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venerdì 2 aprile 2021

Da Pomezia con furore. - Marco Travaglio

 

La spy story all’amatriciana del capitano di fregata Walter Biot da Pomezia, la spia che venne dall’Agro Romano arrestata a Spinaceto mentre vendeva terribili segreti Nato a due russi in cambio di 5mila euro in una scatola da scarpe per pagarsi il mutuo e le medicine, un merito l’ha avuto: restituirci i nostri Le Carré preferiti, al secolo Paolo Guzzanti fu Mitrokhin (Giornale), Claudia Fusani fu Pompa (Riformatorio) e Jacopo Iacoboni (Stampa). Tutti e tre sgomenti per una notizia inaspettata: in Italia ci sono spie russe. Ora manca solo che scoprano quelle nel resto del pianeta. Noi non vorremmo sconvolgerli con troppe sorprese tutte insieme, peraltro reperibili al cinema, in edicola, sul web e in libreria, ma si sospetta che s’aggirino per il mondo anche spie americane, inglesi, tedesche, francesi, cinesi, financo italiane. E da sempre. I nostri eroi invece parlano della spia che venne da Pomezia come di un caso unico nella storia. Il commissario Iacoboni lo spiega così: “Lo spionaggio russo in Italia si è intensificato nel 2018 col governo Lega-M5S e ha avuto un punto di svolta ulteriore nei controversi marzo e aprile 2020” con “la missione degli ‘aiuti russi’ per il Covid” . Chissà cosa spiavano quei 32 medici russi mentre fingevano di aiutare l’ospedale da campo a Bergamo, oltre alle scollature delle infermiere. Feltri jr. non ha dubbi: “militari che scorrazzavano in Italia, convocati dal nostro governo con Di Maio a fare da dama di compagnia”.

Sì, è vero, gli stessi Le Carré de noantri accusavano Conte di aver venduto l’Italia a Trump, cioè agli Usa. Sì, è vero, negli anni 60 e 70 la Fiat (editore della Stampa) trescava con l’Urss e negli anni 80 fu scoperto un italiaco spione dei sovietici all’Olivetti di De Benedetti (editore di Rep). Sì, è vero, B. (padrone del Giornale) è pappa e ciccia con Putin. Sì, è vero – lo scrive il commissario Iacoboni – negli ultimi mesi sono state beccate spie russe in Bulgaria, in Francia e in Olanda, dove non risultano governi grillini. Ma il problema per Feltri jr. sono “Beppe e Luigino divisi a Berlino”, anzi al Cremlino. Il loro “governo populista ha reso l’Italia anello debole della Nato” (Rep). Infatti ora – denuncia Iacoboni – c’è un’“offensiva di influenza russa sul vaccino Sputnik”, che in ogni fiala nasconde una microspia per tenerci d’occhio. Fortuna che con l’“atlantista” Draghi non passerà. Ma solo qui. La stessa Stampa annuncia: “Parigi e Berlino, vertice con Putin: ‘Pronti a collaborare su Sputnik’”. Hai capito Giuseppi e Giggino? Han subornato pure Macron e Merkel. Intanto Stampubblica, capofila dell’atlantismo nostrano, s’è battuta come una leonessa per riportare al governo B. e Salvini, i migliori amici di Putin. In cambio di 5mila euro in una scatola da scarpe? No, gratis. Furba, lei.

IlFattoQuotidiano

martedì 27 marzo 2018

Caso ex spia russa, l'Italia ha espulso i diplomatici russi obtorto collo. - Umberto De Giovannangeli


SOCHI, RUSSIA MAY 17, 2017: Italys Prime Minister Paolo Gentiloni (L) and Russias President Vladimir Putin attend a press conference following their meeting at the Bocharov Ruchei residence. Mikhail Metzel/TASS (Photo by Mikhail Metzel\TASS via Getty Images)

Il nostro Paese non vuole mettere all'angolo la Russia, Lega e Fratelli d'Italia parlano di grave errore. Silenzi da M5s e Pd. I sospetti del Nyt sulla linea di Roma.


Obtorto collo. Il latino corre in aiuto per spiegare come l'Italia stia affrontando la "guerra diplomatica" ingaggiata dall'Europa contro la Federazione Russa e il suo presidente-padrone: Vladimir Putin. Ufficialmente, tutti negheranno. Ma fuori dall'ufficialità, e con la garanzia dell'anonimato, fonti diplomatiche alla Farnesina e a Bruxelles, raccontano una storia più complessa e meno idilliaca di quello che parrebbe dalla conta di funzionari e/o spie russe che i Paesi dell'Unione hanno deciso di rispedire a casa, in risposta all'avvelenamento della ex spia russa Sergey Skripal e della figlia Yulia avvenuto lo scorso 4 marzo a Salisbury, nel Regno Unito, con un agente nervino.
A concordare la risposta europea, raccontano le fonti ad HP, sono state le premier di Germania, Angela Merkel, e Regno Unito, Theresa May assieme al presidente della Francia, Emmanuel Macron. Le prime due, racconta ancora la fonte, avrebbero voluto andar giù ancor più pesantemente, inasprendo le sanzioni economiche e commerciali contro Mosca, rispetto a quelle attuate al seguito dell'(irrisolta) crisi ucraina. "Ma su questo – dicono alla Farnesina – il premier Gentiloni ha fatto resistenza, riuscendo a stoppare l'iniziativa anglo-tedesca, ben vista dall'altra parte dell'Oceano". Di diplomatici, Francia e Germania ne hanno espulsi quattro a testa, così come la Polonia. Tre ciascuno da Repubblica Ceca e Lituania, mentre due da Italia, Spagna, Danimarca e Olanda. Uno a testa, per il momento, da Lettonia, Romania, Croazia, Ungheria ed Estonia. I Ventotto hanno anche richiamato l'Ambasciatore dell'Ue a Mosca per consultazioni. Il capo della delegazione dell'Ue nella Federazione Russa, Markus Ederer, è giunto a Bruxelles nel fine settimana, e ieri è stato a colloquio con l'Alto rappresentante dell'Unione europea per gli affari esteri e la politica di sicurezza, Federica Mogherini. Quanto alle misure adottate oggi, dall'entourage di "Lady Pesc" si ribadisce che tali misure sono conseguenziali a quanto deciso, unanimemente, al Consiglio europeo del 22 e 23 marzo.
Un riferimento che si ritrova nella nota diffusa dalla Farnesina, in cui si legge che "a seguito delle conclusioni adottate dal Consiglio Europeo del 22 e 23 marzo scorso, in segno di solidarietà con il Regno Unito e in coordinamento con partner europei e alleati Nato, il ministero degli Affari esteri e della Cooperazione Internazionale ha notificato oggi la decisione di espellere dal territorio italiano entro una settimana due funzionari dell'ambasciata della Federazione russa a Roma accreditati in lista diplomatica". Sono 14 gli Stati membri della Ue ad aver preso finora il provvedimento "come seguito" di quanto deciso al vertice Ue della settimana scorsa, ha affermato il presidente del Consiglio Europeo Donald Tusk, aggiungendo che "altre espulsioni non sono da escludere nei prossimi giorni e settimane". Farnesina e Palazzo Chigi non confermano né smentiscono, ma la linea che s'intende seguire sarebbe quella della "prudenza". In altri termini, vorremo fermarci a due cartellini rossi, peraltro sventolati a due funzionari non propriamente "apicali".
Tutti gli espulsi hanno una settimana di tempo per lasciare i relativi Paesi. Un'azione congiunta per la quale esulta il governo britannico, dal ministro degli Esteri Boris Johnson a quello della Difesa Gavin Williamson. "La straordinaria risposta internazionale dei nostri alleati – ha detto Johnson – rappresenta la più grande espulsione collettiva di agenti dell'intelligence russa nella storia e ci aiuterà a difendere la nostra sicurezza. La Russia non può violare impunemente le norme internazionali". L'Italia è tra i Paesi europei che più hanno patito le conseguenze sanzionatorie. Ma la ragione del nostro freno non è solo dettata da interessi, economici e commerciali, nazionali. E le fonti diplomatiche spiegano i perché: "Restiamo convinti – dicono – che la Russia è un partner cruciale per la stabilizzazione di aree esplosive come il Nord Africa e il Medio Oriente, e a questo va aggiunto che le conseguenze negative della corsa al riarmo ingaggiata da Usa e Russia ricadrebbero soprattutto sull'Europa". Su questo, rimarcano ancora le fonti, c'è una visione "trasversale" comune alle maggiori forze politiche italiane: ognuna con le proprie motivazioni e accenti, il Movimento 5 Stelle, la Lega di Salvini, il Pd e Forza Italia convergono nel ritenere la Russia un interlocutore che non può e non deve essere messo all'angolo. Un punto di vista che non è particolarmente gradito nelle altre cancellerie europee che contano e tanto meno alla Casa Bianca.
Con un editoriale sul New York Times, Frank Bruni, una delle firme più autorevoli del NYT, ha dato voce e visibilità esattamente a un timore che non investe solo l'amministrazione Trump: : lo spostamento dell'asse di riferimento del Paese a netto favore di Vladimir Putin. "L'Italia ha abbandonato l'America. Per la Russia", il titolo eloquente. Una forzatura, certo, ma che mette in rilievo il rischio di una "etichettatura" negativa per l'Italia da parte, interessata, di Washington e, sia pure in modo meno esplicitato, di Londra, Parigi e Berlino: quello del Paese più "putiniano" del Vecchio Continente.
Un passo indietro nel tempo. "Abbiamo sostenuto la fiducia delle imprese italiane nelle aziende russe e in questo Paese". Mosca, 17 maggio 2017. Così il presidente del Consiglio Paolo Gentiloni in una conferenza stampa con il presidente russo Vladimir Putin commentava i rapporti diplomatici tra il nostro Paese e la Russia. Poi Gentiloni fissò un obiettivo: "Tra Italia e Russia ci sono aree di cooperazione nella lotta al terrorismo e nella gestione di alcuni crisi regionali. Penso alla Libia, alla Siria e all'Afghanistan nelle quali Italia e Russia possono e devono collaborare", disse il premier italiano. "Abbiamo minacce in comune e dobbiamo rispondere in comune", aggiunse il premier. A questo punto, Gentiloni ha anche parlato delle sanzioni alla Russia: Dal nostro punto di vista lo sforzo che abbiamo sempre fatto e continueremo a fare è quello di sottolineare che non può esserci un automatismo nel rinnovo delle sanzioni alla Russia. Bisogna fare una discussione seria, con l'obiettivo di mantenere unita l'Unione europea ma maturando queste decisioni, facendo un ragionamento serio".
L'Italia è per "attuare gli accordi di Minsk, ma dobbiamo dirci come stanno le cose. L'Italia - aggiunse - è interessata a questo dossier. Nessuno pensi che l'Italia romperà in solitaria con i suoi alleati ma nessuno creda che le decisioni sul rinnovo delle sanzioni possano essere prese con il pilota automatico", concluse Gentiloni. "E' questa la linea su cui continuiamo ad attestarci – rimarcano ancora alla Farnesina – fino a nuovo ordine". E al nuovo primo ministro. Se dovesse toccare a Matteo Salvini, c'è da chiedersi se manterrà fede al "patto di amicizia" firmato a Mosca da Lega Nord e Russia Unita, il partito di Putin, definito di "cooperazione e collaborazione". Un accordo, spiegò in quell'occasione lo stesso Salvini, che mette in luce unità di intenti su "lotta all'immigrazione clandestina e pacificazione della Libia, lotta al terrorismo islamico e fine delle sanzioni contro la Russia, che sono costate all'Italia 5 miliardi di euro e migliaia di posti di lavoro persi". Era il 6 marzo 2017. E la linea è rimasta la stessa. Tanto da meritare un elegiaco pezzo di Sputnik Italia, il sito "putiniano, solerte nell'indicare chi sono nel Belpaese i "veri amici" di Mosca.
"Al governo non avrei fatto una scelta del genere", ha detto Matteo Salvini commentando l'espulsione dall'Italia di diplomatici russi in risposta all'avvelenamento della ex spia russa Sergey Skripal e della figlia avvenuto lo scorso 4 marzo a Salisbury nel Regno Unito. "Leggere che invece che riannodare i fili del dialogo il governo italiano subisce la richiesta, che arriva da altri, ed espelle diplomatici russi - ha concluso a margine del consiglio comunale di Milano - mi sembra una cosa poco utile a un futuro di dialogo e convivenza". Non da meno gli è Giorgia Meloni. "E' inaccettabile che un Governo dimissionario decida di espellere due funzionari dell'ambasciata russa", dichiara la leader di Fratelli d'Italia che parla degli "ultimi colpi di coda di un Governo asservito alla volontà di Stati esteri che per fortuna sarà messo presto nelle condizioni di non nuocere più gli interessi nazionali italiani". Chissà che ne pensano dalle parti di Washington e di Berlino.

giovedì 3 gennaio 2013

"Stato-mafia, spiati i pm dell'inchiesta": il mistero del dossier che scuote Palermo. - Attilio Bolzoni e Salvo Palazzolo


"Stato-mafia, spiati i pm dell'inchiesta":  il mistero del dossier che scuote Palermo


Una lettera anonima fatta arrivare a uno dei sostituti procuratori che si occupano dell'inchiesta sulla trattativa. Nella missiva, ricostruzioni considerate affidabili e accuse: "Un carabiniere rubò l'agenda rossa di Borsellino". Il "protocollo  fantasma" afferma anche che fu nascosto l'archivio del covo di Riina. Ora la Procura vuole indagare.

PALERMO - È una lettera anonima quella che sta aprendo un nuovo fronte d'indagine sulla trattativa fra Stato e mafia. Avverte i magistrati di Palermo che sono spiati, indica dove trovare altre prove del patto, fa i nomi di vecchi uomini politici che potrebbero sapere molto. E denuncia che l'agenda rossa di Borsellino è stata rubata "da un carabiniere". 

L'inchiesta giudiziaria più tormentata di questi mesi si sta ancora rimescolando e rovista adesso in quelle che l'anonimo definisce "catacombe di Stato". Le ultime inedite indicazioni sono in uno scritto che gli investigatori valutano come "attendibile", studiato e steso da qualcuno estremamente informato, uno "dal di dentro" sospettano i pubblici ministeri di Palermo che hanno ordinato accertamenti su tutti i punti segnalati dall'anonimo. Lui, definisce la sua lettera "un esposto". L'ha spedita il 18 settembre scorso a casa di Nino Di Matteo, uno dei sostituti procuratori che insieme ad Antonio Ingroia hanno cominciato l'indagine sulla trattativa. 

Sono dodici pagine con lo stemma della Repubblica italiana sul frontespizio. L'autore, alla sua lunga lettera ha attribuito - come nei documenti ufficiali - una sorta di numero di fascicolo. È in codice: "Protocollo fantasma". 

Se sia tutto vero ciò che scrive o al contrario un tentativo di depistaggio si scoprirà presto, di sicuro al momento i funzionari della Dia di Palermo e quelli di Roma stanno raccogliendo riscontri intorno ai "suggerimenti" dell'anonimo. Uno che sembra a conoscenza di tanti segreti, come se avesse partecipato personalmente ad alcune operazioni poliziesche o sotto copertura. Questi dodici fogli ricordano tanto quell'altra lettera senza firma arrivata fra la strage Falcone e la strage Borsellino nell'estate del 1992 (e recapitata a 39 indirizzi fra i quali il Quirinale, le redazioni dei quotidiani italiani, il Viminale), la prima carta in assoluto dove si faceva cenno a "un accordo" fra Stato e mafia. Annunciando avvenimenti poi accaduti. Come l'arresto del capo dei capi Totò Riina.

Ma adesso vi raccontiamo cosa c'è esattamente nell'ultimo anonimo palermitano. Finisce con una frase misteriosa destinata al magistrato Di Matteo: "Tieni sempre in considerazione che sto lavorando con te, nelle tenebre". E annota subito dopo, in latino: "Impunitas semper ad deteriora invitat". L'impunità invita sempre a cose peggiori. 

Comincia invece con una cronistoria dei cadaveri eccellenti di Palermo: dall'omicidio del segretario del Pci siciliano Pio La Torre - il 30 aprile 1982  -  fino alla mancata cattura di Bernardo Provenzano dell'ottobre 1995 nelle campagne di Mezzojuso, probabilmente per una soffiata. In mezzo le bombe di Capaci e di via D'Amelio. Poi si addentra nel particolare. Iniziando dai pm che indagano sulla trattativa. 

Li mette in guardia da "uomini delle Istituzioni" che li stanno sorvegliando. "Canalizzano tutte le informazioni che riescono ad avere sul vostro conto", scrive. E dice che li riversano "a Roma", in una non meglio identificata "centrale". Fra gli spioni  -  sostiene l'anonimo  -  anche alcuni magistrati. Di certo, strani movimenti si sono registrati a Palermo in queste settimane. Uno, a metà dicembre. Qualcuno è arrivato fin sul pianerottolo dell'abitazione del sostituto Di Matteo, lavorando dentro una cassetta elettrica. Se ne sono accorti i carabinieri della scorta. Nessuno nel condominio aveva disposto lavori nel palazzo, e in quel fine settimana il magistrato era fuori città. Un intruso sapeva anche questo.

Torniamo all'anonimo. Spiega dove cercare nuove prove sul patto. Usa queste parole: "Ci sono catacombe all'interno dello Stato sepolte e ricoperte di cemento armato, ma alcune verità si possono ancora trovare". E specifica i luoghi. Segue una lista di nomi. Uomini politici della prima Repubblica, grandi e piccoli, tutti mai sfiorati fino ad ora dalle investigazioni sulla trattativa. Consiglia di seguire certe tracce, il suo linguaggio è quello di un "addetto ai lavori". Gli investigatori sono convinti che si tratti di qualcuno che, all'inizio degli anni '90, abbia lavorato in qualche reparto investigativo. Conosce minuziosamente alcune vicende. Come quella della cattura di Totò Riina, la mattina del 15 gennaio del 1993. Garantisce che il covo del boss, nel quartiere dell'Uditore, sia stato visitato da qualcuno prima della perquisizione del procuratore Caselli. E ripulito di un tesoro, l'archivio del capo dei capi di Cosa Nostra. "Nascosto a Palermo per qualche tempo e poi portato via", scrive ancora l'anonimo. 

E infine dice di sapere chi ha rubato dalla sua borsa l'agenda rossa di Paolo Borsellino, quella sulla quale il procuratore segnava tutto ciò che vedeva e sentiva dalla morte del suo amico Giovanni Falcone. "L'ha presa un carabiniere", giura l'autore della lettera. 

Già qualche anno fa un colonnello dei carabinieri, Giovanni Arcangioli, era stato messo sotto accusa dai magistrati di Caltanissetta per avere trafugato l'agenda. L'ufficiale era stato fotografato, in via D'Amelio, con la borsa fra le mani. Ma aveva sempre sostenuto di non sapere nulla dell'agenda. Prosciolto dal giudice in fase d'indagine preliminare e prosciolto poi dalla Cassazione, il colonnello è uscito definitivamente dall'inchiesta. In questi ultimi mesi i pm di Caltanissetta (quelli che indagano sui massacri di Palermo) hanno però ricominciato a visionare un filmato del dopo strage, ricostruito con tutte le immagini ritrovate negli archivi televisivi. Cercano sempre l'uomo dell'agenda rossa. E sospettano sempre che sia uno degli apparati investigativi. La caccia è ripartita.

Cosa aggiungere sull'ultimo anonimo? Le indagini, che sembravano solo aspettare il verdetto del giudice Piergiorgio Morosini sulla richiesta di rinvio a giudizio di quei 12 imputati eccellenti prevista per la fine del mese, hanno ricominciato ad agitarsi dopo le confessioni del misterioso personaggio senza volto. Uno che viene dal passato di Palermo.




http://www.repubblica.it/cronaca/2013/01/03/news/stato_mafia_anonima_lettera-49835506/?ref=HREC1-4