Un diario, dove annoto tutto ciò che più mi colpisce. Il mio blocco per gli appunti, il mio mondo.
venerdì 19 luglio 2024
In memoria e ricordo della strage di Via d'Amelio... Vincenzo Musacchio
domenica 2 gennaio 2022
L’ultima intervista a Borsellino e i dubbi che ancora restano. - Peter Gomez
Inutile girarci intorno. La vera storia dell’ultima, o meglio della penultima, intervista a Paolo Borsellino in cui il giudice parla di Silvio Berlusconi, Marcello Dell’Utri e del boss Vittorio Mangano è da sempre l’anello mancante nelle indagini sulle stragi di mafia del 1992.
In questi anni, mentre Berlusconi e Dell’Utri venivano messi sotto inchiesta e poi archiviati, pm, investigatori e giornalisti si sono spesso chiesti se quell’intervista, mai mandata in onda fino al 2000, abbia rappresentato la miccia che convinse Cosa Nostra a uccidere Borsellino solo 57 giorni dopo Falcone. Un’accelerazione, decisa da Totò Riina e confermata da molti pentiti, insensata dal punto di vista logico. Perché far saltare in aria Borsellino meno di due mesi dopo la morte del suo amico Giovanni, come era perfettamente prevedibile, avrebbe spinto lo Stato a reagire con forza inaudita e a instaurare il 41-bis, il cosiddetto carcere duro per i mafiosi. Detto in altre parole, gli investigatori si sono domandati se per caso qualcuno nella primavera-estate del ’92 abbia avvertito il gruppo Berlusconi dell’esistenza del filmato (l’intervista a Borsellino è del 19 maggio, Falcone muore il 21) e se poi Dell’Utri o altri abbiano parlato di quelle dichiarazioni con qualche esponente dei clan.
L’interrogativo è diventato ancora più pressante in questi ultimi anni dopo che, nel 2016, il boss stragista Giuseppe Graviano, intercettato in carcere, si è lasciato sfuggire con un amico l’ormai celebre frase “Berlusca mi ha chiesto questa cortesia. Per questo è stata l’urgenza”. Adesso, grazie a uno scoop de L’Espresso, sull’intervista sappiamo qualcosa in più. Fabrizio Calvi, che con Jean Pierre Moscardo incontrò Borsellino per conto della pay-tv francese Canal plus, ha raccontato ai colleghi del settimanale quanto gli confidò, con imbarazzo, Moscardo. Secondo Calvi, un emissario di un manager del gruppo Fininvest offrì 1 milione di dollari per avere quel filmato e altre 50 ore di girato che dovevano far parte di un documentario su Berlusconi e la mafia. Calvi e Moscardo oggi sono morti. Non è insomma possibile sapere se l’offerta (sempre che ci sia realmente stata) risalga al ’92 o agli anni successivi, quando le parole di Borsellino rappresentavano un tassello importante delle indagini che avrebbero portato alla condanna di Dell’Utri per fatti di mafia. E nemmeno si può sapere se la proposta sia stata accettata.
In attesa che le Procure tentino di fare chiarezza, noi però ci facciamo un’altra domanda. Meno da questurini e più da giornalisti. Ma come diavolo è possibile che Canal plus abbia deciso di non mandare in onda l’intervista? Nell’estate del ’92, in tutto il mondo, tv e giornali non parlavano d’altro che degli attentati di Cosa Nostra contro Falcone e Borsellino. Ovunque venivano mandati in onda servizi su servizi. La scelta di tenere quell’intervista in un cassetto, sebbene in quel momento rappresentasse uno scoop mondiale, è qualcosa che cozza contro qualsiasi logica editoriale e giornalistica. Per questo contiamo che nei prossimi giorni qualche collega chieda a Canal plus una spiegazione ufficiale. E per ora ci limitiamo a questo commento: gli scoop non vanno mai tenuti nei cassetti. Perché altrimenti chiunque è autorizzato a pensare che quello non sia stato giornalismo, ma solo una manovra oscura o peggio ancora un ricatto.
sabato 25 settembre 2021
Due grandi uomini.
mercoledì 18 dicembre 2019
Famiglia Borsellino contro manifesto Fratelli d'Italia: "Uso improprio immagine nostro padre." - Elvira Terranova.
Duro commento dei figli, 'Iniziativa improvvida, diffidiamo partito a usare immagine e nome.'
lunedì 30 settembre 2019
“Dai pentiti a Graviano. Perché vanno indagati Berlusconi e Dell’Utri”.
Settembre 2017 - Davanti alla Commissione parlamentare antimafia il pm Di Matteo spiegò come sono nati i sospetti sui fondatori di Forza Italia per le stragi del 1992-’93.
venerdì 19 luglio 2019
Stragi Falcone e Borsellino.
Strage di Capaci, con la quale morì Falcone.
Strage di via D'Amelio, con la quale morì Borsellino.
Sono ancora tanti i misteri che aleggiano sui fatti che hanno distrutto sicurezza e serenità nel paese, e chissà quanto tempo passerà, ancora, per ristabilire il senso di fiducia nelle istituzioni, viste le circostanze che si verificano giornalmente.
Non so voi, ma io sento sempre più intensamente quella sensazione di impotenza, che fa star male, nei confronti della parte peggiore del paese che si è impossessata dei gangli del potere economico e decisionale.
Il compito di chi vuole porre fine a questa situazione demoralizzante è assai arduo e pericoloso, perchè quella parte del potere che lucra su tutto è appoggiata da bande di servili yesmen che si accontentano delle briciole perse lungo la via da chi li manovra pur di partecipare al lauto banchetto e che si prodigano per far loro spazio spianandogli la strada delle istituzioni.
by Cetta
domenica 10 aprile 2016
Inchiesta petrolio, Gemelli intercettato. "Quelli della Total ce li abbiamo". - Nini Femiani
Il compagno della Guidi esultava al telefono dopo il convegno con ministri e petrolieri. Al via gli interrogatori.
Gemelli, le intercettazioni: "Borsellino andrebbe eliminata" - Emanuele Lauria e Marco Mensurati
I due, secondo gli investigatori, hanno un obiettivo comune: quello di mantenere un assetto, al vertice dell'ente, che possa consentire a Gemelli di perseguire i propri interessi in uno dei porti industriali più grandi del Mediterraneo. Quell'atto parlamentare di Fava è indigesto, anche perché Cozzo sottolinea che i fatti denunciati - un appalto sospetto - risalgono a un periodo precedente al suo insediamento.
Quando Gemelli domanda a quale corrente appartenesse Fava, figlio di un giornalista ucciso da Cosa nostra, Cozzo risponde: "Fava è amico della Chinnici, sono tutti questi dell'Antimafia, il giro quello è...". E Gemelli, non sapendo di essere intercettato, aggiunge: "Ah minchia, l'Antimafia praticamente, perché questi qua... guarda quelli che utilizzano i cognomi dei martiri per fare carriera, fanno ancora più schifo degli altri... lei, la Borsellino, questa è gente che proprio andrebbe eliminata... però dicono sono bravissime persone... e va bè, se lo dite voi...".
"Andrebbe eliminata", dice proprio così Gemelli, riferendosi a Lucia Borsellino, figlia del magistrato Paolo Borsellino (ucciso dalla mafia il 19 luglio del 1992) ed ex assessore regionale alla Salute nell'Isola. Una frase, quella riportata in un rapporto della Questura di Potenza, che conferma come la Borsellino non fosse particolarmente amata dalle lobby siciliane. Ma che rimarca, in particolare, l'insofferenza di Gemelli e della sua combriccola nei confronti dei parenti delle vittime di mafia che fanno politica. Un'insofferenza espressa con parole agghiaccianti. La Borsellino replica seccamente: "Non intendo commentare queste meschinità - afferma la figlia del giudice assassinato - non competendo a me valutare le motivazioni per cui accadono. Io lavoro con i valori che mi appartengono. Se ciò dà fastidio io e la mia famiglia ce ne faremo una ragione".
domenica 19 luglio 2015
Borsellino ucciso perché indagava sulla trattativa, trovato il fascicolo. E spuntano nomi “pesanti”. - Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza
La ricostruzione dei giornalisti del Fatto, Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza, mette i brividi: Borsellino è stato ucciso perché stava indagando, formalmente, sulla trattativa Stato-Mafia. La conferma arriva dal ritrovamento di un fascicolo assegnato a Borsellino in data 8 luglio 1992 (11 giorni prima di essere ucciso…) in cui viene fuori l’ufficialità dell’indagine e i nomi delle persone coinvolte. Nomi pesanti. Nomi di capimafia. Nomi di politici. Nomi di esponenti dei servizi segreti.
sabato 18 luglio 2015
Crocetta: telefonate medico e manager, insulti a Borsellino.
Il testo di alcune intercettazioni del Nas agli atti inchiesta.
Il 27 marzo 2014 Samperi e Tutino parlano al telefono: "Io credo che ci sia qualcosa sotto in tutto questo e Lucia e il presidente sono in disaccordo...". "Sì, totale - dice Tutino - ma mi ha detto (il presidente, ndr) stai tranquillo".
I due si definiscono "uomini del presidente" che operano "per la legalità. La legalità prima di tutto - osserva Tutino - E Samperi aggiunge: "Ma a noi quello interessa, prima di tutto...
Siamo troppo seri noi".
Dopo la revoca di Samperi, un dipendente del pronto soccorso di Villa Sofia va da Tutino e gli dice di aver saputo dal fratello che "tutto viene da quella b... della Borsellino e il presidente non la vuole fare muovere da lì". E parla di un dirigente dell'assessorato alla Salute "messo lì appositamente perché dà fastidio alla Borsellino".
Il 25 Marzo 2014 è il periodo in cui sono in ballo le nomine nella sanità e Tutino, parlando con il segretario particolare di Crocetta, Giuseppe Comandatore, dice: "Senti, lui (Crocetta, ndr) mi ha detto che domani gli devo portare la lista dei pretoriani del presidente". "Sì - dice Comandatore - la porti, vieni al palazzo... lo visiti, gli guardi cose e via". "Avremo bisogno di mezz'ora - dice Tutino - perché gli parlerò di ognuno con il curriculum in modo molto... Sono fedelissimi". (ANSA).
martedì 7 ottobre 2014
Borsellino ucciso perché indagava sulla trattativa, trovato il fascicolo. E spuntano nomi “pesanti”. - Sandra Rizzo e Giuseppe Lo Bianco
La ricostruzione dei giornalisti del Fatto, Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza, mette i brividi: Borsellino è stato ucciso perché stava indagando, formalmente, sulla trattativa Stato-Mafia. La conferma arriva dal ritrovamento di un fascicolo assegnato a Borsellino in data 8 luglio 1992 (11 giorni prima di essere ucciso…) in cui viene fuori l’ufficialità dell’indagine e i nomi delle persone coinvolte. Nomi pesanti. Nomi di capimafia. Nomi di politici. Nomi di esponenti dei servizi segreti.
sabato 18 maggio 2013
Borsellino, Sky mostra un’agenda rossa accanto al corpo del magistrato.
In un video realizzato dai vigili del fuoco, e mostrato da SkyTg24, subito dopo la strage di via d’Amelio a Palermo, si vedrebbe un’agenda rossa accanto al corpo di Paolo Borsellino. Agenda poi mai ritrovata. “Se fosse vero sarebbe pazzesco”, dice il procuratore di Caltanissetta Sergio Lari.
http://tv.ilfattoquotidiano.it/2013/05/18/borsellino-sky-mostra-immagini-dellagenda-rossa-del-magistrato-in-via-damelio/232985/
mercoledì 1 maggio 2013
Borsellino/quater. Il mistero della valigetta: l’agente di scorta di Ayala: ''Il giornalista Cavallaro non c’era''.
Ma non solo in questo differiscono le dichiarazioni. L'ex agente della scorta continua il suo racconto: "Eravamo vicini all'auto del dottore Borsellino; il giudice Ayala ha visto la borsa. Io l'ho presa e l'ho tenuta in mano per circa 5 minuti. Poi il giudice ha individuato un ufficiale in borghese e mi ha detto di darla a lui e così ho fatto. Quell'uomo era in abiti civili e non aveva distintivi". Poi ha aggiunto che Felice Cavallaro, in quel frangente, non era presente.
Altri scenari si sono aperti oggi. I pm hanno mostrato a Farinella delle foto del momenti successivi alla strage e l'ex capo scorta, sorpreso ha riconosciuto un uomo, che il giorno della strage, nella confusione, non aveva visto sul luogo: Roberto Campesi. Un uomo – spiega Farinella – che Ayala voleva "infiltrare" tra gli agenti della scorta e che non apparteneva all'arma. "Dopo la strage, tornato dalle ferie, appresi che Campesi era entrato a far parte della scorta – racconta – mi opposi immediatamente a questa cosa, soprattutto perché si trattava di un civile e chiesi informazioni. Mi dissero che addirittura era consuetudine che salisse sulla blindata con Ayala" .
Poi è stata la volta di Giovanni Adinolfi a quei tempi capitano dei Ros a Palermo che ha raccontato di aver parlato con Borsellino pochi giorni prima della strage . Il giudice gli disse di aver saputo dell'arrivo del tritolo ma di essere preoccupato più per la sua famiglie e la sua scorta che non per la sua stessa vita. Il colonnello ha poi riferito di quando il pm De Francisci gli raccontò che il giudice Borsellino aveva saputo che il pentito Mutolo e Marchese avevano detto che Contrada e Signorino erano vicini ad ambienti mafiosi.
Sul pretorio è poi salito il colonnello Marco Minicucci, che allora comandava il nucleo operativo dei carabinieri di Palermo. Ha detto che il capitano Giovanni Arcangioli (l'uomo della foto con la valigetta in mano), la mattina dopo o le ore successive (non ricorda con precisione) gli disse di avere prelevato lui la borsa dalla macchina. Circostanza che ricorda solo nel 2005, interrogato dalla Dia di Caltanissetta.
Il colonnello non si trovava vicino alla blindata quando fu presa la valigetta, che, infatti, non vedrà mai.
Ad essere ascoltato poi è stato il caposquadra dei vigile del Fuoco Giovanni Farina, che ha dichiarato alla Corte di aver provato ad aprire la portiera dell'auto ma non vi riuscì. "Era impossibile. Mi sono accorto in seguito che era stata aperta da alcuni miei subordinati ma grazie all'intervento della Polizia – racconta – . A mio avviso l'hanno potuta aprire solo con la chiave ".
giovedì 3 gennaio 2013
"Stato-mafia, spiati i pm dell'inchiesta": il mistero del dossier che scuote Palermo. - Attilio Bolzoni e Salvo Palazzolo
L'inchiesta giudiziaria più tormentata di questi mesi si sta ancora rimescolando e rovista adesso in quelle che l'anonimo definisce "catacombe di Stato". Le ultime inedite indicazioni sono in uno scritto che gli investigatori valutano come "attendibile", studiato e steso da qualcuno estremamente informato, uno "dal di dentro" sospettano i pubblici ministeri di Palermo che hanno ordinato accertamenti su tutti i punti segnalati dall'anonimo. Lui, definisce la sua lettera "un esposto". L'ha spedita il 18 settembre scorso a casa di Nino Di Matteo, uno dei sostituti procuratori che insieme ad Antonio Ingroia hanno cominciato l'indagine sulla trattativa.
Sono dodici pagine con lo stemma della Repubblica italiana sul frontespizio. L'autore, alla sua lunga lettera ha attribuito - come nei documenti ufficiali - una sorta di numero di fascicolo. È in codice: "Protocollo fantasma".
Se sia tutto vero ciò che scrive o al contrario un tentativo di depistaggio si scoprirà presto, di sicuro al momento i funzionari della Dia di Palermo e quelli di Roma stanno raccogliendo riscontri intorno ai "suggerimenti" dell'anonimo. Uno che sembra a conoscenza di tanti segreti, come se avesse partecipato personalmente ad alcune operazioni poliziesche o sotto copertura. Questi dodici fogli ricordano tanto quell'altra lettera senza firma arrivata fra la strage Falcone e la strage Borsellino nell'estate del 1992 (e recapitata a 39 indirizzi fra i quali il Quirinale, le redazioni dei quotidiani italiani, il Viminale), la prima carta in assoluto dove si faceva cenno a "un accordo" fra Stato e mafia. Annunciando avvenimenti poi accaduti. Come l'arresto del capo dei capi Totò Riina.
Ma adesso vi raccontiamo cosa c'è esattamente nell'ultimo anonimo palermitano. Finisce con una frase misteriosa destinata al magistrato Di Matteo: "Tieni sempre in considerazione che sto lavorando con te, nelle tenebre". E annota subito dopo, in latino: "Impunitas semper ad deteriora invitat". L'impunità invita sempre a cose peggiori.
Comincia invece con una cronistoria dei cadaveri eccellenti di Palermo: dall'omicidio del segretario del Pci siciliano Pio La Torre - il 30 aprile 1982 - fino alla mancata cattura di Bernardo Provenzano dell'ottobre 1995 nelle campagne di Mezzojuso, probabilmente per una soffiata. In mezzo le bombe di Capaci e di via D'Amelio. Poi si addentra nel particolare. Iniziando dai pm che indagano sulla trattativa.
Li mette in guardia da "uomini delle Istituzioni" che li stanno sorvegliando. "Canalizzano tutte le informazioni che riescono ad avere sul vostro conto", scrive. E dice che li riversano "a Roma", in una non meglio identificata "centrale". Fra gli spioni - sostiene l'anonimo - anche alcuni magistrati. Di certo, strani movimenti si sono registrati a Palermo in queste settimane. Uno, a metà dicembre. Qualcuno è arrivato fin sul pianerottolo dell'abitazione del sostituto Di Matteo, lavorando dentro una cassetta elettrica. Se ne sono accorti i carabinieri della scorta. Nessuno nel condominio aveva disposto lavori nel palazzo, e in quel fine settimana il magistrato era fuori città. Un intruso sapeva anche questo.
Torniamo all'anonimo. Spiega dove cercare nuove prove sul patto. Usa queste parole: "Ci sono catacombe all'interno dello Stato sepolte e ricoperte di cemento armato, ma alcune verità si possono ancora trovare". E specifica i luoghi. Segue una lista di nomi. Uomini politici della prima Repubblica, grandi e piccoli, tutti mai sfiorati fino ad ora dalle investigazioni sulla trattativa. Consiglia di seguire certe tracce, il suo linguaggio è quello di un "addetto ai lavori". Gli investigatori sono convinti che si tratti di qualcuno che, all'inizio degli anni '90, abbia lavorato in qualche reparto investigativo. Conosce minuziosamente alcune vicende. Come quella della cattura di Totò Riina, la mattina del 15 gennaio del 1993. Garantisce che il covo del boss, nel quartiere dell'Uditore, sia stato visitato da qualcuno prima della perquisizione del procuratore Caselli. E ripulito di un tesoro, l'archivio del capo dei capi di Cosa Nostra. "Nascosto a Palermo per qualche tempo e poi portato via", scrive ancora l'anonimo.
E infine dice di sapere chi ha rubato dalla sua borsa l'agenda rossa di Paolo Borsellino, quella sulla quale il procuratore segnava tutto ciò che vedeva e sentiva dalla morte del suo amico Giovanni Falcone. "L'ha presa un carabiniere", giura l'autore della lettera.
Già qualche anno fa un colonnello dei carabinieri, Giovanni Arcangioli, era stato messo sotto accusa dai magistrati di Caltanissetta per avere trafugato l'agenda. L'ufficiale era stato fotografato, in via D'Amelio, con la borsa fra le mani. Ma aveva sempre sostenuto di non sapere nulla dell'agenda. Prosciolto dal giudice in fase d'indagine preliminare e prosciolto poi dalla Cassazione, il colonnello è uscito definitivamente dall'inchiesta. In questi ultimi mesi i pm di Caltanissetta (quelli che indagano sui massacri di Palermo) hanno però ricominciato a visionare un filmato del dopo strage, ricostruito con tutte le immagini ritrovate negli archivi televisivi. Cercano sempre l'uomo dell'agenda rossa. E sospettano sempre che sia uno degli apparati investigativi. La caccia è ripartita.
Cosa aggiungere sull'ultimo anonimo? Le indagini, che sembravano solo aspettare il verdetto del giudice Piergiorgio Morosini sulla richiesta di rinvio a giudizio di quei 12 imputati eccellenti prevista per la fine del mese, hanno ricominciato ad agitarsi dopo le confessioni del misterioso personaggio senza volto. Uno che viene dal passato di Palermo.
http://www.repubblica.it/cronaca/2013/01/03/news/stato_mafia_anonima_lettera-49835506/?ref=HREC1-4