualche giorno prima del voto, sicuro di una riconferma, mentre al buon Antonio De Poli basta farsi un giretto per le Marche. Questi signori non sbagliano mai. Lo sa bene Mario Baccini, il re del microcredito nazionale. Nessun amministratore può pensare di ignorare quei corridoi.
Dal sindaco di Montefredane, in provincia di Avellino fino a quello dell’ultimo paese del Friuli, il pellegrinaggio con vino e tipicità, a Natale, è obbligatorio.
Nulla di più, perché i veri cattolici hanno un’etica: non accettano regalie, ma solo piccoli omaggi di madre natura.

mercoledì 17 agosto 2022

Votate Pier Muzio. - Marco Travaglio

 

Sto seriamente pensando di prendere la residenza a Bologna per riuscire a votare almeno una volta Pierferdinando Casini, uno dei due italiani viventi (l’altra è Emma Bonino) che hanno trascorso più anni in Parlamento che fuori: 39 su 66. E non è l’unico record che gli invidio. Dopo le epiche battaglie nella Dc contro il divorzio e le sfilate nei Family Day, ha divorziato due volte. Ha cambiato più mogli e compagne che partiti, di cui vanta peraltro una discreta collezione (Dc, Ccd, Udc, Scelta civica, Pd). E ogni volta che mette “la mano sul fuoco” sull’innocenza di un amico, quello si becca regolarmente 7 anni definitivi di galera. Lo fece con Cuffaro ad Annozero e Totò fu condannato a 7 anni per favoreggiamento a un boss mafioso. Lo fece con Dell’Utri, scrivendo tutta la sua “stima” per il deputato imputato alla vigilia della sentenza di primo grado su carta intestata di presidente della Camera, e Marcello si beccò 9 anni, poi ridotti ai soliti 7, per concorso esterno in Cosa Nostra. E dire che Casini, ai tempi di Mani Pulite, si sperticava in pompe magne per Di Pietro e lo voleva nel Ccd. La perdita (per fortuna solo simbolica) di entrambe le mani sul fuoco gli valse un nuovo soprannome dopo Pierfurby (Dagospia), carugnin de l’uratori (Bossi), Azzurro Caltagirone (Grillo), Piercasinando (nostro): Muzio Scevola.

Quella belva dorotea del suo talent scout, Tony Bisaglia, che l’aveva scoperto in tandem con Marco Follini, diceva: “Casini è bello, Follini è intelligente”. Ma, come galleggiante, Piercasinando non lo batte nessuno: è in Parlamento ininterrottamente dal 1983, quando al Quirinale c’era Pertini e a Palazzo Chigi arrivò Craxi. Dieci legislature compiute e l’undicesima già pronta, grazie al compagno Letta, che come Renzi lo ri-blinda nella Bologna rossa (di vergogna). Lì l’ultima volta trascinò il Pd al peggiore risultato di sempre. E ora potrebbe superarsi. Ai compagni bolognesi che lo imploravano di allontanare da loro l’amaro calice, Letta ha risposto che Piercasinando è fondamentale “per rendere più efficace la nostra tutela della Costituzione” sotto “assalto da parte della destra”. La stessa destra che nel 2006 tentò l’assalto con la devolution di Calderoli&C., quando ne faceva parte Casini. Il quale poi si buttò a sinistra giusto in tempo per partecipare agli assalti del Pd alla Carta: quello di Letta nel 2013 e quello di Renzi nel ’16. Ma si sa come sono questi assalti: se li fa la destra sono golpe, se li fa la sinistra benedizioni. E comunque, per non saper né leggere né scrivere, Piercasinando è sempre fra gli assaltatori. E sempre senza mani.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2022/08/17/votate-pier-muzio/6764788/

venerdì 29 maggio 2020

Briatore, Casini e Montezemolo: i frugali d’Italia. - Antonio Padellaro

Briatore, Casini e Montezemolo: i frugali d'Italia – infosannio

















Sere fa, inquadrato su Rete4, Luca Cordero di Montezemolo sembrava uscito dalla cornice ovale di un ritratto museale, tipo: uomo con turbante rosso, oppure dama con liocorno. Infatti apparentemente non dava segni di vita fino a quando Barbara Palombelli non gli ha chiesto cosa pensasse del governo Conte, al che arricciando le aristocratiche labbra LCdM ha mormorato qualcosa come: “Inadeguato”. Quindi i custodi lo hanno riposto delicatamente in magazzino. Da giorni ci perseguita il termine “frugale” che nei tg è associato ai quattro Paesi (Austria, Danimarca, Olanda e Svezia) timorosi che qualsiasi prestito fatto all’Italia poi ce lo sputtaniamo col Gratta&Vinci o in qualche osteria. Davanti al ritratto del gentiluomo disgustato con ermellino, mi sono detto che anche noi abbiamo la fortuna di annoverare miliardari frugali, che notoriamente si nutrono di bacche e licheni, pensosi sui destini del Paese finiti nelle mani di un avvocato pugliese, inadeguato fin dal 740.
Gente sobria nel collezionare Cda e mandati parlamentari, come il senatore emerito, Pier Ferdinando Casini, promotore dell’imminente rivolta dei Forconi pariolini contro il governo affamatore dei poveri. Vip dalle abitudini frugali, come Flavio “Billionaire” Briatore, fustigatore talk della inettitudine di premier e virologi con argomentazioni implacabili (“ma sono scemi?”). Lui che per curarsi ha brevettato un nuovo formidabile antipiretico: la “Tachipirigna” (testuale), da servire con lime, distillato di canna e molto ghiaccio tritato. Ma il nostro frugale preferito resta il deputato leghista Claudio Borghi, da tempo legato e imballato in un trumeau di Montecitorio, dopo che a ogni sua dichiarazione lo spread spiccava il volo. Riesumato d’urgenza quando all’annuncio del maxi-piano Ue da 172 miliardi per l’Italia gli è stato chiesto di sparare la prima cazzata che gli veniva in mente. Questa: “Il Recovery fund è una fregatura”. Poi uno si chiede perché i Paesi frugali ce l’hanno con noi.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/05/29/briatore-casini-e-montezemolo-i-frugali-ditalia/5817353/?utm_source=newsletter&utm_medium=email&utm_campaign=commenti&utm_term=2020-05-29

venerdì 29 novembre 2013

SCANDALO MPS/ Tutti gli interessi di Caltagirone, suocero d’oro di Casini, e di Letta (Goldman Sachs). - Carmine Gazzanni

Forse pochi lo sanno, anche perché nessuno, in questo periodo di facili (e legittime) accuse a questo o quel partito, l’ha ricordato. Eppure fino al 26 gennaio 2012 (precisamente un anno fa, dunque) vicepresidente e azionista (per il 4 per cento) del Monte dei Paschi di Siena era nientepopodimenoche Francesco Gaetano Caltagirone, il suocero d’oro di Pierferdinando Casini, uno dei principali finanziatori dell’Udc e sostenitori dell’operazione Monti-bis.
IL LEGAME, GLI INTERESSI, LE LEGGI AD HOC – Sui legami del trio Caltagirone-Casini-Monti ci siamo già occupati: l’ex premier, nel corso dei suoi tredici mesi di mandato, ha lavorato (e tanto) per dare nuova linfa al campo dell’edilizia dove – lo sappiamo bene – gli interessi dell’imprenditore romano sono più che forti. Leggi ad aziendam? Sarebbe troppo affrettato dirlo. Certo è che la politica economica infrastrutturale messa in piedi dall’esecutivo tecnico potrebbe avvantaggiare appunto i grandi costruttori italiani: dall’importo massimo portato fino a 40 mila euro per l’affidamento fiduciario (senza gara dunque) dei servizi di progettazione, all’obbligo di utilizzo del criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa nelle gare di ingegneria e architettura solo oltre i 100 mila euro; dai 224 milioni di euro già stanziati (ma si parla di un totale di 2 miliardi) per le aree degradate di alcune grandi città, al rilancio delle grandi opere pubbliche senza alcun rischio per le imprese (a rimetterci potrebbero essere invece le casse pubbliche); fino alla defiscalizzazione per le opere infrastrutturali.
Ma anche se prescindessimo da quanto detto, il legame rimarrebbe intatto dato che Caltagirone è il maggior finanziatore dell’Udc, il partito del genero Pierferdinando Casini, uno dei promotori più decisi del Monti-bis. Ecco allora che sorge qualche dubbio: perché nessuno dall’Udc ha alzato la voce sul caso Mps? E perchè Mario Monti è stato così prodigo nell’attaccare il Pd, dimentico però del ruolo che fino all’altro ieri rivestiva chi oggi lo sostiene?
CALTAGIRONE: IL SOCIO-VICEPRESIDENTE. E CLIENTE DI RIGUARDO DI MPS – Una possibile risposta potremmo averla se guardassimo a quelli che sono stati gli affari di papà Caltagirone nel periodo della sua vicepresidenza a Siena. Va precisato immediatamente un particolare: il rapporto col dimissionario Giuseppe Mussari, ex presidente di Mps, è stato più che redditizio. E dove ha inciso soprattutto? In campo edile, ovviamente. Un caso su tutti. Nel 2009 il Monte dei Paschi, attraverso Antonveneta (successivamente incorporata in Mps Immobiliare) ha venduto alcuni immobili. Indovinate a chi? Alla Immo 2006 srl, società controllata indirettamente da Francesco Gaetano Caltagirone. Costo dell’operazione: 37,58 milioni di euro.
Finita qui? Certo che no. Per il socio-vicepresidente-imprenditore-cliente gli affari sono stati d’oro durante questo periodo. E allora ecco un altro finanziamento notevole: sempre nel 2009 alla Cementir Holding (direttamente controllata dalla Caltagirone spa) sono stati erogati dalla banca di Rocca Salimbeni 49,5 milioni. Ma, probabilmente, non sono bastati. E allora, dopo solo un anno, da Siena sono arrivati altri finanziamenti per Caltagirone per oltre 200 milioni di euro, concessi ovviamente in varia forma tecnica, più mutui fondiari per 30 milioni alla Immobiliare Caltagirone, altra società di punta dell’imprenditore romano. La Immobiliare, però, nel corso degli anni, ha goduto anche di altri corposi finanziamenti provenienti proprio dalla banca diretta da Mussari. Come quello del 2008: 120 milioni di euro.
C’è da dire, però, che Mussari non ha mai fatto nulla per nulla. E allora, se la banca è stata decisamente prodiga negli anni, Caltagirone imprenditore non è stato da meno nei confonti di Caltagirone socio e vicepresidente di banca: a fine 2010 erano circa 296 i milioni depositati presso Montepaschi, per lo più appartenenti alla controllata (e quotata) Caltagirone Editore.
Un rapporto proficuo per tutti, insomma. E allora perché non allargarlo ulteriormente? Ci si pensa a maggio 2010: il cda di Mps delibera un “incremento delle linee di credito ordinarie con utilizzo secondo varie forme tecniche per 175 milioni di euro a favore di Acea S.p.A”, poi seguite da altri 15 milioni. Anche la multiutility romana, leader – come si legge sul sito – “nel settore idrico e dell’energia”, è ovviamente una partecipata da Caltagirone (allora al 13 per cento, oggi al 15).
CALTAGIRONE SI DIMETTE: PUZZA DI BRUCIATO? – Il 26 gennaio dell’anno scorso però, come detto Caltagirone dà le sue dimissioni dal consiglio di amministrazione della banca e dal suo incarico di vicepresidente. Esce dalla banca, di cui peraltro era anche socio detenendo il 4 per cento delle azioni. L’imprenditore, d’altronde, si era già autosospeso dall’incarico il dieci novembre in seguito alla condanna a tre anni e sei mesi di reclusione nell’ambito del processo per la tentata scalata dell’Unipol alla Bnl. Una scelta morale, sembrerebbe. Di onestà intellettuale. In realtà le cose non stanno così. Per due motivi. Innanzitutto perché, da quanto sta emergendo in questo periodo, Caltagirone sapeva molto di più di quanto non si pensi, soprattutto sull’operazione Antonveneta, oggi tornata di così stretta attualità. E secondo perché, come vedremo nel prossimo paragrafo, gli affari con Mps continuano ancora oggi. Nonostante tutto.
Ma cominciamo dal primo dei due punti sollevati. Proprio ieri il CorSera è andato a spulciare i verbali del consiglio di amministrazione da settembre a dicembre 2011. In quel periodo la banca appariva decisamente in affanno. Già a settembre, infatti, i consiglieri di amministrazione prendono coscienza della necessità di intervenire. Ma prima bisogna farsi i conti in tasca: capire cosa realmente ci sia nei portafogli della banca. Sebbene, almeno formalmente, non ci sia traccia nei verbali dei derivati oggi sotto la lente di ingrandimento della Procura di Siena (Alexandria, Nota Italia e Santorini), la preoccupazione è alta. “Quanti Btp abbiamo in portafoglio?”, chiede proprio lui, il vicepresidente di allora Francesco Gaetano Caltagirone.
Il capo del risk management Giovanni Conti ammette la difficoltà e risponde a Caltagirone: 28 miliardi di titoli governativi, 21,6 dei quali dello Stato italiano, il 40% dei quali “si concentra su scadenza lunghe”. Caltagirone contesta: Il portafoglio è “marcatamente sbilanciato” sia per Paese sia per le scadenze “prolungate”. Sebbene il direttore finanza Giovanni Baldassari cerchi di difendersi, non riesce a convincere il vicepresidente: “la situazione non è ulteriormente sostenibile, sia come rischiosità che come conseguenze di conto economico, si devono prendere opportuni provvedimenti per alleggerire queste posizioni”.
Insomma, nella ricostruzione di Fabrizio Massaro sul Corriere appare chiaro che Caltagirone avesse avuto sentore del rischio di restare in banca, soprattutto come socio e come dirigente di punta. Dopo pochi mesi, infatti, rassegna le sue dimissioni e cede tutte le sue azioni. Ecco perché, dunque, non è credibile la tesi secondo cui ci sia dietro un gesto nobile dopo la condanna per la scalata Unipol. Caltagirone non avrebbe voluto dimettersi. Tanto che ben presto passa ad un’altra banca: acquista l’1 per cento delle azioni di Unicredit e riesce a inserire il figlio Alessandro nel cda. Pronto, dunque, per nuovi e proficui affari.
caltagirone_letta_scandalo_mpsGLI AFFARI CONTINUANO. OCCHIO AL “TRUCCO” – Affari che, tuttavia, non sono certo stati interrotti tra Caltagirone e Mps. Prova ne è la joint venture Fabrica Immobiliare sgr, che gestisce diversi fondi che, come si evince dal sito, sono tutti intestati a grandi filosofi dell’antichità: Aristotele, Seneca, Socrate, Pitagora, Cartesio. Dietro gli impegnativi richiami al pensiero del passato, però, ci sono interessi e giochi economici di prim’ordine. Stando al bilancio 2010 della banca senese, infatti, “tra nuovo credito, mutui e affidamenti ordinari alla sgr e alla galassia di fondi chiusi gestiti da quest’ultima, Fabrica Immobiliare lo scorso anno ha ricevuto da Banca Monte dei Paschi risorse per oltre 107 milioni”. Nel corso degli anni ognuno di questi fondi è stato finanziato. Giugno 2009: per il fondo Forma Urbis mutuo da 14 milioni. Luglio 2009: 39,4 milioni per i fondi Pitagora, Etrusca Distribuzione e Socrate. Novembre 2009: “affidamenti a carattere ordinario” per 35,1 milioni di euro per il fondo Socrate.
Ma, come detto, gli affari continuano ancora oggi. Basta andare a vedere chi sono gli azionisti della Fabrica Immobiliare: per il 49,9 per cento la Fincal spa (direttamente controllata da Caltagirone spa), per lo 0,02 per cento da Alessandro Caltagirone e per l’altro 49,9 per cento proprio dal Monte dei Paschi. Cosa vuol dire questo? Che, in teoria, la società non ha un socio di controllo. Un gioco sottile, dunque, quello di affidare lo 0,02 per cento delle azioni ad Alessandro che, nonostante sia figlio di Francesco Gaetano, non ha alcun ruolo in Fincal. Ergo: grazie a questo assetto proprietario, nessuno è tenuto a consolidare la sgr sui propri bilanci. In altre parole, i relativi e possibili debiti non vengono consolidati nei conti del gruppo, ma iscritte in bilancio per la quota parte di patrimonio netto. Dunque, anche su quelli del Mps. Gli affari continuano. Anche se sottotraccia.
TUTTI COINVOLTI – Caltagirone, però, non è l’unico ad aver avuto (e ad avere tuttora) rapporti con il Monte dei Paschi. Tutta la politica, nessuno escluso, pare legata agli interessi della banca senese. A giusta ragione – ma forse troppo semplicisticamente – si dice che il Monte dei Paschi sia la banca del Pd. Vero: Mussari è uomo in orbita democratici, tanti sono stati i finanziamenti della banca arrivati al partito e, di contro, tanti sono gli amici del Pd che occupano posti dirigenziali nella banca. Dire, però, che Mps sia solo legata al partito di Pier Luigi Bersani – come fatto da Grillo, Monti e Berlusconi – è fuorviante. Significa, in altre parole, nascondere una grossa fetta di verità. Per quanto riguarda Monti esemplificativo è il caso, appena illustrato, di Caltagirone,finanziatore numero uno del partito del genero Pierferdinando Casini e uno dei più fervidi promotori del Monti-bis. Non se la scampa, però, nemmeno Silvio Berlusconi. Tutt’altro. in questi giorni, infatti, sono spuntati tutti i rapporti che, nel corso degli anni, hanno tenuto in affari Mps da una parte e il Cav dall’altra. È lo stesso Berlusconi d’altronde ad aver ammesso che “grazie a Mps potei costruire Milano 2 e Milano 3, era l’unica banca che concedeva mutui premiando la puntualità dei pagamenti”. Come ricostruito da Marco Lillo su Il Fatto, l’atteggiamento di allora della banca fu del tutto particolare. Il 9 ottobre 1981 il sindacato ispettivo del Monte dei Paschi scrive: “La posizione di rischio verso il gruppo Berlusconi ha dimensioni e caratteristiche del tutto eccezionali e dimostrano l’esistenza di un comportamento preferenziale accentuato”. Da allora, dunque, un connubio ininterrotto quello tra B. e la banca senese, come testimoniato anche dai bonifici con causale prestito infruttifero alle Olgettine del ragionier Spinelli.
L’INTRECCIO MPS, GOLDMAN SACHS E GIANNI LETTA – Un nome che finora non è uscito, però, è quello di Gianni Letta. Anche il sodale da sempre di Silvio Berlusconi è legato a doppio filo col Monte dei Paschi. E il tramite è di tutto rispetto: la Goldman Sachs.
Cerchiamo di capire. La questione, ricostruita dalla giornalista Debora Billi sul suo blog, è decisamente interessante. Anche perché riguarda proprio quello su cui sta indagando in queste ore la magistratura: l’acquisizione di Antonveneta dagli spagnoli del Santander. Per gestire l’operazione Mussari decide di affidarsi proprio alla banca americana che, insieme, a Citigroup, Merrill Lynch, Credit Suisse, Mediobanca e Jp Morgan copre anche economicamente l’operazione. Si legge sul CorSera del 21 dicembre 2007: “Citigroup, Goldman Sachs, Merrill Lynch, Credit Suisse e Mediobanca si sono impegnati a sottoscrivere fino a 2,5 miliardi di euro. Jp Morgan, Goldman Sachs e Mediobanca cureranno il convertibile. Merrill, Citigroup, Goldman Sachs e Credit Suisse garantiranno poi la sottoscrizione degli strumenti di debito subordinati. Per il finanziamento ponte, infine, che verrà utilizzato da Mps nel caso di ritardi e problemi sugli altri due fronti, Citigroup, Goldman Sachs, Merrill Lynch e anche Credit Suisse e Mediobanca per la loro parte ne assicureranno la sottoscrizione”. Insomma, l’acquisizione – proprio quella su cui si è soffermata la lente della magistratura – è stata seguita in tutte le sue parti dalle banche.
Ma ecco il punto. Soltanto pochi mesi prima – giugno 2007 – la Goldman Sachs aveva affidato all’ex sottosegretario alla presidenza Gianni Letta l’incarico di consulente per l’Italia e componente del proprio international advisory board. Ruolo decisivo dato che, a conti fatti, Letta ha seguito tutte le operazioni della banca in Italia in quel periodo. A cominciare proprio dall’acquisizione di Antonveneta da parte del Monte dei Paschi.
Insomma, tutti sono legati alla banca senese. Il fango che in questi giorni ci si getta a vicenda non ha alcuna credibilità. È come quando un bambino, dopo aver commesso la marachella, getta le responsabilità sul compagno che gli sta affianco. In fondo, lo fa solo perchè teme di essere scoperto. 

mercoledì 7 agosto 2013

Sull'intervista esclusiva de "Il Mattino" al giudice Esposito....



Prescindendo dal fatto che il quotidiano "il Mattino" risulta essere di proprietà dei Caltagirone dal 1996; sappiamo anche che i Caltagirone sono imparentati con Casini e che Casini non disdegna alleanze con il soggetto Berlusconi...andiamo, pertanto, ad esaminare i fatti.

Appena undici giorni prima dell'attesa sentenza della Corte di Cassazione nei confronti del Cavaliere sul processo Mediaset, si verifica un fatto strano, viene rinvenuto un apparecchio elettronico negli uffici dei Supremi Giudici che dopo pochi giorni avrebbero dovuto pronunciarsi sulla sentenza dell’ex premier. Qui l'articolo: 

Microspia nell’ufficio dove si giudica il Cav  


Ora c'è da capire se la "presunta" intervista del giudice non sia una delle solite macchinazioni dell'insana mente di Berlusconi.

La "presunta" intervista, infatti, potrebbe essere proprio il risultato di una ricostruzione artefatta di quanto illecitamente intercettato...Non dobbiamo dimenticare che il tizio, lapalissianamente in odor di mafia, ama corrompere, comprare "anime" e, quando non ci riesce con il vil denaro, crea prove indiziarie per procedere, all'occorrenza, con il ricatto.

E' un semplice sospetto, ma non lo escluderei a priori, poichè la vicenda ha come oggetto-soggetto una  personalità ambigua e discutibile come quella di Berlusconi.


martedì 1 gennaio 2013

Pierferdinando Casini: «I nostri candidati passeranno l'esame Bondi».



Su Twitter, Pierferdinando Casini commenta così la situazione, che prevede una lista comune al Senato e liste separate alla Camera, con Mario Monti che si arrogherà il diritto di dire la sua sui candidati grazie al selezionatore, il commissario alle liste Enrico Bondi
Il leader dell’Udc è sicuro, insomma, che, oltre all’appoggio all’Agenda Monti, saprà anche dare il suo sostegno alla neonata coalizione proponendo candidature che non avranno problemi a superare l’esame di Bondi.
Su Repubblica vengono riportate altre parole di Casini:
«Alla fiera delle promesse rispondiamo con il coraggio delle verità. Da oggi si apre una fase di responsabilità, basta con la demagogia e le false promesse».
Il quotidiano romano aggiungeva anche:
«Precisando però che sarà lui a scegliere i candidati dell’Udc. E che Cesa sarà candidato».
Forse è a questo che si riferisce Casini quando parla di “zizzania”?
La Repubblica su Casini

venerdì 23 novembre 2012

E l'imprenditore Di Lernia confessò "Diedi 200mila euro ai centristi". - Carlo Bonini


E l'imprenditore Di Lernia confessò  "Diedi 200mila euro ai centristi"

L'imprenditore Tommaso Di Lernia


Il racconto di Di Lernia: fu Pugliesi a dirmi che dovevo pagare il partito di Casini. Pugliesi dirige l'Enav come una ditta individuale, senza condividere con alcuno le fonti di finanziamento legate ai lavori. Il Sistema assicura assunzioni e incarichi ai politici, nonché la titolarità di quote da parte di loro parenti in società.

ROMA - Racconta a verbale Tommaso Di Lernia, proprietario della "Print Sistem", l'uomo dei fondi neri del Sistema Enav-Finmeccanica, amabilmente chiamato " er cowboy ", che con Guido Pugliesi, amministratore delegato di Enav, e l'Udc di Pierferdinando Casini e Giuseppe Naro le cose siano andate così. Così come lui ne riferisce una prima volta il 25 maggio di quest'anno, rispondendo alle domande del pm Paolo Ielo. In un interrogatorio - chiosa il gip nella sua ordinanza - che diventa la "delazione" cruciale di "un protagonista".

LA CORRUZIONE IN ENAV. IL DENARO ALL'UDC Dice dunque Di Lernia: "Sono entrato in Enav, tra il 2004 e il 2005, grazie all'intervento del generale Bruno Nieddu (all'epoca presidente ndr)e del colonnello Tavano che mi aveva presentato Lorenzo Cola. Ebbi dei lavori su Milano e quindi conobbi in Enav Raffaello Rizzo, il quale mi manifestò la disponibilità a stabilire un rapporto diretto con me. Rizzo agiva in concerto con Guido Pugliesi, con cui concordava l'assegnazione dei lavori. Si trattava di lavori eseguiti per conto di "Selex" ma su lettera di segnalazione dell'Enav. Per la "preferenza" che mi aveva manifestato, erogai a Rizzo 50 mila euro, utilizzando fondi extracontabili. Pugliesi aveva sempre rifiutato le mie offerte di denaro. Tuttavia, nell'ultimo periodo, mi sollecitò un'offerta di denaro presso l'ufficio dell'onorevole Casini. Accettai la richiesta, prelevando 200 mila euro da un conto che avevo a san Marino, dove mi recai accompagnato dalla mia segretaria Marta Fincato.

Consegnai la somma negli uffici dell'Udc in piazza di Spagna, dove riuscii ad entrare solo dopo che Pugliesi, che si trovava già lì, scese e mi accompagnò, dal momento che il portiere dello stabile mi aveva impedito l'ingresso. Diedi il denaroa una persona che mi venne presentata come tesoriere dell'Udc, forse un parlamentare, e a cui Pugliesi disse che ero uno che lavorava con Selex"". "RICONOSCO LA FOTO. E' NARO". E' dunque Pugliesi a sollecitare la tangente. E - scrive il gip - ne ha motivo. "Pugliesi deve rispondere a quei rapporti politici da cui deriva la permanenza della propria nomina in Enav. La sua è una forma di "ringraziamento"". Per questo, "dirige Enav come una ditta individuale, senza condividere con alcuno le fonti di finanziamento legate ai lavori. Deve mantenere il monopolio dei finanziamenti che derivano dal Sistema". Un Sistema che "assicura assunzioni e conferimenti di vantaggiosi incarichi a uomini politici, nonché la titolarità di quote da parte di politici o loro parenti in società che debbono la loro esistenza alle commesse assicurate da Enav".

Il 13 luglio, Di Lernia torna a rispondere al pm Ielo. Mette a fuoco i suoi ricordi. "La consegna avvenne prima delle elezioni regionali del marzo 2010, che erano poi il motivo per il quale Pugliesi mi aveva sollecitato la somma". A Di Lernia viene quindi mostrata una foto. E - annota il gip - è a questo punto che "riconosce in Giuseppe Naro, nato a Militello Rosmarino il 6 febbraio del 1948, deputato dell'Udc e tesoriere del partito, la persona alla quale aveva consegnato il denaro e che non lo aveva fatto accedere nel suo studio personale, poiché in quel momento era in corso una "bonifica"".

LE CONFERME DI COLA E DELLA SEGRETARIA  "Di Lernia è un bugiardo", va ripetendo da tempo Pugliesi. "E' inattendibile", ha ribadito ieri il suo avvocato Francesco Scacchi. Verosimilmente mosso da "spirito di vendetta", perché, osserva ancora il legale, "su precisa indicazione di Pugliesi, Enav ha estromesso la Print Sistem dall'albo fornitori, ha interrotto i pagamenti e risolto tutti i rapporti contrattuali esistenti". E tuttavia, né il gip, né il pm, danno alcun credito a questa difesa. Vediamo perché.

Interrogato l'8 settembre scorso, Cola racconta: "Seppi da Di Lernia che aveva consegnato 250 mila euro all'Udc in via due Macelli (strada limitrofa a piazza di Spagna ndr.), alla presenza di Pugliesi. Per altro, qualche tempo dopo, a casa mia, alla presenza sia di Di Lernia che Pugliesi, chiesi a entrambi se fosse andata a buon fine l'operazione con l'Udc e Pugliesi mi diede una risposta positiva, cogliendo anzi l'occasione per ringraziare Di Lernia alla mia presenza".

Anche Marta Fincato, la segretaria del" cowboy ", ricorda. Interrogata, ricorda i viaggi a san Marino con Di Lernia. Ricorda, soprattutto, di averlo accompagnato in piazza di Spagna. "Rimasi ad aspettarlo in auto. Non sapevo dove era andato. Ma aveva con sé una valigetta, che normalmente usava per il trasporto di documenti e di denaro".

IL CONTO "CICLAMINO". LE CELLE TELEFONICHE C'è di più. Le indagini di polizia giudiziaria accertano che il 29 gennaio del 2010, a san Marino, Di Lernia effettua un prelievo di 206 mila euro dal conto corrente "Ciclamino" presso la "Banca Commerciale Sammarinese". Che la mattina del 2 febbraio 2010, la cella telefonica di piazza di Spagna aggancia sia il cellulare di Di Lernia che quello della sua segretaria. Che proprio quella mattina, i tabulati del cellulare di Di Lernia "registrano una chiamata di 9 secondi" proprio con Pugliesi.

L'AGENDINA DI PUGLIESI. La consegna del denaro, dunque, avviene il 2 febbraio dello scorso anno. E, per giunta, la conferma arriva dall'agenda personale sequestrata a Pugliesi. In quell'agenda, l'ad di Enav annota proprio per la mattina di quel giorno, alle 9.30, un appuntamento con Naro, il tesoriere dell'Udc. Che, per altro, e sempre a stare all'agenda, aveva già incontrato il 19 gennaio. "Insieme a Di Lernia e a un altro soggetto - annota il gip - come si può agevolmente dedurre dal nominativo Naro collegato con due barre. Una legata al nome Di Lernia, l'altra a un nominativo che sembra indicare la società Optimatica (società vicina all'ex ministro Matteoli ndr.)".

NARO: "DI LERNIA I SOLDI ME LI PROMISE SOLTANTO" Il 31 ottobre scorso, Ielo interroga Naro. E la sua difesa, chiosa il gip "è generica". Il tesoriere dell'Udc "esclude di aver ricevuto il denaro da Di Lernia, ma ammette di averlo incontrato nel suo ufficio con Pugliesi, con cui aveva un appuntamento per imprecisate ragioni. Per altro, Naro ammette anche la promessa di elargizione che durante quell'incontro gli avrebbe fatto Di Lernia in vista della futura competizione elettorale, ma nega che ciò sia poi avvenuto". "Si tratta - conclude il gip - di una mera allegazione difensiva. Sconfessata dalle fonti di prova".