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mercoledì 14 luglio 2021

Finanziamento illecito, indagati Renzi e Lucio Presta.

 

L'anticipazione di 'Domani'. Anche false fatturazioni.


L'ex premier Matteo Renzi è indagato per finanziamento illecito e false fatturazioni insieme al manager dei vip Lucio Presta. Lo rende noto un'anticipazione del quotidiano 'Domani', secondo cui "la procura di Roma ha iscritto il leader di Italia Viva nel registro degli indagati qualche settimana fa, in merito a un'inchiesta sui rapporti economici tra Renzi e l'agente televisivo". Al centro dell'indagine, secondo il giornale, i bonifici del documentario "Firenze secondo me", che finirono nel 2019 in una relazione dell'antiriciclaggio della Uif. 

L'Espresso segnalò due anni fa come Presta, per il progetto televisivo andato in onda su Discovery, "girò a Renzi quasi mezzo milione di euro, una cifra che appariva fuori mercato.

Non solo - sottolinea il 'Domani' - se rapportata alle somme pagate da conduttori di fama come Alberto Angela, ma anche messa a confronto con quanto incassato dai Presta da Discovery: se al tempo fonti interne all'emittente rivelarono che il documentario presentato dal politico era stato comprato per poche migliaia di euro, oggi si scopre che l'Arcobaleno Tre (la società di Presta e del figlio Niccolò - anche lui indagato) ha fatto a Discovery una fattura da appena mille euro, che tra l'altro non risulta ancora incassata".

In pratica, afferma il quotidiano, "il documentario, costato quasi un milione di euro tra compenso per Renzi e spese di produzione, ad oggi non ha incassato nulla. I soldi ottenuti dall'amico Presta, già organizzatore della Leopolda, servirono invece a Renzi, nell'autunno del 2018, a restituire parte del prestito da 700mila euro che aveva ricevuto dalla famiglia Maestrelli per l'acquisto della villa di Firenze. Un prestito anomalo che finì nelle maglie dell'antiriciclaggio (i soldi furono bonificati dai Maestrelli attraverso il conto corrente dell'anziana madre, e da qui finirono su quelli dei Renzi), ma in quel caso la procura di Firenze non ravvisò gli estremi del finanziamento illecito, nonostante nel bilancio 2018 dell'azienda dei Maestrelli da cui partì la provvista il destinatario finale del prestito (un politico) non era stato segnalato come vuole la legge sul finanziamento alla politica".

"Presta, al tempo - scrive sempre il quotidiano - si giustificò dicendo che per lui l'operazione 'Firenze secondo me' era un investimento nel tempo, e che i diritti sul documentario (che fece meno del 2 per cento di share) avevano a suo giudizio un valore economico di rilievo, e insindacabile. Renzi dal canto suo ha sempre spiegato al suo entourage che non è affar suo se Presta vuole pagarlo come una star del cinema al pari di Benigni o Giancarlo Giannini". La procura di Roma, però, rileva il giornale, "vuole vederci chiaro sulla regolarità dell'operazione. I sospetti maggiori non riguardano tanto il documentario, visto che il prodotto - al di là dei compensi anomali e fuori mercato per il conduttore-autore - è certamente stato realizzato e messo in onda. I dubbi toccano soprattutto - scrive 'Domani' - altri due contratti e relativi bonifici da centinaia di migliaia di euro a favore di Renzi, scoperti dopo una verifica fiscale nella sede dell'Arcobaleno Tre. Denaro versato dalla società del manager all'ex premier per la cessione dei diritti d'immagine e per alcuni progetti televisivi che i due avrebbero dovuto fare insieme". Nel decreto di perquisizione ai Presta e alla loro Arcobaleno Tre, i pm Alessandro Di Taranto e Gennaro Varone "parlano infatti di 'rapporti contrattuali fittizi, con l'emissione e l'annotazione di fatture relative a operazioni inesistenti, finalizzate anche alla realizzazione di risparmio fiscale, consistente nell'utilizzazione quali costi deducibili inerenti all'attività d'impresa costi occulti del finanziamento della politica'. I programmi ipotizzati non sono infatti mai stati fatti, e soprattutto - conclude il quotidiano - i pagamenti al politico non sono stati iscritti al bilancio".

"Non so in cosa possa sostanziarsi questo avviso di garanzia: tutte le nostre attività solo legali, lecite, legittime. Si parla di una mia attività professionale che sarebbe finanziamento illecito alla politica, cosa che non sta né in cielo né in terra. Quando arriveranno gli atti potremo discutere e confrontarci", dice in un video su Fb Matteo Renzi, commentando l'indagine che lo coinvolgerebbe. "Io non ho paura, sono andato contro tutti e contro tutto per fare un nuovo governo. Pensate se possono farmi paura con qualche velato avvertimento e con qualche avviso di garanzia comunicato via stampa in un determinato giorno". 

ANSA

venerdì 12 marzo 2021

Consip, s’indaga sul giudice che non archiviò Renzi sr. - Antonio Massari

 

Il caso. Verdini a verbale: “Letta mi chiese di candidare Sturzo”, il gip che ha voluto nuove indagini sul padre di Matteo. Perugia ora ha aperto un fascicolo.

Gli scacchisti la chiamano zugzwang. È quella situazione in cui, fatta una mossa, l’avversario può rispondere solo in un modo, e così via, in una sorta di catena che porta a un risultato predeterminato. A quanto pare lo zugzwang avviato da Denis Verdini il 26 ottobre 2020 nella Procura di Roma un risultato l’ha prodotto: è stato sentito dalla Procura di Perugia dove è stato aperto un fascicolo che riguarda Gaspare Sturzo, il gip del caso Consip che in passato ha “bacchettato” i titolari del fascicolo – il procuratore aggiunto Paolo Ielo e il sostituto Mario Palazzi – rigettando la loro richiesta di archiviazione nel filone che coinvolge Tiziano Renzi (indagato inizialmente per traffico di influenze illecite, ndr) e lo stesso Verdini, e delegando nuove indagini. La Procura guidata da Raffaele Cantone dovrà ora verificare se per Sturzo si profili l’ipotesi dell’abuso d’ufficio per non essersi astenuto per le vicende che riguardano proprio Verdini. Con lui è stato sentito – anch’egli come persona informata sui fatti – anche l’ex sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Gianni Letta.

L’indagine perugina riguarda quindi il gip che ha dato una sterzata al caso Consip, invitando i pm romani ad approfondire l’inchiesta anche sulla figura di Tiziano Renzi, ed è obiettivamente una bomba a ridosso dell’udienza preliminare prevista per il prossimo 26 aprile. Vediamo ora cosa ha dichiarato Verdini il 26 ottobre 2020 davanti al pm Mario Palazzi, in un verbale d’interrogatorio reso nell’ambito dell’inchiesta Consip dove, lo ricordiamo, è indagato per concussione e turbativa d’asta: “Mi sembra necessario rappresentare un episodio di cui sono a conoscenza: nell’ottobre 2012 si dovevano presentare le liste per elezioni regionali in Sicilia e vi erano interlocuzioni nell’ambito del centrodestra in cui militavo per individuare una candidatura unitaria alla Presidenza (risultato che in realtà non venne raggiunto perché il centrodestra si presentò infine con due candidati e venne sconfitto dal centrosinistra). Nei mesi precedenti, allorquando eravamo impegnati nella formazione delle liste e nella possibile individuazione di tale candidato unitario, venni contattato dall’allora Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Gianni Letta che propose la candidatura del magistrato Gaspare Sturzo alla Presidenza della Regione Siciliana. Avemmo anche numerosi altri incontri con i rappresentanti delle varie forze politiche del centrodestra e io ebbi modo sempre di esprimere, con la schiettezza che mi è propria, ma per valutazioni politiche e non personali, la mia netta contrarietà alla candidatura del dott. Sturzo”. E ancora: “Non ricordo di aver parlato direttamente con lui, non lo escludo, ma era noto a tutti i miei interlocutori politici questa mia netta contrarietà”. In sostanza Verdini, con le sue parole, crea un collegamento tra il suo mancato appoggio alla candidatura Sturzo (lontana ormai ben 8 anni) e la decisione del gip che ha sollecitato indagini su di lui. Ed è da questo verbale che nasce il fascicolo a Perugia – procura competente a indagare sui magistrati romani – dove sono state sentite come persone informate sui fatti sia Verdini sia Letta. Sturzo avrebbe dovuto astenersi come previsto dall’articolo 39 del codice di procedura penale? Le fattispecie previste dalla norma sono tassative e una soltanto sembra avere un nesso con le dichiarazioni di Verdini: “Se vi è inimicizia grave fra lui o un suo prossimo congiunto e una delle parti private”. Soltanto nel caso in cui Sturzo – la vicenda risale a 8 anni prima della sua decisioni da gip – abbia nutrito una grave inimicizia nei riguardi di Verdini, insomma, avrebbe avuto l’obbligo di astenersi. E sarà questo che dovrà valutare la Procura guidata da Raffaele Cantone.

La storia è pubblica ed è nota: nel 2012 la Sicilia si avvia a eleggere il nuovo consiglio regionale. Sturzo – pronipote di don Luigi Sturzo – vanta una carriera da pm a Palermo fino al 2001. Dal 2004 si sposta alla Presidenza del Consiglio (con Berlusconi e Letta) in qualità di consigliere giuridico. Nel 2012 crea la lista civica “Italiani Liberi e Forti” con la quale si candida a presidente ottenendo lo 0,9 per cento. La destra si divide presentando due candidati – Gianfranco Miccichè e Nello Musumeci – e la presidenza va a Rosario Crocetta e quindi al centrosinistra. Il Fatto, quando per la prima volta ha pubblicato il verbale in questione, ha contattato fonti vicine a Sturzo che hanno negano con forza la ricostruzione di Verdini specificando che il gip non l’ha mai incontrato, tanto meno per parlare con lui di candidature. L’unico fatto certo di quei giorni – non abbiamo trovato dichiarazioni pubbliche di Verdini, né di Letta, né a favore, né contro – sono le dichiarazioni rilasciate da Miccichè il 30 giugno 2012 a Libero su Sturzo: “La gente in Sicilia vuole vedere chi è bravo e affidabile, non come si chiama”.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/03/12/consip-sindaga-sul-giudice-che-non-archivio-renzi-sr/6130742/

giovedì 21 gennaio 2021

‘Ndrangheta, maxi operazione: 48 arresti. Indagato anche il segretario dell’Udc Lorenzo Cesa: perquisita la sua casa a Roma. - Lucio Musolino


L'operazione, denominata 'Basso profilo', è coordinata dalla Procura Distrettuale di Catanzaro. Impiegati oltre 370 agenti tra polizia, carabinieri e militari. Oltre alle misure cautelari, la procura ha disposto l’esecuzione di numerosi sequestri di beni dopo aver accertato movimentazioni illecite per oltre 300 milioni di euro. Il politico: "Estraneo ai fatti, mi dimetto da segretario di partito".

Una maxi operazione contro la ‘ndrangheta su tutto il territorio nazionale, coordinata dalla Procura distrettuale di Catanzaro, è in corso dalle prime luci dell’alba. In arresto 48 persone tra boss mafiosi, imprenditori e funzionari pubblici. Numerose misure di custodie cautelari sono state disposte nei confronti dei maggiori esponenti delle ‘ndrine più importanti di CrotoneIsola Capo Rizzuto e Cutro, tra cui ‘Bonaventura’ ‘Aracri’, ‘Arena’ e ‘Grande Aracri’. L’operazione, denominata ‘Basso profilo’, vede impegnati 370 uomini e donne delle forze dell’ordine: 200 militari della Direzione Investigativa Antimafia (Dia) e 170 tra polizia, carabinieri e guardia di finanza, più il supporto di quattro unità cinofile e un elicottero.

Nell’inchiesta è indagato anche Lorenzo Cesa, segretario nazionale dell’Udc. La casa romana del politico è stata perquisita. “Ho ricevuto un avviso di garanzia su fatti risalenti al 2017. Mi ritengo totalmente estraneo, chiederò attraverso i miei legali di essere ascoltato quanto prima dalla procura competente. Come sempre ho piena e totale fiducia nell’operato della magistratura. E data la particolare fase in cui vive il nostro Paese rassegno le mie dimissioni da segretario nazionale come effetto immediato”, dice Cesa. L’assessore regionale al Bilancio, Francesco Talarico, segretario regionale dell’Udc, è invece ai domiciliari.

Tra gli arrestati ci sono anche imprenditori di spessore e funzionari della pubblica amministrazione accusati di essere collusi con le organizzazioni criminali. Oltre alle misure cautelari, la Procura di Catanzaro ha disposto l’esecuzione di numerosi sequestri di beni costituiti da compendi aziendali, immobili, automobili, conti correnti bancari e postali. Nel corso delle indagini è stata anche accertata la movimentazione illecita di denaro per un valore di oltre 300 milioni di euro. Maggiori dettagli sull’operazione saranno forniti nel corso di una conferenza stampa che si terrà nella tarda mattinata di oggi presso la sede della Corte d’Appello, a cui parteciperanno il procuratore capo Nicola Gratteri, e il direttore della Dia, Maurizio Vallone.

https://www.ilfattoquotidiano.it/2021/01/21/ndrangheta-maxi-operazione-48-arresti-indagato-anche-il-segretario-delludc-lorenzo-cesa-perquisita-la-sua-casa-a-roma/6073249/

sabato 18 aprile 2020

Carmelitani Descalzi Marco Travaglio

Indagini Eni-Congo: la signora Descalzi indagata per corruzione ...
Marie Madeleine Ingoba e Claudio Descalzi  

Il primo burrascoso vertice di maggioranza per le nomine nelle società partecipate (Eni, Enel, Poste, Leonardo, Terna, Mps, Enav ecc.) ha visto Pd e 5Stelle scontrarsi su un duplice casus belli: da un lato la pretesa del Pd di tenersi tutte le poltrone più importanti con la scusa che il Quirinale spinge per non cambiare nulla in nome della “continuità”; dall’altro la richiesta dei 5Stelle di rimpiazzare alcuni manager di peso in cambio della rinuncia alla loro battaglia contro l’imbarazzante amministratore delegato dell’Eni, Claudio Descalzi. La pretesa del Pd è bizzarra: il partito di maggioranza relativa sono i 5Stelle che han vinto le elezioni del 2018, non il Pd che le ha perse; e la contrarietà del Quirinale a ogni cambiamento, se confermata, sarebbe un abuso di potere: la Costituzione non assegna al capo dello Stato alcuna voce in capitolo sulle partecipate, che invece spettano al premier e al governo. Ma altrettanto bizzarra è la posizione dei 5Stelle, che si sono rassegnati alla conferma degli Ad di quasi tutte le società più rilevanti, incluso l’imbarazzante Descalzi, ma a titolo di risarcimento per averlo “ingoiato” rivendicano un bel po’ di presidenze (con funzioni poco più che decorative).
A noi, come a tutti i cittadini, dell’etichetta partitica dei manager pubblici non importa nulla. Purché si tratti di persone capaci, oneste e al di sopra di ogni sospetto: cioè inattaccabili sul piano professionale, morale, deontologico e naturalmente penale. Per questo, da mesi, ci sgoliamo a spiegare perché Descalzi è del tutto incompatibile con la carica di Ad dell’Eni. E qualche miserabile verme annidato nei soliti giornalacci arriva a insinuare che la nostra battaglia di principio celi un nostro interesse per “piazzare” all’Eni questo o quel personaggio: prima si parlò dell’economista Luigi Zingales (ex consigliere indipendente di Eni e docente a Chicago), ora si parla di Lucia Calvosa, docente di Diritto commerciale, già consigliere indipendente di Mps, poi di Telecom e ora di Seif (la società del Fatto). Ovviamente, malgrado la stima che non solo noi nutriamo per Zingales e Calvosa, non ci occupiamo delle loro carriere professionali, anche se troviamo curioso che non vengano chiamati a discolparsi gli sponsor di manager inquisiti e imputati, ma noi perché abbiamo amministratori cristallini e incensurati. Da cittadini e giornalisti, però, siamo interessati a una seria bonifica di un gruppo strategico come l’Eni, da troppi anni in mano a personaggi che si dividono fra la politica energetica nazionale e i processi per presunte corruzioni e sicuri conflitti d’interessi.
Quindi, per i senza memoria, ripetiamo i cinque motivi che dovrebbero indurre Conte, Gualtieri, 5Stelle, Pd, Iv, Sinistra e (se è interessato) Mattarella ad accompagnare Descalzi alla porta.
1. Descalzi è imputato a Milano di corruzione internazionale per la più grande tangente della storia italiana (1,1 miliardi), pagata da Eni nel 2011 per ottenere un giacimento in Nigeria e finita sui conti di politici, mediatori, faccendieri, manager.
2. L’Eni è indagato anche per le accuse di Piero Amara, suo avvocato esterno, arrestato nel 2018. Amara racconta di aver ricevuto mandato e denaro dai vertici Eni per orchestrare nel 2015 un “complotto” per depistare le indagini milanesi sulle corruzioni Eni in Nigeria e in Algeria, salvando Descalzi dalle accuse. Non solo: nel marzo 2016 incontrò a Roma Claudio Granata (braccio destro di Descalzi) e l’ex manager Vincenzo Armanna per organizzare un depistaggio sul depistaggio: Armanna, in cambio di denaro, avrebbe dovuto ritrattare le accuse contro Descalzi e scaricare tutto su due manager licenziati.
3. Secondo Amara, la security Eni avrebbe dossierato, pedinato e intercettato Zingales, la Litvack, il giornalista Claudio Gatti (che indagava su Eni) e i pm milanesi De Pasquale, Spadaro e Storari.
4. L’Eni è sotto inchiesta a Milano anche per una corruzione internazionale in Congo: avrebbe girato quote dei suoi giacimenti alle società Aogc (legata al presidente Denis Sassou Nguesso) e Wnr (legata a “persone vicine a Eni e al suo management”). Anche quella, per la Procura, era una tangente per politici congolesi e manager italiani.
5. La moglie congolese di Descalzi, Marie Madeleine Ingoba, controllava – secondo i pm, tramite schermi esteri – 5 società denominate “Petro Service” che han prestato servizi all’Eni del marito in cambio di circa 300 milioni di dollari tra il 2007 e il 2018. La signora Descalzi controllò quelle società direttamente dal 2009 al 2014. Poi, l’8 aprile 2014, sei giorni prima che Renzi indicasse Descalzi come Ad Eni, la Ingoba vendette la lussemburghese Cardon Investments che controlla le 5 Petro Services ad Alexander Haly, ritenuto dai pm un socio-prestanome della coppia Descalzi-Ingoba. Di recente, in vista del rinnovo dei vertici Eni, è filtrata la notizia di una separazione dei due coniugi, evidentemente consci del loro mega-conflitto d’interessi. Che, a prescindere dal processo e dalle inchieste in corso, basta e avanza a sconsigliare la riconferma di Descalzi al comando del primo gruppo industriale italiano.
FQ 18 aprile

martedì 3 dicembre 2019

“Assuzioni, raccomandazioni e corruzione”, ecco le accuse al renziano Sammartino. 13 gli indagati.

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Assunzioni in aziende private, raccomandazioni per promozioni o trasferimenti in sanità o partecipate, spintarelle per la rateizzazione di cartelle esattoriali, ma anche l’ipotesi di corruzione per atto contrario ai doveri d’ufficio per la liquidazione di un trattamento di fine rapporto. Sono le contestazioni fatte dalla Procura di Catania nell’avviso di conclusione indagine, e contestuale avviso di garanzia, nell’inchiesta per corruzione elettorale notificato al deputato regionale di Italia viva all’Assemblea siciliana, Luca Sammartino. Lo scrive La Sicilia rivelando che ci sono anche altri 12 indagati.
Tra questi, ci sono: il sindaco di Aci Castello, Carmelo Scandurra, per un episodio avvenuto prima della sua elezione; l’assessore di Mascalucia, Nino Rizzotto Salamone; l’ex consigliere comunale di Catania, Giuseppe Musumeci; il consigliere di Militello, Salvatore Cannata Galante; l’ex consigliere comunale di Caltagirone, Alfredo Scozzarella; il consigliere della seconda Circoscrizione di Catania, Giuseppe Damiano Capuano; l’ex consigliere municipale etneo Marco Mirici Cappa.
L’inchiesta coordinata dal procuratore Carmelo Zuccaro, dall’aggiunto Agata Santonocito e dal sostituto Fabio Saponara verte su indagini della Digos della Questura sulla campagna elettorale per le politiche del 2018. Luca politico, recordman delle preferenze alle elezioni regionali del 2017, era candidato alla Camera dei deputati nel collegio uninominale di Misterbianco e ottenne oltre 16mila voti, non sufficienti per essere eletto. Secondo l’accusa avrebbe fatto o promesso i ‘favori’ contestati nell’avviso di conclusione indagini in cambio di voti.
Sammartino in passato è stato indagato dalla Procura di Catania per le Regionali del 2017 in Sicilia nell’ambito di un’inchiesta sulla regolarità del voto espresso da persone anziane di una casa di cura della provincia etnea, ma il fascicolo fu successivamente archiviato.

martedì 12 novembre 2019

Lupi per agnelli. - Marco Travaglio



La nota faccia da renzi che risponde al nome di Renzi ci accusa di censurare un’archiviazione: quella dell’indagine nata a Firenze nel 2015, poi trasferita in parte a Milano su vari appalti sospetti, famosa perché costò il posto al suo ministro delle Infrastrutture Maurizio Lupi (Ncd). Lupi non era indagato, dunque con l’archiviazione non c’entra. Ma i giornali di destra e dunque Renzi frignano per il povero innocente perseguitato dall’ennesimo complotto mediatico-giudiziario. Forse è il caso di rammentare perché Lupi diede le dimissioni e Renzi le accettò, visto che non lo ricordano nemmeno loro. Dalle intercettazioni venne fuori che: Lupi aveva chiamato Ercole Incalza, capostruttura del suo ministero, per dirgli: “Deve venirti a trovare mio figlio” (Luca, neolaureato in cerca di lavoro); Incalza e l’imprenditore e abituale appaltatore Stefano Perotti si erano interessati a incarichi professionali per Lupi jr.; Perotti aveva regalato al giovanotto un Rolex da 10 mila euro. Lupi, cuore di papà, fece benissimo a dimettersi e Renzi ad accompagnarlo alla porta. Per quei fatti che, a prescindere dalla rilevanza penale, ponevano un’evidente questione morale e di opportunità: un ministro non può accettare favori o regali da dirigenti e clienti del suo ministero. L’essere indagato o meno non c’entra: c’entrano i fatti, mai smentiti neppure dall’archiviazione. Che riguarda gli indagati, dunque non Lupi, e non parla di lui.

Eppure il Giornale titola: “‘Dimissionato senza motivo’. L’amara rivincita di Lupi” . E Libero: “Archiviata l’inchiesta sui Rolex. Chi ripaga il male? Lupi si era dimesso per nulla senza essere indagato. Prosciolto nel 2018” (parola di Renato Farina, ciellino come Lupi ma pregiudicato a differenza di Lupi, convinto che si indagasse sul Rolex e che si possa prosciogliere uno che non è mai stato inquisito). E il Riformatorio: “Lupi e i suoi fratelli vittime innocenti dei tagliagole a 5Stelle” (per Tiziana Maiolo il pm era Di Maio). Renzi però li supera e strilla contro “i gazzettini del giustizialismo che fischiettano e fanno finta di nulla davanti all’ennesimo scandalo che scandalo non era”, anziché “scusarsi” con Lupi. Che, rivela Renzi, “era totalmente estraneo alla vicenda ma decise di dimettersi lo stesso”. Ma tu guarda: era estraneo e lui, anziché respingerne le dimissioni, le accolse al volo. Perché non si scusa lui? Sarebbe una bella scena: un politico che si vergogna di una delle poche cose giuste fatte in vita sua, cioè far dimettere un non indagato in nome della questione morale, poi corre a rimediare imbarcando una dozzina di indagati e condannati in nome della questione immorale.

https://infosannio.wordpress.com/2019/11/12/lupi-per-agnelli/

mercoledì 25 settembre 2019

Mafia, Silvio Berlusconi indagato nel procedimento stragi.

Mafia, Silvio Berlusconi indagato nel procedimento stragi

L'inchiesta della procura di Firenze sugli attentati del 1993. Una certificazione che consentirà all’ex premier di non rispondere al procedimento che vede imputato Marcello Dell’Utri.

PALERMO- Silvio Berlusconi è indagato nel procedimento aperto dalla procura di Firenze sulle stragi mafiose del 1993. La notizia si apprende a Palermo. I legali di Marcello Dell'Utri, imputato nel processo d'appello sulla cosiddetta trattativa Stato-mafia, hanno depositato alla corte d'assise d'appello, che celebra il dibattimento, la certificazione da cui risulta che l'ex premier è indagato a Firenze. Una mossa, quella della difesa che aveva citato a deporre Berlusconi, che gli consentirà di non rispondere.

La nuova indagine su Silvio Berlusconi e Marcello Dell'Utri, accusati di essere i mandanti occulti delle stragi mafiose del 1993, che colpirono Firenze, Roma e Milano, è stata avviata nel 2017. La procura di Firenze aveva ottenuto dal giudice delle indagini preliminari la riapertura del fascicolo, archiviato nel 2011, e aveva delegato nuovi accertamenti alla Direzione investigativa antimafia.

Obiettivo della nuova indagine era passare al setaccio le parole pronunciate in carcere dal boss Giuseppe Graviano, intercettato dai pubblici ministeri palermitani del processo 'Trattativa Stato-mafia' mentre parlava dell'ex presidente del Consiglio e dall'ex senatore di Forza Italia in carcere per scontare una condanna per concorso esterno in associazione mafiosa.

https://www.repubblica.it/cronaca/2019/09/25/news/mafia_silvio_berlusconi_indagato_nel_procedimento_stragi-236894685/

martedì 7 maggio 2019

Zingaretti indagato per finanziamento illecito.

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Nicola Zingaretti, proclamato appena domenica scorsa dall’assemblea nazionale del Pd segretario del partito dopo aver vinto con il 66% dei voti le primarie del 3 marzo scorso, sarebbe indagato dalle procure di Roma e di Messina per finanziamento illecito. Secondo quanto riportato dall’Espresso on line il nome di Zingaretti emerge dagli interrogatori degli avvocati siciliano Piero Amara e Giuseppe Calafiore: arrestati nel febbraio 2018 per corruzione in atti giudiziari, hanno poi patteggiato 3 e 2,9 anni a testa.
Sotto inchiesta anche Berlusconi.
Sotto inchiesta ci sarebbe anche Silvio Berlusconi per corruzione in atti giudiziari su una sentenza del Consiglio di Stato che, secondo l’accusa, gli consentì di non cedere parte del pacchetto azionario di Mediolanum così come aveva invece stabilito la Banca d’Italia. Per quanto riguarda invece il neo segretario del Pd l’inchiesta è invece portata avanti dai pm Paolo Ielo e Stefano Fava e prende spunto dalle dichiarazioni di Calafiore in un interrogatorio del luglio scorso. Tra l’altro Calafiore si sarebbe detto sicuro di non essere arrestato grazie a erogazioni fatte per favorire l’attività politica di Zingaretti. Ma finora, precisa l’articolo dell’Espresso, prove di tali presunte erogazioni non sarebbero state trovate.
Zingaretti fiducioso
Immediata la reazione di Zingaretti, che si dice estraneo ai fatti e fiducioso: «In merito all’articolo dell’Espresso sulla mia iscrizione nel registro degli indagati della Procura di Roma per un presunto finanziamento illecito, voglio affermare di essere estremamente tranquillo perché forte della certezza della mia totale estraneità ai fatti che, peraltro, sono stati riferiti come meri pettegolezzi “de relato” e senza alcun riscontro, come affermato dallo stesso articolo del
settimanale». E ancora: «Mai nella vita ho ricevuto finanziamenti in forma illecita e attendo quindi con grande serenità che la giustizia faccia tutte le opportune verifiche per accertare la verità».
L’attacco dei pentastellati.
Sulla vicenda, però, salgono subito i pentastellati. «Questo sarebbe il nuovo che avanza? Cambiano i segretari ma gli affari oscuri sembrano rimanere di casa nel Pd. Zingaretti abbia il pudore di mollare la nuova poltrona», dice il sottosegretario agli Affari esteri Manlio Di Stefano. E altri, come il vicepresidente del Movimento 5 stelle alla Camera Francesco Silvestri, parlano di perdita del pelo ma non del vizio ricordando che Zingaretti era finito sotto inchiesta anche con Mafia Capitale.
Zingaretti: non mi faccio intimidire dalle bassezze del M5S.
«Non mi faccio intimidire dalle bassezze del M5s - è la ferma replica di Zingaretti -. Comprendi la disperazione per il disastro politico che stanno combinando, per essere da mesi succubi del loro alleato di governo, per essere in caduta libera nel gradimento dei cittadini e per le batoste elettorali avute in Abruzzo e Sardegna. Ma se pensano di aggrapparsi alle fantasie di qualcuno sbagliano di grosso».

sabato 23 marzo 2019

Nicola Zingaretti indagato per finanziamento illecito. M5S attacca, lui si difende: «Estraneo ai fatti». - Fulvio Fiano

Nicola Zingaretti

Il neosegretario del Pd nel mirino della procura di Roma per una vicenda di un anno fa che coinvolge anche l’imprenditore Fabrizio Centofanti.


Il neosegretario del Partito democratico, Nicola Zingaretti, è indagato dalla Procura di Roma per finanziamento illecito in una vicenda risalente a oltre un anno fa ma della quale si è appreso solo ora.

La posizione del presidente della Regione Lazio potrebbe presto essere archiviata mancando riscontri investigativi sugli ipotetici passaggi di denaro. La vicenda viene fuori da un interrogatorio rilanciato dal settimanale L’Espresso in cui l’avvocato Giuseppe Calafiore — arrestato nella maxi inchiesta sul giro di presunte tangenti pagate da legali di importanti aziende per ottenere sentenze favorevoli al Consiglio di Stato — riporta ai magistrati una confidenza che avrebbe ricevuto dall’imprenditore Fabrizio Centofanti, anche egli finito in carcere nel febbraio 2018, e in passato capo delle relazioni istituzionali dell’imprenditore Francesco Bellavista Caltagirone. A Calafiore, che ha patteggiato la pena e collabora con le indagini, i pm chiedono dei finanziamenti elargiti da Centofanti: «Lui — è la risposta — mi parlava solo di erogazioni verso Zingaretti. Mi disse che non aveva problemi sulla Regione Lazio perché Zingaretti era a sua disposizione».

«Una ricostruzione non credibile», secondo l’avvocato Maurizio Frasacco, che difende sia Centofanti che il segretario del Partito democratico: «Sia perché Centofanti non l’ha mai confermata, sia perché contro la Regione è ricorso al Tar». Anche due dei più stretti collaboratori di Zingaretti, l’ex capo di gabinetto, Maurizio Venafro, e il tesoriere delle sue campagne elettorali, Giuseppe Cionci, erano indagati per corruzione e finanziamento illecito per delle consulenze avute da Centofanti dopo aver lasciato gli incarichi in Regione, ma per entrambi le accuse sono già cadute, restando però quella di false fatture. Contro Zingaretti si scaglia il Movimento Cinque Stelle che parla di «pessimo inizio della sua segreteria», e di «soliti metodi del Pd», e ne chiede le dimissioni. Zingaretti si dice invece «estremamente tranquillo perché forte della certezza della mia totale estraneità ai fatti. Mai nella mia vita ho ricevuto finanziamenti in forma illecita e non mi farò intimidire dalle bassezze del Movimento Cinque Stelle».

Mare Jonio, Luca Casarini indagato per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. - Antonio Massari

Mare Jonio, Luca Casarini indagato per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina

Dopo otto ore d'interrogatorio come persona informata sui fatti il nome del capo missione della Ong Mediterranea è stato iscritto nel registro degli indagati. Ha condiviso operativamente le decisioni prese dal comandante della nave Mare Jonio, Pietro Marrone, quindi è anch'egli sotto indagine per le medesime accuse.

È entrato come persona informata sui fatti ed è uscito da indagato. Dopo un interrogatorio di quasi otto ore Luca Casarini esce dalla caserma della Guardia di finanza di Lampedusa con l’accusa di concorso favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.
In qualità di capo missione della Ong Mediterranea Casarini ha condiviso operativamente le decisioni prese dal comandante della nave Mare JonioPietro Marrone, quindi è anch’egli sotto indagine per le medesime accuse. È accusato in concorso di aver violato anche l’articolo 1099 del codice della navigazione, ovvero di aver disobbedito all'alt impartito dal pattugliatore della gdf prima di entrare nelle acque territoriali italiane. La prossima settimana, nella nuova veste di indagato, quindi con la presenza del suo avvocato, Casarini sarà nuovamente interrogato ad Agrigento dai titolari del fascicolo Salvatore Vella e Cecilia Baravelli.
I magistrati della procura di Agrigento, che è coordinata dal procuratore Luigi Patronaggio, sono da giorni ormai sull’isola per coordinare personalmente le indagini sul caso della nave della Ong Mediterranea, avvicinatasi alla costa di Lampedusa nonostante un iniziale divieto della Guardia di finanza. La nave aveva salvato 49 migranti naufragati sulle acque di fronte alla Libia.
La notizia dell’indagine su Casarini era attesa da quando nel registro degli indagati era finito il comandante della nave. “Sono tranquillo, ho fatto il mio dovere. Avrei dovuto lasciarli morire? Rifarei tutto per salvare le persone”, il commento di Marrone. Due giorni fa i pm hanno convalidato il sequestro probatorio della nave disposto ieri dalla Guardia di Finanza. “Ovviamente nei prossimi giorni faremo ricorso. Noi non godiamo di nessuna immunità, ma siamo certi di avere operato nel rispetto del diritto e felici di avere portato in salvo 50 persone”,  ha annunciato la portavoce di Mediterranea, Alessandra Sciurba.

mercoledì 20 marzo 2019

L'Espresso: Zingaretti indagato per finanziamento illecito.




'Fiducia nella giustizia, M5S non mi fa paura'.


Nicola Zingaretti sarebbe indagato dalle procure di Roma e Messina per finanziamento illecito, come riporta il settimanale L'espresso on line. E' quanto risulta dalle dichiarazioni fatte dagli avvocati siciliani Piero Amara e Giuseppe Calafiore, arrestati nel febbraio 2018 per corruzione in atti giudiziari e che un mese fa hanno patteggiato 3 e 2,9 anni a testa. L'Espresso ha letto gli interrogatori inediti dei due legali in cui descrivono ai pm il loro modus operandi, facendo nomi e circostanze di altri big della magistratura e della politica. Sott'inchiesta ci sarebbe anche Silvio Berlusconi, per corruzione in atti giudiziari su una sentenza dei giudici del Consiglio di Stato che, secondo l'accusa, gli consentì di non cedere parte del pacchetto azionario di Mediolanum, come aveva invece stabilito la Banca d'Italia.

Per quanto riguarda Zingaretti l'inchiesta è portata avanti dal procuratore aggiunto Paolo Ielo e dal pm Stefano Fava e prende spunto dalle dichiarazioni di Calafiore. Il governatore è stato citato dal socio di Amara in un interrogatorio dello scorso luglio, su alcune domande dei pm su Fabrizio Centofanti, ex capo delle relazioni istituzionali di Francesco Bellavista Caltagirone che, diventato imprenditore, era in affari con l'Amara e in buoni rapporti con Zingaretti. Inoltre, era sicuro di non essere arrestato grazie a erogazioni fatte per favorire l'attività politica di Zingaretti. Come risulta dai verbali, i pm chiedono a Calafiore se si tratti di erogazioni lecite e l'avvocato risponde: Assolutamente no, per quanto egli mi diceva. Non so con chi trattava tali erogazioni. Lui mi parlava solo di erogazioni verso Zingaretti. Mi disse che non aveva problemi sulla Regione Lazio perché Zingaretti era a sua disposizione. Me lo ha detto più volte, prima della perquisizione. Finora prove di presunte erogazioni non sono state trovate.

 "In merito all'articolo dell'Espresso sulla mia iscrizione nel registro degli indagati della Procura di Roma per un presunto finanziamento illecito, voglio affermare di essere estremamente tranquillo perché forte della certezza della mia totale estraneità ai fatti che, peraltro, sono stati riferiti come meri pettegolezzi 'de relato' e senza alcun riscontro, come affermato dallo stesso articolo del settimanale", afferma Nicola Zingaretti, che esprime fiducia nella giustizia e non si farà "intimidire dalle bassezze del M5S".  


http://www.ansa.it/sito/notizie/politica/2019/03/19/lespresso-zingaretti-indagato-per-finanziamento-illecito_64762dfb-2cfb-45da-bb0c-4f73a29c4935.html

mercoledì 19 dicembre 2018

Oliverio indagato, “fondi ad azienda in cambio di stop a lavori per danneggiare sindaco: è lotta politica con soldi pubblici”. - Lucio Musolino e Andrea Tundo

Oliverio indagato, “fondi ad azienda in cambio di stop a lavori per danneggiare sindaco: è lotta politica con soldi pubblici”

Il governatore dem della Calabria colpito dall'obbligo di dimora in un'inchiesta della procura di Catanzaro. L'accusa è abuso d'ufficio: secondo gli investigatori, sbloccò 4,2 milioni di euro legati ai lavori sugli impianti di sci a Lorica in maniera "anomala". E ci fu una "controprestazione": la stessa ditta stava svolgendo i lavori in una piazza a Cosenza e gli fu chiesto di fermarsi per danneggiare il sindaco di centrodestra. Il gip: "Rapporto di scambio può ben sconfinare nel terreno della corruzione". Lui: "Accuse infamanti, sciopero della fame".

Una “lotta politica deteriore” giocata con i soldi pubblici, erogati anche senza giustificazione, e le ‘pressioni’ per rallentare lavori affidati alla stessa impresa a Cosenza, all’epoca amministrata da avversari politici, che a loro volta si erano interessati per fermare tutto evitando che a inaugurare le opere non fossero loro. Tanto che i funzionari pubblici, ‘venduti’ agli interessi degli imprenditori il cui unico obiettivo era “rastrellare quanto più denaro pubblico possibile”, la spiegavano così, riferendosi a politici e rappresentanti istituzionali: “Sono come i delinquenti, ti ricattano, tu ci chiedi un favore a loro e loro subito ti ricattano”. A rimetterci, tra ritardi e infrastrutture incomplete o inutilizzabili perché non in sicurezza, era la “disgraziata Calabria”, come la definiscono alcuni degli indagati in un’intercettazione telefonica.

Barbieri, il mattatore degli appalti vicino alla cosca.
È questo il quadro che emerge dall’inchiesta della Guardia di finanza, coordinata dal procuratore Nicola Gratteri, dagli aggiunti Vincenzo Capomolla e Vincenzo Luberto e dal pm Alessandro Prontera, che ha portato in carcere l’imprenditore Giorgio Ottavio Barbieri, ritenuto la testa di legno del boss Franco Muto di Cetraro, e ai domiciliari altre sette persone, compresi dirigenti pubblici. Era Barbieri il mattatore degli appalti, finanziati con i fondi comunitari, e gestiti dalla Regione Calabria. In particolare gli impianti sciistici Lorica-Camigliatello, il cuore dell’inchiesta che è arrivata a colpire il presidente della Regione, Mario Oliverio, esponente del Partito Democraticoper il quale è stato disposto dal gip l’obbligo di dimora.
Calabria, misura cautelare per Oliverio. La conferenza stampa di Gratteri
di Lucio Musolino
Volume 90%
La decisione di Oliverio e il “contributo” di Adamo e Bruno Bossio.
Secondo gli inquirenti, nonostante fosse a conoscenza della situazione finanziaria deteriorata della sua azienda, era comunque intervenuto in favore di Barbieri garantendo “l’indebita percezione di capitale pubblico a fronte di opere ineseguite o comunque non funzionali”, scrive il gip Pietro Carè nell’ordinanza di applicazione delle misure cautelari, con un finanziamento aggiuntivo di 4,2 milioni di euro, deliberato dalla Giunta regionale il 13 maggio 2016. Come “controprestazione”, secondo gli inquirenti, aveva chiesto di rallentare i lavori in piazza Belotti a Cosenza, dove governava la giunta di centrodestra presieduta dal sindaco Mario Occhiuto, grazie anche al “contributo causale” degli esponenti del Pd Nicola Adamo ed Enza Bruno Bossio, rispettivamente ex ed attuale parlamentare, entrambi non indagati.
L’accusa di abuso d’ufficio. Il gip: “Può ben sconfinare in corruzione”.Oliverio è accusato di abuso d’ufficio e per lui i pm avevano chiesto i domiciliari. Richiesta respinta dal gip che ha disposto l’obbligo di dimora nel suo comune di residenza. Allo stesso tempo, però, il giudice usa parole durissime nei suoi confronti. Spiegando che il fine primo del governatore sarebbe stato quello della “lotta politica sebbene di quella più deteriore che si possa immaginare provenire da parlamentari o ex parlamentari della Repubblica”, ad avviso di Carè, “non si può trascurare come essa si inserisca in un rapporto di scambio” con Barbieri che “appare riduttivo definire clientelare, potendo ben sconfinare nel terreno della corruzione“.
La replica: “Sciopero della fame, io sono sempre trasparente”.
Il governatore ha definito le accuse “infamanti” 
annunciando lo sciopero della fame: “La mia vita e il mio impegno politico e istituzionale sono stati sempre improntati al massimo di trasparenza, di concreta lotta alla criminalità, di onestà e rispettosa gestione della cosa pubblica. I polveroni sono il vero regalo alla mafia – fa sapere Oliverio – Tra l’altro l’opera oggetto della indagine non è stata appaltata nel corso della mia responsabilità alla guida della Regione. Quanto si sta verificando è assurdo. Non posso accettare in nessun modo che si infanghi la mia persona e la mia condotta di pubblico amministratore”.
“4,2 milioni di euro una vistosa anomalia”.                      Di tutt’altro avviso è il giudice per le indagini preliminari nel ricostruire la genesi di quella delibera di Giunta proposta da Oliverio che ha portato a stanziare 4,2 milioni di euro a Barbieri per opere complementari legate agli impianti sciistici di Lorica-Camigliatello. Una “vistosa anomalia” perché quell’investimento viene ammesso nonostante sia stato richiesto fuori dai termini e “neppure ancora formalmente ammessi”. Nonostante, annota il gip, diversi mesi prima il presidente della Regione avesse effettuato un sopralluogo sul cantiere di Lorica, “circostanza nella quale prende personalmente contezza (ove mai non l’avesse fatto in precedenza) del ritardo dei lavori e della minima contribuzione del privato”. Stando alle intercettazioni, infatti, l’impresa di Barbieri aveva sborsato “circa 28mila euro su oltre 13 milioni” e comunque Oliverio “promette” nuovi “corposi finanziamenti pubblici” per la costruzione di un albergo-rifugio che voleva simile a una struttura che aveva visto sul lago di Garda.

La “piena disponibilità del presidente” e la “controprestazione”.
Non ci sono intercettazioni che lo riguardano, ma secondo il gip il quadro delineato dai dialoghi degli altri indagati e quanto risulti negli atti predisposti dalla sua Giunta è inequivocabile. Il giudice cita, tra le altre conversazioni ascoltate dai finanzieri, quella del 2 marzo di due anni fa. Dopo un incontro con Oliverio, uno degli indagati parla a Barbieri di “miracoli grossissimi” grazie al faccia a faccia. “Trova conferma – si legge nell’ordinanza – la piena disponibilità del presidente a portare avanti a “tambur battente” i progetti presentati dal concessionario privato (senza neppure considerare la necessità di dover espletare una gara pubblica e la possibilità che se l’aggiudichi un’altra impresa) ma emerge per la prima volta la necessità di una “controprestazione”, ovvero il rallentamento dei lavori del cantiere di piazza Bilotti a Cosenza”.
“Ti devi fermare su piazza Bilotti”. E le “interferenze incrociate”.
La necessità, si evince dalle carte, è quella di non permettere al sindaco uscente del capoluogo di provincia, Mario Occhiuto, di inaugurarla. Si tratta di una delle opere più importanti volute dal sindaco-architetto che sta portando avanti proprio l’impresa di Barbieri. L’imprenditore finito in carcere e un dirigente pubblico parlano di “ordine di scuderia” e “tassativo”. “Io ho avuto una riunione con il presidente ed il presidente m’ha detto ‘Ti devi fermare su piazza Bilotti’“. E l’indagato “confida di sentirsi pressato, quasi “costretto” ad assecondare la richiesta “bipartisan” della politica (“ti ricattano, tu ci chiedi un favore a loro e loro subito ti ricattano”) per non subire ritorsioni”.

Le richieste “bipartisan”: “Così sono tutti felici e contenti”.
Bipartisan
 perché alla fine – stando alla ricostruzione degli inquirenti – le presunte “pressioni” sono arrivate anche da Occhiuto, che nel frattempo era stato sfiduciato e non voleva che a inaugurare l’opera fosse il commissario prefettizio. Così Barbieri e l’altro indagato discutono della “necessità di chiedere una proroga del termine finale dei lavori” rispetto “al quale erano già in ritardo”. Una richiesta, scrive il gip, “che già andava incontro ai desiderata di Occhiuto e di Oliverio (“Però già tenendo questo ritmo sono tutti felici e contenti…”) e che allo stesso tempo “sarebbe stata utile per poter intercettare i finanziamenti promessi da Oliverio”. “Una parentesi di 3 mesi, 4 mesi che ci serve ad hoc per quello che dobbiamo fare naturalmente”, si dicono al telefono.
E gli impianti di Lorica alla fine avevano “problemi di sicurezza”.
Ovvero i lavori a Lorica, il cuore dell’inchiesta, che stando alle intercettazioni degli indagati il governatore voleva pronti “entro gennaio”. Così si “assiste ad una vera e propria corsa al collaudo” degli impianti, caratterizzata “da continue sollecitazioni ed interferenze della parte politica” per “accelerare le operazioni”. Durante le verifiche del collaudatore esterno ed il collaudo tecnico da parte dell’Ufficio speciale trasporti e impianti fissi, unità periferica del ministero delle Infrastrutture, emergono “gravi problematiche di sicurezza” che “si manifestano all’atto di mettere in funzione gli impianti”. Una conseguenza “inevitabile”, secondo il giudice, “dell’approssimazione e della fretta che avevano connotato l’intervento sin dalla sua progettazione”.