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venerdì 16 agosto 2024

Guerra Ucraina. - Giuseppe Salamone

 

Era il 14 giugno scorso quando Putin apertamente parlò, per l'ennesima volta, di negoziati mettendo come punto di partenza gli accordi di Istanbul fatti saltare da Usa e UK. Era sostenuto dal piano di pace proposto dalla Cina il quale aveva ottenuto un buon sostegno a livello internazionale soprattutto dopo il flop che si prospettava per la conferenza di pace farlocca organizzata dall'occidente in Svizzera.
In quell'occasione, seppur in modo sterile, anche in occidente si avviò un mini dibattito tornando a parlare di possibili trattative. Troppo pericoloso però per chi con la guerra ci campa assistere a un dibattito sulle proposte di Putin per due semplici motivi: il primo perché significava che le condizioni le stava dettando il Cremlino (ovviamente da sempre le condizioni le detta chi vince sul campo), secondo perché non era ancora arrivato il momento di mettere la parola fine alla guerra per procura per chi controlla le marionette della Casa Bianca.
Sostanzialmente bisognava tornare a un punto teso dove poter allontanare ogni tipo di diplomazia anche perché, lo scambio di prigionieri avvenuto sia con gli Usa sia con l'Ucraina aveva frantumato la narrazione propagandista occidentale del "con Putin non si negozia perché non vuole negoziare". Serviva qualcosa di abbastanza eclatante che mandasse all'aria ogni piccolo spiraglio di negoziato e, stranamente, eccolo arrivato. Sto parlando della sortita di Zelensky in Russia. Un'azione, come già detto, senza alcun senso sia dal punto di vista militare sia dal punto di vista strategico. Ma una sortita che, giustamente, imbarazza il Cremlino sia agli occhi del mondo sia agli occhi della stessa popolazione Russa e pertanto va spenta quanto prima.
Ed è quello che farà la Russia perché militarmente ha la forza, il tempo e la pazienza per farlo. Oggi Putin ha pronunciato parole pesanti e per la prima volta dal febbraio 2022 ha dichiarato di non essere disposto a negoziare almeno fino a quando non sistemeranno la questione nella Regione di Kursk: "È chiaro il motivo per cui il regime di Kiev ha rifiutato le nostre proposte di ritorno ad un piano di soluzione pacifica, così come le proposte dei mediatori interessati e neutrali. A quanto pare, il nemico, con l’aiuto dei padroni occidentali, sta portando avanti la loro volontà."
Ma qui arriva il punto secondo me fondamentale: "Ma di che tipo di negoziati possiamo parlare con persone che attaccano indiscriminatamente i civili, le infrastrutture civili o cercano di creare una minaccia per gli impianti di energia nucleare?". Ora, piaccia o meno, non trovo una sola contraddizione nelle parole di Putin. Ha aperto in passato ai negoziati? Si, l'ha fatto parecchie volte sia lui sia Lavrov. Quel buffone di Zelensky, forte del sostegno dei padroni occidentali, anziché accogliere le proposte diplomatiche ha preferito attaccare la Russia massacrando civili e lanciando droni sulle centrali nucleari? Si, l'ha fatto e lo abbiamo visto tutti.
Quindi di che stiamo a parlare? Stiamo a parlare di una parte che fino ad adesso si è mostrata disponibile al dialogo (a dirla tutta sono decenni che la Russia cerca di parlare con gli Usa a causa dell'espansione della Nato) e di una parte che ogni volta che sembra ci possa essere una minima soluzione, manda tutto all'aria perché deve continuare a oltranza la guerra contro la Russia. Ora datemi pure della spia del Cremlino, ma questa è la realtà. Il resto, come sempre, è pura, becera e criminale propaganda.
A proposito: credete ancora, come la propaganda di regime continua a narrare, che l'azione terroristica di Zelensky in Russia sia stata fatta a insaputa degli Usa e dei suoi vassalli? Siete sicuri che abbiano fatto una sortita con militari che parlano un inglese impeccabile ed equipaggiati con armi Nato fino ai denti all'insaputa degli Usa e dei suoi vassalli? Se la risposta è si, allora i frutti di Hollywood stanno fiorendo alla grande. Poveri noi...

giovedì 25 giugno 2020

No, vanno aboliti. - Marco Travaglio

Mura nuovo procuratore generale di Roma. Ma al Csm è giallo sull ...
Caro procuratore, concordo sulla diagnosi, ma dissento sulla cura. E, per spiegarmi meglio, le suggerisco il prezioso libriccino di Antonio Padellaro pubblicato da PaperFirst: La strage e il miracolo. 23 gennaio 1994: la mafia all’Olimpico. Racconta quella domenica di 26 anni e mezzo fa, quando Antonio andò con i figli a vedere Roma-Udinese e tornò a casa ignaro di essere sopravvissuto alla più devastante strage politico-mafiosa solo per un guasto all’innesco dell’autobomba piazzata contro carabinieri e tifosi. Il commando dei Graviano restò a Roma per qualche giorno, con l’intenzione di riprovarci una domenica successiva. Ma il 26 gennaio B. annunciò la sua “discesa in campo”: era la notizia che Cosa Nostra attendeva dopo due anni di trattative con pezzi dello Stato, infatti la strage fu annullata, anzi sospesa sine die, e iniziò una lunga pax mafiosa fatta di ricatti di Cosa Nostra e cedimenti dello Stato.
Questa storia, in un altro Paese, sarebbe nota a tutti perché produttori e registi ci avrebbero fatto film e fiction tutte basate su fatti veri, senza bisogno di romanzare o inventare: Romanzo criminale, al confronto, è roba da rubagalline. Invece, essendo accaduta in Italia, non l’ha raccontata per intero quasi nessuno, a parte i pentiti e le Corti d’Assise di Firenze e Palermo (sentenze stragi e Trattativa). E oggi la conoscono solo pochi pm, giornalisti e lettori informati. Lei mi dirà: che c’entra col caso Csm? C’entra perché la trattativa è anche un Romanzo Quirinale. Cioè quel potere che lei considera talmente neutrale e super partes da volergli affidare la nomina dei membri laici del Csm, in condominio con il Parlamento e la Consulta.
Nel ’93 Scalfaro si attivò per rimpiazzare al Dap il “duro” Niccolò Amato col “molle” Alberto Capriotti, che insieme al suo vice Di Maggio e al ministro Conso revocò il 41-bis a 334 mafiosi detenuti. L’allora premier Ciampi, la notte delle stragi a Milano e Roma e del black out telefonico (27 luglio ’93), pensò a un colpo di Stato, ma lo confidò solo al suo diario, tant’è che la cosa venne fuori in parte solo anni dopo in un libro-intervista. Nel 2012 Napolitano tentò di interferire nell’inchiesta su pressione di Nicola Mancino; e, quando i pm riuscirono a sentirlo come teste, ricordò di molti particolari della stagione stragista mai detti prima. Quindi tremo alla sola idea che, ai tempi di Napolitano e della sua corte di giudici costituzionali (da Cassese ad Amato&C.), il Colle e la Consulta potessero piazzare i loro uomini al Csm: avremmo rimpianto i laici di partito, le correnti, fors’anche Palamara. Una delle cause della degenerazione dei magistrati è proprio la più alta istituzione della Repubblica che, di presidente in presidente, s’è assunta l’onere di rappresentare non i cittadini, ma una malintesa “ragion di Stato” che tende a coprire le deviazioni di pezzi delle istituzioni e ad allontanare i pm “cani sciolti” in grado di scoprirle. Non solo a Palermo. Napolitano difese il procuratore di Milano (Bruti Liberati) che aveva scippato l’inchiesta su Expo al titolare (l’aggiunto Robledo); poi Renzi ringraziò la Procura per la “sensibilità istituzionale”, cioè per non aver disturbato i manovratori di Expo. La stessa ragion di Stato deve aver indotto Mattarella a garantire la successione morbida a Roma fra Pignatone e il fido Prestipino, sabotando i “discontinui” Viola e Creazzo.
La verità è che l’autogoverno della magistratura non è mai esistito, se non per due terzi, visto che un terzo del Csm lo lottizzano i partiti. Ma, se l’alternativa è ampliare quel terzo e affidarlo a Quirinale e Consulta, è meno peggio la lottizzazione, più simile al pluralismo del pensiero unico del Partito del Colle e dei suoi derivati. Io credo che la cura sia tutt’altra: abolire la quota laica (idea di Montanelli); sorteggiare la quota togata, almeno per scegliere i candidati da sottoporre al voto dei 9mila magistrati in servizio (limitando il correntismo); e riformare l’Ordinamento giudiziario per abrogare la scadenza di 8 anni ai capi e agli aggiunti delle Procure (limitando così il carrierismo) e restituire ai singoli pm la titolarità dell’azione penale, oggi affidata in esclusiva ai capi, padri-padroni delle indagini (e soprattutto delle non indagini). Così non basterà più controllare un pugno di procuratori per mettersi in tasca le principali Procure. Vale la pena tentare: peggio di così non può andare.