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sabato 25 settembre 2021

Due grandi uomini.

 

Straziante, ma vero...
Queste due persone sono morte per difendere la giustizia.
Ma le leggi fatte da uomini senza alcuna dignità hanno reso inutili le loro morti e hanno ucciso anche la Giustizia.
cetta

martedì 1 giugno 2021

Brusca torna libero, tra gli artefici della strage di Capaci.

 

Fuori con 45 giorni di anticipo. Sciolse nell'acido il piccolo Di Matteo.

L'ultimo abbuono di 45 giorni ha aperto a Giovanni Brusca le porte del carcere: fine pena è la formula d'uso che chiude i suoi tanti conti aperti con la giustizia. A 64 anni l'uomo che ha premuto il telecomando a Capaci e fatto sciogliere nell'acido il piccolo Giuseppe Di Matteo è, con tutte le cautele previste per un personaggio della sua caratura criminale, una persona libera.

Anche se era un esito annunciato, la scarcerazione suscita comunque le reazioni più critiche.

I familiari delle vittime avevano già espresso le loro preoccupazioni quando si è cominciato a porre, già l'anno scorso, il problema di rimandare a casa un boss dalla ferocia così impetuosa da meritare l'appellativo di "scannacristiani". Nel suo caso sono stati semplicemente applicati i benefici previsti per i collaboratori "affidabili". Se ne era già tenuto conto nel calcolo delle condanne che complessivamente arrivano a 26 anni. Siccome il boss di San Giuseppe Jato era stato arrestato nel 1996 nel suo covo in provincia di Agrigento, sarebbe stato scarcerato nel 2022. Ma la pena si è ancora accorciata per la "buona condotta" dopo che a Brusca erano stati concessi alcuni giorni premio di libertà. Gli ultimi calcoli prevedevano la scarcerazione a ottobre. È arrivata anche prima.

Ora però si apre un caso complicato di gestione della libertà del boss e dei suoi familiari. I servizi di vigilanza, ma anche di protezione pure previsti dalla legge, dovranno tenere conto dell'enormità dei delitti e delle stragi che lo stesso Brusca ha confessato. Non solo ha ammesso di avere coordinato i preparativi della strage in cui morirono Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e tre uomini della scorta. Ha confessato numerosi delitti nella zona di San Giuseppe Jato. Ma ha soprattutto ammesso le sue responsabilità nel rapimento e nella crudele soppressione di Giuseppe Di Matteo il figlio tredicenne del collaboratore Santino Di Matteo. 

Santino Di Matteo era, tra tutti, il depositario dei segreti più ingombranti della cosca e aveva cominciato a svelarli al procuratore Giancarlo Caselli e ai magistrati della Dda palermitana. Davanti alla prospettiva di trascorrere in carcere il resto della vita anche lui, qualche mese dopo l'arresto, ha cominciato a rivelare i retroscena e il contesto di tanti delitti e degli attentati a Roma e Firenze del 1993. Brusca non nascondeva il tormento di ripassare in rassegna i suoi crimini più odiosi e quelli di cui era a conoscenza. Ma mise da parte ogni remora quando ebbe la certezza che ne avrebbe ricavato quei benefici che ora gli hanno ridato la libertà. Dalle sue rivelazioni intanto presero subito l'avvio numerosi procedimenti che hanno incrociato pure i percorsi dell'inchiesta sulla "trattativa" tra Stato e mafia.

"Umanamente è una notizia che mi addolora, ma questa è la legge, una legge che peraltro ha voluto mio fratello e quindi va rispettata. Mi auguro solo che magistratura e le forze dell'ordine vigilino con estrema attenzione in modo da scongiurare il pericolo che torni a delinquere, visto che stiamo parlando di un soggetto che ha avuto un percorso di collaborazione con la giustizia assai tortuoso. Ogni altro commento mi pare del tutto inopportuno". Lo ha detto Maria Falcone, sorella del giudice Giovanni Falcone. "La stessa magistratura - ha spiegato Maria Falcone - in più occasioni ha espresso dubbi sulla completezza delle sue rivelazioni, soprattutto quelle relative al patrimonio che, probabilmente, non è stato tutto confiscato: non è più il tempo di mezze verità e sarebbe un insulto a Giovanni, Francesca, Vito, Antonio e Rocco che un uomo che si è macchiato di crimini orribili torni libero a godere di ricchezze sporche di sangue".

"Autore della strage di Capaci, assassino fra gli altri del piccolo Giuseppe Di Matteo, sciolto nell'acido perché figlio di un pentito. Dopo 25 anni di carcere, il boss mafioso Giovanni Brusca torna libero. Non è questa la "giustizia" che gli Italiani si meritano". Così il leader della Lega Matteo Salvini.

La scarcerazione di Brusca "é stato un pugno nello stomaco che lascia senza respiro e ti chiedi come sia possibile. La sorella di Falcone ricorda a tutti che quella legge applicata oggi l'ha voluta anche suo fratello, che ha consentito tanti arresti e di scardinare le attività mafiose, ma è un pugno nello stomaco". Lo ha detto il segretario del Pd, Enrico Letta, intervistato a Rtl 102.5.

"Brusca libero? Non voglio crederci. È una vergogna inaccettabile, un'ingiustizia per tutto il Paese. Sempre dalla parte delle vittime e di chi lotta e ha lottato contro la mafia". Lo scrive su Twitter la sindaca di Roma Virginia Raggi.

"Il boss di Cosa Nostra Giovanni Brusca - lo "scannacristiani" che ha "commesso e ordinato personalmente oltre centocinquanta delitti, ha fatto saltare in aria il giudice Falcone e la sua scorta e ha ordinato di strangolare e sciogliere nell'acido il piccolo Di Matteo - è tornato libero. È una notizia che lascia senza fiato e fa venire i brividi!". Così la leader di Fratelli d'Italia, Giorgia Meloni. "L'idea che un personaggio del genere sia di nuovo in libertà è inaccettabile, è un affronto per le vittime, per i caduti contro la mafia e per tutti i servitori dello Stato che ogni giorno sono in prima linea contro la criminalità organizzata. 25 anni di carcere sono troppo pochi per quello che ha fatto. È una sconfitta per tutti, una vergogna per l'Italia intera".

"La scarcerazione del "pentito" Giovanni Brusca è un atto tecnicamente inevitabile ma moralmente impossibile da accettare. Mai piú sconti di pena ai mafiosi, mai più indulgenza per chi si è macchiato di sangue innocente. Sono vicina ai parenti delle vittime, oggi è un giorno triste per tutti". Lo scrive su Twitter Mara Carfagna, ministro per il Sud e la Coesione territoriale.

"La scarcerazione di #Brusca riapre una ferita dolorosa per tutto il Paese. Una vergogna senza pari, un insulto alla memoria di chi è caduto per difendere lo Stato. Serve subito una nuova legge sull'ergastolo ostativo. Nessun passo indietro davanti alla #Mafia." Lo scrive in un tweet la vice presidente del Senato Paola Taverna. "Notizie del genere fanno male, tanto male. La legge è legge e va rispettata ma il dolore nel pensare #Brusca libero resta. Il mio pensiero in questo momento va agli eroi, famosi e meno, che hanno lottato la mafia e dato la vita per assicurare gente come lui alla giustizia", sottolinea sempre su twitter il deputato M5S Stefano Buffagni.

Ansa

Questo "bravo ragazzo" potrà continuare indisturbato a bruciare altri bambini nell'acido, basta chiederglielo; potrà continuare a fare saltare in aria le "brutte persone fastidiose" come Falcone, semplicemente schiacciando un pulsante, basta chiederglielo, lui è un uomo d'onore dell'onorata società... tralallallà!

Questa è la loro era, non è più la nostra! Noi siamo i fessi che lavorano, quando un lavoro lo troviamo, e ci limitiamo a rispettare le leggi, pagare le tasse, ligi ai doveri. Noi siamo brutte persone, siamo gli idioti che non sanno approfittare di ogni occasione; loro, invece, sono i furbi, sono quelli che in barba alle leggi fanno quello che vogliono, tanto sanno che, mal che gli vada, sconteranno solo qualche annetto di galera, che per loro è come aver aggiunto una stelletta sulla casacca, ed entreranno nell'olimpo degli acclamati nuovi dei, potenti più che mai, amati e riveriti da chiunque ami navigare nel mare limaccioso e fetido dell'illegalità per godere, a sua volta, di impercettibili particelle di quel putridume lasciato cadere dagli dei.
c.



domenica 23 maggio 2021

Anniversario Capaci, Mattarella a Palermo: "O si sta contro la mafia o si è complici" | E sul caos procure: "Scontri fra magistrati minano il prestigio della giustizia" - Salvo Palazzolo

 

Il giorno della memoria e dell'impegno contro i boss, per cercare le verità che ancora mancano. La ministra Lamorgese: "La criminalità organizzata infiltrata nell'economia legale, anche in settori sanitari". L'accusa di Manfredi Borsellino: “Istituzioni non salvarono mio padre”.

"Nessuna zona grigia, omertà, o si sta contro la mafia o si e complici dei mafiosi, non ci sono alternative". Le parole del presidente della Repubblica Sergio Mattarella risuonano nell'aula bunker in ricordo delle vittime delle stragi. "La mafia non è invincibile e può essere definitivamente sconfitta". Parole di speranza e di impegno. Il Capo dello Stato lancia un appello preciso contro le cosche, che suona come un monito: "La mafia esiste ancora - dice - non è stata sconfitta. E' necessario tenere sempre attenzione alta e vigile da parte dello Stato".

Mattarella mette in risalto il ruolo della società civile nella battaglia contro la criminalità organizzata e la subcultura che la pervade: "L'onda di sdegno e di commozione generale, suscitata dopo i gravissimi attentati a Falcone e a Borsellino, il grido di dolore e di protesta che si è levato dagli italiani liberi e onesti è diventato movimento, passione, azione. Hanno messo radici solide nella società. Con un lavorio paziente e incessante, hanno contribuito a spezzare le catene della paura, della reticenza, dell'ambiguità, del conformismo, del silenzio, della complicità". Parole accorate, nel discorso di Mattarella c'è un vero e proprio manifesto di impegno per rilanciare la lotta alla mafia.

Un passaggio, forte, è dedicato anche alla magistratura: "Sentimenti di contrapposizione, contese, polemiche all'interno della magistratura minano il prestigio e l'autorevolezza dell'organo giudiziario", ribadisce il Capo dello Stato. E ancora: "Se la magistratura perde credibilità, si indebolisce anche la lotta ai boss".

L'atto d'accusa di Manfredi Borsellino.

Prima ancora che inizino le manifestazioni ufficiali per ricordare le vittime della strage di Capaci, è Manfredi Borsellino, il figlio del giudice Paolo, anche lui ucciso nel 1992, a esprimere tutto il dolore per una ferita che resta aperta. “Le istituzioni non fecero tutto quello che c’era da fare per salvare uno dei suoi figli migliori”, dice in diretta a Uno Mattina. E’ la prima volta che Manfredi parla in Tv di suo padre e di quei giorni. Indossa la divisa di commissario di polizia, dice: “Mi onoro di portare questa divisa, sono grato a tutti gli agenti che in quelle settimane drammatiche accettarono, volontari, di scortare mio padre. Sapevano a cosa andava incontro dopo l'attentato di Capaci”. Manfredi Borsellino fa una pausa e prosegue, pesando le parole, che tornano ad essere pietre: “Questa uniforme che indosso non l’hanno invece onorata alcuni vertici della polizia in quegli anni, prima e dopo la morte di mio padre”. Una ferita ancora aperta, che richiama i misteri di quel 1992. Chi tradì Falcone e Borsellino?  

E' il giorno della memoria e dell'impegno, per cercare le verità che ancora non abbiamo: questo il messaggio che lancia la Fondazione Falcone con l’iniziativa di questa mattina al bunker.

La mafia e i misteri.

La Cosa nostra delle stragi è stata sconfitta dallo Stato, ma ci sono ancora tanti misteri attorno a quella stagione di sangue e trattative. Chi li conosce tutti quei misteri è l’ultimo grande latitante di Cosa nostra, Matteo Messina Denaro: dovrebbe essere rinchiuso all’ergastolo per le bombe del 1992-1993, ma sembra ormai diventato un fantasma. Nel segno di Messina Denaro, le cosche si sono riorganizzate, nonostante arresti e sequestri di beni, ora puntano su nuovi affari, che inquinano la società e l’economia legale.

Nella grande aula verde c'è il presidente della Camera, Roberto Fico; ci sono anche i ministri dell’Interno, della Giustizia e dell’Istruzione: Luciana Lamorgese, Marta Cartabia e Patrizio Bianchi. E poi i vertici delle forze dell’ordine: il capo della polizia Lamberto Giannini, il comandante generale dell’Arma dei carabinieri Teo Luzi e il comandante generale della Guardia di finanza Giuseppe Zafarana. Anche quest’anno, è un 23 maggio particolare.

"L'impegno contro i boss".

Per la pandemia, non c’è il popolo festoso degli studenti a riempire l’aula bunker. Ma una delegazione di ragazzi è comunque presente, sono i vincitori del concorso “Cittadini di un’Europa libera dalle mafie” promosso dalla Fondazione Falcone e dal ministero dell’Istruzione. “Anche quest’anno sono stati 70 mila gli studenti di tutta Italia che hanno partecipato alle nostre attività mirate alla diffusione della cultura della legalità”, dice Maria Falcone. "L'impegno degli studenti ribadisce che la lotta alla mafia prosgue e che lo Stato c'è". L'impegno contro le cosche lo ribadisce la ministra Lamorgese: “Il metodo di Giovanni Falcone era quello di creare una rete tra organismi investigativi come al tempo del terrorismo. Con quel metodo proseguiremo. Perché la mafia non ha confini, è riuscita riuscita a infiltrarsi nell’economia legale, anche in alcuni settori sanitari".

"Il lavoro di Falcone fu straordinario – dice la ministra Cartabia – andare alla ricerca della forza economica della mafia lo portò a sviluppare la consapevolezza che occorreva lavorare a livello internazionale. Quando venne al ministero nel '91 iniziò la fase di cooperazione internazionale, fu un periodo breve ma fecondissimo. A livello europeo, fu Falcone il primo a intuire che occorreva una protezione penale degli interessi finanziari. Tra qualche settimana prenderà avvio la Procura europea, una istituzione dell'Ue, anche qui troviamo un lascito di Falcone".

Il capo della polizia ricorda quel giorno: “Il 23 maggio ero in servizio sala operativa questura di Roma. Arrivò questa notizia, mano a mano si andava chiarendo il tutto e ci fu un attimo di sconcerto di dolore. Però vidi subito la determinazione, mentre si cercava di avere notizie, dall’altra si doveva continuare nel lavoro. Arrivarono chiamate di cittadini che davano un senso di vicinanza e affetto. Questo ci colpì molto. Fu un momento difficile, Falcone era per noi un simbolo”.

Il reparto scorte.

Dopo la manifestazione all’aula bunker, il presidente Mattarella si è spostato alla caserma della polizia Pietro Lungaro, per deporre una corona di alloro al Reparto scorte, davanti alla lapide che ricorda gli agenti uccisi nelle stragi di Capaci e di via D’Amelio. Nel giardino davanti al Reparto scorte è stata sistemata la nuova teca che custodisce i resti della Quarto Savona 15, l’auto dei poliziotti che proteggevano Falcone. Il presidente Mattarella si stringe ai familiari delle vittime; accanto a lui, c’è il capo della polizia, che consegna ai parenti i nuovi distintivi. Come se Antonio, Rocco e Vito fossero ancora vivi.

Le manifestazioni.

Oggi pomeriggio, gli studenti saranno i protagonisti dell’altro momento del ricordo e dell’impegno, che si tiene nel giardino dove 29 anni fa c’era il cratere della strage: Tina Montinaro, la vedova del caposcorta di Falcone, ha coinvolto le scuole palermitane in un “rap contest”, una sfida in musica e testi per raccontare i martiri di Capaci e la speranza di trovare ancora la verità su quello che è accaduto.

Repubblica

venerdì 19 luglio 2019

Stragi Falcone e Borsellino.

Strage di capaci.jpg
Strage di Capaci, con la quale morì Falcone. 

Risultati immagini per stragi falcone e borsellino
Strage di via D'Amelio, con la quale morì Borsellino.

  Sono ancora tanti i misteri che aleggiano sui fatti che hanno distrutto sicurezza e serenità nel paese, e chissà quanto tempo passerà, ancora, per ristabilire il senso di fiducia nelle istituzioni, viste le circostanze che si verificano giornalmente. 
  Non so voi, ma io sento sempre più intensamente quella sensazione di impotenza, che fa star male, nei confronti della parte peggiore del paese che si è impossessata dei gangli del potere economico e decisionale.
  Il compito di chi vuole porre fine a questa situazione demoralizzante è assai arduo e pericoloso, perchè quella parte del potere che lucra su tutto è appoggiata da bande di servili yesmen che si accontentano delle briciole perse lungo la via da chi li manovra pur di partecipare al lauto banchetto e che si prodigano per far loro spazio spianandogli la strada delle istituzioni.

by Cetta

venerdì 28 giugno 2019

“Berlusconi paga i boss di Cosa nostra”. Ecco l’appunto di Falcone ritrovato nel suo ufficio. - Salvo Palazzolo - (21 dicembre 2017)

“Berlusconi paga i boss di Cosa nostra”. Ecco l’appunto di Falcone ritrovato nel suo ufficio

Il foglio è un promemoria durante gli interrogatori del pentito Mannoia. Risale al 1989, c’è anche un riferimento all’avvocato Vito Guarrasi.

«Cinà in buoni rapporti con Berlusconi. Berlusconi dà 20 milioni ai Grado e anche a Vittorio Mangano». La grafia è quella di Giovanni Falcone. Elegante, ordinata. Su un foglio di block notes a quadretti ha messo in fila alcuni appunti durante l’audizione del pentito Francesco Marino Mannoia. E’ il 6 novembre 1989. Il giudice ha sottolineato due volte il cognome Berlusconi, all’epoca già al culmine della sua carriera; una volta, il nome di Vittorio Mangano, lo stalliere boss della villa di Arcore. Il cognome di un altro mafioso, Cinà, compare anche una seconda volta nella pagina, cerchiato. Questi nomi non sono mai finiti nei verbali di Mannoia, che si è sempre rifiutato di fare dichiarazioni ufficiali su Silvio Berlusconi.
 
L’appunto è stato ritrovato alcuni giorni fa nell’ufficio-museo del giudice dal suo ex collaboratore Giovanni Paparcuri. “Il dottore Falcone prendeva degli appunti prima di verbalizzare – ha spiegato l’ispettore Maurizio Ortolan, che in quei giorni dell’89 batteva a macchina le dichiarazioni del pentito Mannoia – quando poi dettava, tagliava con un tratto di penna gli argomenti affrontati. Questo foglio, l’avrà dimenticato o lasciato in ufficio a futura memoria?”.

Le parole annotate da Falcone fra altri argomenti di mafia appaiono oggi come una conferma postuma della condanna di Marcello Dell’Utri, il braccio destro di Berlusconi che sta scontando 7 anni per concorso esterno in associazione mafiosa. «Cinà» citato dovrebbe essere Gaetano Cinà, il mafioso molto amico dell’ex senatore di Fi, che gli annunciava al telefono (conversazione intercettata nel 1986) l’arrivo di una grande cassata con il simbolo del biscione a casa Berlusconi. Gaetano Grado è uno dei boss palermitani che più frequentava Milano negli anni Settanta. Secondo la sentenza Dell’Utri, Berlusconi avrebbe stipulato con la mafia un "patto di protezione", nel 1974: prima, per evitare i sequestri che impazzavano su Milano, poi per «mettere a posto» i ripetitori Tv in Sicilia. E proprio questo sembra confermare l’appunto ritrovato di Falcone quando si parla di soldi che Berlusconi avrebbe dato ai mafiosi.
 
In un secondo foglio, Falcone annotava il nome di Vito Guarrasi, anche questo mai citato nei verbali ufficiali di Mannoia. Un altro mistero. Cosa sa il pentito Mannoia di Guarrasi, il potente avvocato di tanti affari siciliani che già negli anni Settanta era finito all’attenzione della commissione parlamentare antimafia? Guarrasi è morto il 31 luglio 1999, all’età di 85 anni. Di lui, scriveva Giuseppe D’Avanzo: «Se la memoria fosse una qualità e non un vizio, dovremmo chiederci se c’è ancora e dov’è oggi Vito Guarrasi. Se ci sono, e dove, i nodi che ancora stringono la politica, l’economia, la mafia. Perché un fatto è certo, la mafia può fare a meno dei Corleonesi, dei Lima e dei Ciancimino, dei cugini Salvo, ma non può privarsi della spregiudicata e cinica sapienza dei Guarrasi». Cosa aveva scoperto il giudice Falcone?

https://palermo.repubblica.it/cronaca/2017/12/21/news/berlusconi_falcone_appunto_guarrasi_mafia-184725255/?fbclid=IwAR1f8O8L_xYpLE95j1aFEgS3jhe1VzSqhuzDGKMJhz-L8HMS01HijXbUtT8

giovedì 23 maggio 2019

Quella tragica sera.

Giovanni Falcone, i misteri della strage di Capaci 27 anni dopo. L’esplosivo, i mandanti, una donna nel commando

Quella sera, dopo aver sostenuto il colloquio con i professori, ci stavamo recando verso Capaci per accompagnare nostra figlia ad una festa di compleanno quando ci dovemmo fermare perchè bloccati da una lunghissima fila di macchine in sosta.
Non si poteva procedere nè in avanti, nè indietro.
Cercavamo di capire cosa potesse essere successo, si supponeva un incidente, ma senza alcun riscontro.
Il professore di mia figlia aveva accennato ad un fatto grave paventato dai media, ma senza conferme e specifiche e nulla che fosse riconducibile alla notizia che di lì a poco ci avrebbe fornito un collegamento a quanto si stava verificando.
Dopo un'oretta di attesa cercammo di tornare indietro, impossibilitati a procedere in avanti....fu allora che la radio cominciò a divulgare la triste notizia: Falcone e la sua scorta erano stati fatti saltare in aria con una bomba proprio nel tratto di strada che univa Palermo a Capaci.
Resterà un ricordo indelebile nella nostra memoria, un avvenimento di gioia e di festa si era trasformato in uno raccapricciante, angosciante.
Un uomo, paladino della legalità, era stato ucciso dalla parte peggiore del paese.
Ancora una volta, per colpa di chi ci governava, il male aveva prevalso sul bene.
Una sconfitta devastante, angosciante per chi ancora credeva nelle istituzioni.


Cetta.

sabato 1 giugno 2013

Da Moro a Falcone, da Bilderberg ad Andreotti, dal Kgb alla Cia. Le verità di Imposimato sulle stragi. - Lorenzo Lamperti

imposimato ferdinando

Dal rapimento di Moro agli omicidi di Dalla Chiesa Pecorelli, fino alle stragi di Capaci via D'AmelioFerdinando Imposimato, presidente onorario della Suprema Corte di Cassazione, svela i retroscena sui misteri più scomodi d'Italia in un'intervista a tutto campo ad Affaritaliani.it: "Il Kgb è intervenuto materialmente nel sequestro Moro. Cossiga e Andreotti sapevano dov'era tenuto prigioniero, ma impedirono al generale Dalla Chiesa di intervenire. Falcone e Borsellino? Lì c'è la mano di Gladio e della Cia". Sulla strategia della tensione: "E' stata alimentata politicamente dal Gruppo Bilderberg. La trattativa Stato mafia? Il regista fu Scalfaro. E le intercettazioni di Napolitano e Mancino non dovevano essere distrutte". L'M5S aveva fatto anche il suo nome per il Quirinale: "Il ruolo di Grillo nella politica italiana è positivo". Le tesi di Imposimato faranno discutere. Ecco tutte le sue verità.
Da Moro a Borsellino, i misteri più scomodi d'ItaliaGuarda la gallery
Ferdinando Imposimato, lei pone questa domanda nel sua libro: "Perché Aldo Moro doveva morire?" E' riuscito a darsi una risposta?

Non c'è una sola risposta. Doveva morire perché da una parte c'erano dei politici che volevano la sua morte perché volevano prenderne il posto. Ricordiamoci che Moro era il candidato più autorevole alla presidenza della Repubblica. Dall'altro c'erano interessi internazionali.  L'Unione Sovietica, per esempio, non voleva che l'esperienza italiana potesse riproporsi nei paesi del Patto di Varsavia. Dall'altra parte, Moro non era ben visto perché si pensava che non portasse avanti una politica di difesa del blocco occidentale. E questo si spiega anche con la presenza dei servizi inglesi e tedeschi. Non c'è un'unica pista ma un concorso di cause e di moventi perfettamente compatibili tra loro anche se possono sembrare contrapposti.

Tra le varie piste che lei dice coesistere ce n'era una predominante?

Quello che è sicuro è che l'Unione Sovietica ha partecipato materialmente alla sua eliminazione fisica attraverso il colonnello Sokolov, che sapeva del sequestro e ha pedinato Moro fino al giorno prima. Dall'altra parte c'era quest'altra entità che qualcuno ha identificato nel Gruppo Bilderberg. Non sono solo io a dirlo. Già un importantissimo documento del 1967 del giudice Emilio Alessandrini (ucciso nel 1979 dopo aver indagato sulla strage di Piazza Fontana, ndr) nel quale si diceva che Bilderberg era tra i responsabili della strategia della tensione.
Quale legame c'è tra questi attori e la Cia?

La Cia era il braccio armato di questa politica che voleva in tutti i modi eliminare un personaggio che metteva a repentaglio la sicurezza del blocco occidentale e poteva causare l'infiltrazione dei comunisti nel governo italiano. Oltretutto la Cia controllava i servizi segreti italiani, come ha pubblicamente ammesso Maletti (ex generale del Sisde, ndr). La Cia li finanziava con un budget da 500 milioni di dollari all'anno.

La Cia finanziava anche Gladio?

Certo, finanziava anche Gladio. Addirittura la Cia ha comprato la base di Gladio in Sardegna (la base di Capo Marrargiu, ndr).

In tutto questo il ruolo della politica italiana qual è stato?

E' stato un ruolo di subalternità assoluta a questa egemonia estera. In Italia sono stati eseguiti gli ordini che arrivavano dall'estero. La cosa traspare in maniera chiara dalle lettere di Moro. Moro ha scritto più volte: "Nella mia sorte c'è una mano straniera, di oltreoceano". E aveva ragione. Moro sapeva perfettamente dell'esistenza di Gladio.

Lei nel suo libro scrive che qualcuno sapeva in anticipo del sequestro di Moro...

Sì, Cossiga e Andreotti sapevano. C'è un documento del 2 marzo 1978 del quale io venni a conoscenza solo 25 anni dopo e che pubblico sul mio libro che lo prova. Anche Dalla Chiesa venne a conoscenza del luogo di prigionia di Moro e fin dai primi di aprile voleva intervenire per liberarlo. Quando fu bruciata la base di via Gradoli lo si fece proprio per impedire l'intervento di Dalla Chiesa. Al generale è stato l'ordine di abbandonare il campo, poi lui ne ha parlato con il giornalista Mino Pecorelli e lui ne ha scritto. Entrambi sapevano ed entrambi sono stati ammazzati.

Lei sostiene che lo Stato sapeva dove veniva tenuto prigioniero Moro.

Sì, è così. Quando hanno occupato l'appartamento soprastante la prigione di Moro era in vista del blitz che voleva fare Dalla Chiesa. Ma lo Stato non voleva farlo e così il 7 maggio fu dato l'ordine di sgomberare il campo.

Secondo lei c'è un filo che unisce tutte le stragi avvenute in Italia nel secondo dopoguerra?

Sì, non c'è dubbio. Ed è un filo che ancora oggi non si è spezzato.

Il Gruppo Bilderberg che ruolo ha avuto in tutto questo?

Ha gestito politicamente la strategia della tensione. Lo si evince dal documento di Alessandrini che io reputo fondamentale.

Nel libro-intervista di Paolo Madron il noto "faccendiere" Bisignani rivela che Andreotti sosteneva che la responsabilità degli omicidi di Falcone e Borsellino fosse del Kgb. Lei è d'accordo?

No, questa è una balla. Nel sequestro di Moro c'è stato sicuramente l'intervento del Kgb ma Falcone e Borsellino rientrano nell'orbita di intervento della Cia. L'esplosivo di Capaci e azionato dall'ordinovista Rampulla proveniva da uno dei depositi Nasco, controllati dalla Cia. La storia di Andreotti è, come sempre, l'opposto della verità.

In tutte queste stragi da parte della politica italiana c'è stata "solo" una copertura o un vero e proprio input?

Entrambe le cose.

Di solito quando si parla di Gladio o di altre associazioni più o meno segrete le si chiama "forze deviate dello Stato". E' una definizione corretta?

No, la definizione è sbagliata. Le forze deviate dello Stato sono forze al servizio dei politici. Mafia e terrorismo hanno agito non solo per le loro finalità ma anche per quelle dei politici.

Il suo nome è molto apprezzato dai militanti del Movimento 5 Stelle tanto che si era anche fatto il suo nome per il Quirinale. Le fa piacere? Qual è il suo rapporto con Grillo?

Personalmente non l'ho mai visto ma ritengo che il Movimento 5 Stelle abbia un ruolo positivo, pur con tutti i suoi limiti e i suoi problemi. In questo momento è l'unica opposizione presente in Italia e un'opposizione in democrazia deve sempre esserci. Già Aristotele diceva che l'essenza della democrazia sta nell'alternanza. Il problema è che dentro il Movimento vedo dei problemi, delle diaspore. E questo non va bene. Io sono convinto che sia meglio avere torto stando dentro che avere ragione stando fuori. Anche perché Pd e Pdl hanno spesso dimostrato di essere "complici".
Che idea si è fatto del processo sulla trattativa Stato-mafia?

E' una cosa vergognosa.

In che senso?

Vergognosa da parte dei politici, intendo. Ci dovrebbe essere la voglia di stabilire la verità e che ruolo hanno avuto vari personaggi, come per esempio Scalfaro. Bisognerebbe approfondire perché stando a quello che hanno detto Martelli e Scotti è stato Scalfaro il regista della trattativa. La verità deve essere rifondata andando a scoprire non solo gli esecutori materiali ma anche i mandanti di quello che è accaduto.

E' stato giusto cancellare le intercettazioni tra Napolitano e Mancino?

La Corte Costituzionale avrebbe dovuto dichiarare incostituzionale la legge che prevede la distruzione di quelle intercettazioni. Non si possono distruggere delle intercettazioni senza che queste vengano portate alla conoscenza delle parti che sono pm, avvocati e parte civile.