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venerdì 29 novembre 2013

SCANDALO MPS/ Tutti gli interessi di Caltagirone, suocero d’oro di Casini, e di Letta (Goldman Sachs). - Carmine Gazzanni

Forse pochi lo sanno, anche perché nessuno, in questo periodo di facili (e legittime) accuse a questo o quel partito, l’ha ricordato. Eppure fino al 26 gennaio 2012 (precisamente un anno fa, dunque) vicepresidente e azionista (per il 4 per cento) del Monte dei Paschi di Siena era nientepopodimenoche Francesco Gaetano Caltagirone, il suocero d’oro di Pierferdinando Casini, uno dei principali finanziatori dell’Udc e sostenitori dell’operazione Monti-bis.
IL LEGAME, GLI INTERESSI, LE LEGGI AD HOC – Sui legami del trio Caltagirone-Casini-Monti ci siamo già occupati: l’ex premier, nel corso dei suoi tredici mesi di mandato, ha lavorato (e tanto) per dare nuova linfa al campo dell’edilizia dove – lo sappiamo bene – gli interessi dell’imprenditore romano sono più che forti. Leggi ad aziendam? Sarebbe troppo affrettato dirlo. Certo è che la politica economica infrastrutturale messa in piedi dall’esecutivo tecnico potrebbe avvantaggiare appunto i grandi costruttori italiani: dall’importo massimo portato fino a 40 mila euro per l’affidamento fiduciario (senza gara dunque) dei servizi di progettazione, all’obbligo di utilizzo del criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa nelle gare di ingegneria e architettura solo oltre i 100 mila euro; dai 224 milioni di euro già stanziati (ma si parla di un totale di 2 miliardi) per le aree degradate di alcune grandi città, al rilancio delle grandi opere pubbliche senza alcun rischio per le imprese (a rimetterci potrebbero essere invece le casse pubbliche); fino alla defiscalizzazione per le opere infrastrutturali.
Ma anche se prescindessimo da quanto detto, il legame rimarrebbe intatto dato che Caltagirone è il maggior finanziatore dell’Udc, il partito del genero Pierferdinando Casini, uno dei promotori più decisi del Monti-bis. Ecco allora che sorge qualche dubbio: perché nessuno dall’Udc ha alzato la voce sul caso Mps? E perchè Mario Monti è stato così prodigo nell’attaccare il Pd, dimentico però del ruolo che fino all’altro ieri rivestiva chi oggi lo sostiene?
CALTAGIRONE: IL SOCIO-VICEPRESIDENTE. E CLIENTE DI RIGUARDO DI MPS – Una possibile risposta potremmo averla se guardassimo a quelli che sono stati gli affari di papà Caltagirone nel periodo della sua vicepresidenza a Siena. Va precisato immediatamente un particolare: il rapporto col dimissionario Giuseppe Mussari, ex presidente di Mps, è stato più che redditizio. E dove ha inciso soprattutto? In campo edile, ovviamente. Un caso su tutti. Nel 2009 il Monte dei Paschi, attraverso Antonveneta (successivamente incorporata in Mps Immobiliare) ha venduto alcuni immobili. Indovinate a chi? Alla Immo 2006 srl, società controllata indirettamente da Francesco Gaetano Caltagirone. Costo dell’operazione: 37,58 milioni di euro.
Finita qui? Certo che no. Per il socio-vicepresidente-imprenditore-cliente gli affari sono stati d’oro durante questo periodo. E allora ecco un altro finanziamento notevole: sempre nel 2009 alla Cementir Holding (direttamente controllata dalla Caltagirone spa) sono stati erogati dalla banca di Rocca Salimbeni 49,5 milioni. Ma, probabilmente, non sono bastati. E allora, dopo solo un anno, da Siena sono arrivati altri finanziamenti per Caltagirone per oltre 200 milioni di euro, concessi ovviamente in varia forma tecnica, più mutui fondiari per 30 milioni alla Immobiliare Caltagirone, altra società di punta dell’imprenditore romano. La Immobiliare, però, nel corso degli anni, ha goduto anche di altri corposi finanziamenti provenienti proprio dalla banca diretta da Mussari. Come quello del 2008: 120 milioni di euro.
C’è da dire, però, che Mussari non ha mai fatto nulla per nulla. E allora, se la banca è stata decisamente prodiga negli anni, Caltagirone imprenditore non è stato da meno nei confonti di Caltagirone socio e vicepresidente di banca: a fine 2010 erano circa 296 i milioni depositati presso Montepaschi, per lo più appartenenti alla controllata (e quotata) Caltagirone Editore.
Un rapporto proficuo per tutti, insomma. E allora perché non allargarlo ulteriormente? Ci si pensa a maggio 2010: il cda di Mps delibera un “incremento delle linee di credito ordinarie con utilizzo secondo varie forme tecniche per 175 milioni di euro a favore di Acea S.p.A”, poi seguite da altri 15 milioni. Anche la multiutility romana, leader – come si legge sul sito – “nel settore idrico e dell’energia”, è ovviamente una partecipata da Caltagirone (allora al 13 per cento, oggi al 15).
CALTAGIRONE SI DIMETTE: PUZZA DI BRUCIATO? – Il 26 gennaio dell’anno scorso però, come detto Caltagirone dà le sue dimissioni dal consiglio di amministrazione della banca e dal suo incarico di vicepresidente. Esce dalla banca, di cui peraltro era anche socio detenendo il 4 per cento delle azioni. L’imprenditore, d’altronde, si era già autosospeso dall’incarico il dieci novembre in seguito alla condanna a tre anni e sei mesi di reclusione nell’ambito del processo per la tentata scalata dell’Unipol alla Bnl. Una scelta morale, sembrerebbe. Di onestà intellettuale. In realtà le cose non stanno così. Per due motivi. Innanzitutto perché, da quanto sta emergendo in questo periodo, Caltagirone sapeva molto di più di quanto non si pensi, soprattutto sull’operazione Antonveneta, oggi tornata di così stretta attualità. E secondo perché, come vedremo nel prossimo paragrafo, gli affari con Mps continuano ancora oggi. Nonostante tutto.
Ma cominciamo dal primo dei due punti sollevati. Proprio ieri il CorSera è andato a spulciare i verbali del consiglio di amministrazione da settembre a dicembre 2011. In quel periodo la banca appariva decisamente in affanno. Già a settembre, infatti, i consiglieri di amministrazione prendono coscienza della necessità di intervenire. Ma prima bisogna farsi i conti in tasca: capire cosa realmente ci sia nei portafogli della banca. Sebbene, almeno formalmente, non ci sia traccia nei verbali dei derivati oggi sotto la lente di ingrandimento della Procura di Siena (Alexandria, Nota Italia e Santorini), la preoccupazione è alta. “Quanti Btp abbiamo in portafoglio?”, chiede proprio lui, il vicepresidente di allora Francesco Gaetano Caltagirone.
Il capo del risk management Giovanni Conti ammette la difficoltà e risponde a Caltagirone: 28 miliardi di titoli governativi, 21,6 dei quali dello Stato italiano, il 40% dei quali “si concentra su scadenza lunghe”. Caltagirone contesta: Il portafoglio è “marcatamente sbilanciato” sia per Paese sia per le scadenze “prolungate”. Sebbene il direttore finanza Giovanni Baldassari cerchi di difendersi, non riesce a convincere il vicepresidente: “la situazione non è ulteriormente sostenibile, sia come rischiosità che come conseguenze di conto economico, si devono prendere opportuni provvedimenti per alleggerire queste posizioni”.
Insomma, nella ricostruzione di Fabrizio Massaro sul Corriere appare chiaro che Caltagirone avesse avuto sentore del rischio di restare in banca, soprattutto come socio e come dirigente di punta. Dopo pochi mesi, infatti, rassegna le sue dimissioni e cede tutte le sue azioni. Ecco perché, dunque, non è credibile la tesi secondo cui ci sia dietro un gesto nobile dopo la condanna per la scalata Unipol. Caltagirone non avrebbe voluto dimettersi. Tanto che ben presto passa ad un’altra banca: acquista l’1 per cento delle azioni di Unicredit e riesce a inserire il figlio Alessandro nel cda. Pronto, dunque, per nuovi e proficui affari.
caltagirone_letta_scandalo_mpsGLI AFFARI CONTINUANO. OCCHIO AL “TRUCCO” – Affari che, tuttavia, non sono certo stati interrotti tra Caltagirone e Mps. Prova ne è la joint venture Fabrica Immobiliare sgr, che gestisce diversi fondi che, come si evince dal sito, sono tutti intestati a grandi filosofi dell’antichità: Aristotele, Seneca, Socrate, Pitagora, Cartesio. Dietro gli impegnativi richiami al pensiero del passato, però, ci sono interessi e giochi economici di prim’ordine. Stando al bilancio 2010 della banca senese, infatti, “tra nuovo credito, mutui e affidamenti ordinari alla sgr e alla galassia di fondi chiusi gestiti da quest’ultima, Fabrica Immobiliare lo scorso anno ha ricevuto da Banca Monte dei Paschi risorse per oltre 107 milioni”. Nel corso degli anni ognuno di questi fondi è stato finanziato. Giugno 2009: per il fondo Forma Urbis mutuo da 14 milioni. Luglio 2009: 39,4 milioni per i fondi Pitagora, Etrusca Distribuzione e Socrate. Novembre 2009: “affidamenti a carattere ordinario” per 35,1 milioni di euro per il fondo Socrate.
Ma, come detto, gli affari continuano ancora oggi. Basta andare a vedere chi sono gli azionisti della Fabrica Immobiliare: per il 49,9 per cento la Fincal spa (direttamente controllata da Caltagirone spa), per lo 0,02 per cento da Alessandro Caltagirone e per l’altro 49,9 per cento proprio dal Monte dei Paschi. Cosa vuol dire questo? Che, in teoria, la società non ha un socio di controllo. Un gioco sottile, dunque, quello di affidare lo 0,02 per cento delle azioni ad Alessandro che, nonostante sia figlio di Francesco Gaetano, non ha alcun ruolo in Fincal. Ergo: grazie a questo assetto proprietario, nessuno è tenuto a consolidare la sgr sui propri bilanci. In altre parole, i relativi e possibili debiti non vengono consolidati nei conti del gruppo, ma iscritte in bilancio per la quota parte di patrimonio netto. Dunque, anche su quelli del Mps. Gli affari continuano. Anche se sottotraccia.
TUTTI COINVOLTI – Caltagirone, però, non è l’unico ad aver avuto (e ad avere tuttora) rapporti con il Monte dei Paschi. Tutta la politica, nessuno escluso, pare legata agli interessi della banca senese. A giusta ragione – ma forse troppo semplicisticamente – si dice che il Monte dei Paschi sia la banca del Pd. Vero: Mussari è uomo in orbita democratici, tanti sono stati i finanziamenti della banca arrivati al partito e, di contro, tanti sono gli amici del Pd che occupano posti dirigenziali nella banca. Dire, però, che Mps sia solo legata al partito di Pier Luigi Bersani – come fatto da Grillo, Monti e Berlusconi – è fuorviante. Significa, in altre parole, nascondere una grossa fetta di verità. Per quanto riguarda Monti esemplificativo è il caso, appena illustrato, di Caltagirone,finanziatore numero uno del partito del genero Pierferdinando Casini e uno dei più fervidi promotori del Monti-bis. Non se la scampa, però, nemmeno Silvio Berlusconi. Tutt’altro. in questi giorni, infatti, sono spuntati tutti i rapporti che, nel corso degli anni, hanno tenuto in affari Mps da una parte e il Cav dall’altra. È lo stesso Berlusconi d’altronde ad aver ammesso che “grazie a Mps potei costruire Milano 2 e Milano 3, era l’unica banca che concedeva mutui premiando la puntualità dei pagamenti”. Come ricostruito da Marco Lillo su Il Fatto, l’atteggiamento di allora della banca fu del tutto particolare. Il 9 ottobre 1981 il sindacato ispettivo del Monte dei Paschi scrive: “La posizione di rischio verso il gruppo Berlusconi ha dimensioni e caratteristiche del tutto eccezionali e dimostrano l’esistenza di un comportamento preferenziale accentuato”. Da allora, dunque, un connubio ininterrotto quello tra B. e la banca senese, come testimoniato anche dai bonifici con causale prestito infruttifero alle Olgettine del ragionier Spinelli.
L’INTRECCIO MPS, GOLDMAN SACHS E GIANNI LETTA – Un nome che finora non è uscito, però, è quello di Gianni Letta. Anche il sodale da sempre di Silvio Berlusconi è legato a doppio filo col Monte dei Paschi. E il tramite è di tutto rispetto: la Goldman Sachs.
Cerchiamo di capire. La questione, ricostruita dalla giornalista Debora Billi sul suo blog, è decisamente interessante. Anche perché riguarda proprio quello su cui sta indagando in queste ore la magistratura: l’acquisizione di Antonveneta dagli spagnoli del Santander. Per gestire l’operazione Mussari decide di affidarsi proprio alla banca americana che, insieme, a Citigroup, Merrill Lynch, Credit Suisse, Mediobanca e Jp Morgan copre anche economicamente l’operazione. Si legge sul CorSera del 21 dicembre 2007: “Citigroup, Goldman Sachs, Merrill Lynch, Credit Suisse e Mediobanca si sono impegnati a sottoscrivere fino a 2,5 miliardi di euro. Jp Morgan, Goldman Sachs e Mediobanca cureranno il convertibile. Merrill, Citigroup, Goldman Sachs e Credit Suisse garantiranno poi la sottoscrizione degli strumenti di debito subordinati. Per il finanziamento ponte, infine, che verrà utilizzato da Mps nel caso di ritardi e problemi sugli altri due fronti, Citigroup, Goldman Sachs, Merrill Lynch e anche Credit Suisse e Mediobanca per la loro parte ne assicureranno la sottoscrizione”. Insomma, l’acquisizione – proprio quella su cui si è soffermata la lente della magistratura – è stata seguita in tutte le sue parti dalle banche.
Ma ecco il punto. Soltanto pochi mesi prima – giugno 2007 – la Goldman Sachs aveva affidato all’ex sottosegretario alla presidenza Gianni Letta l’incarico di consulente per l’Italia e componente del proprio international advisory board. Ruolo decisivo dato che, a conti fatti, Letta ha seguito tutte le operazioni della banca in Italia in quel periodo. A cominciare proprio dall’acquisizione di Antonveneta da parte del Monte dei Paschi.
Insomma, tutti sono legati alla banca senese. Il fango che in questi giorni ci si getta a vicenda non ha alcuna credibilità. È come quando un bambino, dopo aver commesso la marachella, getta le responsabilità sul compagno che gli sta affianco. In fondo, lo fa solo perchè teme di essere scoperto. 

giovedì 30 maggio 2013

Mps: l'Alzheimer creditizio del Pd.



È la meravigliosa amnesia bancaria del partito di Bersani il quale da decenni avvolge i suoi catenacci intorno a Palazzo Salimbeni.

Più che un buco di bilancio, un buco di memoria. Siena? Non sanno dove sia. Monte dei Paschi? Mai sentito. Mussari? Chi era costui?
È la meravigliosa amnesia bancaria del Pd, il quale da decenni avvolge i suoi catenacci politici intorno a Palazzo Salimbeni, tramite la Fondazione il Monte, nel feudo creditizio-politico dell’ex Pci: e adesso cade dalle nuvole. “Non c’entriamo mica”, dice Bersani dipingendo un mondo favoloso dove “il Pd fa il Pd e le banche fanno le banche”. Il segretario poteva almeno mettersi d’accordo con D’Alema, che nello stesso momento diceva: “Mussari l’abbiamo cacciato noi”, attraverso il sindaco di Siena Ceccuzzi, che di Mussari, tanto per capirsi, è stato pure testimone di nozze. Chi, quel Mussari attivo fin da giovanissimo nel Pci, poi nel Pds e infine nel Partito Democratico, a cui nel 2010 ha donato 100 mila euro? L’avete cacciato voi? Ma allora il Pd c’entra o non c’entra?
L’amnesia bancaria ha fulminato persino Mario Monti, ex International advisors di Goldman Sachs, il quale dice “basta agli incroci tra banche e politica”, dimenticandosi che se esiste incrocio tra banche e politica, lui è quantomeno il semaforo. Il fatto che il ras senese Alfredo Monaci, presidente di Mps immobiliare, sia  candidato nella lista Monti in toscana lascia immaginare oscure commistioni. Insomma, se Fassino diceva “Abbiamo una banca”, ora la banca che il Pd già  possedeva è finita nell’oblìo. 
Dicesi Alzheimer creditizio, quella sindrome implacabile che tende a farci credere l’incredibile: e cioè che Siena è semplicemente la città del panforte e del Palio. Come no.

sabato 6 aprile 2013

Come governerà Bersani? Guardate Montepaschi. - Maurizio Blondet


1698462d1358937214 e poi bersani voleva vedere la polvere sotto il tappeto dellitalia mussari bersani 213680 Come governerà Bersani? Guardate Montepaschi (di Maurizio Blondet)

Scrivo sulla notizia a caldo che Giuseppe Mussari, infine, si è dimesso dalla Associazione Bancaria Italiana. Ma perché è ancora a piede libero il banchiere del Pci-PDi? Come ha rivelato il Fatto, «il Monte dei Paschi di Siena nel 2009 – durante la gestione di Giuseppe Mussari – ha truccato i conti con un’operazione di ristrutturazione del debito per centinaia di milioni di euro di cui oggi i contribuenti italiani pagano il conto». Ciò, attraverso un contratto occulto con la banca Nomura, che «sarebbe servito a Montepaschi per abbellire il bilancio 2009 scaricando su Nomura le perdite di un derivato basato su rischiosi mutui ipotecari che poi i giapponesi avrebbero riversato sul Monte attraverso un contratto “segreto” a lungo termine», non comunicato ai vertici della MPS. Risultato: un buco nel bilancio della banca da 220 a 740 milioni di euro. 
Ora, repetita juvant, Montepaschi è la banca dei comunisti italiani. Mussari è stato il banchiere targato PCI e poi PDS, amatissimo da loro perché li ha lasciati depredare le casse della banca, ma stimatissimo (e c’è da chiedersi come mai) anche dagli altri banchieri, visto che lo hanno elevato al vertice della loro prestigiosa associazione nonostante, Mussari avesse già lasciato una banca in rovina con operazioni altamente sospette come l’acquisto di Antonveneta per un prezzo spropositato, che lasciava intravvedere operazioni loschissime, tipo fondi all’estero.
Bersani è contro il «falso in bilancio». Il suo compagno banchiere Mussari ha sicuramente commesso un falso in bilancio. Non ha nulla da dire, Bersani? Sennò si potrebbe pensare che è contro il falso in bilancio, ma solo se lo fanno gli amici e compari di Berlusconi. 
Bersani è contro coloro che si fanno fondi neri all’estero. Ha un giudizio da dare sulle operazioni Montepaschi del compagno Mussari, note da anni? Sarebbe bene saperlo, per sapere come Bersani ci governerà. Continua a ripetere che vuole «tracciabilità totale»: i 200 euro che paghi in nero all’idraulico, per esempio. Ma la tracciabilità delle operazioni Montepaschi, quelle no?
Adesso la banca comunista deve essere messa sotto commissariamento, è praticamente fallita in modo aperto. Perché era già fallita. Ma per scongiurare le conseguenze del fallimento sulla Fondazione – che avrebbe dovuto raccogliere nuovi capitali, diluendo i propri – Mario Monti ha trasferito a Montepaschi l’intero gettito dell’IMU sulla prima casa. Quasi 4 miliardi di euro ingoiati dal buco nero – o buco rosso – e per nulla, perché comunque l’inevitabile accade. 
Però mica è solo colpa dei due compari Monti e Bersani. Il Fatto Quotidiano ha spiegato che anche il PDL ha partecipato al salvataggio a spese di tutti noi. O ci ha tentato di nascosto, in combutta coi comunisti, nella Commissione Bilancio (dove il pubblico non vede), ficcando dentro il cosiddetto «DDL Sviluppo» un codicillo «che fissava condizioni particolarmente favorevoli per la banca Mps nel rimborso dei Monti-BondL’emendamento ideato da Simona Vicari (Pdl) e Filippo Bubbico (Pd), prevedeva infatti che, nel caso più che probabile che la banca non generi profitti, gli interessi sui 3,9 miliardi di aiuti pubblici che l’istituto senese si appresta a ricevere sotto forma di Monti bond potessero essere pagati anche con nuovo debito, per esempio obbligazioni. Un’alternativa al pagamento in azioni che avrebbe fatto entrare lo Stato nella proprietà dell’Istituto». (Mps, bocciato l’emendamento “salva proprietà” sui Monti Bond)
Ma allora non è vero che Berlusconi è l’avversario di Bersani!?. Quando si tratta di soldi e banche, sono d’amore e d’accordo. Basta che la gente non sappia. «Tracciabilità», dice Bersani, «No Imu», dice Berlusconi. Ma quando c’è da salvaguardare il potere dei partiti (di tutti) sulle banche, eccoli lì uniti e concordi a farne pagare il prezzo a noi contribuenti. Dilapidando 4 miliardi che, con Monti, hanno estratto dalle tasche di piccoli imprenditori disperati, di proprietari di immobili che schiacciati dall’aumento della tassa e del valore catastale, e persino a quei poveri pensionati sotto i mille euro mensili, che negli altri Paesi sono esenti, ma da noi no. 
Un lettore raffinato non capisce perché io sia così volgare, quando parlo della politica italiana: «Non mi piace l’ossessione scatologica, e il moralismo che vi è implicito, e quindi queste espressioni come: turarsi il naso, sciacquone, e altre carinerie simili…». Un altro: «io le chiedo: “Blondet, perché non dici qualcosa di cristiano?” ».
Mi scuso, mi scuso, qualche volta trascendo. Però vorrei che l’invito venisse rivolto a lorsignori. «Perché non fate qualcosa di cristiano?». Perché le loro banche, strapiene di fondi all’1%, non fanno credito alle imprese; perché loro tengono 7 milioni di italiani sotto il livello di povertà, e nella crisi recessiva corrente ridotti presto alla miseria, mentre loro sprecano e si arricchiscono? Derubano l’orfano e la vedova. Sottraggono la paga ai lavoratori. Le medicine ai malati. L’assegno d’accompagnamento agli invalidi totali. E mentono spudoratamente in tv; e dicono che è colpa nostra, che evadiamo le tasse… Capite che no, non riesco a dire qualcosa di cristiano. Forse leggo un’altra pagina del Vangelo, meno «consolante» del cristianesimo mainstream.
Vedo che Berlusconi continua a riscuotere simpatie fra i lettori. Lo avete visto impegnato a depennare dalle liste gli impresentabili: Cosentino, Dell’Utri, Scajola… Forse avrete notato che i primi due esclusi hanno minacciato, di fatto, il capo-comico di «rivelazioni», o di rovinarlo. Accade che quando ti affidi a malavitosi, poi ti ricattano. Facce nuove, giovani, dice Berlusconi. Scopro che ha rimesso in lista la Carfagna, la Brambilla, la Gelmini. E Renata Polverini, che ha fatto tanto bene alla Regione Lazio. Bondi e la sua fidanzata. Ha candidato in posizioni blindate due tizi che sono stati suoi testimoni a difesa sul caso Ruby: li avremo deputati, c’è già l’intero collegio di difesa del Maiale. E in più, scelta da lui in persona, Iliana Calabrò in rappresentanza degli italiani in Argentina. E chi è?, domanderete. Dagospia la descrive come una popputissima showgirl la cui specialità consiste nel simulare orgasmi sulla scena. Va bene che Casini, ha messo in lista la cognata e il genero, Rutelli (eh già, arieccolo) una segretaria, Gianfranco Fini un socio d’affari della sua moglie e padrone, la Tulliani… La solita girandola: parentopoli, nani, ballerine, mignottocrazia.
E però uno non deve riferire questi fatti come «liquame», e desiderare uno sciacquone che pulisca la fogna? È moralismo implicito, dice il lettore. Un altro mi accusa di non aver attenzione per quei candidati che difendono i «valori non negoziabili». Cari, come diceva Carl Schmitt, quando si comincia a parlare di «valori», si accetta il concetto di quotazione. I valori sono, originariamente, quelli della borsa-valori, e sono per eccellenza «negoziabili». La Chiesa proponeva «verità», merce antiquata. Oggi propone «valori», e pur sacrosanti: matrimonio, figli, no all’aborto e all’eutanasia. Come valori, purtroppo, hanno attualmente poco mercato… Chissà, se ricordasse che chi fa certe cose si gioca l’eterna dannazione, magari… O magari no. Questo popolo si contenta del suo destino zoologico.
E si vede: l’economia italiana, abitata da bestie da Fattoria degli Animali (dove qualche bestia è più uguale delle altre) degrada irresistibilmente, anche rispetto al contesto europeo recessivo, fiaccata forse per sempre dalle misure d’austerità (per noi, non per Mussari) di Monti. Per raggiungere gli obbiettivi della riduzione del deficit che ci ha assegnato (ma col voto del PDL) dovrà aspirarci dalle tasche altri 9 miliardi di euro, anche se adesso lui e il compare Bersani lo nega. Ma come faranno? Da dove prenderanno ancora ? Il potere d’acquisto di noi italiani è sceso del 4,1% nei primi nove mesi del 2012 rispetto al 2011, il credito bancario si è ulteriormente contratto del 3,4%, la produzione industriale è collassata addirittura, quasi del 25% dal 2008. La disoccupazione salirà al 12-14% nei prossimi mesi.
In questa situazione, come volete che governi Bersani? Visto dall’estero (dal blog di Paul Jorion) «il programma di Pier Luigi Bersani che è in testa nella corsa elettorale, si iscrive in un grande negoziato (con Berlino, ndr) che scambierebbe rinuncia alla sovranità (1) contro una diminuzione dell’austerità e l’adozione di misure cicliche di rilancio. Un cammino stretto, fatto di negoziati tra i sindacati e gli imprenditori , in favore di una moderata crescita finanziata dalla Banca europea degli investimenti, per rilanciare il mercato interno. E bisogna convincere il partner tedesco… Ma ciò non offre soluzioni ai problemi del paese, perché si urta alla necessità di una svalutazione interna (leggi: calo dei salari, retribuzioni e pensioni) a cui dovrà rassegnarsi». (L’ARBRE QUI CACHE LA FORÊT, par François Leclerc)
Ma niente paura, ci saranno sempre miliardi per Montepaschi o altre banche di proprietà dei partiti. E con il voto dei berluscònidi.
Forse davvero, l’unica è votare Grillo.


1) È esattamente quel che ha assicurato Bersani, voglioso di accreditarsi sul piano internazionale, al Financial times. «Io ho contribuito a far sì che l’Italia adottasse l’euro, io sono il segretario generale del partito italiano più favorevole all’Europa, e io ho sostenuto tutte le politiche e le riforme che l’Europa ci ha chiesto di adottare nel corso degli anni». - «Vogliamo accelerare il processo di integrazione come rimedio per combattere la recessione che sta colpendo l’intera Europa. Sinora abbiamo fatto alcuni passi in avanti importanti ma dobbiamo fare di più». Bersani respinge la posizione populista e anti-tedesca assunta da Berlusconi. - «Non litigherò con la Germania. Io voglio che l’Italia abbia una seria, franca e amichevole relazione con la Germania basata su argomentazioni razionali e realistiche» ha detto Bersani. «Infatti io concordo con molte delle critiche che la Germania rivolge a paesi come l’Italia perché sono le stesse critiche che io ho rivolto a Berlusconi». (Montepaschi sorvolando). In sostanza, Bersani s’è detto a favore addirittura di un indurimento del fiscal compact, che impegna a tagli di spesa pubblica obbligatori da 50 miliardi l’anno per 20 anni, dunque ad ulteriore stretta di cinghia e tassazione. Ed è a favore del commissario europeo a cui dovremmo far vedere il bilancio, per approvazione, prima di porlo al voto in Parlamento. È vero che un parlamento con Carfagne, Brambille e Scilipoti e segretarie di Rutelli e cognati di Casini, si merita di essere esautorato. Ma allora perchè lo paghiamo?