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giovedì 11 luglio 2019

Taglio parlamentari, ddl costituzionale approvato al Senato: 180 sì. Ora resta solo il voto finale alla Camera.

Taglio parlamentari, ddl costituzionale approvato al Senato: 180 sì. Ora resta solo il voto finale alla Camera

Il Senato ha approvato il ddl costituzionale sul taglio dei parlamentari. E’ il terzo via libera. Il testo passa alla Camera per per quello che potrebbe essere l’esame definitivo del provvedimento: la discussione è prevista a settembre. A votare la riforma che prevede la diminuzione dei seggi a 400 alla Camera e a 200 al Senato sono stati in 180 (per l’approvazione serviva la maggioranza assoluta di 161 voti favorevoli). Oltre alla maggioranza M5s-Lega si è aggiunto anche il gruppo di Fratelli d’Italia, come anticipato nei giorni scorsi dalla presidente del partito Giorgia Meloni. Contrari il Pd e il resto del centrosinistra (50 i no in tutto), mentre Forza Italia non ha partecipato al voto.
Luca Ciriani, capogruppo di Fratelli d’Italia, ha spiegato che la scelta di votare la riforma nonostante “molte lacune e criticità affatto risolte” è perché “è quello che abbiamo promesso ai nostri elettori in campagna elettorale e perché appartiene alla nostra storia”. “Non c’è una nuova maggioranza – ha chiarito Ciriani – La nostra resta un’opposizione di patria, non c’è stata nessun trattativa né scambio per chiedere alcunché”.
In Aula a Palazzo Madama per il voto molti ministri M5s: il vicepremier e leader del M5s Luigi Di Maio, il ministro per i Rapporti con il Parlamento Riccardo Fraccaro, il Guardasigilli Alfonso Bonafede e il ministro ai Trasporti Danilo Toninelli. Per la Lega erano presenti la ministra per la Funzione pubblica Giulia Bongiorno.

giovedì 7 luglio 2016

Referendum, Napolitano istruisce gli elettori: “Spero che i cittadini non vanifichino gli sforzi sulle riforme”

Referendum, Napolitano istruisce gli elettori: “Spero che i cittadini non vanifichino gli sforzi sulle riforme”

Il presidente emerito della Repubblica: "Su questa vicenda mi ci sono rotto la testa per quasi 9 anni. Ci sono delle imperfezioni, ma l'opera degli stessi costituenti non era perfetta e lo sapevano anche loro".

“Sì, ci sono delle imperfezioni, ma io ritengo che sia legittimo e auspicabile, e io me lo auguro fortemente, che la stragrande maggioranza dei cittadini non faccia ancora una volta finire nel nulla gli sforzi messi in atto in due anni in Parlamento”. Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano risponde al richiamo del presidente del Consiglio Matteo Renzi. Il leader del Pd, durante la direzione del partito, aveva fatto trasmettere i 3 minuti – ormai celebri – in cui l’allora capo dello Stato chiamato a un inedito mandato bis redarguiva il Parlamento di non aver fatto le riforme e, davanti, tutti gli eletti erano lì a spellarsi le mani. Ora il senatore a vita e presidente emerito rivendica quelle parole e rilancia, avvertendo i cittadini: “E’ auspicabile – dice – che la grande maggioranza dei cittadini non faccia finire nel nulla gli sforzi fatti dal Parlamento”. Il risultato del referendum sulla Brexit, insomma, insegna che dalle urne possono sempre uscire sorprese e questo può spaventare chi ha sostenuto finora le riforme costituzionali. Ancora di più dopo la polarizzazione della campagna elettorale che si è estesa dal merito della riforma alla stessa sopravvivenza del governo e al proseguimento dell’esperienza politica del presidente del Consiglio.
Quella di Napolitano d’altra parte è una posizione coerente, che è la base dei suoi due mandati da presidente della Repubblica e soprattutto ha ispirato la ragione sociale del governo Renzi: “Su questa vicenda delle riforme mi ci sono rotto la testa per quasi 9 anni” ha detto durante un intervento alla celebrazione del 70esimo anniversario della Cna. Napolitano ha sottolineato, tra l’altro, “l’opera degli stessi costituenti non era perfetta e lo sapevano anche loro”.
Napolitano racconta di aver passato quei 9 anni a “rompersi la testa”, ma anche a ricevere “dalle forze politiche perfino giuramenti fino alla fine della legislatura nel 2013 e poi riassumendomi la responsabilità al solo scopo di fare le riforme e quindi al di là dei perfezionismi, che dicono qua e là alcuni professori“. A proposito dei “perfezionismi”, Napolitano ha ricordato che “gli stessi costituenti riconobbero errori“: “Noi amiamo la Costituzione, i suoi principi, valori, indirizzi a cui non rinunceremo mai, ma nella seconda parte l’opera dei costituenti non è stata perfetta e lo sapevano anche loro”. Per questo motivo ora occorre “far prevalere il senso dell’interesse comune al di là del confronto fra forze diverse che si contrappongono per la guida del Paese: è questo lo spirito che deve continuare a guidarci – ha detto ancora l’ex capo dello Stato – non è qualcosa di impossibile, lo abbiamo saputo fare e dobbiamo mostrarci capaci di farlo ancora. E per liberarci di zavorre e questioni che ci impegnavano da tempo occorreva aprire una stagione di riforme“.
I primi a rispondere a Napolitano, incredibilmente, sono quelli di Forza Italia che all’inizio le riforme istituzionali le hanno scritte insieme al Pd e poi hanno ritirato il sostegno al testo dopo che i democratici hanno puntato su Sergio Mattarella come candidato al Quirinale. Secondo Francesco Paolo Sisto, deputato berlusconiano componente della commissione Affari costituzionali di Montecitorio, “l’ex presidente della Repubblica, ormai impegnato in una martellante campagna referendaria, è stato il protagonista, in negativo, di una tra le pagine più antidemocratiche della nostra storia repubblicana. Con lui è stata asfaltata la volontà popolare, ribaltato un governo scelto dagli elettori e steso un tappeto rosso all’arrivo di Monti“. “Non c’è dunque da stupirsi che oggi proprio Napolitano sostenga una riforma antidemocratica – conclude Sisto – che non appartiene affatto al Parlamento ma solo ad una parte di esso”. Per questo motivo per Sisto Napolitano è “il miglior testimonial per il no”.
Questa è un'altra persona di potere della quale non possiamo vantarci.
E' incomprensibile il suo arrogante atteggiamento da borioso comunista radical-chic.
Credo che sia sotto gli occhi di tutti chi è che comanda in Italia.
Renzi è solo un'esecutore di ordini - compensato con prestigio personale - Mattarella è una figura-ombra, l'alter ego della situazione, un semplice avatar. Chi tira le fila, il burattinaio, è sempre lui, Re-Giorgio, che impartisce ordini per il tramite della sua Boschi-donzella.

martedì 22 settembre 2015

Senato, la riforma regala ai sindaci l’impunità. Il Parlamento laverà i reati. - Thomas Mackinson

Senato, la riforma regala ai sindaci l’impunità. Il Parlamento laverà i reati


A differenza dei 74 consiglieri regionali "designati" dagli elettori, 21 sindaci saranno catapultati direttamente in Parlamento. I prescelti godranno così delle guarentigie degli onorevoli: non potranno essere perquisiti, intercettati e arrestati senza autorizzazione di Palazzo Madama. E per concedere questo privilegio i partiti faranno a gara.

Col Senato 2.0 di Renzi il primo cittadino di Venezia sarebbe ancora Giorgio Orsoni, oggi ai domiciliari per l’inchiesta sul Mose con richiesta di patteggiamento. Il Comune di Trani avrebbe ancora a che fare con il “comitato politico-affaristico” che pilotava gli appalti. Il suo sindaco, Luigi Riserbato, non sarebbe stato interdetto dai pubblici uffici e non si sarebbe mai dimesso. Nulla si sarebbe poi saputo di Calatafimi, comune del Trapanese dove Nicolò Ferrara deliberava le gare di giorno e prendeva la stecca di sera: perché tanto onesto e puro era da presiedere il “Consorzio per la legalità” e tenere seminari sulla corruzione in Prefettura. A inchiodarlo, ancora una volta, le intercettazioni.
E’ lungo, lunghissimo, l’elenco dei sindaci disarcionati in questi anni dalle inchieste giudiziarie. Presto però quell’elenco potrebbe accorciarsi di quel po’. Perché tra gli effetti collaterali della riforma del Senato che tiene banco da mesi c’è anche quello di concedere il privilegio dell’impunità ai primi cittadini d’Italia: niente più arresti, niente intercettazioni o perquisizioni per loro senza autorizzazione del Parlamento. Per cinque anni, a tutto beneficio della prescrizione. E’ l’effetto imprevisto di una piccola ma ingombrante “svista” del governo e delle competenti commissioni parlamentari: mentre sui 74 consiglieri regionali si cercano accordi per dar loro una parvenza di elettività col cosiddetto “listino”, nulla si dice a proposito di quei 21 sindaci, uno per regione più uno ciascuno per le Province autonome di Trento e Bolzano. Loro saliranno tutti sul Freccia Rossa diretto a Palazzo Madama, e non sarà il cittadino-elettore a rifornirli di biglietto né tantomeno a fermarli con le preferenze.
Poco importa ora se in questo  modo viene aggirata del tutto la disposizione con cui nel 1957 il legislatore aveva disposto l’incompatibilità tra le cariche di sindaco (sopra i 20mila abitanti) e di parlamentare. Perché nei successivi 58 anni i partiti hanno fatto spallucce catapultandone a dozzine (oggi, tra le grandi città: Biffoni a Prato, Decaro a Bari e Bitonci a Padova…). Il punto vero è che adesso una legge dello Stato – costituzionale per di più! – li spinge a forza in Senato e li mette tutti sotto l’ombrello delle guarentigie: significa, in soldoni, che un minuto dopo il giuramento sulle loro spalle calerà la coperta dell’immunità parlamentare, pur continuando a deliberare atti e concessioni in veste di sindaci. Fine degli arresti, zero intercettazioni, giammai perquisizioni senza il via libera del Senato.
In altre parole: i sindaci non saranno più sottoposti al controllo di legalità della magistratura, come gli altri cittadini. Che rubino o ricettino materiale pedopornografico (è successo a febbraio, a un sindaco del Salernitano) il destino delle loro vite sarà sottratto ai giudici ordinari e appeso al chiodo della Giunta per le autorizzazioni e dell’Aula, dove la ragion politica è riuscita a salvare Azzollini dall’arresto e Calderoli da un processo. Il primo, in fondo, doveva rispondere solo di associazione a delinquere. Il secondo d’aver paragonato un ministro a un gorilla. Non è questione di lana caprina: in ballo ci sono l’architettura istituzionale dello Stato e la classe di amministratori e politici locali più mediocre e corrotta di sempre.
E’ poi vero che il loro mandato terminerà con quello delle amministrazioni locali cui appartengono. E che quindi si dà per acquisita l’elettività indiretta per una sorta di “proprietà transitiva”: i cittadini eleggono i consiglieri regionali, questi a loro volta eleggono i sindaci-senatori. Ma la selezione fatta dai partiti e nelle urne non si è dimostrata un sostituto adeguato ai magistrati, né un antidoto alla corruzione della classe politica. Al punto che per arginare gli “impresentabili” messi in lista si è dovuto ricorrere a una “legge speciale”, la Severino, che ponesse limiti alla candidabilità dei condannati. E gli indagati? Fieramente resistono e in attesa di giudizio… si candidano.
Come il sindaco di Bolzano, per dire. Gigi Spagnolli (Pd) si è candidato per la terza volta rischiando il rinvio a giudizio ad urne aperte. Un domani potrebbe tranquillamente vestire i panni di senatore della Repubblica. Proprio in questi giorni la Procura sta chiudendo l’indagine a suo carico (abuso d’ufficio) in una vicenda di concessioni edilizie sospette, a favor di centro commerciale. Ecco, se passasse la riforma del Senato e fosse scelto in “quota Bolzano”, Spagnolli potrebbe riporre la pratica nel cassetto, congedare i suoi legali e fare “ciao ciao” con la manina ai pm mentre sale sul treno per Roma. Così, grazie alla riforma, per gli amministratori locali inguaiati si accenderà una lucina in fondo al tunnel: quelli che avessero un problema con la giustizia per quel che fanno da sindaci lo risolverà all’istante con le prerogative che hanno come senatori. Un incentivo a delinquere.
La Riforma della Costituzione disegnata dal Governo rischia così di consegnare alla storia il peggior Senato della Repubblica, zeppo di casi umani e giudiziari. Le ragioni affondano nella debolezza dell’impianto della legge che non abolendo il Senato ne tiene in vita un fantoccio sgonfio. Nel passaggio alla Camera sono evaporate in ordine: le “funzioni in via esclusiva” di intrattenere rapporti con la Ue, quella di controllo sui curricula delle authority, le competenze sui temi di bioetica, famiglia, diritti eccetera. Cosa resta? Quasi nulla.
E se il nuovo Senato nulla conta, questo il punto, anche chi lo compone conterà come il due di picche a briscola. Non solo. Essendo la carica sprovvista di obolo – perché la riforma occasione di risparmio vuol sembrare – non c’è neppure l’appeal del guadagno. Per tutte queste ragioni insieme l’investitura sarà percepita da chi la riceve come una vera iattura. E l’unica ragione per dedicarsi al pendolarismo romano, tolte di mezzo le altre, sarà il beneficio dell’immunità. Così, una volta capita l’antifona, sul treno per Roma si farà fatica a trovare posto.

venerdì 23 gennaio 2015

Anomalie, mostri e mostriciattoli stanno smontando la Repubblica”. - Pancho Pardi



Tre ano­ma­lie
1) Le re­vi­sio­ni co­sti­tu­zio­na­li do­vreb­be­ro na­sce­re dal Par­la­men­to. Quel­la in corso è im­po­sta dal go­ver­no. 
2) La re­vi­sio­ne passa at­tra­ver­so un Par­la­men­to elet­to con una legge di cui sono già stati ac­cer­ta­ti pro­fi­li di in­co­sti­tu­zio­na­li­tà: do­vreb­be oc­cu­par­si di tutto meno che di cam­bia­re la Co­sti­tu­zio­ne. La Co­sti­tu­zio­ne do­vreb­be es­se­re cam­bia­ta solo da as­sem­blee elet­ti­ve elet­te con si­ste­ma pro­por­zio­na­le: pla­sma­te dal pre­mio di mag­gio­ran­za im­pon­go­no di fatto una Carta de­for­ma­ta dalla lo­gi­ca mag­gio­ri­ta­ria. 
3) Re­vi­sio­ne co­sti­tu­zio­na­le è solo quel­la in corso che de­clas­sa il Se­na­to. Ma i suoi ef­fet­ti sono in­ti­ma­men­te le­ga­ti alla mo­di­fi­ca della legge elet­to­ra­le. Que­sta non ha rango co­sti­tu­zio­na­le ma in­ci­de con forza sulla forma di go­ver­no e quin­di sul qua­dro isti­tu­zio­na­le. Nella si­tua­zio­ne ita­lia­na è im­pos­si­bi­le giu­di­ca­re se­pa­ra­ta­men­te ri­for­ma del Se­na­to e legge elet­to­ra­le. La prima raf­for­za gli ef­fet­ti della se­con­da.


Il mo­stri­ciat­to­lo. Dato e non con­ces­so che si do­ves­se pas­sa­re a un Se­na­to non elet­ti­vo, la so­lu­zio­ne scel­ta non po­te­va es­se­re peg­gio­re. 
Un Se­na­to for­ma­to da 95 sog­get­ti scel­ti dai con­si­gli re­gio­na­li (e 5 in­di­ca­ti dal capo dello Stato) è un’as­sem­blea di no­mi­na­ti che non rap­pre­sen­ta nem­me­no le Re­gio­ni ma solo i par­ti­ti di mag­gio­ran­za che le go­ver­na­no. I po­te­ri le­gi­sla­ti­vi at­tri­bui­ti a que­sto Se­na­to non elet­ti­vo (per­fi­no sulla Co­sti­tu­zio­ne) sono smi­su­ra­ti al con­fron­to con la sua con­si­sten­za ; ma in real­tà solo vir­tua­li. Si in­ven­ta il Se­na­to delle Re­gio­ni nello stes­so mo­men­to in cui la mo­di­fi­ca del Ti­to­lo V sot­trae alle re­gio­ni il go­ver­no del ter­ri­to­rio per con­se­gnar­lo al go­ver­no na­zio­na­le. Non stu­pi­sce che un Se­na­to così de­clas­sa­to sia for­ma­to solo da 100 sog­get­ti. Men­tre la Ca­me­ra resta di 630 de­pu­ta­ti. Mo­ti­vo sem­pli­ce. Al Se­na­to il pre­mio di mag­gio­ran­za non dà ri­sul­ta­ti certi; quin­di i se­na­to­ri po­te­va­no es­se­re mal­trat­ta­ti (essi del resto hanno con­tri­bui­to alla loro fine). Alla Ca­me­ra il pre­mio dà ef­fet­ti si­cu­ri e mas­sic­ci: i de­pu­ta­ti do­ve­va­no es­se­re te­nu­ti buoni.

Il mo­stro oli­gar­chi­co. Le nuova legge elet­to­ra­le man­tie­ne le so­glie di ac­ces­so anche se le ri­du­ce un po ’ per in­gra­ziar­si i pic­co­li par­ti­ti. Man­tie­ne un pre­mio in grado di tra­sfor­ma­re una mi­no­ran­za in mag­gio­ran­za. E per di più lo at­tri­bui­sce non a una coa­li­zio­ne ma alla lista che pren­de più voti. Quin­di non solo una mi­no­ran­za ma un solo par­ti­to potrà go­de­re di quel pre­mio. Circa i due terzi degli elet­ti non avran­no alcun rap­por­to di rap­pre­sen­tan­za con i cit­ta­di­ni vo­tan­ti ma sa­ran­no no­mi­na­ti dai ver­ti­ci dei loro par­ti­ti. Il voto dei cit­ta­di­ni non con­te­rà più nien­te e la Ca­me­ra sarà in preda a un’ar­bi­tra­ria oli­gar­chia. Il go­ver­no potrà pre­ten­de­re che i suoi pro­get­ti di legge siano vo­ta­ti entro ses­san­ta gior­ni: aula e com­mis­sio­ni par­la­men­ta­ri avran­no solo ruolo ser­vi­le. Tutto il po­te­re sarà del go­ver­no e in ul­ti­ma ana­li­si del suo capo. Dia­let­ti­ca de­mo­cra­ti­ca va­ni­fi­ca­ta. “La Co­sti­tu­zio­ne non dà a chi go­ver­na gli stru­men­ti per farlo” pa­ro­le di Ber­lu­sco­ni. Il Pd ha adot­ta­to il suo pro­gram­ma e, col suo aiuto di­ret­to, ha reso an­co­ra più in­ci­si­vo il po­te­re del go­ver­no sul Par­la­men­to.
La go­ver­na­bi­li­tà è tutto, la rap­pre­sen­tan­za po­li­ti­ca nulla. E i cit­ta­di­ni? I loro stru­men­ti di par­te­ci­pa­zio­ne di­ret­ta sono erosi: le firme ne­ces­sa­rie per la pre­sen­ta­zio­ne di leggi di ini­zia­ti­va po­po­la­re o per chie­de­re re­fe­ren­dum sono in­nal­za­te a cifre proi­bi­ti­ve. Quan­to tempo ci vorrà per­ché i cit­ta­di­ni che vo­ta­no Pd si ac­cor­ga­no che il loro par­ti­to sta smon­tan­do la loro Re­pub­bli­ca?

venerdì 18 luglio 2014

Contro i ladri di democrazia, no al Parlamento dei nominati e all’uomo solo al comando – Firma la petizione

Contro i ladri di democrazia, no al Parlamento dei nominati e all’uomo solo al comando – Firma la petizione

LE CONTRORIFORME dell’Italicum e del Senato delle Autonomie, concordate dal governo con il pregiudicato Silvio Berlusconi e il plurimputato Denis Verdini, consentono a un pugno di capi-partito di continuare a nominarsi i deputati a propria immagine e somiglianza (con le liste bloccate per la Camera), addirittura aboliscono l’elezione dei senatori (scelti dalle Regioni fra consiglieri e sindaci, ridotti a un ruolo decorativo e per giunta blindati con l’immunità-impunità) e tagliano fuori i partiti medio-piccoli (con soglie di sbarramento abnormi);
- trasformano il Parlamento nello zerbino di un premier-padrone, “uomo solo al comando” senza controlli né contrappesi, con una maggioranza spropositata che gli permette di scegliersi un presidente della Repubblica e di influenzare pesantemente la Corte costituzionale, il Csm, la magistratura e l’informazione televisiva e stampata;
- espropriano i cittadini dei residui strumenti di democrazia diretta: i referendum (non più 500mila, ma addirittura 800mila firme) e le leggi di iniziativa popolare (non più 50mila, ma addirittura250mila firme).
DICIAMO NO ALLA SVOLTA AUTORITARIA, come i migliori costituzionalisti italiani hanno definito il combinato disposto delle due controriforme, ispirate  – consapevolmente o meno – al “Piano di Rinascita Democratica” della loggia P2 di Licio Gelli.
DICIAMO SI’ A UNA DEMOCRAZIA PARTECIPATA e vi chiediamo di sostenere solo riforme istituzionali che rispettino lo spirito dei Padri Costituenti del 1946-48: restituendo ai cittadini il diritto di scegliersi i parlamentari e coinvolgendoli nella cosa pubblica; tutelando le minoranze e le opposizioni; allargando gli spazi di partecipazione diretta alla formazione delle leggi; limitando l’immunità parlamentare alle opinioni espresse e ai voti dati e abolendo i privilegi impunitari in materia di arresti, intercettazioni e perquisizioni; combattendo i monopòli e i conflitti di interessi, specie nel mondo della televisione e della stampa; ampliando l’indipendenza e l’autonomia dei poteri di controllo, dalla magistratura all’informazione.
Antonio Padellaro, Marco Travaglio, Peter Gomez e la redazione del Fatto Quotidiano