Esclusivo. Dai tempi di B. e Putin, 11 anni fa, il gruppo può dislocare dirigenti al ministero e viceversa. Così è parte della nostra diplomazia.
C’è un accordo riservato che mette nero su bianco il segreto di pulcinella della politica estera italiana. È un protocollo d’intesa stipulato tra il ministero degli Esteri ed Eni nel 2008, finora mai pubblicato. Spiega in concreto perché il colosso petrolifero di San Donato, controllato dal Tesoro, non è una società privata come tutte le altre. L’accordo concede infatti a Eni un privilegio particolare: stanziare un proprio “funzionario” presso il ministero degli Esteri per un periodo di due anni rinnovabile all’infinito e, reciprocamente, avere nei propri uffici un “funzionario diplomatico” della Farnesina. Insomma Eni e governo italiano si scambiano pedine, così da “rafforzare il raccordo tra l’azienda e il ministero degli Affari Esteri”, dice l’accordo. In più, il gruppo privato e la Farnesina si sono impegnati a scambiarsi informazioni “sulla realtà economica, istituzionale e sociale dei Paesi oggetto di interesse”.
Lo rivela un rapporto intitolato “Tutti gli uomini del ministero” firmato da Re:Common, associazione italiana che da anni monitora l’attività di Eni nel mondo e ha, tra le altre cose, dato il via con le proprie denunce alle inchieste condotte dalla Procura di Milano per casi di sospetta corruzione in Nigeria e Repubblica del Congo. “In veste di principale compagnia energetica italiana, Eni gode di un peso rilevante sulla politica estera del nostro Paese. La protezione degli asset petroliferi del Cane a sei zampe ha motivato persino alcune delle missioni militari in cui è tuttora impegnato l’esercito italiano”, scrive Re:Common nell’introduzione del suo rapporto. Che il confine tra Eni e lo Stato italiano sia sempre stato sottile non è un segreto. “L’Eni è oggi un pezzo fondamentale della nostra politica energetica, della nostra politica estera, della nostra politica di intelligence. Cosa vuol dire intelligence? I servizi, i servizi segreti”, disse in tv nel 2014 Matteo Renzi, appena eletto presidente del Consiglio, scatenando le proteste dell’opposizione. La frase di Renzi “potrebbe essere usata da qualunque concorrente, all’estero, per bloccare contratti o gare”, commentò ad esempio Guido Crosetto, coordinatore di Fratelli d’Italia. Ma non è solo una questione commerciale. Prendiamo il caso di Giulio Regeni. Che peso ha avuto finora Eni, che in Egitto ha enormi interessi economici, nella decisione del governo italiano di non rompere i rapporti con il regime di al-Sisi? È uno dei tanti temi toccati dal rapporto di Re:Common, così come quello delle negoziazioni sul clima. “Quello in corso sarà un anno fondamentale per la politica energetica italiana”, scrive l’associazione, “e il nostro Paese avrà la co-presidenza della prossima COP 26 e quella del G20. Un tema centrale sarà proprio quello dei finanziamenti pubblici in nuovi progetti fossili. Viene da chiedersi però quali siano le possibilità concrete che l’esecutivo smetta di finanziare i devastanti progetti di Eni, fintanto che la compagnia godrà di una posizione privilegiata all’interno della stessa cabina di regia incaricata di coordinare la posizione dell’Italia nell’ambito di questi negoziati”. L’associazione ha scoperto quali sono i dipendenti Eni distaccati alla Farnesina. E due di questi avrebbero partecipato alle riunioni del ministero svoltesi in vista delle negoziazioni internazionali sul clima. Si tratta di Alfredo Tombolini, distaccato alla Farnesina dal 2016 al 2019, e di Sandro Furlan, oggi ancora in carica. Secondo Re:Common, i due manager hanno partecipato ad almeno tre riunioni delle cabine di regia su “Energia” e “Ambiente e Clima” tenutesi tra il dicembre del 2019 e la scorsa estate. Il problema, secondo l’associazione, è che così facendo la politica italiana rischia di essere troppo influenzata da Eni.
Il protocollo d’intesa tra l’azienda e il ministero dura ormai da 13 anni. È stato firmato nel settembre del 2008, quando a capo del governo c’era Silvio Berlusconi e sulla poltrona di amministratore delegato di Eni sedeva Paolo Scaroni. Due anni prima l’azienda aveva firmato con la russa Gazprom un contratto di fornitura di gas con scadenza 2035. “Visto il lungo radicamento della società in Russia e gli ottimi rapporti di cui gode con il Cremlino, Berlusconi vide in Eni un asset formidabile per la sua politica estera, tanto da permettere alla compagnia petrolifera di insediare i propri funzionari all’interno della Farnesina”, scrive Re:Common. Di sicuro il primo manager Eni distaccato al ministero degli Esteri è stato Giuseppe Ceccarini, fino ad allora responsabile delle relazioni istituzionali con la Russia per il Cane a sei zampe.