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sabato 18 dicembre 2021

Graviano: “C’è la carta del patto firmato da B.” - Marco Lillo

 

FIRENZE - Il boss rivela ai pm: “Il nonno mi disse che Berlusconi gli aveva chiesto un investimento di 20 miliardi di lire per le sue attività. Mio cugino mi mostrò l’atto privato”.

Eccoli i verbali di Giuseppe Graviano su Berlusconi. Portano la data del 20 novembre 2020 e del 1º aprile 2021. Sono stati depositati dai pm di Firenze che indagano su Marcello Dell’Utri e Silvio Berlusconi per l’ipotesi (enorme e tutta da dimostrare) che l’ex premier e l’ex senatore di FI abbiano avuto un ruolo di mandanti esterni nelle stragi del 1993 che costarono la vita a dieci persone a Milano e Firenze e negli attentati del 1993 contro le Basiliche e Maurizio Costanzo a Roma.

Il procuratore capo di Firenze, Giuseppe Creazzo, e i due aggiunti, Luca Turco e Luca Tescaroli, hanno sentito il boss come ‘persona condannata per reato connesso’ essendo già condannato per quei fatti.

Le affermazioni di Graviano sono tutte da riscontrare. Nel febbraio 2020, quando parlò al processo ‘Ndrangheta Stragista’ l’avvocato dell’ex premier Nicolò Ghedini tuonò: “Dichiarazioni totalmente destituite di ogni fondamento, sconnesse dalla realtà e palesemente diffamatorie”. La Corte di Reggio che ha condannato Graviano per altri fatti, scrisse in sentenza che le sue dichiarazioni su Berlusconi sono prive di riscontro.

Fatte queste premesse, per dovere di cronaca, non si può non riportare quanto Graviano ha dichiarato su Berlusconi che è pur sempre un candidato alla Presidenza della Repubblica. Ieri L’Espressone ha anticipato alcuni stralci, qui proponiamo il testo esteso del verbale del 20 novembre 2020. Quando i pm gli chiedono: “Riferisca in ordine a eventuali rapporti economici con Berlusconi e Dell’Utri”, il boss risponde: “Mio nonno Quartararo Filippo, che lavorava nel settore ortofrutticolo, mi raccontò che aveva conosciuto Silvio Berlusconi attraverso un tramite il cui nominativo non conosco; Berlusconi gli aveva richiesto di operare un investimento di 20 miliardi di lire per le sue attività, con l’intesa di una partecipazione al 20% a tutte le attività e ai proventi derivanti da tale investimento.

Mio nonno (…) non aveva a disposizione la somma intera e allora si rivolse ad alcuni conoscenti coinvolgendoli nell’operazione. Mio nonno investì l’importo di 4,5 miliardi di lire; le altre persone che investirono denaro insieme a lui erano Alfano Carlo per l’importo di 10 miliardi di lire, Serafina, moglie di Salvatore Di Peri, Antonio La Torre detto Nino il pasticcere e Matteo Chiazzese, per l’importo residuo. (…) Mio nonno – prosegue Graviano – mi ha raccontato di tale vicenda dopo la morte di mio padre avvenuta il 7 gennaio 1982; egli mi disse che mio padre non aveva voluto sapere nulla di questa situazione e mi chiese di occuparmene insieme a mio cugino Salvatore Graviano (morto nel 2002, ndr). Io e mio cugino ci siamo rivolti a Giuseppe Greco, papà di Michele (detto Il Papa, boss condannato al Maxiprocesso, ndr), per essere consigliati da lui, ed egli ci invitò a coltivare il rapporto iniziato dal nonno”. Qualche mese dopo, prosegue il boss, “mio nonno portò me e Salvatore a Milano ad incontrare Silvio Berlusconi. L’incontro avvenne all’Hotel Quark (..) presso tale hotel sono tornato per festeggiare il cenone di fine anno 1990/1991 nel corso del quale vi erano ballerine sudamericane (…). Mio nonno ha consegnato a mio cugino Salvatore una ‘carta’ che quest’ultimo mi mostrò: era firmata da Berlusconi e da tutte le persone che avevano effettuato l’investimento e prevedeva l’impegno di condividere il 20% di quanto era stato realizzato con l’investimento iniziale. La carta era stata predisposta da un professionista, non so dire se un notaio, un avvocato, un commercialista. Mi pare di ricordare che alcuni degli investitori avevano come professionista di fiducia l’avv. Canzonieri. L’intendimento mio e di mio cugino è sempre stato quello di ottenere da Berlusconi la formalizzazione dell’accordo. L’ultimo incontro che ho avuto con Silvio Berlusconi è avvenuto nel dicembre 1993, nel corso del quale ci accordammo per formalizzare l’accordo di partecipazione societaria davanti ad un notaio per la data mi sembra del 14 febbraio 1994. Tale incontro avvenne in un appartamento, presso Milano 3, che Berlusconi aveva messo a disposizione di mio cugino Salvo; Berlusconi era accompagnato da due persone di cui non so riferire niente.

Era un appartamento posto al primo o al secondo piano di una palazzina; dalla finestra posta sul retro (rispetto all’ingresso) dell’appartamento si vedeva una caserma dei carabinieri; sul davanti della palazzina la strada si attraversava per il tramite di un ponticello (ve n’era più di uno) che conduceva a uno spazio antistante a una piscina e più avanti vi era un albergo e un esercizio commerciale (…) era un appartamento piccolo, forse un paio di stanze, era al primo o al secondo piano e c’era l’ascensore (Omissis)”. Poi Graviano teorizza: “Sono convinto che io e mio cugino Salvatore siamo stati arrestati per impedirci di formalizzare l’accordo economico di cui ho riferito con Silvio Berlusconi; e le stragi sono cessate per addossare tutte le precedenti a me”. Poi i pm propongono a Graviano alcuni passi delle sue conversazioni intercettate in carcere nel 2016. Alla domanda dei pm “Si riferiva a Berlusconi?”, Graviano risponde deciso: “Sì”. Poi i pm gli chiedono a bruciapelo: “Ci dica se Berlusconi è stato il mandante delle stragi”. Graviano replica: “Non lo so se è stato lui” e segue un omissislungo. I pm Creazzo, Turco e Tescaroli tornano in cella a Terni il primo aprile. In questo secondo interrogatorio chiedono dove sta la carta dell’accordo “firmato da Silvio Berlusconi e dagli altri investitori, che prevedeva l’impegno di condividere il 20% di quanto era stato realizzato con l’investimento di 20 miliardi di lire, di cui ha parlato nel precedente verbale?”. E Graviano: “Questo documento era in possesso di mio cugino Salvatore; mi devo sentire con dei miei parenti che devono mettermi nelle condizioni di recuperare il documento; non ho interesse a recuperare il denaro, ma solo a far rispettare l’impegno e a far emergere la verità. Mi si chiede chi siano queste persone e dico che non intendo fornire il nominativo di costoro, con le quali peraltro teneva i contatti mio cugino Salvo”.

Nell’interrogatorio integrale registrato si legge che il pm Turco chiede: “Lei l’ha vista questa carta privata?”. Graviano: “Sì sì sì l’ho vista”. Turco chiede: “E cosa c’era scritto in questa carta?”. Graviano replica: “Che prima possibile dovevano regolarizzare la società facendo entrare il signor Alfano c’era la cifra precisa il 10 per cento … mio nonno il 4,5 … divise queste con Berlusconi”.

Dal verbale sintetico si apprende che i pm il primo aprile scorso hanno chiesto di nuovo a Graviano dell’appartamento di Milano 3 dopo un’ispezione a Basiglio, nel residence, della Dia. “Si dà atto che, nel corso dell’interruzione, Graviano – si legge nel verbale – ha visionato i video (suddivisi in 31 frame) realizzati a Milano 3 (…)”. Graviano commenta “il residence che ho appena visionato nelle immagini è quello da me indicato, anche se non riesco individuare esattamente l’appartamento; vi chiedo di effettuare una ripresa che evidenzi l’accesso allo stabile; nell’uscire dallo stesso si arriva alla portineria, si esce si gira a sinistra ricordo che sulla destra ci sono delle siepi, si attraversa un ponte pedonale e tramite un viadotto piccolino che si percorre a piedi tra due stabili, si arriva ad uno spiazzo dove c’era una piscina”.

I pm tornano a parlare del nonno: “Come furono consegnati a Berlusconi i soldi? Chi fece da tramite? Berlusconi era a conoscenza della provenienza di tali soldi?”. Graviano tentenna: “Non lo so, io sono intervenuto soltanto nel 1982; mio nonno non penso che abbia conosciuto direttamente Berlusconi; ha avuto un tramite; anzi in sede di verbalizzazione riassuntiva preciso che il tramite è la persona che ha fatto conoscere a mio nonno, Berlusconi; i due, mio nonno e Berlusconi, si conoscevano”. I verbali di Graviano sono stati depositati al Tribunale del Riesame. L’avvocato Mario Murano ha impugnato i decreti di perquisizione nell’interesse dei fratelli Nunzia e Benedetto Graviano (terzi non indagati). Al Fatto dice: “Dopo decenni si continua a compiere attività intrusiva nei confronti dei miei assistiti che non hanno nulla a che fare con le indagini in corso e non risultano depositari di alcun documento segreto”.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/12/18/graviano-ce-la-carta-del-patto-firmato-da-b/6430378/

lunedì 14 giugno 2021

Lettera di Graviano alla ministra Cartabia: l’ha inviata dal carcere dopo il giuramento. - Giuseppe Pipitone

 

L’uomo che custodisce i segreti delle stragi ha scritto al ministero della Giustizia. Non a un ufficio qualsiasi che si occupa di detenuti: Giuseppe Graviano ha preso carta e penna per rivolgersi direttamente alla guardasigilli Marta Cartabia. Lo ha fatto praticamente subito dopo la formazione del del governo di Mario Draghi: il nuovo esecutivo ha giurato il 13 febbraio, il boss di Brancaccio ha scritto la sua lettera nel carcere di Terni una decina di giorni dopo. Cosa nostra non perde mai tempo. Impossibile conoscere il contenuto della missiva di Graviano, visto che l’ordinamento penitenziario non prevede il controllo della corrispondenza dei detenuti quando questi si rivolgono ad autorità come il capo dello Stato o il ministro della Giustizia. Quella lettera, però, potrebbe essere divulgata dalla stessa Cartabia, in modo da chiarire anche tre interrogativi: la ministra era a conoscenza della missiva a lei indirizzata dall’uomo condannato per le stragi di Roma, Milano e Firenze del 1993? Ha mai risposto? Lo hanno fatto i suoi uffici senza farglielo sapere?

Non sarebbe la prima volta che accade. Nel 2013 il boss di Brancaccio ha scritto a Beatrice Lorenzin, in quel momento ministra della Salute – in quota Pdl – dell’esecutivo di Enrico Letta: tra le altre cose il mafioso faceva riferimento alla “provenienza dei capitali per formare il patrimonio della famiglia Berlusconi”, auspicando il coraggio di qualche politico per “abolire la pena dell’ergastolo”. Di quella missiva si è avuta notizia solo nel 2016 perché lo stesso Graviano – intercettato in carcere – ne aveva fatto cenno con il compagno d’ora d’aria. Poi nel 2020 il boss ne ha parlato in aula al processo “’Ndrangheta stragista”, sostenendo anche di aver avuto un riscontro: “Il ministero mi ha risposto che stava portando avanti tutto quello che avevo chiesto. Io avevo quella lettera, ma è scomparsa quando mi hanno trasferito ad Ascoli nel 2014”. La Lorenzin, da parte sua, ha spiegato di non averne mai saputo nulla e che di solito questo tipo di corrispondenza non passa dalle scrivanie dei ministri ma viene smistata agli uffici competenti.

La missiva del boss di Brancaccio era stata spedita al suo dicastero il 21 agosto, ma era stata esaminata dalla Direzione generale solo il 17 settembre. In mezzo, e cioè il 31 agosto del 2013, Silvio Berlusconi si era fatto fotografare mentre firmava i referendum dei Radicali sulla giustizia: tra i 12 quesiti c’era anche l’abolizione dell’ergastolo. La soglia delle 500mila sottoscrizioni, però, non venne poi raggiunta.

Otto anni dopo Forza Italia è tornata per la prima volta al governo. E Graviano ha scritto subito a un’esponente dell’esecutivo. Lo ha fatto alla vigilia della sentenza della Consulta, che nell’aprile scorso ha decretato l’incostituzionalità della legge sull’ergastolo ostativo. Se il Parlamento non approva una nuova norma entro il maggio dell’anno prossimo, anche i boss irriducibili potranno sperare di ottenere la libertà vigilata dopo 26 anni di pena: non servirà aver mai collaborato con la giustizia, ma basterà dare prova di non essere più pericolosi. In che modo? “Si potrebbero prevedere specifiche condizioni e procedure per l’accesso alla liberazione condizionale” dei mafiosi, “più rigorose di quelle applicabili ad altri detenuti”, ha detto di recente la stessa Cartabia in commissione Antimafia, spiegando che le nuove norme dovranno tenere “in considerazione le peculiarità del fenomeno mafioso e della criminalità organizzata”.

Il meccanismo del “fine pena mai” per i mafiosi inventato da Giovanni Falcone è l’incubo di tutti i boss. Pure di Graviano, che da tempo porta avanti la sua strategia per uscire dal carcere senza rivelare i segreti di cui è custode. Ferratissimo sulle sentenze della Cedu sul 41bis e sull’ergastolo, ha spesso sostenuto di essere stato condannato solo sulla base di false accuse dei collaboratori di giustizia. Lo ha fatto anche davanti alla corte d’Assise di Reggio Calabria, quando ha rotto il silenzio per la prima volta dal 27 gennaio del 1994, il giorno in cui venne fermato a Milano insieme al fratello Filippo. “Andate a indagare sul mio arresto e scoprirete i veri mandanti delle stragi”, è uno dei tanti avvertimenti pronunciati in aula dal capomafia, che ha annunciato anche l’imminente uscita di un libro sulla storia della sua famiglia: di quella pubblicazione, però, non si ha più avuto alcuna notizia. Lo stesso Graviano è tornato a chiudersi nel suo storico silenzio, dopo lo show messo in scena al processo ’Ndrangheta stragista: uno spettacolo fatto di messaggi trasversali dal velato sapore ricattatorio.

Il mafioso ha parlato di “imprenditori del nord che non volevano fermare le stragi”, ha sostenuto di aver incontrato Silvio Berlusconi “almeno tre volte” a Milano mentre era latitante, di averlo conosciuto tramite suo nonno, che negli anni ’70 avrebbe finanziato l’uomo di Arcore con venti miliardi di lire. Accuse tutte da dimostrare, che per l’avvocato Niccolò Ghedini erano “palesemente diffamatorie”, anche se non si è poi avuta notizia di una denuncia da parte del legale dell’ex premier. Nel frattempo Graviano è stato interrogato dai pm della procura di Firenze, che indagano sulle bombe del 1993: nel novembre scorso l’uomo delle stragi ha risposto per ore alle domande degli aggiunti Luca Tescaroli e Luca Turco. Negli stessi giorni i due magistrati hanno sentito pure l’altro Graviano, Filippo: un interrogatorio molto più breve, in cui il mafioso ha messo a verbale di essersi dissociato da Cosa nostra, ammettendo di averne fatto parte, ma negando le accuse relative alle stragi. Poi ha chiesto al giudice di Sorveglianza di avere un giorno di permesso premio: richiesta respinta. Graviano ha potuto avanzarla perché già nel 2019 la Consulta aveva dichiarato illegittimo il divieto di concedere benefici agli ergastolani condannati per mafia che non si fossero pentiti. Quella decisione è stata definita “di particolare rilievo” nella relazione della corte Costituzionale dell’aprile 2020. A scriverla era proprio Marta Cartabia, all’epoca presidente della Consulta.

ILFQ

giovedì 25 giugno 2020

No, vanno aboliti. - Marco Travaglio

Mura nuovo procuratore generale di Roma. Ma al Csm è giallo sull ...
Caro procuratore, concordo sulla diagnosi, ma dissento sulla cura. E, per spiegarmi meglio, le suggerisco il prezioso libriccino di Antonio Padellaro pubblicato da PaperFirst: La strage e il miracolo. 23 gennaio 1994: la mafia all’Olimpico. Racconta quella domenica di 26 anni e mezzo fa, quando Antonio andò con i figli a vedere Roma-Udinese e tornò a casa ignaro di essere sopravvissuto alla più devastante strage politico-mafiosa solo per un guasto all’innesco dell’autobomba piazzata contro carabinieri e tifosi. Il commando dei Graviano restò a Roma per qualche giorno, con l’intenzione di riprovarci una domenica successiva. Ma il 26 gennaio B. annunciò la sua “discesa in campo”: era la notizia che Cosa Nostra attendeva dopo due anni di trattative con pezzi dello Stato, infatti la strage fu annullata, anzi sospesa sine die, e iniziò una lunga pax mafiosa fatta di ricatti di Cosa Nostra e cedimenti dello Stato.
Questa storia, in un altro Paese, sarebbe nota a tutti perché produttori e registi ci avrebbero fatto film e fiction tutte basate su fatti veri, senza bisogno di romanzare o inventare: Romanzo criminale, al confronto, è roba da rubagalline. Invece, essendo accaduta in Italia, non l’ha raccontata per intero quasi nessuno, a parte i pentiti e le Corti d’Assise di Firenze e Palermo (sentenze stragi e Trattativa). E oggi la conoscono solo pochi pm, giornalisti e lettori informati. Lei mi dirà: che c’entra col caso Csm? C’entra perché la trattativa è anche un Romanzo Quirinale. Cioè quel potere che lei considera talmente neutrale e super partes da volergli affidare la nomina dei membri laici del Csm, in condominio con il Parlamento e la Consulta.
Nel ’93 Scalfaro si attivò per rimpiazzare al Dap il “duro” Niccolò Amato col “molle” Alberto Capriotti, che insieme al suo vice Di Maggio e al ministro Conso revocò il 41-bis a 334 mafiosi detenuti. L’allora premier Ciampi, la notte delle stragi a Milano e Roma e del black out telefonico (27 luglio ’93), pensò a un colpo di Stato, ma lo confidò solo al suo diario, tant’è che la cosa venne fuori in parte solo anni dopo in un libro-intervista. Nel 2012 Napolitano tentò di interferire nell’inchiesta su pressione di Nicola Mancino; e, quando i pm riuscirono a sentirlo come teste, ricordò di molti particolari della stagione stragista mai detti prima. Quindi tremo alla sola idea che, ai tempi di Napolitano e della sua corte di giudici costituzionali (da Cassese ad Amato&C.), il Colle e la Consulta potessero piazzare i loro uomini al Csm: avremmo rimpianto i laici di partito, le correnti, fors’anche Palamara. Una delle cause della degenerazione dei magistrati è proprio la più alta istituzione della Repubblica che, di presidente in presidente, s’è assunta l’onere di rappresentare non i cittadini, ma una malintesa “ragion di Stato” che tende a coprire le deviazioni di pezzi delle istituzioni e ad allontanare i pm “cani sciolti” in grado di scoprirle. Non solo a Palermo. Napolitano difese il procuratore di Milano (Bruti Liberati) che aveva scippato l’inchiesta su Expo al titolare (l’aggiunto Robledo); poi Renzi ringraziò la Procura per la “sensibilità istituzionale”, cioè per non aver disturbato i manovratori di Expo. La stessa ragion di Stato deve aver indotto Mattarella a garantire la successione morbida a Roma fra Pignatone e il fido Prestipino, sabotando i “discontinui” Viola e Creazzo.
La verità è che l’autogoverno della magistratura non è mai esistito, se non per due terzi, visto che un terzo del Csm lo lottizzano i partiti. Ma, se l’alternativa è ampliare quel terzo e affidarlo a Quirinale e Consulta, è meno peggio la lottizzazione, più simile al pluralismo del pensiero unico del Partito del Colle e dei suoi derivati. Io credo che la cura sia tutt’altra: abolire la quota laica (idea di Montanelli); sorteggiare la quota togata, almeno per scegliere i candidati da sottoporre al voto dei 9mila magistrati in servizio (limitando il correntismo); e riformare l’Ordinamento giudiziario per abrogare la scadenza di 8 anni ai capi e agli aggiunti delle Procure (limitando così il carrierismo) e restituire ai singoli pm la titolarità dell’azione penale, oggi affidata in esclusiva ai capi, padri-padroni delle indagini (e soprattutto delle non indagini). Così non basterà più controllare un pugno di procuratori per mettersi in tasca le principali Procure. Vale la pena tentare: peggio di così non può andare.

venerdì 27 settembre 2019

Stragi, Silvio Berlusconi indagato anche per il tentato omicidio del pentito Salvatore Contorno (quand’era già stato eletto premier). - Giuseppe Pipitone

Stragi, Silvio Berlusconi indagato anche per il tentato omicidio del pentito Salvatore Contorno (quand’era già stato eletto premier)

Tra le 23 contestazioni della procura di Firenze ce n'è anche una assolutamente inedita: il tentato omicidio del collaboratore di giustizia del 14 aprile del 1994. All'epoca il leader di Forza Italia era stato già eletto presidente del consiglio da 16 giorni. A cercare di uccidere il pentito fu Gaspare Spatuzza, il killer più fidato dei fratelli Graviano. Che però all'epoca erano già stati arrestati.

È indagato per un tentato omicidio compiuto quando già sedeva a Palazzo Chigi. Ed è un omicidio con il quale – in linea teorica – non dovrebbe avere nulla a che fare. C’è anche il piano di morte del pentito Salvatore Contorno tra le accuse che hanno portato la procura di Firenze a iscrivere nel registro degli indagati il nome di Silvio Berlusconi. L’informazione è contenuta nella relazione di due pagine prodotta dagli avvocati dell’ex premier agli atti del processo sulla Trattativa Stato-mafia, in corso davanti alla corte d’Assise d’Appello di Palermo. I giudici del capoluogo siciliano vorrebbero sentire la deposizione di Berlusconi, come richiesto dalla pubblica accusa e dalla difesa di Marcello Dell’Utri. I legali di Arcore, però, si sono opposti: in che veste deve essere sentito Berlusconi? In quelle di teste o da indagato di reato connesso, con la facoltà di non rispondere?
Le accuse di Firenze – I giudici siciliani decideranno il 3 ottobre prossimo, alla luce della documentazione depositata da Franco Coppi e Niccolò Ghedini. Gli avvocati di Berlusconi, infatti, hanno chiesto alla procura di Firenze di mettere nero su bianco se il loro assistito è ancora indagato per le stragi del 1993. Una notizia nota dall’ottobre del 2017, pochi mesi dopo la diffusione delle intercettazioni in carcere di Giuseppe Graviano. Due anni dopo la procura toscana conferma: Firenze indaga ancora su Berlusconi. Per la prima volta viene messo nero su bianco che l’ex presidente del consiglio è accusato di tutta la strategia stragista del 1993: dal fallito attentato contro Maurizio Costanzo alle bombe di Roma, Milano e Firenze. Berlusconi è già finito sotto inchiesta a Firenze e Caltanissetta per le stragi: per due volte è sempre uscito dalle indagini grazie a un provvedimento di archiviazione.
L’attentato a Contorno dopo l’arresto dei Graviano – Tra le ventitré contestazioni dei giudici fiorentini, però, questa volta ce n’è anche una assolutamente inedita: il tentato omicidio del pentito Contorno del 14 aprile del 1994. All’epoca Berlusconi era stato già eletto presidente del consiglio da 16 giorni. A cercare di uccidere Contorno – il secondo pentito più importante della storia di Cosa nostra dopo Tommaso Buscetta – furono Gaspare Spatuzza e gli altri uomini del gruppo di fuoco dei fratelli Graviano. Agli occhi dei boss di Brancaccio Contorno ha una colpa non emendabile: avrebbe partecipato all’eliminazione del loro padre, Michele Graviano. Quando Spatuzza si muove per eliminarlo, però, i fratelli Graviano sono già in carcere da tre mesi: vengono arrestati il 27 gennaio del 1994 e da allora non un solo colpo sarà sparato nella Penisola. “Lo sai cosa scrivono nelle stragi? Nelle sentenze delle stragi, che poi sono state assoluzione la Cassazione e compagnia bella: le stragi si sono fermate grazie all’arresto del sottoscritto“, dice a un certo punto lo stesso Graviano, intercettato in carcere nel 2017 col compagno di socialità, Umberto Adinolfi. Perché allora Spatuzza, ormai orfano del suo boss che gli aveva fino a quel momento indicato ogni obiettivo della strategia stragista, decide di rischiare provando a uccidere Contorno? Stiamo parlando dell’omicidio di un collaboratore di giustizia, nascosto a Formello, nei dintorni di Roma. Per provare ad ammazzarlo Spatuzza piazza nei dintorni della sua abitazione 70 chili di esplosivo, che però furono ritrovati dalle forze dell’ordine: il rischio di finire in galera per assassinare un vecchissimo nemico, insomma, era molto alto. Perché Spatuzza scelse di correrlo comunque quel rischio?
“Dell’Utri gli disse dove si trovava” – E dire che poco prima dell’arresto dei Graviano, lo stesso killer aveva discusso con il suo capo dell’eventuale eliminazione di Totuccio. Lo fa durante l’ormai noto incontro del 21 gennaio del 1994. “Incontrai Giuseppe Graviano all’interno del bar Doney in via Veneto, a Roma. Graviano era molto felice, come se avesse vinto al Superenalotto, una Lotteria. Poi mi fece il nome di Berlusconi. Io gli chiesi se fosse quello di Canale 5 e lui rispose in maniera affermativa. Aggiunse che in mezzo c’era anche il nostro compaesano Dell’Utri e che grazie a loro c’eravamo messi il Paese nelle mani. E per Paese intendo l’Italia”. A quel punto il pentito fa la sua proposta al suo capo: “Io ho provato a dire se non fosse il caso di occuparci di Totuccio Contorno, lo avevamo rintracciato a Roma ma Graviano disse lascia stare Contorno perché l’attentato ai carabinieri si deve fare lo stesso sia perché gli dobbiamo dare il colpo di grazia sia perché per Contorno dobbiamo trovare un tipo di esplosivo diverso” . Queste parole di Spatuzza dicono agli inquirenti due cose: Graviano non voleva che l’attentato all’assassino di suo padre fosse ricollegabile agli altri fatti di sangue compiuti in quei mesi, perché? E poi che i boss sapevano dove fosse nascosto Contorno – che era un collaboratore di giustizia – già tre mesi prima del tentato omicidio: come fanno a saperlo? “I Graviano dissero a mio padre che fu Dell’Utri, attraverso i servizi segreti deviati, a fargli sapere dove si trovava”, ha raccontato nei giorni scorsi durante il processo d’appello sulla Trattativa il pentito catanese Francesco Squillaci, che si è autoaccusato di 14 delitti senza mai essere stato chiamato in causa. Perché Dell’Utri avrebbe dovuto far sapere dov’era Contorno ai Graviano?
“Il politico di Milano sapeva dove erano i pentiti” – Una risposta gli investigatori sono andati a cercarla tra i vecchi verbali di un altro ex componente del gruppo di fuoco di Brancaccio: Pietro Romeo. Nel 1995 ha dichiarato di aver saputo da Francesco Giuliano (altro boss all’ordine dei Graviano) che “c’era un politico di Milano che aveva detto a Giuseppe Graviano di continuare a mettere le bombe. Il politico diceva di fare questi attentati a cose di valore storico, artistico“. E poi che il politico “doveva dare a Graviano Giuseppe indicazioni su dove erano custoditi i pentiti“. Sempre lo stesso politico “aveva entrature per arrivare a sapere dove erano tutti i pentiti“. Chi era questo “politico di Milano“? Romeo lo dirà l’anno dopo, nel 1996: mentre si trovavavano in un agrumeto di Ciaculli, nei dintorni di Palermo, Giuliano aveva chiesto “a Spatuzza se era Berlusconi la persona che c’era dietro gli attentati. Spatuzza aveva risposto di sì”. Dichiarazioni dirompenti, anche se quella pista sarà abbandonata dagli inquirenti fiorentini sulla base di altre deposizioni di pentiti.
I verbali di Cancemi e il Contorno sbagliato – Gli investigatori, però, continuano a interrogarsi su una domanda: perché Spatuzza avrebbe dovuto rischiare così tanto per uccidere Contorno, dopo l’arresto dei suoi capi? Gli stessi capi, che pochi giorni prima di finire in manette avevano indicato tra le priorità l’attentato contro i carabinieri – cioè quello fallito allo stadio Olimpico – e non l’assassinio del vecchio nemico mafioso. Tra le piste battute dagli inquirenti ce n’è una. Il 20 marzo del 1994 mancano sette giorni alle elezioni politiche. Il quotidiano Repubblica fa uno scoop: i verbali del pentito Totò Cancemi. Il boss di Porta Nuova parla di Berlusconi, di Dell’Utri, di Vittorio Mangano. E di strani ospiti che avrebbero trovato asilo “nella tenuta tra Milano e Monza“. Quale tenuta? Non si sa. Tra gli altri, dice Cancemi, vi trovarono rifugio “durante la latitanza i fratelli Grado e Contorno“. All’epoca gli investigatori pensarono subito che si trattasse di Totuccio Contorno. Che però ha negato subito: “No, non sono io. Credo che sia Giuseppe Contorno… In quegli anni lui aveva interessi a Milano con i Pullarà, Ignazio e Giovambattista”. Due settimane dopo cercarono di ammazzarlo a Formello. Ora per quel tentato omicidio è indagato anche Berlusconi.

mercoledì 25 settembre 2019

Mafia, Silvio Berlusconi indagato nel procedimento stragi.

Mafia, Silvio Berlusconi indagato nel procedimento stragi

L'inchiesta della procura di Firenze sugli attentati del 1993. Una certificazione che consentirà all’ex premier di non rispondere al procedimento che vede imputato Marcello Dell’Utri.

PALERMO- Silvio Berlusconi è indagato nel procedimento aperto dalla procura di Firenze sulle stragi mafiose del 1993. La notizia si apprende a Palermo. I legali di Marcello Dell'Utri, imputato nel processo d'appello sulla cosiddetta trattativa Stato-mafia, hanno depositato alla corte d'assise d'appello, che celebra il dibattimento, la certificazione da cui risulta che l'ex premier è indagato a Firenze. Una mossa, quella della difesa che aveva citato a deporre Berlusconi, che gli consentirà di non rispondere.

La nuova indagine su Silvio Berlusconi e Marcello Dell'Utri, accusati di essere i mandanti occulti delle stragi mafiose del 1993, che colpirono Firenze, Roma e Milano, è stata avviata nel 2017. La procura di Firenze aveva ottenuto dal giudice delle indagini preliminari la riapertura del fascicolo, archiviato nel 2011, e aveva delegato nuovi accertamenti alla Direzione investigativa antimafia.

Obiettivo della nuova indagine era passare al setaccio le parole pronunciate in carcere dal boss Giuseppe Graviano, intercettato dai pubblici ministeri palermitani del processo 'Trattativa Stato-mafia' mentre parlava dell'ex presidente del Consiglio e dall'ex senatore di Forza Italia in carcere per scontare una condanna per concorso esterno in associazione mafiosa.

https://www.repubblica.it/cronaca/2019/09/25/news/mafia_silvio_berlusconi_indagato_nel_procedimento_stragi-236894685/

venerdì 19 luglio 2019

Stragi Falcone e Borsellino.

Strage di capaci.jpg
Strage di Capaci, con la quale morì Falcone. 

Risultati immagini per stragi falcone e borsellino
Strage di via D'Amelio, con la quale morì Borsellino.

  Sono ancora tanti i misteri che aleggiano sui fatti che hanno distrutto sicurezza e serenità nel paese, e chissà quanto tempo passerà, ancora, per ristabilire il senso di fiducia nelle istituzioni, viste le circostanze che si verificano giornalmente. 
  Non so voi, ma io sento sempre più intensamente quella sensazione di impotenza, che fa star male, nei confronti della parte peggiore del paese che si è impossessata dei gangli del potere economico e decisionale.
  Il compito di chi vuole porre fine a questa situazione demoralizzante è assai arduo e pericoloso, perchè quella parte del potere che lucra su tutto è appoggiata da bande di servili yesmen che si accontentano delle briciole perse lungo la via da chi li manovra pur di partecipare al lauto banchetto e che si prodigano per far loro spazio spianandogli la strada delle istituzioni.

by Cetta