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giovedì 21 gennaio 2021

‘Ndrangheta, maxi operazione: 48 arresti. Indagato anche il segretario dell’Udc Lorenzo Cesa: perquisita la sua casa a Roma. - Lucio Musolino


L'operazione, denominata 'Basso profilo', è coordinata dalla Procura Distrettuale di Catanzaro. Impiegati oltre 370 agenti tra polizia, carabinieri e militari. Oltre alle misure cautelari, la procura ha disposto l’esecuzione di numerosi sequestri di beni dopo aver accertato movimentazioni illecite per oltre 300 milioni di euro. Il politico: "Estraneo ai fatti, mi dimetto da segretario di partito".

Una maxi operazione contro la ‘ndrangheta su tutto il territorio nazionale, coordinata dalla Procura distrettuale di Catanzaro, è in corso dalle prime luci dell’alba. In arresto 48 persone tra boss mafiosi, imprenditori e funzionari pubblici. Numerose misure di custodie cautelari sono state disposte nei confronti dei maggiori esponenti delle ‘ndrine più importanti di CrotoneIsola Capo Rizzuto e Cutro, tra cui ‘Bonaventura’ ‘Aracri’, ‘Arena’ e ‘Grande Aracri’. L’operazione, denominata ‘Basso profilo’, vede impegnati 370 uomini e donne delle forze dell’ordine: 200 militari della Direzione Investigativa Antimafia (Dia) e 170 tra polizia, carabinieri e guardia di finanza, più il supporto di quattro unità cinofile e un elicottero.

Nell’inchiesta è indagato anche Lorenzo Cesa, segretario nazionale dell’Udc. La casa romana del politico è stata perquisita. “Ho ricevuto un avviso di garanzia su fatti risalenti al 2017. Mi ritengo totalmente estraneo, chiederò attraverso i miei legali di essere ascoltato quanto prima dalla procura competente. Come sempre ho piena e totale fiducia nell’operato della magistratura. E data la particolare fase in cui vive il nostro Paese rassegno le mie dimissioni da segretario nazionale come effetto immediato”, dice Cesa. L’assessore regionale al Bilancio, Francesco Talarico, segretario regionale dell’Udc, è invece ai domiciliari.

Tra gli arrestati ci sono anche imprenditori di spessore e funzionari della pubblica amministrazione accusati di essere collusi con le organizzazioni criminali. Oltre alle misure cautelari, la Procura di Catanzaro ha disposto l’esecuzione di numerosi sequestri di beni costituiti da compendi aziendali, immobili, automobili, conti correnti bancari e postali. Nel corso delle indagini è stata anche accertata la movimentazione illecita di denaro per un valore di oltre 300 milioni di euro. Maggiori dettagli sull’operazione saranno forniti nel corso di una conferenza stampa che si terrà nella tarda mattinata di oggi presso la sede della Corte d’Appello, a cui parteciperanno il procuratore capo Nicola Gratteri, e il direttore della Dia, Maurizio Vallone.

https://www.ilfattoquotidiano.it/2021/01/21/ndrangheta-maxi-operazione-48-arresti-indagato-anche-il-segretario-delludc-lorenzo-cesa-perquisita-la-sua-casa-a-roma/6073249/

sabato 30 agosto 2014

Voto di scambio, Cassazione: “Più difficile da dimostrare”. Nuova legge non funziona. - Giuseppe Lo Bianco

Voto di scambio, Cassazione: “Più difficile da dimostrare”. Nuova legge non funziona

I giudici hanno disposto un nuovo processo di appello per Antonio Antinoro (ex Udc), accusato di aver stretto un accordo elettorale con un clan palermitano. La recente riformulazione del 416ter ha esteso l’ambito di applicazione, prevedendo oltre al denaro anche "altre utilità" come contropartita per il procacciamento di voti, ma ha pure concesso un favore all’imputato prevedendo espressamente che i voti vengano procurati con "modalità mafiose".
C’era la busta con 5.000 euro in cambio di 60 voti, c’erano i boss della potente cosca di Resuttana, alla periferia occidentale di Palermo, presenti all’incontro con il candidato che portava la busta, ma per la Cassazione, che ha applicato la nuova legge sul voto di scambio approvata sei mesi fa, tutto ciò non basta: per condannare Antonello Antinoro, medico fisiatra, enfant prodige di Cuffaro soprannominato “Mister Preferenze” per gli oltre 25 mila voti raccolti alle Regionali del 2008, dice la Suprema Corte, bisognava provare che Antinoro sapeva non solo di poter contare sulla forza di intimidazione della cosca, ma anche che i boss si fossero impegnati con lui ad adoperarla : “Ai sensi del nuovo articolo 416 ter c. p. – scrive il relatore Orlando Villoni nella sentenza 36382 depositata nei giorni scorsi, con cui ha rinviato alla Corte di appello per un nuovo giudizio la posizione di Antinoro, condannato a sei anni per voto di scambio mafioso – le modalità di procacciamento dei voti debbono costituire oggetto del patto di scambio politico-mafioso, in funzione dell’esigenza che il candidato possa contare sul concreto dispiegamento del potere di intimidazione proprio del sodalizio mafioso e che quest’ultimo si impegni a farvi ricorso, ove necessario”. Avevano ragione i grillini e avevamo ragione noi del Fatto, dunque: a salvare Antinoro è stata l’introduzione della modalità di procacciamento del voto “prevista dal 416 ter”, come spiega la sentenza della Cassazione sostenendo che “è stato sicuramente introdotto un nuovo elemento costitutivo nella fattispecie incriminatrice, tale da rendere, per confronto con la pre-vigente versione, penalmente irrilevanti condotte pregresse consistenti in pattuizioni politico-mafiose che non abbiano espressamente contemplato tali concrete modalità di procacciamento dei voti; quale logica conseguenza, deve esservi stata, ai fini della punibilità, piena rappresentazione e volizione da parte dell’imputato di avere concluso uno scambio politico-elettorale implicante l’impiego da parte del sodalizio mafioso della sua forza di intimidazione e costrizione della volontà degli elettori”.
Una circostanza assai difficile da provare concretamente, come aveva previsto il pm Nino Di Matteo, che nel convegno organizzato dal Csm a Catania il 12 giugno scorso aveva definito “diabolica” la variante normativa, denunciando profeticamente i rischi della nuova legge e definendola “l’ennesima occasione perduta per una repressione efficace del voto di scambio politico-elettorale-mafioso”. Così la prima applicazione della nuova legge accolta da un coro di consensi entusiasti del Pd e di buona parte dell’antimafia istituzionale si infrange sulle maglie ancora larghe della legge che salva l’imputato, destinato adesso a una probabile assoluzione. E con lui gioiscono anche tutti gli altri esponenti politici accusati di voto di scambio, reato che da oggi torna a mostrare tutte le falle che la legge dell’aprile scorso ha tentato inutilmente di coprire. Poco importa, infatti, che i boss che hanno partecipato a due incontri con Antinoro siano gli stessi che avevano nascosto un robusto arsenale nei giardini di Villa Malfitano, nel cuore della città, e che taglieggiavano a tappeto i commercianti della zona ovest tra San Lorenzo, Resuttana e Pallavicino. Con alcuni di loro, compreso il capo mafia di Pallavicino, Vincenzo Troia, Antinoro si è incontrato due volte, come hanno rivelato due pentiti. “La seconda volta l’onorevole Antinoro diede il denaro ad Antonino Troia” ha detto Michele Visita. Una busta con cinquemila euro destinati, si è giustificato Antinoro, al medico che ospitava quella riunione, un collega che si era impegnato nella sua campagna elettorale ed al quale ha detto di avere consegnato un rimborso spese: “Sapevo che quelle persone presenti all’incontro nello studio del medico mio sostenitore erano suoi pazienti – si è difeso il deputato – al dottore, e solo a lui, diedi una busta con del denaro, come rimborso per le spese elettorali”.
Ma da tempo le intercettazioni dei carabinieri avevano evidenziato l’impegno elettorale della cosca per il candidato Udc. “Pronto, onorevole? Io Nino Caruso sono” diceva l’ambasciatore del clan di Resuttana telefonando direttamente sul cellulare di Antonello Antinoro. Ma al telefono rispondeva un collaboratore, Vincenzo,: “Eh Nino, l’onorevole sta parlando a una riunione, se chiami fra un poco te lo passo”. “Riferisci – conclude il mafioso – ha chiamato Nino Caruso. Comunque tutte le cose stanno andando nel migliore dei modi”. La chiamata è del 12 aprile 2008 alle 17,45, il giorno prima del voto.

venerdì 29 novembre 2013

SCANDALO MPS/ Tutti gli interessi di Caltagirone, suocero d’oro di Casini, e di Letta (Goldman Sachs). - Carmine Gazzanni

Forse pochi lo sanno, anche perché nessuno, in questo periodo di facili (e legittime) accuse a questo o quel partito, l’ha ricordato. Eppure fino al 26 gennaio 2012 (precisamente un anno fa, dunque) vicepresidente e azionista (per il 4 per cento) del Monte dei Paschi di Siena era nientepopodimenoche Francesco Gaetano Caltagirone, il suocero d’oro di Pierferdinando Casini, uno dei principali finanziatori dell’Udc e sostenitori dell’operazione Monti-bis.
IL LEGAME, GLI INTERESSI, LE LEGGI AD HOC – Sui legami del trio Caltagirone-Casini-Monti ci siamo già occupati: l’ex premier, nel corso dei suoi tredici mesi di mandato, ha lavorato (e tanto) per dare nuova linfa al campo dell’edilizia dove – lo sappiamo bene – gli interessi dell’imprenditore romano sono più che forti. Leggi ad aziendam? Sarebbe troppo affrettato dirlo. Certo è che la politica economica infrastrutturale messa in piedi dall’esecutivo tecnico potrebbe avvantaggiare appunto i grandi costruttori italiani: dall’importo massimo portato fino a 40 mila euro per l’affidamento fiduciario (senza gara dunque) dei servizi di progettazione, all’obbligo di utilizzo del criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa nelle gare di ingegneria e architettura solo oltre i 100 mila euro; dai 224 milioni di euro già stanziati (ma si parla di un totale di 2 miliardi) per le aree degradate di alcune grandi città, al rilancio delle grandi opere pubbliche senza alcun rischio per le imprese (a rimetterci potrebbero essere invece le casse pubbliche); fino alla defiscalizzazione per le opere infrastrutturali.
Ma anche se prescindessimo da quanto detto, il legame rimarrebbe intatto dato che Caltagirone è il maggior finanziatore dell’Udc, il partito del genero Pierferdinando Casini, uno dei promotori più decisi del Monti-bis. Ecco allora che sorge qualche dubbio: perché nessuno dall’Udc ha alzato la voce sul caso Mps? E perchè Mario Monti è stato così prodigo nell’attaccare il Pd, dimentico però del ruolo che fino all’altro ieri rivestiva chi oggi lo sostiene?
CALTAGIRONE: IL SOCIO-VICEPRESIDENTE. E CLIENTE DI RIGUARDO DI MPS – Una possibile risposta potremmo averla se guardassimo a quelli che sono stati gli affari di papà Caltagirone nel periodo della sua vicepresidenza a Siena. Va precisato immediatamente un particolare: il rapporto col dimissionario Giuseppe Mussari, ex presidente di Mps, è stato più che redditizio. E dove ha inciso soprattutto? In campo edile, ovviamente. Un caso su tutti. Nel 2009 il Monte dei Paschi, attraverso Antonveneta (successivamente incorporata in Mps Immobiliare) ha venduto alcuni immobili. Indovinate a chi? Alla Immo 2006 srl, società controllata indirettamente da Francesco Gaetano Caltagirone. Costo dell’operazione: 37,58 milioni di euro.
Finita qui? Certo che no. Per il socio-vicepresidente-imprenditore-cliente gli affari sono stati d’oro durante questo periodo. E allora ecco un altro finanziamento notevole: sempre nel 2009 alla Cementir Holding (direttamente controllata dalla Caltagirone spa) sono stati erogati dalla banca di Rocca Salimbeni 49,5 milioni. Ma, probabilmente, non sono bastati. E allora, dopo solo un anno, da Siena sono arrivati altri finanziamenti per Caltagirone per oltre 200 milioni di euro, concessi ovviamente in varia forma tecnica, più mutui fondiari per 30 milioni alla Immobiliare Caltagirone, altra società di punta dell’imprenditore romano. La Immobiliare, però, nel corso degli anni, ha goduto anche di altri corposi finanziamenti provenienti proprio dalla banca diretta da Mussari. Come quello del 2008: 120 milioni di euro.
C’è da dire, però, che Mussari non ha mai fatto nulla per nulla. E allora, se la banca è stata decisamente prodiga negli anni, Caltagirone imprenditore non è stato da meno nei confonti di Caltagirone socio e vicepresidente di banca: a fine 2010 erano circa 296 i milioni depositati presso Montepaschi, per lo più appartenenti alla controllata (e quotata) Caltagirone Editore.
Un rapporto proficuo per tutti, insomma. E allora perché non allargarlo ulteriormente? Ci si pensa a maggio 2010: il cda di Mps delibera un “incremento delle linee di credito ordinarie con utilizzo secondo varie forme tecniche per 175 milioni di euro a favore di Acea S.p.A”, poi seguite da altri 15 milioni. Anche la multiutility romana, leader – come si legge sul sito – “nel settore idrico e dell’energia”, è ovviamente una partecipata da Caltagirone (allora al 13 per cento, oggi al 15).
CALTAGIRONE SI DIMETTE: PUZZA DI BRUCIATO? – Il 26 gennaio dell’anno scorso però, come detto Caltagirone dà le sue dimissioni dal consiglio di amministrazione della banca e dal suo incarico di vicepresidente. Esce dalla banca, di cui peraltro era anche socio detenendo il 4 per cento delle azioni. L’imprenditore, d’altronde, si era già autosospeso dall’incarico il dieci novembre in seguito alla condanna a tre anni e sei mesi di reclusione nell’ambito del processo per la tentata scalata dell’Unipol alla Bnl. Una scelta morale, sembrerebbe. Di onestà intellettuale. In realtà le cose non stanno così. Per due motivi. Innanzitutto perché, da quanto sta emergendo in questo periodo, Caltagirone sapeva molto di più di quanto non si pensi, soprattutto sull’operazione Antonveneta, oggi tornata di così stretta attualità. E secondo perché, come vedremo nel prossimo paragrafo, gli affari con Mps continuano ancora oggi. Nonostante tutto.
Ma cominciamo dal primo dei due punti sollevati. Proprio ieri il CorSera è andato a spulciare i verbali del consiglio di amministrazione da settembre a dicembre 2011. In quel periodo la banca appariva decisamente in affanno. Già a settembre, infatti, i consiglieri di amministrazione prendono coscienza della necessità di intervenire. Ma prima bisogna farsi i conti in tasca: capire cosa realmente ci sia nei portafogli della banca. Sebbene, almeno formalmente, non ci sia traccia nei verbali dei derivati oggi sotto la lente di ingrandimento della Procura di Siena (Alexandria, Nota Italia e Santorini), la preoccupazione è alta. “Quanti Btp abbiamo in portafoglio?”, chiede proprio lui, il vicepresidente di allora Francesco Gaetano Caltagirone.
Il capo del risk management Giovanni Conti ammette la difficoltà e risponde a Caltagirone: 28 miliardi di titoli governativi, 21,6 dei quali dello Stato italiano, il 40% dei quali “si concentra su scadenza lunghe”. Caltagirone contesta: Il portafoglio è “marcatamente sbilanciato” sia per Paese sia per le scadenze “prolungate”. Sebbene il direttore finanza Giovanni Baldassari cerchi di difendersi, non riesce a convincere il vicepresidente: “la situazione non è ulteriormente sostenibile, sia come rischiosità che come conseguenze di conto economico, si devono prendere opportuni provvedimenti per alleggerire queste posizioni”.
Insomma, nella ricostruzione di Fabrizio Massaro sul Corriere appare chiaro che Caltagirone avesse avuto sentore del rischio di restare in banca, soprattutto come socio e come dirigente di punta. Dopo pochi mesi, infatti, rassegna le sue dimissioni e cede tutte le sue azioni. Ecco perché, dunque, non è credibile la tesi secondo cui ci sia dietro un gesto nobile dopo la condanna per la scalata Unipol. Caltagirone non avrebbe voluto dimettersi. Tanto che ben presto passa ad un’altra banca: acquista l’1 per cento delle azioni di Unicredit e riesce a inserire il figlio Alessandro nel cda. Pronto, dunque, per nuovi e proficui affari.
caltagirone_letta_scandalo_mpsGLI AFFARI CONTINUANO. OCCHIO AL “TRUCCO” – Affari che, tuttavia, non sono certo stati interrotti tra Caltagirone e Mps. Prova ne è la joint venture Fabrica Immobiliare sgr, che gestisce diversi fondi che, come si evince dal sito, sono tutti intestati a grandi filosofi dell’antichità: Aristotele, Seneca, Socrate, Pitagora, Cartesio. Dietro gli impegnativi richiami al pensiero del passato, però, ci sono interessi e giochi economici di prim’ordine. Stando al bilancio 2010 della banca senese, infatti, “tra nuovo credito, mutui e affidamenti ordinari alla sgr e alla galassia di fondi chiusi gestiti da quest’ultima, Fabrica Immobiliare lo scorso anno ha ricevuto da Banca Monte dei Paschi risorse per oltre 107 milioni”. Nel corso degli anni ognuno di questi fondi è stato finanziato. Giugno 2009: per il fondo Forma Urbis mutuo da 14 milioni. Luglio 2009: 39,4 milioni per i fondi Pitagora, Etrusca Distribuzione e Socrate. Novembre 2009: “affidamenti a carattere ordinario” per 35,1 milioni di euro per il fondo Socrate.
Ma, come detto, gli affari continuano ancora oggi. Basta andare a vedere chi sono gli azionisti della Fabrica Immobiliare: per il 49,9 per cento la Fincal spa (direttamente controllata da Caltagirone spa), per lo 0,02 per cento da Alessandro Caltagirone e per l’altro 49,9 per cento proprio dal Monte dei Paschi. Cosa vuol dire questo? Che, in teoria, la società non ha un socio di controllo. Un gioco sottile, dunque, quello di affidare lo 0,02 per cento delle azioni ad Alessandro che, nonostante sia figlio di Francesco Gaetano, non ha alcun ruolo in Fincal. Ergo: grazie a questo assetto proprietario, nessuno è tenuto a consolidare la sgr sui propri bilanci. In altre parole, i relativi e possibili debiti non vengono consolidati nei conti del gruppo, ma iscritte in bilancio per la quota parte di patrimonio netto. Dunque, anche su quelli del Mps. Gli affari continuano. Anche se sottotraccia.
TUTTI COINVOLTI – Caltagirone, però, non è l’unico ad aver avuto (e ad avere tuttora) rapporti con il Monte dei Paschi. Tutta la politica, nessuno escluso, pare legata agli interessi della banca senese. A giusta ragione – ma forse troppo semplicisticamente – si dice che il Monte dei Paschi sia la banca del Pd. Vero: Mussari è uomo in orbita democratici, tanti sono stati i finanziamenti della banca arrivati al partito e, di contro, tanti sono gli amici del Pd che occupano posti dirigenziali nella banca. Dire, però, che Mps sia solo legata al partito di Pier Luigi Bersani – come fatto da Grillo, Monti e Berlusconi – è fuorviante. Significa, in altre parole, nascondere una grossa fetta di verità. Per quanto riguarda Monti esemplificativo è il caso, appena illustrato, di Caltagirone,finanziatore numero uno del partito del genero Pierferdinando Casini e uno dei più fervidi promotori del Monti-bis. Non se la scampa, però, nemmeno Silvio Berlusconi. Tutt’altro. in questi giorni, infatti, sono spuntati tutti i rapporti che, nel corso degli anni, hanno tenuto in affari Mps da una parte e il Cav dall’altra. È lo stesso Berlusconi d’altronde ad aver ammesso che “grazie a Mps potei costruire Milano 2 e Milano 3, era l’unica banca che concedeva mutui premiando la puntualità dei pagamenti”. Come ricostruito da Marco Lillo su Il Fatto, l’atteggiamento di allora della banca fu del tutto particolare. Il 9 ottobre 1981 il sindacato ispettivo del Monte dei Paschi scrive: “La posizione di rischio verso il gruppo Berlusconi ha dimensioni e caratteristiche del tutto eccezionali e dimostrano l’esistenza di un comportamento preferenziale accentuato”. Da allora, dunque, un connubio ininterrotto quello tra B. e la banca senese, come testimoniato anche dai bonifici con causale prestito infruttifero alle Olgettine del ragionier Spinelli.
L’INTRECCIO MPS, GOLDMAN SACHS E GIANNI LETTA – Un nome che finora non è uscito, però, è quello di Gianni Letta. Anche il sodale da sempre di Silvio Berlusconi è legato a doppio filo col Monte dei Paschi. E il tramite è di tutto rispetto: la Goldman Sachs.
Cerchiamo di capire. La questione, ricostruita dalla giornalista Debora Billi sul suo blog, è decisamente interessante. Anche perché riguarda proprio quello su cui sta indagando in queste ore la magistratura: l’acquisizione di Antonveneta dagli spagnoli del Santander. Per gestire l’operazione Mussari decide di affidarsi proprio alla banca americana che, insieme, a Citigroup, Merrill Lynch, Credit Suisse, Mediobanca e Jp Morgan copre anche economicamente l’operazione. Si legge sul CorSera del 21 dicembre 2007: “Citigroup, Goldman Sachs, Merrill Lynch, Credit Suisse e Mediobanca si sono impegnati a sottoscrivere fino a 2,5 miliardi di euro. Jp Morgan, Goldman Sachs e Mediobanca cureranno il convertibile. Merrill, Citigroup, Goldman Sachs e Credit Suisse garantiranno poi la sottoscrizione degli strumenti di debito subordinati. Per il finanziamento ponte, infine, che verrà utilizzato da Mps nel caso di ritardi e problemi sugli altri due fronti, Citigroup, Goldman Sachs, Merrill Lynch e anche Credit Suisse e Mediobanca per la loro parte ne assicureranno la sottoscrizione”. Insomma, l’acquisizione – proprio quella su cui si è soffermata la lente della magistratura – è stata seguita in tutte le sue parti dalle banche.
Ma ecco il punto. Soltanto pochi mesi prima – giugno 2007 – la Goldman Sachs aveva affidato all’ex sottosegretario alla presidenza Gianni Letta l’incarico di consulente per l’Italia e componente del proprio international advisory board. Ruolo decisivo dato che, a conti fatti, Letta ha seguito tutte le operazioni della banca in Italia in quel periodo. A cominciare proprio dall’acquisizione di Antonveneta da parte del Monte dei Paschi.
Insomma, tutti sono legati alla banca senese. Il fango che in questi giorni ci si getta a vicenda non ha alcuna credibilità. È come quando un bambino, dopo aver commesso la marachella, getta le responsabilità sul compagno che gli sta affianco. In fondo, lo fa solo perchè teme di essere scoperto. 

venerdì 23 novembre 2012

E l'imprenditore Di Lernia confessò "Diedi 200mila euro ai centristi". - Carlo Bonini


E l'imprenditore Di Lernia confessò  "Diedi 200mila euro ai centristi"

L'imprenditore Tommaso Di Lernia


Il racconto di Di Lernia: fu Pugliesi a dirmi che dovevo pagare il partito di Casini. Pugliesi dirige l'Enav come una ditta individuale, senza condividere con alcuno le fonti di finanziamento legate ai lavori. Il Sistema assicura assunzioni e incarichi ai politici, nonché la titolarità di quote da parte di loro parenti in società.

ROMA - Racconta a verbale Tommaso Di Lernia, proprietario della "Print Sistem", l'uomo dei fondi neri del Sistema Enav-Finmeccanica, amabilmente chiamato " er cowboy ", che con Guido Pugliesi, amministratore delegato di Enav, e l'Udc di Pierferdinando Casini e Giuseppe Naro le cose siano andate così. Così come lui ne riferisce una prima volta il 25 maggio di quest'anno, rispondendo alle domande del pm Paolo Ielo. In un interrogatorio - chiosa il gip nella sua ordinanza - che diventa la "delazione" cruciale di "un protagonista".

LA CORRUZIONE IN ENAV. IL DENARO ALL'UDC Dice dunque Di Lernia: "Sono entrato in Enav, tra il 2004 e il 2005, grazie all'intervento del generale Bruno Nieddu (all'epoca presidente ndr)e del colonnello Tavano che mi aveva presentato Lorenzo Cola. Ebbi dei lavori su Milano e quindi conobbi in Enav Raffaello Rizzo, il quale mi manifestò la disponibilità a stabilire un rapporto diretto con me. Rizzo agiva in concerto con Guido Pugliesi, con cui concordava l'assegnazione dei lavori. Si trattava di lavori eseguiti per conto di "Selex" ma su lettera di segnalazione dell'Enav. Per la "preferenza" che mi aveva manifestato, erogai a Rizzo 50 mila euro, utilizzando fondi extracontabili. Pugliesi aveva sempre rifiutato le mie offerte di denaro. Tuttavia, nell'ultimo periodo, mi sollecitò un'offerta di denaro presso l'ufficio dell'onorevole Casini. Accettai la richiesta, prelevando 200 mila euro da un conto che avevo a san Marino, dove mi recai accompagnato dalla mia segretaria Marta Fincato.

Consegnai la somma negli uffici dell'Udc in piazza di Spagna, dove riuscii ad entrare solo dopo che Pugliesi, che si trovava già lì, scese e mi accompagnò, dal momento che il portiere dello stabile mi aveva impedito l'ingresso. Diedi il denaroa una persona che mi venne presentata come tesoriere dell'Udc, forse un parlamentare, e a cui Pugliesi disse che ero uno che lavorava con Selex"". "RICONOSCO LA FOTO. E' NARO". E' dunque Pugliesi a sollecitare la tangente. E - scrive il gip - ne ha motivo. "Pugliesi deve rispondere a quei rapporti politici da cui deriva la permanenza della propria nomina in Enav. La sua è una forma di "ringraziamento"". Per questo, "dirige Enav come una ditta individuale, senza condividere con alcuno le fonti di finanziamento legate ai lavori. Deve mantenere il monopolio dei finanziamenti che derivano dal Sistema". Un Sistema che "assicura assunzioni e conferimenti di vantaggiosi incarichi a uomini politici, nonché la titolarità di quote da parte di politici o loro parenti in società che debbono la loro esistenza alle commesse assicurate da Enav".

Il 13 luglio, Di Lernia torna a rispondere al pm Ielo. Mette a fuoco i suoi ricordi. "La consegna avvenne prima delle elezioni regionali del marzo 2010, che erano poi il motivo per il quale Pugliesi mi aveva sollecitato la somma". A Di Lernia viene quindi mostrata una foto. E - annota il gip - è a questo punto che "riconosce in Giuseppe Naro, nato a Militello Rosmarino il 6 febbraio del 1948, deputato dell'Udc e tesoriere del partito, la persona alla quale aveva consegnato il denaro e che non lo aveva fatto accedere nel suo studio personale, poiché in quel momento era in corso una "bonifica"".

LE CONFERME DI COLA E DELLA SEGRETARIA  "Di Lernia è un bugiardo", va ripetendo da tempo Pugliesi. "E' inattendibile", ha ribadito ieri il suo avvocato Francesco Scacchi. Verosimilmente mosso da "spirito di vendetta", perché, osserva ancora il legale, "su precisa indicazione di Pugliesi, Enav ha estromesso la Print Sistem dall'albo fornitori, ha interrotto i pagamenti e risolto tutti i rapporti contrattuali esistenti". E tuttavia, né il gip, né il pm, danno alcun credito a questa difesa. Vediamo perché.

Interrogato l'8 settembre scorso, Cola racconta: "Seppi da Di Lernia che aveva consegnato 250 mila euro all'Udc in via due Macelli (strada limitrofa a piazza di Spagna ndr.), alla presenza di Pugliesi. Per altro, qualche tempo dopo, a casa mia, alla presenza sia di Di Lernia che Pugliesi, chiesi a entrambi se fosse andata a buon fine l'operazione con l'Udc e Pugliesi mi diede una risposta positiva, cogliendo anzi l'occasione per ringraziare Di Lernia alla mia presenza".

Anche Marta Fincato, la segretaria del" cowboy ", ricorda. Interrogata, ricorda i viaggi a san Marino con Di Lernia. Ricorda, soprattutto, di averlo accompagnato in piazza di Spagna. "Rimasi ad aspettarlo in auto. Non sapevo dove era andato. Ma aveva con sé una valigetta, che normalmente usava per il trasporto di documenti e di denaro".

IL CONTO "CICLAMINO". LE CELLE TELEFONICHE C'è di più. Le indagini di polizia giudiziaria accertano che il 29 gennaio del 2010, a san Marino, Di Lernia effettua un prelievo di 206 mila euro dal conto corrente "Ciclamino" presso la "Banca Commerciale Sammarinese". Che la mattina del 2 febbraio 2010, la cella telefonica di piazza di Spagna aggancia sia il cellulare di Di Lernia che quello della sua segretaria. Che proprio quella mattina, i tabulati del cellulare di Di Lernia "registrano una chiamata di 9 secondi" proprio con Pugliesi.

L'AGENDINA DI PUGLIESI. La consegna del denaro, dunque, avviene il 2 febbraio dello scorso anno. E, per giunta, la conferma arriva dall'agenda personale sequestrata a Pugliesi. In quell'agenda, l'ad di Enav annota proprio per la mattina di quel giorno, alle 9.30, un appuntamento con Naro, il tesoriere dell'Udc. Che, per altro, e sempre a stare all'agenda, aveva già incontrato il 19 gennaio. "Insieme a Di Lernia e a un altro soggetto - annota il gip - come si può agevolmente dedurre dal nominativo Naro collegato con due barre. Una legata al nome Di Lernia, l'altra a un nominativo che sembra indicare la società Optimatica (società vicina all'ex ministro Matteoli ndr.)".

NARO: "DI LERNIA I SOLDI ME LI PROMISE SOLTANTO" Il 31 ottobre scorso, Ielo interroga Naro. E la sua difesa, chiosa il gip "è generica". Il tesoriere dell'Udc "esclude di aver ricevuto il denaro da Di Lernia, ma ammette di averlo incontrato nel suo ufficio con Pugliesi, con cui aveva un appuntamento per imprecisate ragioni. Per altro, Naro ammette anche la promessa di elargizione che durante quell'incontro gli avrebbe fatto Di Lernia in vista della futura competizione elettorale, ma nega che ciò sia poi avvenuto". "Si tratta - conclude il gip - di una mera allegazione difensiva. Sconfessata dalle fonti di prova".

lunedì 1 ottobre 2012

Pierfischiettando Casini. - Marco Travaglio



Carta Canta - l'Espresso, 28 settembre 2012.

Siccome in Italia il rinnovamento della politica si fa conservando gli stessi politici, che però cambiano continuamente idea e nome ai loro partiti, Pierferdinando Casini si crede il non plus ultra del nuovo che avanza: infatti ha 57 anni e ne ha trascorsi più in Parlamento (29) che fuori, essendo entrato alla Came

ra nel 1983 per non uscirne più. Ha militato nella Dc, nel Ccd con Berlusconi e nell'Udc contro Berlusconi, ma ora ha sciolto l'Udc per traghettarla nel “Partito della Nazione” che si propone una grande coalizione col Pd e con Berlusconi per un bel Monti-bis.

E dire che, nel dicembre '94, quando il primo governo del Cavaliere cadde per la sfiducia di Bossi, i governi tecnici gli davano l'orticaria: infatti rifiutò di appoggiare quello di Lamberto Dini, antesignano di Monti, perché era “la versione raffinata, tecnico-universitaria, del ribaltone politico”, un “gioco scorretto” contro “il bipolarismo che abbiamo costruito”, per “far dimenticare il voto popolare” e negare “la parola agli elettori” (17 gennaio '95). Quando poi, un anno dopo, Dini si candidò con una sua lista nel centrosinistra, Casini tuonò: “Se c'è una persona inaffidabile è Dini: ha fatto un governo tecnico che doveva restare neutrale e invece è diventato un partito” (24 marzo '96). Ora naturalmente patrocina una “Lista Monti” con dentro un bel po' di ministri tecnici, da Corrado Passera ad Andrea Riccardi (Monti, purtroppo per lui, è già senatore a vita), tutti invitati alla sua convention diuretica di Chianciano. E guai a chi dà loro degli “inaffidabili” per le loro fregole ben poco tecniche e molto politiche.

Nel dicembre 2005, quand'era presidente della Camera per grazia berlusconiana ricevuta, Casini minacciò di ritirare l'appoggio al secondo governo Berlusconi se il centrodestra non avesse subito cambiato la legge elettorale. Naturalmente fu accontentato: il nuovo sistema di voto lo scrisse il ministro Roberto Calderoli sotto dettatura di Casini. E fu subito Porcellum: proporzionale senza preferenze, ma con liste bloccate e soprattutto con un mostruoso premio di maggioranza alla coalizione vincente. Pierferdy, tutto contento, regalò al Cavaliere il suo Follini come vicepremier.

Ora, fischiettando come se niente fosse, si batte come un leone contro il Porcellum che aveva dettato lui e addirittura promuove una raccolta di firme per reintrodurre le preferenze che aveva bocciato lui. E se nel '95 osteggiava il governo Dini nemico del “bipolarismo che abbiamo costruito”, oggi il nemico del bipolarismo è lui, Pierfischiettando: infatti sogna la grande coalizione e non vuol saperne di una legge elettorale che costringa i partiti a dichiarare prima del voto con chi si alleeranno. Un uomo tutto d'un pezzo. O d'un prezzo. Dopo aver votato una trentina di leggi vergogna in favore dei corrotti, invoca un giorno sì e l'altro pure la legge anticorruzione. E promette, ça va sans dire, liste pulite: “Riteniamo sia giusto presentare un'offerta politica composta da persone perbene”. Fantastico.

Ma forse chi, come il Pd, vuole portarlo all'altare dovrebbe pretendere qualche garanzia più precisa, visti i precedenti. Stiamo pur sempre parlando del formidabile talent scout che portò in Parlamento Totò Cuffaro, Calogero Mannino e Saverio Romano quand'erano imputati per storie di mafia (il primo fu poi condannato e gli altri due assolti, però Mannino è di nuovo sotto processo per la trattativa fra lo Stato e Cosa Nostra). Ora non vorremmo che Pierfischiettando ci ricascasse, visto che ai suoi raduni sfilano abitualmente Paolo Cirino Pomicino (due condanne definitive: finanziamento illecito e corruzione), Giorgio La Malfa (una condanna per finanziamento illecito), Lorenzo Cesa (reo confesso di una dozzina di tangenti e salvato per un vizio di forma), Emma Marcegaglia (la cui azienda di famiglia ha patteggiato per corruzione), lo stesso Passera (indagato per frode fiscale) e alcuni emissari di Italia Futura di Luca Cordero di Montezemolo (condannato in primo grado per abusi edilizi).

Urge chiarimento sul concetto di “persone perbene”.