Un diario, dove annoto tutto ciò che più mi colpisce. Il mio blocco per gli appunti, il mio mondo.
venerdì 19 luglio 2024
In memoria e ricordo della strage di Via d'Amelio... Vincenzo Musacchio
martedì 5 settembre 2023
Giuliano Amato vuota il sacco sulla strage di Ustica. Che aspettiamo a liberarci della Nato? - Fabio Marcelli
Il 27 giugno del 1980 venne abbattuto un aereo civile nei cieli di Ustica e morirono 81 passeggeri, tra i quali molti bambini (ricordo che proprio in quei giorni incontrai una ragazza veronese distrutta dal dolore perché era la maestra di alcuni di loro). Le rivelazioni fatte da Giuliano Amato nella sua recente intervista portano nuova luce sulla strage. È legittimo chiedersi per quale motivo Amato abbia deciso di vuotare il sacco solo oggi, a circa 43 anni di distanza, ma è importante sottolineare la sua denuncia delle responsabilità al riguardo. Per coprire tali responsabilità si sono mossi durante tutto questo periodo numerosi apparati, lasciando anche una lunga scia di sangue e intimidazioni per neutralizzare ogni possibilità di testimonianze rivelatrici al riguardo.
Ebbi l’occasione di seguire all’epoca le attività in materia dell’avvocato Romeo Ferrucci, esemplare figura di giurista che non si rassegnava alla teoria della bomba esplosa all’interno dell’aviomezzo, fabbricata dai comandi politici (lo stesso Amato fa preciso riferimento a Bettino Craxi) e militari, proprio per stornare ogni sospetto dai veri responsabili, subendo per tale motivo gravi intimidazioni, presumibilmente da soggetti legati al mondo dei servizi. E la pista francese era una di quelle battute da Romeo e dagli altri che come lui (ricordo un pranzo col rimpianto Andrea Purgatori) volevano un accertamento delle responsabilità della strage senza guardare in faccia a nessuno. Se ne parlava quindi da tempo e lo stesso Cossiga ne aveva parlato a suo tempo, la magistratura ha più volte accertato le responsabilità statali nel depistaggio e il disegno di legge per l’istituzione di una Commissione d’inchiesta firmato qualche anno fa tra gli altri dall’attuale presidente del Senato La Russa si concludeva affermando che “il Governo dell’epoca depistò le indagini assecondando i voleri di potenze straniere invece di difendere la sovranità italiana e i diritti delle vittime e delle loro famiglie”.
Ma le dichiarazioni di Amato hanno una qualità nuova e inedita, sia per la chiarezza della denuncia che per l’autorevolezza della fonte da cui provengono. Parlando del sistematico depistaggio su larga scala promosso ai massimi livelli, Amato afferma che “quindi tutte queste persone hanno coperto il delitto per “una ragion di Stato”, anzi dovremmo dire per “una ragion di Stati” o per “una ragion di Nato”. Se questo è vero, tuttavia, non è solo Macron a dover chiedere scusa. In un Paese degno di questo nome un’affermazione di questo genere provocherebbe un cataclisma politico, in Italia il governo si rifiuta di prendere posizione sul piano internazionale, come giustamente richiesto dall’Associazione dei familiari delle vittime, e tenta un goffo scaricabarile sulla magistratura.
In parte la confessione di Amato pare riconducibile all’attuale stato confusionale della classe dirigente italiana di fronte alle sconvolgenti novità che scaturiscono dal passaggio del mondo a un sistema multipolare, ma non ci si può limitare a questa constatazione.
Due elementi colpiscono al riguardo. Il primo è il riferimento esplicito alla Nato, il secondo la contemporaneità tra l’intervista e la forte crisi del dominio neocoloniale francese in Africa. Due elementi tra loro fortemente connessi. L’obiettivo del missile era infatti proprio Gheddafi che sia la Francia che la Nato giudicavano un ostacolo ai loro progetti e del quale riuscirono a liberarsi solo 32 anni dopo al termine della disastrosa guerra civile che non accenna ancora a finire. In parte, come ha ipotizzato Antonio Castronovi, le dichiarazioni di Amato risponderebbero all’intento di colpire la Francia per frustrarne ogni velleità di autonomia rispetto alla Nato. Ma ci sono, come lo stesso Amato afferma, anche precise responsabilità della Nato. Occorre quindi chiedersi, al di là di ogni possibile dietrismo, che aspettiamo a liberarci di questa “alleanza” (leggasi servitù) sempre più obsoleta e sempre più pericolosa in un mondo che cambia a fortissima e crescente velocità?
Dobbiamo farlo quanto prima, non solo per onorare le vittime di questa e altre stragi e le persone che, come Romeo Ferrucci e Andrea Purgatori, si sono dedicate con coraggio alla ricerca della verità, ma anche per salvaguardare le future potenziali vittime, tra le quali ci siamo anch’io che scrivo e voi che leggete, delle guerre devastanti che la Nato sta preparando per arginare l’irrefrenabile declino delle potenze occidentali sul mondo. Come recita un appello che lancia un presidio per mercoledì prossimo 6 settembre alle ore 18 davanti all’ambasciata francese, “in questa vicenda i vertici civili e militari dello Stato italiano emergono una volta di più come complici silenti dei crimini di guerra commessi nel mondo dall’Occidente, con l’“aggravante” che le 81 vittime in questione erano cittadini e lavoratori del nostro paese, da allora in attesa di giustizia”.
martedì 1 giugno 2021
Brusca torna libero, tra gli artefici della strage di Capaci.
Fuori con 45 giorni di anticipo. Sciolse nell'acido il piccolo Di Matteo.
L'ultimo abbuono di 45 giorni ha aperto a Giovanni Brusca le porte del carcere: fine pena è la formula d'uso che chiude i suoi tanti conti aperti con la giustizia. A 64 anni l'uomo che ha premuto il telecomando a Capaci e fatto sciogliere nell'acido il piccolo Giuseppe Di Matteo è, con tutte le cautele previste per un personaggio della sua caratura criminale, una persona libera.
Anche se era un esito annunciato, la scarcerazione suscita comunque le reazioni più critiche.
I familiari delle vittime avevano già espresso le loro preoccupazioni quando si è cominciato a porre, già l'anno scorso, il problema di rimandare a casa un boss dalla ferocia così impetuosa da meritare l'appellativo di "scannacristiani". Nel suo caso sono stati semplicemente applicati i benefici previsti per i collaboratori "affidabili". Se ne era già tenuto conto nel calcolo delle condanne che complessivamente arrivano a 26 anni. Siccome il boss di San Giuseppe Jato era stato arrestato nel 1996 nel suo covo in provincia di Agrigento, sarebbe stato scarcerato nel 2022. Ma la pena si è ancora accorciata per la "buona condotta" dopo che a Brusca erano stati concessi alcuni giorni premio di libertà. Gli ultimi calcoli prevedevano la scarcerazione a ottobre. È arrivata anche prima.
Ora però si apre un caso complicato di gestione della libertà del boss e dei suoi familiari. I servizi di vigilanza, ma anche di protezione pure previsti dalla legge, dovranno tenere conto dell'enormità dei delitti e delle stragi che lo stesso Brusca ha confessato. Non solo ha ammesso di avere coordinato i preparativi della strage in cui morirono Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e tre uomini della scorta. Ha confessato numerosi delitti nella zona di San Giuseppe Jato. Ma ha soprattutto ammesso le sue responsabilità nel rapimento e nella crudele soppressione di Giuseppe Di Matteo il figlio tredicenne del collaboratore Santino Di Matteo.
Santino Di Matteo era, tra tutti, il depositario dei segreti più ingombranti della cosca e aveva cominciato a svelarli al procuratore Giancarlo Caselli e ai magistrati della Dda palermitana. Davanti alla prospettiva di trascorrere in carcere il resto della vita anche lui, qualche mese dopo l'arresto, ha cominciato a rivelare i retroscena e il contesto di tanti delitti e degli attentati a Roma e Firenze del 1993. Brusca non nascondeva il tormento di ripassare in rassegna i suoi crimini più odiosi e quelli di cui era a conoscenza. Ma mise da parte ogni remora quando ebbe la certezza che ne avrebbe ricavato quei benefici che ora gli hanno ridato la libertà. Dalle sue rivelazioni intanto presero subito l'avvio numerosi procedimenti che hanno incrociato pure i percorsi dell'inchiesta sulla "trattativa" tra Stato e mafia.
"Umanamente è una notizia che mi addolora, ma questa è la legge, una legge che peraltro ha voluto mio fratello e quindi va rispettata. Mi auguro solo che magistratura e le forze dell'ordine vigilino con estrema attenzione in modo da scongiurare il pericolo che torni a delinquere, visto che stiamo parlando di un soggetto che ha avuto un percorso di collaborazione con la giustizia assai tortuoso. Ogni altro commento mi pare del tutto inopportuno". Lo ha detto Maria Falcone, sorella del giudice Giovanni Falcone. "La stessa magistratura - ha spiegato Maria Falcone - in più occasioni ha espresso dubbi sulla completezza delle sue rivelazioni, soprattutto quelle relative al patrimonio che, probabilmente, non è stato tutto confiscato: non è più il tempo di mezze verità e sarebbe un insulto a Giovanni, Francesca, Vito, Antonio e Rocco che un uomo che si è macchiato di crimini orribili torni libero a godere di ricchezze sporche di sangue".
"Autore della strage di Capaci, assassino fra gli altri del piccolo Giuseppe Di Matteo, sciolto nell'acido perché figlio di un pentito. Dopo 25 anni di carcere, il boss mafioso Giovanni Brusca torna libero. Non è questa la "giustizia" che gli Italiani si meritano". Così il leader della Lega Matteo Salvini.
La scarcerazione di Brusca "é stato un pugno nello stomaco che lascia senza respiro e ti chiedi come sia possibile. La sorella di Falcone ricorda a tutti che quella legge applicata oggi l'ha voluta anche suo fratello, che ha consentito tanti arresti e di scardinare le attività mafiose, ma è un pugno nello stomaco". Lo ha detto il segretario del Pd, Enrico Letta, intervistato a Rtl 102.5.
"Brusca libero? Non voglio crederci. È una vergogna inaccettabile, un'ingiustizia per tutto il Paese. Sempre dalla parte delle vittime e di chi lotta e ha lottato contro la mafia". Lo scrive su Twitter la sindaca di Roma Virginia Raggi.
"Il boss di Cosa Nostra Giovanni Brusca - lo "scannacristiani" che ha "commesso e ordinato personalmente oltre centocinquanta delitti, ha fatto saltare in aria il giudice Falcone e la sua scorta e ha ordinato di strangolare e sciogliere nell'acido il piccolo Di Matteo - è tornato libero. È una notizia che lascia senza fiato e fa venire i brividi!". Così la leader di Fratelli d'Italia, Giorgia Meloni. "L'idea che un personaggio del genere sia di nuovo in libertà è inaccettabile, è un affronto per le vittime, per i caduti contro la mafia e per tutti i servitori dello Stato che ogni giorno sono in prima linea contro la criminalità organizzata. 25 anni di carcere sono troppo pochi per quello che ha fatto. È una sconfitta per tutti, una vergogna per l'Italia intera".
"La scarcerazione del "pentito" Giovanni Brusca è un atto tecnicamente inevitabile ma moralmente impossibile da accettare. Mai piú sconti di pena ai mafiosi, mai più indulgenza per chi si è macchiato di sangue innocente. Sono vicina ai parenti delle vittime, oggi è un giorno triste per tutti". Lo scrive su Twitter Mara Carfagna, ministro per il Sud e la Coesione territoriale.
"La scarcerazione di #Brusca riapre una ferita dolorosa per tutto il Paese. Una vergogna senza pari, un insulto alla memoria di chi è caduto per difendere lo Stato. Serve subito una nuova legge sull'ergastolo ostativo. Nessun passo indietro davanti alla #Mafia." Lo scrive in un tweet la vice presidente del Senato Paola Taverna. "Notizie del genere fanno male, tanto male. La legge è legge e va rispettata ma il dolore nel pensare #Brusca libero resta. Il mio pensiero in questo momento va agli eroi, famosi e meno, che hanno lottato la mafia e dato la vita per assicurare gente come lui alla giustizia", sottolinea sempre su twitter il deputato M5S Stefano Buffagni.
Ansa
sabato 9 gennaio 2021
Viareggio, la prescrizione cancella la strage. - Marco Grasso
In Cassazione. Ribaltato l’Appello: 11 condanne su 33 imputati, l’omicidio colposo è confermato ma estinto. Nuovo processo per l’ex ad Mauro Moretti. I parenti: “Una vergogna”.
È uno strano destino quello che fa finire questa giornata poco lontano dal luogo in cui è iniziato tutto. Non in un’aula di tribunale, ma nella sede della Croce Verde di Viareggio. A qualche centinaio di metri da via Ponchielli, a ridosso della stazione. Il teatro del disastro ferroviario in cui il 29 giugno 2009 hanno perso la vita 32 persone, investite dalle fiamme mentre stavano dormendo nelle loro case: il deragliamento di un treno merci con 14 carri pieni di gas gpl provoca un’esplosione che travolge tutto. Quando le prime voci frammentarie cominciano ad arrivare da Roma poco dopo le 14 nella sala cala una cappa di silenzio. I messaggi si rincorrono, c’è chi comincia a piangere al telefono. Qualcuno dalle ultime file urla “È una vergogna”. Altri se ne vanno prima di sapere che andrà a finire come sembra: le morti della strage di Viareggio resteranno impunite. Il primo a prendere la parola è Vincenzo Orlandini, marittimo. Il suocero invalido, Mario Pucci, 90 anni, è la vittima più anziana dell’incidente. Non poteva muoversi dal letto. È morto con la badante, Ana Habic: “È un fatto di una gravità assoluta. Ci prenderemo tempo per analizzare la decisione. Ci risiamo: un’altra tragedia italiana insabbiata con la prescrizione”.
Pochi minuti e la notizia diventa ufficiale. La Corte di Cassazione ha annullato tutte le condanne confermate in primo e secondo grado, anche quella all’ex amministratore delegato del gruppo Ferrovie dello Stato Mauro Moretti. I giudici hanno fatto cadere infatti l’aggravante della violazione delle norme sulla sicurezza del lavoro. Questo fa sì che le accuse per omicidio colposo siano tutte prescritte. Rimane il disastro ferroviario. Ma ad alcune figure apicali il processo d’appello va rifatto. Anche se Moretti, paradossalmente, sarà l’unico a essere processato nuovamente per omicidio colposo, avendo rinunciato alla prescrizione. Mentre la caduta dell’aggravante grazia tutte le società coinvolte.
Daniela Rombi, che nella vicenda ha perso la figlia, ha scelto di attendere il verdetto davanti alla sede della Suprema Corte si lascia andare a un pianto disperato, che forse è l’immagine che più di ogni altra racconta questa giornata. A questo punto rompe gli indugi anche Marco Piagentini, 52 anni. Le sue cicatrici e la sua caparbietà sono una testimonianza vivente. Nell’incendio ha perso la moglie Stefania, 40 anni, e due figli, Lorenzo, 2 anni, e Luca, 4. Marco, con il corpo ustionato al 90%, è l’unico sopravvissuto della famiglia insieme al terzo figlio, Leonardo, che oggi ha 19 anni. Gli sguardi perduti che si cercano, finiscono inevitabilmente tutti su di lui: “Non ho risposte per tutto”, allarga le braccia. Anche adesso Piagentini chiede di mantenere la calma e di non buttarsi giù, anche se l’amarezza è tanta: “Sono senza parole – sospira – Oggi un colpo di spugna cancella due sentenze e undici anni e mezzo di lavoro di avvocati, magistrati e periti. È una vicenda orribile. E la conclusione è molto deludente: non siamo riusciti ad avere giustizia. La sensazione è di ritornare al Medioevo, quando la giustizia era fatta da pochi signori”.
Tutto il processo costruito dalla Procura di Lucca ruotava intorno alla carenza di manutenzione. L’origine dell’incidente sta nella rottura di un’assile: un perno fondamentale che teneva insieme le ruote del convoglio che ha ceduto. Era arrugginito, ma per ben due volte, invece di sostituirlo, era stato riverniciato. Non solo. Secondo due diverse sentenze, i treni che trasportavano materiale pericoloso viaggiavano ad alta velocità anche in prossimità di centri densamente popolati come via Ponchielli; i convogli erano sistematicamente messi su rotaia in violazione di norme sulla sicurezza risalenti agli anni ‘30; i macchinisti erano sprovvisti di alert antincendio; le carrozze non avevano carri scudo, cisterne cariche di materiali inerti che in caso di deragliamento dovrebbero proteggere gli altri vagoni.
La sottovalutazione di questi rischi, per i giudici dei due gradi di giudizio precedenti, è figlia delle politiche di risparmio di Ferrovie dello Stato, e di un sistema che ha portato negli anni alla compressione dei costi e alla parcellizzazione della manutenzione in una galassia di società italiane ed estere. Il gruppo, inoltre, non aveva un vero e proprio piano di rischio. Queste le ragioni che avevano portato alle condanne: 7 anni a Moretti, 6 anni agli ex ad di Trenitalia Vincenzo Soprano e Michele Mario Elia. E poi manager e tecnici di altre società coinvolte come Gatx Rail l’officina tedesca Jungenthal.
Le accuse di incendio doloso e lesioni gravissime erano già state prescritte in appello. Adesso tocca all’omicidio colposo, annullato senza rinvio. Per una parte dei 33 imputati la colpa nell’incidente è stata riconosciuta, ma andrà mitigata. Per altri, come Moretti, la Cassazione ha disposto un nuovo processo d’appello, per valutare le responsabilità nel disastro. I suoi difensori hanno sempre sostenuto che non potesse essere responsabile delle società controllate. La sua figura è oggetto di evocazione continua nell’evento organizzato dai familiari delle vittime, che spesso lo chiamano “mister X”. Un murale in via Ponchielli lo ritrae con la divisa da carcerato e lo slogan di Martin Luther King: “I have a dream”. La beffa più grande, dicono, è che la vittoria più sentita dell’associazione è la legge Viareggio, approvata dal ministro Bonafede, che se potesse essere applicata anche a questo caso impedirebbe la prescrizione. Finisce così, con la dignità di donne che ripiegano le magliette con i volti dei figli. Via dagli obiettivi, Piagentini si concede un abbraccio, così fugace da sembrare rubato. Domani la battaglia riparte. Oltre quel 29 giugno, giorno dei Santi Pietro e Paolo, protettori dei ferrovieri. Dettaglio che non conta più, perché per la Cassazione non è stato un incidente sul lavoro.
venerdì 30 ottobre 2020
Strage in chiesa a Nizza: 3 morti. L’assalitore veniva da Lampedusa. - Luana De Micco
Brahim Aouissaoui ha continuato a gridare Allah Akbar anche mentre la polizia lo fermava e lo trasferiva in ospedale, ferito, ma vivo. Poco prima, verso le nove del mattino, armato di un coltello, è entrato nella basilica Notre-Dame di Nizza dove si raccoglievano i fedeli e ha ucciso due persone. Una donna che pregava: il killer l’ha massacrata tentando di decapitarla.
L’altro era il sagrestano della chiesa, un laico di 45 anni, padre di due figli. È stato sgozzato. Una terza persona è stata attaccata, una donna di una trentina di anni, che è riuscita a fuggire, ma le sue ferite alla gola erano troppo gravi ed è morta poco dopo. Aouissaoui è stato identificato perché addosso gli è stato trovato un documento della Croce Rossa italiana. Il terrorista, un tunisino di 21 anni in situazione irregolare, è sbarcato il 20 settembre a Lampedusa. Si trovava su uno dei barconi, una ventina, arrivati quel giorno con decine di migranti tunisini a bordo. Era stato indagato per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e trasferito a Bari per le procedure di identificazione. “Non ci sono dubbi sul fatto che si tratti di un militante islamo-fascista”, ha detto il sindaco di Nizza, Christian Estrosi.
La spirale del terrore non sembra avere fine in Francia. Appena il 16 ottobre i francesi scoprivano con orrore la morte di Samuel Paty, un insegnante di Storia aggredito e decapitato da un giovane ceceno radicalizzato mentre usciva dalla scuola di Conflans-Sainte-Honorine, dove insegnava. Aveva tenuto una lezione sulla libertà di espressione e mostrato ai suoi allievi le caricature di Maometto pubblicate da Charlie Hebdo. Il clima di tensione che si è instaurato negli ultimi giorni tra Parigi e Ankara, coinvolgendo altri Paesi del mondo arabo, faceva temere. Una nota del ministero dell’Interno allertava sin da domenica del rischio di nuovi attacchi all’avvicinarsi della festa di Ognissanti, dopo gli appelli al “jihad individuale” intercettati sui media legati a al Qaeda. “I cattolici hanno il sostegno di tutta la Francia. La religione deve continuare a essere esercitata liberamente nel nostro Paese. Se siamo stati attaccati – ha detto Emmanuel Macron arrivando a Nizza ieri – è per i nostri valori”. Ai francesi ha chiesto di restare “uniti”, di “non cedere allo spirito di divisione”, come dopo l’omicidio di Samuel Paty. La giornata di ieri è stata caotica. Poco dopo le 11 è arrivata anche la comunicazione che ad Avignone un uomo aveva minacciato i passanti con un coltello ed era stato abbattuto dalla polizia. Nello stesso tempo, a Gedda, in Arabia Saudita, un uomo ha accoltellato una guardia del consolato di Parigi. Tutto questo nel giorno in cui i francesi aspettavano i dettagli del nuovo lockdown che entra in vigore oggi, deciso dopo l’impennata dell’epidemia.
Di fronte a una minaccia terroristica sempre più alta, Macron ha annunciato che l’allerta sarebbe stata elevata al livello massimo e il numero dei militari dell’operazione “Sentinelle” portato da tremila a settemila per garantire la sicurezza dei luoghi di culto e delle scuole, che resteranno aperte durante il lockdown.
Messaggi di solidarietà sono arrivati dal Papa, dai vescovi di Francia e dal Consiglio francese del culto musulmano, da numerosi capi di Stato, compreso Erdogan. Il ministro francese degli Esteri ha inviato un “messaggio di pace” al mondo musulmano. L’attacco della basilica rinvia al 26 luglio 2016 e a padre Jacques Hamel, sgozzato nella sua chiesa vicino a Rouen, mentre celebrava la messa. Ma anche all’attentato sul lungomare della stessa Nizza, colpita appena alcuni giorni prima, il 14 luglio 2016, da un camion lanciato sulla folla alla festa nazionale.
domenica 2 agosto 2020
Bologna, a 40 anni dalla strage “la luce in fondo al tunnel della verità. Dopo i mandanti ed esecutori bisognerà individuare gli ispiratori politici”. L’inchiesta sui mandanti massoni della P2 apre nuovi scenari. - Giovanna Trinchella
Paolo Bolognesi, il presidente dell'Associazione 2 agosto, non fa nomi ma è facile verificare che dal 30 luglio 1976 e fino a un anno prima dell'eccidio il premier fosse Giulio Andreotti (al suo quinto mandato) e fino al 18 ottobre 1980 a guidare il governo fosse Francesco Cossiga. Agli atti dell'indagine che vede il defunto Licio Gelli tra coloro che pagarano i Nar perché facessero esplodere l'ordigno documenti inediti e fino a poco fa "insabbiatI" che hanno introdotto gli inquirenti verso nuovi percorsi investigativi.