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giovedì 10 marzo 2022

No law zone. - Marco Travaglio

 

Commosso a favore di telecamera per l’eroica resistenza ucraina, il Partito Unico dell’Impunità Pd-Lega-FI-FdI-centrini approfitta della distrazione generale per combattere l’unica guerra che non comporta rischi, ma solo vantaggi: quella contro la Giustizia. In due mesi il Parlamento ha negato ai giudici l’autorizzazione all’arresto di Luigi “Giggino ’a Purpetta” Cesaro (senatore FI, imputato per camorra) e all’uso delle intercettazioni indirette di Cosimo Ferri (deputato Iv, sotto azione disciplinare al Csm per le cene con Palamara, Lotti&C.). Ha dichiarato insindacabile Carlo Giovanardi (ex deputato Ncd, imputato a Modena per “rivelazione e utilizzazione di segreti d’ufficio e minaccia o violenza a corpo dello Stato con l’aggravante di aver rafforzato l’associazione mafiosa”). Ha trascinato alla Consulta col conflitto di attribuzioni i pm di Firenze che hanno osato acquisire le chat di un privato cittadino a colloquio con Matteo Renzi (senatore Iv, imputato per finanziamento illecito nel caso Open). E ieri ha negato ai giudici di Roma l’autorizzazione all’uso delle intercettazioni indirette di Armando Siri (senatore leghista, imputato per due corruzioni). In tutti questi casi, escluso quello di Giovanardi, il Pd ha votato col fronte centrodestra-Iv, lasciando soli 5Stelle e LeU (con i rispettivi ex) a votare contro.

Una mano sporca lava l’altra e trasforma il Parlamento in una fabbrica di abusi di potere incostituzionali. La Costituzione vieta di intercettare senza autorizzazione i membri del Parlamento, non chi da fuori parla con loro. Ma, vista l’abitudine di molti eletti di commettere reati e di parlarne con i complici, Camera e Senato si sono inventati un’“immunità contagiosa” che copre anche i non parlamentari. Il caso Siri è tipico: nel 2018 il sottosegretario leghista viene beccato sei volte al telefono con l’imprenditore Paolo Arata (legato a un finanziatore di Messina Denaro e intercettato) a parlare di norme e altri favori ai suoi affari nell’eolico: Conte lo caccia. Ieri il Senato, su richiesta del Pd, spacchetta le sei conversazioni in due voti: no alle prime due “per l’incerta e implausibile configurazione del requisito di necessità”; no alle altre quattro perché “la Procura poteva rendersi conto del coinvolgimento di un parlamentare e sospendere immediatamente le captazioni”. Due voti fuorilegge: sulla necessità di un’intercettazione decide il gip, non il Senato; ed è demenziale smettere di intercettare un soggetto intento a delinquere perché ogni tanto parla con un parlamentare (sennò a uno stragista, per evitare le intercettazioni, basterebbe fare il numero di un deputato). Mentre sproloquia di No fly zone, questa banda di impuniti si è già creata la No law zone.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2022/03/10/no-law-zone/6521092/

sabato 12 febbraio 2022

Amianto, la nuova legge è finita in un cassetto. Fu consegnata dagli esperti a giugno del 2020. Osservatorio nazionale: “7mila morti l’anno non bastano, al governo non interessa”. - Thomas Mackinson

 

La legge sull'amianto del 1992 non garantisce alle vittime tutele e giustizia. L'ex ministro Costa aveva nominato una commissione (presieduta da Guariniello) che ha consegnato in tempi record una relazione, con tanto di articolato di legge. Poi cade il governo, e da un anno e mezzo non se ne sa nulla. Il presidente dell'Ona: "Manca la volontà politica, a qualcuno interessa più il nucleare". Ecco il testo dimenticato.

“Nel Pnrr non c’è quasi nulla. Il ministro Cingolani non ci convoca, né ci sconvoca. Della nostra bozza di riforma si son perse pure le tracce. Settemila morti l’anno, evidentemente, non bastano”. Parole di Ezio Bonanni, fondatore e presidente dell’Osservatorio nazionale sull’amianto (Ona) che arrivano proprio mentre il Parlamento celebra la simbolica iscrizione della tutela ambientale in Costituzione. Il giorno prima era riuscito a ottenere dal Tribunale di Genova l’ultimo indennizzo per i familiari di un operaio dello stabilimento Fincantieri di Riva Trigoso ucciso in sei mesi dal mesotelioma. Per Bonanni, però, non è tempo di festeggiare. Perché anche il “governo dei migliori” mette l’amianto sotto il tappeto. “Non c’è una vera agenda, nel recovery c’è giusto un incentivo per sostituire i tetti delle fattorie, nulla rispetto ai 40 milioni di tonnellate da bonificare. Nel superbonus 110% entra la rimozione amianto, ma solo se ristrutturi tutto. Tutti micro interventi, mentre serve una riforma strutturale che era pure già scritta, ma è finita nel nulla”.

L’Italia aveva l’occasione storica del recovery per affrontare questa grande battaglia di salute pubblica e ambientale che si trascina irrisolta dagli anni Novanta, quando la fibra fu messa al bando per legge, continuando però a mietere vittime. Solo il mesotelioma uccide ogni anno 7mila persone: considerato il periodo di latenza delle patologie asbesto-correlate, il picco delle morti cadrà intorno al 2028-2030, solo da lì inizierà una lenta decrescita dei casi. “Ma alla politica, a quanto pare, non importa” accusa Bonanni, che chiama in causa il ministro dell’ambiente: “Forse, lo dico col dovuto rispetto, a Cingolani sta più a cuore il nucleare”.

Bonanni pensa a un’altra occasione storica che si è persa per strada, di cui si sa poco o nulla. Due anni fa una speciale commissione di esperti, guidati dall’ex magistrato simbolo della lotta all’eternit Raffaele Guariniello, aveva lavorato alla stesura di una serie di proposte concrete di riforma organica della legge del ’92 che toccasse tutte le tematiche, gli aspetti giuridici, scientifici, sanitari, tecnici, procedurali, previdenziali e assistenziali per aggiornare la norma. “La commissione ha lavorato finché c’è stato il Conte II, da allora non è più stata convocata e né io né gli altri commissari sappiamo più niente. L’ultima riunione è del 15.12.2020, successivamente ho redatto una nota del 16.12.2020 alla quale non è stato dato alcun riscontro. A tutt’oggi attendiamo le determinazioni del Ministro”. Ma negli uffici di via Cristoforo Colombo si fatica pure a trovare quel testo.

A spingere per la riforma fu l’allora ministro dell’Ambiente Sergio Costa. A marzo del 2019, per decreto, nomina il gruppo esperti in materia. A presiederla è proprio Guariniello, l’ex magistrato che istruì l’omonimo processo a Torino, primo caso al mondo in cui i vertici aziendali vengono condannati. Anche Bonanni ne fa parte, insieme all’ex generale Giampiero Cardillo, nominati il 30 aprile 2019. Gli esperti si mettono al lavoro e a tempo record, meno di tre mesi dopo, presentano una corposa relazione con tanto di articolato di legge. “Guardi ho anche la data, era il 30 giungo 2020. Gli elaborati li consegnai di persona al ministro Costa, che ringrazio ancora per questa opportunità”, conferma Guariniello in un’intervista al fattoquotidiano.it in cui lancia l’allarme sul rischio di crescenti profili di impunità cui prestano il fianco le norme ora in vigore.

Fonti dell’ex segreteria del ministero spiegano : “Almeno la parte della relazione relativa agli aspetti penali e sanzionatori eravamo riusciti a inserirla nel collegato ambientale, poi ci fu la crisi di governo, e anche quella parte rimase al Dipartimento Affari Giuridici della Presidenza del Consiglio”. Da allora, non se ne sa più nulla. Guariniello non demorde: “Non è stato formalmente recepito come proposta di legge dal governo, auspico che si arrivi alla discussione parlamentare e confido molto nel lavoro delle commissioni. Sarebbe di aiuto alle tante comunità che aspettano risposte e giustizia, un giusto riconoscimento a tutti gli autorevoli membri della commissione che hanno profuso tanto impegno”. Prima però bisogna ripartire dal testo, impresa non proprio facile. Solo alla fine di un lungo giro di chiamate, con malcelato imbarazzo degli interlocutori, la bozza fantasma salta fuori dal cassetto (scarica).

E’ un documento di 58 pagine che riformula diversi articoli della 257/92 in modo da dare piena attuazione ad alcuni e aggiornare altri, alla luce delle conoscenze medico-scientifiche, epidemiologiche, giuridiche, economiche emerse in 30 anni. Tra gli altri, si prevedeva di bandire una volta per tutte l’amianto già posto in opera, facendo saltare le soglie di tolleranza limite. Di operare una stretta sui controlli delle dispersioni della lavorazione e degli smaltimenti, sull’obbligo di informazione alla autorità sanitarie elusi dalle imprese sottoposte oggi a una “sanzione meramente amministrativa di incerta applicazione”. Idem per gli adempimenti delle Asl che hanno compiti di vigilanza “non applicati sistematicamente”. Si ipotizza di rilanciare e sostenere le bonifiche con una strategia che integra finanziamento pubblico e credito di imposta per chi le fa, così da incentivare l’iniziativa privata. Di istituire un vero fondo per le vittime, pagato dagli inquinatori, che consenta l’indennizzo diretto da parte dello Stato che poi può rivalersi. Tema sentitissimo dalle associazioni delle vittime che se riconosciute tali dall’Inail devono poi sostenere lunghe cause per avere ragione di chi li ha fatti ammalare. “Oggi – spiega Bonanni, che in 20 anni ne ha patrocinate migliaia – siamo al paradosso per cui l’avvocato serve alla vittima, non a chi la uccide”.

E ancora: istituire una Procura nazionale sulla sicurezza del lavoro, operare una “radicale trasformazione della fattispecie criminosa che oggi si limita all’ammenda punita con contravvenzione”, rafforzare le pene legate all’inosservanza degli obblighi dei privati, alla punibilità degli enti e amministratori pubblici. Rivedere il sistema di sorveglianza e prevenzione epidemiologica. “Oggi censisce solo il mesotelioma, non le altre sostanze cancerogene. Il VI Rapporto risale all’autunno 2018 ed è basato su dati 2014-2015. Con un sistema di rilevazione più puntuale, attuale ed efficace i dati già allarmanti renderebbero meglio la dimensione e la progressione della carneficina in atto”. L’elenco è lungo e variegato, ma a distanza di un anno e passa, è ancora tutto sulla carta. Tanto caro agli attuali governanti che si fatica pure a trovarlo.

https://www.ilfattoquotidiano.it/2022/02/12/amianto-la-nuova-legge-e-finita-in-un-cassetto-fu-consegnata-dagli-esperti-a-giugno-del-2020-osservatorio-nazionale-7mila-morti-lanno-non-bastano-al-governo-non-interessa/6487520/

giovedì 6 febbraio 2020

Ecco a chi serve la prescrizione.



















Prescrizioni già ottenute da Berlusconi:
-1) Lodo Mondadori
Corruzione semplice.
- 2) All Iberian 1
Finanziamento illecito ai partiti.
- 3) Consolidato Fininvest
Falso in bilancio.
- 4) Bilanci Fininvest 1988-1992
Falso in bilancio e appropriazione indebita.
- 5) Processo Lentini
Falso in bilancio.
- 6) Corruzione dell'avvocato David Mills[1]
Presunta corruzione dell'avvocato David Mills per indurlo a compiere una falsa testimonianza nei processi All Iberian e -Arces.
- 7) Unipol
Rivelazione di segreto d'ufficio.
- 8) Corruzione del senatore De Gregorio
Concorso in corruzione.

Naturalmente, poichè ha altri svariati procedimenti ancora pendenti ed è in grado di pagare profumatamente molti azzeccagarbugli, ambisce a mantenere la prescrizione.
Inoltre, se l'unica condanna definitiva comminatagli riguardava frode fiscale, falso in bilancio e appropriazione indebita, tutti reati commessi contro le istituzioni del paese che dovrebbe difendere in parlamento, come mai non è stato interdetto definitivamente da ogni incarico pubblico?
Troppi gli interrogativi per i quali non avremo mai risposte riguardo questo tristo individuo, ma è la storia del nostro martoriato paese.
C.
PS. elenco prescrizioni - wikipedia

venerdì 27 settembre 2019

Stragi, Silvio Berlusconi indagato anche per il tentato omicidio del pentito Salvatore Contorno (quand’era già stato eletto premier). - Giuseppe Pipitone

Stragi, Silvio Berlusconi indagato anche per il tentato omicidio del pentito Salvatore Contorno (quand’era già stato eletto premier)

Tra le 23 contestazioni della procura di Firenze ce n'è anche una assolutamente inedita: il tentato omicidio del collaboratore di giustizia del 14 aprile del 1994. All'epoca il leader di Forza Italia era stato già eletto presidente del consiglio da 16 giorni. A cercare di uccidere il pentito fu Gaspare Spatuzza, il killer più fidato dei fratelli Graviano. Che però all'epoca erano già stati arrestati.

È indagato per un tentato omicidio compiuto quando già sedeva a Palazzo Chigi. Ed è un omicidio con il quale – in linea teorica – non dovrebbe avere nulla a che fare. C’è anche il piano di morte del pentito Salvatore Contorno tra le accuse che hanno portato la procura di Firenze a iscrivere nel registro degli indagati il nome di Silvio Berlusconi. L’informazione è contenuta nella relazione di due pagine prodotta dagli avvocati dell’ex premier agli atti del processo sulla Trattativa Stato-mafia, in corso davanti alla corte d’Assise d’Appello di Palermo. I giudici del capoluogo siciliano vorrebbero sentire la deposizione di Berlusconi, come richiesto dalla pubblica accusa e dalla difesa di Marcello Dell’Utri. I legali di Arcore, però, si sono opposti: in che veste deve essere sentito Berlusconi? In quelle di teste o da indagato di reato connesso, con la facoltà di non rispondere?
Le accuse di Firenze – I giudici siciliani decideranno il 3 ottobre prossimo, alla luce della documentazione depositata da Franco Coppi e Niccolò Ghedini. Gli avvocati di Berlusconi, infatti, hanno chiesto alla procura di Firenze di mettere nero su bianco se il loro assistito è ancora indagato per le stragi del 1993. Una notizia nota dall’ottobre del 2017, pochi mesi dopo la diffusione delle intercettazioni in carcere di Giuseppe Graviano. Due anni dopo la procura toscana conferma: Firenze indaga ancora su Berlusconi. Per la prima volta viene messo nero su bianco che l’ex presidente del consiglio è accusato di tutta la strategia stragista del 1993: dal fallito attentato contro Maurizio Costanzo alle bombe di Roma, Milano e Firenze. Berlusconi è già finito sotto inchiesta a Firenze e Caltanissetta per le stragi: per due volte è sempre uscito dalle indagini grazie a un provvedimento di archiviazione.
L’attentato a Contorno dopo l’arresto dei Graviano – Tra le ventitré contestazioni dei giudici fiorentini, però, questa volta ce n’è anche una assolutamente inedita: il tentato omicidio del pentito Contorno del 14 aprile del 1994. All’epoca Berlusconi era stato già eletto presidente del consiglio da 16 giorni. A cercare di uccidere Contorno – il secondo pentito più importante della storia di Cosa nostra dopo Tommaso Buscetta – furono Gaspare Spatuzza e gli altri uomini del gruppo di fuoco dei fratelli Graviano. Agli occhi dei boss di Brancaccio Contorno ha una colpa non emendabile: avrebbe partecipato all’eliminazione del loro padre, Michele Graviano. Quando Spatuzza si muove per eliminarlo, però, i fratelli Graviano sono già in carcere da tre mesi: vengono arrestati il 27 gennaio del 1994 e da allora non un solo colpo sarà sparato nella Penisola. “Lo sai cosa scrivono nelle stragi? Nelle sentenze delle stragi, che poi sono state assoluzione la Cassazione e compagnia bella: le stragi si sono fermate grazie all’arresto del sottoscritto“, dice a un certo punto lo stesso Graviano, intercettato in carcere nel 2017 col compagno di socialità, Umberto Adinolfi. Perché allora Spatuzza, ormai orfano del suo boss che gli aveva fino a quel momento indicato ogni obiettivo della strategia stragista, decide di rischiare provando a uccidere Contorno? Stiamo parlando dell’omicidio di un collaboratore di giustizia, nascosto a Formello, nei dintorni di Roma. Per provare ad ammazzarlo Spatuzza piazza nei dintorni della sua abitazione 70 chili di esplosivo, che però furono ritrovati dalle forze dell’ordine: il rischio di finire in galera per assassinare un vecchissimo nemico, insomma, era molto alto. Perché Spatuzza scelse di correrlo comunque quel rischio?
“Dell’Utri gli disse dove si trovava” – E dire che poco prima dell’arresto dei Graviano, lo stesso killer aveva discusso con il suo capo dell’eventuale eliminazione di Totuccio. Lo fa durante l’ormai noto incontro del 21 gennaio del 1994. “Incontrai Giuseppe Graviano all’interno del bar Doney in via Veneto, a Roma. Graviano era molto felice, come se avesse vinto al Superenalotto, una Lotteria. Poi mi fece il nome di Berlusconi. Io gli chiesi se fosse quello di Canale 5 e lui rispose in maniera affermativa. Aggiunse che in mezzo c’era anche il nostro compaesano Dell’Utri e che grazie a loro c’eravamo messi il Paese nelle mani. E per Paese intendo l’Italia”. A quel punto il pentito fa la sua proposta al suo capo: “Io ho provato a dire se non fosse il caso di occuparci di Totuccio Contorno, lo avevamo rintracciato a Roma ma Graviano disse lascia stare Contorno perché l’attentato ai carabinieri si deve fare lo stesso sia perché gli dobbiamo dare il colpo di grazia sia perché per Contorno dobbiamo trovare un tipo di esplosivo diverso” . Queste parole di Spatuzza dicono agli inquirenti due cose: Graviano non voleva che l’attentato all’assassino di suo padre fosse ricollegabile agli altri fatti di sangue compiuti in quei mesi, perché? E poi che i boss sapevano dove fosse nascosto Contorno – che era un collaboratore di giustizia – già tre mesi prima del tentato omicidio: come fanno a saperlo? “I Graviano dissero a mio padre che fu Dell’Utri, attraverso i servizi segreti deviati, a fargli sapere dove si trovava”, ha raccontato nei giorni scorsi durante il processo d’appello sulla Trattativa il pentito catanese Francesco Squillaci, che si è autoaccusato di 14 delitti senza mai essere stato chiamato in causa. Perché Dell’Utri avrebbe dovuto far sapere dov’era Contorno ai Graviano?
“Il politico di Milano sapeva dove erano i pentiti” – Una risposta gli investigatori sono andati a cercarla tra i vecchi verbali di un altro ex componente del gruppo di fuoco di Brancaccio: Pietro Romeo. Nel 1995 ha dichiarato di aver saputo da Francesco Giuliano (altro boss all’ordine dei Graviano) che “c’era un politico di Milano che aveva detto a Giuseppe Graviano di continuare a mettere le bombe. Il politico diceva di fare questi attentati a cose di valore storico, artistico“. E poi che il politico “doveva dare a Graviano Giuseppe indicazioni su dove erano custoditi i pentiti“. Sempre lo stesso politico “aveva entrature per arrivare a sapere dove erano tutti i pentiti“. Chi era questo “politico di Milano“? Romeo lo dirà l’anno dopo, nel 1996: mentre si trovavavano in un agrumeto di Ciaculli, nei dintorni di Palermo, Giuliano aveva chiesto “a Spatuzza se era Berlusconi la persona che c’era dietro gli attentati. Spatuzza aveva risposto di sì”. Dichiarazioni dirompenti, anche se quella pista sarà abbandonata dagli inquirenti fiorentini sulla base di altre deposizioni di pentiti.
I verbali di Cancemi e il Contorno sbagliato – Gli investigatori, però, continuano a interrogarsi su una domanda: perché Spatuzza avrebbe dovuto rischiare così tanto per uccidere Contorno, dopo l’arresto dei suoi capi? Gli stessi capi, che pochi giorni prima di finire in manette avevano indicato tra le priorità l’attentato contro i carabinieri – cioè quello fallito allo stadio Olimpico – e non l’assassinio del vecchio nemico mafioso. Tra le piste battute dagli inquirenti ce n’è una. Il 20 marzo del 1994 mancano sette giorni alle elezioni politiche. Il quotidiano Repubblica fa uno scoop: i verbali del pentito Totò Cancemi. Il boss di Porta Nuova parla di Berlusconi, di Dell’Utri, di Vittorio Mangano. E di strani ospiti che avrebbero trovato asilo “nella tenuta tra Milano e Monza“. Quale tenuta? Non si sa. Tra gli altri, dice Cancemi, vi trovarono rifugio “durante la latitanza i fratelli Grado e Contorno“. All’epoca gli investigatori pensarono subito che si trattasse di Totuccio Contorno. Che però ha negato subito: “No, non sono io. Credo che sia Giuseppe Contorno… In quegli anni lui aveva interessi a Milano con i Pullarà, Ignazio e Giovambattista”. Due settimane dopo cercarono di ammazzarlo a Formello. Ora per quel tentato omicidio è indagato anche Berlusconi.

martedì 19 marzo 2019

I DELITTI ELEGANTI. - Marco Travaglio

Risultati immagini per imane fadil e Berlusconi

Probabilmente Benito Mussolini non ordinò l’assassinio di Giacomo Matteotti: lui o chi per lui si limitò a far sapere ai suoi che quel deputato socialista, con le sue denunce sulla fine della democrazia e sulle corruzioni di alcuni gerarchi del neonato regime fascista, stava rompendo i coglioni. E, siccome Mussolini era circondato da delinquenti, qualcuno di essi si incaricò di risolvergli il problema alla radice, sequestrando e assassinando Matteotti. Da quel momento gli assassini divennero intoccabili. Infatti il processo fu dirottato a Chieti per la solita “legittima suspicione”, poi depistato e infine chiuso con le ridicole condanne a 5 anni per omicidio preterintenzionale di alcuni squadristi coinvolti come esecutori materiali, senza che se ne scoprisse il mandante. E il duce dovette coprire tutto e tutti, fino ad assumersi pubblicamente alla Camera “la responsabilità politica, morale e storica di tutto quanto è avvenuto”.
Probabilmente Giulio Andreotti non ordinò l’assassinio di Mino Pecorelli: lui o chi per lui si limitò a far sapere ai suoi che quel giornalista molto, troppo informato, con i suoi articoli sulla rivista OP e le sue allusioni agli affari e ai malaffari della cricca andreottiana, stava rompendo i coglioni. E, siccome Andreotti era circondato da delinquenti, qualcuno di essi si incaricò di risolvergli il problema alla radice, assassinando Pecorelli. Da quel momento gli assassini divennero intoccabili. Infatti le indagini furono depistate in ogni modo e il processo a Perugia, costellato di testimonianze false o reticenti come quello di Palermo, passò dalle assoluzioni in primo grado alle condanne in appello all’annullamento tombale in Cassazione.
Sicuramente Silvio Berlusconi non ha ordinato il probabile avvelenamento di Imane Fadil, la ragazza marocchina che nel 2009, a 25 anni, frequentò ben sei “cene eleganti” a base di bungabunga nella sua villa di Arcore e lo incontrò altre due volte in un ristorante milanese e in un’altra villa in Brianza. I testimoni B. di solito li compra, non li ammazza. E tutto poteva augurarsi, fuorché la morte di una teste-chiave del processo Ruby-ter (dov’è imputato, tanto per cambiare, per corruzione di testimoni) e il ritorno del bungabunga sulle prime pagine dei giornali. Infatti, negando le sentenze e persino l’evidenza, ha provato a smentire di aver mai visto Fadil. Ma purtroppo nessuno può escludere che c’entrino i vari ambienti criminali che lo circondano da quasi mezzo secolo, da Cosa Nostra alla massoneria deviata, dal sottobosco dell’eterna Tangentopoli ai gigli di campo di Putin.
Cioè che qualcuno abbia voluto fargli un favore non richiesto, o lanciargli un messaggio avvelenato per ricattarlo, o sputtanarlo, o ricordargli qualche promessa non mantenuta. Non sarebbe né la prima né l’ultima volta che chi si mette di traverso sulla sua strada ne patisce le conseguenze: domenica abbiamo ricordato la catena di terrificanti “coincidenze” toccate a una ventina di personaggi che sapevano troppo o gli davano noia o nominavano il suo nome invano. E ci siamo scordati di Maurizio Costanzo, ex maestro della P2, che il 14 maggio ’93, mentre tentava di dissuadere B. dall’entrare in politica, scampò per miracolo a un attentato mafioso ai Parioli: la prima autobomba di Cosa Nostra fuori dalla Sicilia. Agatha Christie diceva che “una coincidenza è una coincidenza, due coincidenze fanno un indizio, tre coincidenze fanno una prova”. Ora, può darsi che per B. non ne basti nemmeno una ventina. Ma questo riguarda i pm che stanno indagando sulla morte di Imane e ricostruendo le sue ultime ore prima del ricovero all’Humanitas. Un altro aspetto invece riguarda tutti noi, e non da oggi, ma da quando B. vinse le sue prime elezioni il 27 e 28 marzo 1994, esattamente 25 anni fa: le conseguenze politiche e morali dell’irruzione di quel po’ po’ di interessi affaristici e criminali nella vita dello Stato. L’inventore di Forza Italia, Marcello Dell’Utri, sta scontando ai domiciliari, per ragioni di salute, una condanna a 7 anni per concorso esterno in associazione mafiosa (e, altra coincidenza, aveva chiesto gli arresti ospedalieri all’Humanitas). L’altro regista dell’operazione, Cesare Previti, è stato radiato dal Parlamento, dall’avvocatura e dai pubblici uffici per due condanne a un totale di 7 anni e mezzo per corruzione in atti giudiziari. Lo stesso B. è pregiudicato per frode fiscale, pluriprescritto per altri gravi reati e tuttora indagato a Firenze, con Dell’Utri, per le stragi del ’93. E la lista dei delinquenti portati in Parlamento da questa fairy band e poi condannati è lunga chilometri. Eppure ci è voluta la morte terribile di quella povera ragazza per riportare l’attenzione sul versante criminale del berlusconismo. Da un anno, cioè da quando Pd e FI sono fuori gioco, è di gran moda rimpiangere il berlusconismo e rifargli la verginità in funzione anti-“populista”, descrivendo l’attuale governo – il primo deberlusconizzato della storia repubblicana – come il peggiore mai visto. Eugenio Scalfari, in campagna elettorale, disse che fra B. e Di Maio preferiva B. E Carlo De Benedetti giunse alla stessa conclusione. Lo scrittore Sandro Veronesi non vede l’ora di “firmare col sangue per il ritorno di Berlusconi”. Renzi dice che “dovremmo chiedergli scusa”. E ancora l’altro giorno, su Repubblica, Corrado Augias definiva il governo Conte “il peggiore della storia repubblicana”, perché, sì, B. è “amorale” (sic), ma “non ha scardinato le strutture dello Stato”, cosa che invece stanno facendo “questi homines novi”: ergo, “se la sola scelta possibile fosse tra un bandito consapevole e un fanatico ignaro di tutto sceglierei, tremando, il bandito”. Chissà chi preferirebbe Imane Fadil, se ancora potesse scegliere.

martedì 22 settembre 2015

Senato, la riforma regala ai sindaci l’impunità. Il Parlamento laverà i reati. - Thomas Mackinson

Senato, la riforma regala ai sindaci l’impunità. Il Parlamento laverà i reati


A differenza dei 74 consiglieri regionali "designati" dagli elettori, 21 sindaci saranno catapultati direttamente in Parlamento. I prescelti godranno così delle guarentigie degli onorevoli: non potranno essere perquisiti, intercettati e arrestati senza autorizzazione di Palazzo Madama. E per concedere questo privilegio i partiti faranno a gara.

Col Senato 2.0 di Renzi il primo cittadino di Venezia sarebbe ancora Giorgio Orsoni, oggi ai domiciliari per l’inchiesta sul Mose con richiesta di patteggiamento. Il Comune di Trani avrebbe ancora a che fare con il “comitato politico-affaristico” che pilotava gli appalti. Il suo sindaco, Luigi Riserbato, non sarebbe stato interdetto dai pubblici uffici e non si sarebbe mai dimesso. Nulla si sarebbe poi saputo di Calatafimi, comune del Trapanese dove Nicolò Ferrara deliberava le gare di giorno e prendeva la stecca di sera: perché tanto onesto e puro era da presiedere il “Consorzio per la legalità” e tenere seminari sulla corruzione in Prefettura. A inchiodarlo, ancora una volta, le intercettazioni.
E’ lungo, lunghissimo, l’elenco dei sindaci disarcionati in questi anni dalle inchieste giudiziarie. Presto però quell’elenco potrebbe accorciarsi di quel po’. Perché tra gli effetti collaterali della riforma del Senato che tiene banco da mesi c’è anche quello di concedere il privilegio dell’impunità ai primi cittadini d’Italia: niente più arresti, niente intercettazioni o perquisizioni per loro senza autorizzazione del Parlamento. Per cinque anni, a tutto beneficio della prescrizione. E’ l’effetto imprevisto di una piccola ma ingombrante “svista” del governo e delle competenti commissioni parlamentari: mentre sui 74 consiglieri regionali si cercano accordi per dar loro una parvenza di elettività col cosiddetto “listino”, nulla si dice a proposito di quei 21 sindaci, uno per regione più uno ciascuno per le Province autonome di Trento e Bolzano. Loro saliranno tutti sul Freccia Rossa diretto a Palazzo Madama, e non sarà il cittadino-elettore a rifornirli di biglietto né tantomeno a fermarli con le preferenze.
Poco importa ora se in questo  modo viene aggirata del tutto la disposizione con cui nel 1957 il legislatore aveva disposto l’incompatibilità tra le cariche di sindaco (sopra i 20mila abitanti) e di parlamentare. Perché nei successivi 58 anni i partiti hanno fatto spallucce catapultandone a dozzine (oggi, tra le grandi città: Biffoni a Prato, Decaro a Bari e Bitonci a Padova…). Il punto vero è che adesso una legge dello Stato – costituzionale per di più! – li spinge a forza in Senato e li mette tutti sotto l’ombrello delle guarentigie: significa, in soldoni, che un minuto dopo il giuramento sulle loro spalle calerà la coperta dell’immunità parlamentare, pur continuando a deliberare atti e concessioni in veste di sindaci. Fine degli arresti, zero intercettazioni, giammai perquisizioni senza il via libera del Senato.
In altre parole: i sindaci non saranno più sottoposti al controllo di legalità della magistratura, come gli altri cittadini. Che rubino o ricettino materiale pedopornografico (è successo a febbraio, a un sindaco del Salernitano) il destino delle loro vite sarà sottratto ai giudici ordinari e appeso al chiodo della Giunta per le autorizzazioni e dell’Aula, dove la ragion politica è riuscita a salvare Azzollini dall’arresto e Calderoli da un processo. Il primo, in fondo, doveva rispondere solo di associazione a delinquere. Il secondo d’aver paragonato un ministro a un gorilla. Non è questione di lana caprina: in ballo ci sono l’architettura istituzionale dello Stato e la classe di amministratori e politici locali più mediocre e corrotta di sempre.
E’ poi vero che il loro mandato terminerà con quello delle amministrazioni locali cui appartengono. E che quindi si dà per acquisita l’elettività indiretta per una sorta di “proprietà transitiva”: i cittadini eleggono i consiglieri regionali, questi a loro volta eleggono i sindaci-senatori. Ma la selezione fatta dai partiti e nelle urne non si è dimostrata un sostituto adeguato ai magistrati, né un antidoto alla corruzione della classe politica. Al punto che per arginare gli “impresentabili” messi in lista si è dovuto ricorrere a una “legge speciale”, la Severino, che ponesse limiti alla candidabilità dei condannati. E gli indagati? Fieramente resistono e in attesa di giudizio… si candidano.
Come il sindaco di Bolzano, per dire. Gigi Spagnolli (Pd) si è candidato per la terza volta rischiando il rinvio a giudizio ad urne aperte. Un domani potrebbe tranquillamente vestire i panni di senatore della Repubblica. Proprio in questi giorni la Procura sta chiudendo l’indagine a suo carico (abuso d’ufficio) in una vicenda di concessioni edilizie sospette, a favor di centro commerciale. Ecco, se passasse la riforma del Senato e fosse scelto in “quota Bolzano”, Spagnolli potrebbe riporre la pratica nel cassetto, congedare i suoi legali e fare “ciao ciao” con la manina ai pm mentre sale sul treno per Roma. Così, grazie alla riforma, per gli amministratori locali inguaiati si accenderà una lucina in fondo al tunnel: quelli che avessero un problema con la giustizia per quel che fanno da sindaci lo risolverà all’istante con le prerogative che hanno come senatori. Un incentivo a delinquere.
La Riforma della Costituzione disegnata dal Governo rischia così di consegnare alla storia il peggior Senato della Repubblica, zeppo di casi umani e giudiziari. Le ragioni affondano nella debolezza dell’impianto della legge che non abolendo il Senato ne tiene in vita un fantoccio sgonfio. Nel passaggio alla Camera sono evaporate in ordine: le “funzioni in via esclusiva” di intrattenere rapporti con la Ue, quella di controllo sui curricula delle authority, le competenze sui temi di bioetica, famiglia, diritti eccetera. Cosa resta? Quasi nulla.
E se il nuovo Senato nulla conta, questo il punto, anche chi lo compone conterà come il due di picche a briscola. Non solo. Essendo la carica sprovvista di obolo – perché la riforma occasione di risparmio vuol sembrare – non c’è neppure l’appeal del guadagno. Per tutte queste ragioni insieme l’investitura sarà percepita da chi la riceve come una vera iattura. E l’unica ragione per dedicarsi al pendolarismo romano, tolte di mezzo le altre, sarà il beneficio dell’immunità. Così, una volta capita l’antifona, sul treno per Roma si farà fatica a trovare posto.

martedì 17 giugno 2014

Presidente Renzi, perché non vuole fare sul serio contro il partito dell’impunità? - Paolo Flores d'Arcais



Il voto europeo in Italia ha un solo vincitore, anzi un solo nome: Matteo Renzi. […] 

Proprio perché “Matteo” ha sbancato, dato scacco matto, fatto en plein, inflitto il cappotto, o quale altra metafora si preferisca (astenersi “asfaltato”, per favore: stilisticamente disgustoso), il grande problema per lui comincia ora. Chi ha tutto il potere non ha più nessun alibi. Quello che non fa, va tutto a carico suo. 

Ora, il problema economico dell’Italia si chiama evasione fiscale, corruzione, mafia, il resto è epifenomeno. 


Una massa monetaria enorme, equivalente a una decina di “manovre fiscali” tipo “lacrime e sangue”, viene rapinata ogni anno da quei tre fenomeni. 

Grassazione gigantesca e permanente, che basterebbe aggredire significativamente (la metà, perfino un terzo della ricchezza comune saccheggiata), per disporre di risorse tali da soddisfare contemporaneamente aneliti alla sicurezza e pulsioni allo sviluppo, meno diseguaglianza e più crescita: salario di cittadinanza, incentivi a piccole e medie imprese, investimenti massicci in cultura istruzione e ricerca, boom di autostrade telematiche e di energie rinnovabili … e via riformando
Grassazione che, oltretutto, seleziona gli imprenditori seconda la capacità di “essere ammanicati” anziché secondo le tradizionali doti weberiane o schumpeteriane – propensione al rischio, innovazione, per non parlare della razionalità ascetica – distorcendo e ammorbando il mercato in direzione Mackie Messer. 

La chiave di volta della ripresa economica, per uscire dalla crisi economica, perciò, in Italia si chiama giustizialismo: una rivoluzione della legalità, intransigente nel colpire invischiati con mafie (o comunque corrivi), corrotti, evasori: cominciando dai piani alti, dai ricchi e potenti, politici finanzieri e imprenditori, dall’establishment insomma (altrimenti non è intransigenza, e rende il tartassato da Equitalia una vittima o un eroe). [En passant: giustizialismo e garantismo sono la stessa cosa, se i termini non vengono manipolati: la legge eguale per tutti, per l’ultimo dei “villani” e il primo di “lorsignori”. Poiché “giustizialismo” è stato usato da berlusconiani e inciucisti come anatema contro coloro che, semplicemente, “hanno fame e sete della giustizia” (beati, secondo Gesù, Matteo 5,6), assumiamolo con orgoglio, quel termine, facciamone una bandiera]. 

La stessa “rottamazione” delle forme più ottuse ma onnipervasive di burocratismo, e del familismo amorale che strangola in culla ogni meritocrazia, non verrà neppure avviata, senza una stagione di giustizialismo, che garantisca manette ai grandi evasori (in primis per conti cifrati all’estero), abrogazione della prescrizione dopo il rinvio a giudizio, introduzione del reato di intralcio alla giustizia, autoriciclaggio, ecc., oltre alle restaurazione e/o ampliamento e/o inasprimento per falso in bilancio, voto di scambio, aggiotaggio e tutta la panoplia dei crimini da colletti bianchi. 

Esattamente quanto Renzi NON intende fare. […] 

Renzi si racconta favole, se pensa di poter ammodernare il paese senza aggredire con roncola e anzi machete il viluppo affaristico/politico/criminale, senza bonificare la melmosa morta gora in cui sono avvilite le capacità imprenditoriali e santificate le rapacità criminali, tra “autorities” complici sempre e comunque, e una “informazione” simile alle tre scimmiette. La vigente “costituzione materiale” italiana, avvolgente muro di gomma che vede irresponsabilità burocratica, illegalità e favoritismo, saturare, in amorosi sensi, ogni poro della vita istituzionale e sociale. 

Renzi sembra intenzionato a fare qualche pulizia: dei piccoli privilegi, però, non dei grandi. Che si chiamano impunità, in tutte le sua articolazioni e proteiformi varianti. Giovanni Berneschi, boss finanziario di Banca Carige e “inamovibile vicepresidente dell’Abi”, proprio di questo si vantava in ogni telefonata (per fortuna intercettata) con i suoi pari della Specie (di cui la Casta è solo una sezione). Non si vantava, anzi: descriveva una situazione ambientale. Pensare che la stragrande maggioranza dei banchieri non si collochi – quanto a pratica della corruzione – nel corpaccione centrale della curva statistica di Gauss, non sarebbe neppure ingenuità ma volontà complice di non sapere. 

Agli albori della irresistibile ascesa di Matteo Renzi, scrivevamo (prendendolo molto molto sul serio, vista l’analogia): “Il liberale Gobetti sapeva che in Italia un capitalismo moderno, e una borghesia non di rapina, poteva affermarsi solo in alleanza con forze in rivolta morale e materiale contro l’esistente stato di cose. E il liberale Renzi, che anzi si picca di essere più progressista di un liberale tout court? La struttura di classe della società italiana è del tutto incomparabile con quella di quasi un secolo fa, va da sé, ma il problema delle alleanze, sociali e di opinione, si pone in modo fortemente analogo”. Il terreno ineludibile di questa alleanza si chiama giustizialismo, ma Renzi NON vuole scendere in questo campo, dove si gioca la partita decisiva. 

Post scriptum 

L’articolo che apre il prossimo numero di MicroMega (in edicola a metà giugno) è stato chiuso il 29 maggio. Prima del clamoroso “caso Mose”, e conseguente ultima retata di establishment. 

Tutte le donne e gli uomini del Presidente, e infine anche Renzi in prima persona, appena avuta notizia dei 35 arresti, hanno dichiarato la volontà di “tolleranza zero” verso la corruzione, e proclamano anzi che le misure che già stanno realizzando valgono come esempio e vanno in tale direzione. 

Purtroppo non è vero. La legge delega 67, del 28 aprile, già approvata alla Camera, elimina la carcerazione preventiva per reati con pene fino a cinque anni: se fosse stata approvata anche dal Senato, quelli del “Mose” sarebbero tutti a spasso a fare dichiarazioni contro la persecuzione giudiziaria! Approvarla ora sarebbe delinquenziale. Ma non risulta che lei, Presidente Renzi, abbia dichiarato che la 67/28 aprile muore qui. 

Lei, presidente Renzi, ha detto che la corruzione politica andrebbe punita come l’alto tradimento. Se davvero vuole mandare all’ergastolo i politici corrotti (l’ergastolo è infatti previsto per l’alto tradimento), non saremo certo noi “giustizialisti” a opporci. Tuttavia basterebbe assai meno. Con i fatti, però, non con le dichiarazioni per i Tg. 

Se lei vuole effettivamente combattere la corruzione ci sono misure stranote (e a costo zero) di sicura efficacia (proprio per questo l’establishment corrotto le ha sempre bloccate). Mi permetto di farle un succinto elenco (non esaustivo), noto anche ai sassi: 

(1) abrogazione della prescrizione non appena intervenga il rinvio a giudizio; 

(2) gare d’asta “chiuse”, senza possibilità di rivedere i costi in corso d’opera; 
(3) ritorno alla concussione prima dello “spacchettamento” (che ha diminuito le pene per i politici); 
(4) possibilità di intercettazione per tutti i reati corruttivi e “manageriali” (oggi solo se il massimo è superiore ai 5 anni); ritorno al falso in bilancio nella forma più severa degli scorsi decenni; 
(5) idem per la falsa testimonianza (un tempo era previsto l’arresto immediato in flagranza); (6) introduzione del reato di intralcio alla giustizia, con ampiezza di fattispecie e pene deterrenti di stile anglosassone; 
(7 … 12) mi fermo qui, ma altre misure analoghe sono perfettamente note, mentre solo l’autoriciclaggio sembra previsto da una prossima legge, e intanto la legge pseudo-antimafia ha poche settimane fa reso indagini e contrasto più ardui anziché più facili. 

Insomma, rinunci pure all’alto tradimento e relativo ergastolo, se si limitasse a una dozzina di provvedimenti veri come quelli che abbiamo richiamato l’Italia cambierebbe radicalmente verso. Mi permetto di dubitare che avrà il coraggio di adottare questa dozzina di misure. Se avessi torto ne sarei felice, e come me milioni di italiani onesti, e le chiederemmo scusa coram populo per aver dubitato della sua coerenza tra dire e fare.


(stralcio del lungo editoriale di Paolo Flores d’Arcais che aprirà il numero 4/2014 di MicroMega in uscita il 17 giugno.)

http://temi.repubblica.it/micromega-online/presidente-renzi-perche-non-vuole-fare-sul-serio-contro-il-partito-dell%E2%80%99impunita/