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sabato 19 settembre 2020

La voce dei padroni. - Marco Travaglio


La voce dei padroni squilla forte e chiara a edicole unificate. “No”, dice il Sole 24 Ore (Confindustria). “No”, tuonano Repubblica, Stampa, Espresso, Secolo XIX, Huffington Post e giornali locali Finegil (Agnelli-Elkann-Fca). “No”, strilla il Giornale di B.. “No”, ripetono Messaggero, Mattino e Gazzettino (Caltagirone). “No”, pigola Domani, giornale senza padroni nel senso che ne ha uno solo (De Benedetti). “No”, spara Libero (Angelucci). “No”, ringhia il Riformista (Romeo). “No”, fa eco Avvenire (vescovi). I problemi nascono quando lorsignori devono spiegare perché mai si oppongano alla riduzione dei parlamentari, promessa e voluta da tutti per 40 anni, in linea col resto d’Europa: si arrampicano sugli specchi, violentano la logica, dicono e contraddicono, sommano le mele con le patate, agitano fantasmi e spaventapasseri, sparano supercazzole che oggi Zagrebelsky smonta a una a una nella magnifica intervista a Silvia Truzzi (pagine 2 e 3). Più parlano e meno convincono. Perché si capisce benissimo che dietro i loro No non c’è né la difesa della Costituzione, della democrazia, del Parlamento, della rappresentanza, dei territori, del popolo, tutti valori che la riforma non sfiora neppure.

C’è dell’altro che nessuno osa mai confessare per non gettare la maschera. Almeno fino alla discesa in campo di Billy Costacurta che, siccome era un ottimo stopper del Milan, Repubblica ha promosso a padre ricostituente. E lì, come il bambino davanti al re nudo, ha detto senza tante ipocrisie ciò che lorsignori nascondono: “Voto No perché non voglio più vedere i 5Stelle”. Evviva la faccia: finalmente, fra tanti Tartuffe, un tipo sincero. Qualcuno dovrebbe spiegargli che la riforma costituzionale è stata votata da tutti i partiti (13 volte nelle precedenti legislature, quando il M5S non c’era, e quattro in questa) e nessuno l’attribuirebbe ai 5Stelle se tutti i partiti che l’han votata fossero coerenti e la sostenessero. Peraltro il M5S non è la prima forza parlamentare in virtù di un golpe militare o di una marcia su Roma, ma di libere elezioni previste da quella Costituzione che i signori del No dicono di difendere (quando fa comodo a loro). Dunque chi vuole liberarsene può votargli contro alle elezioni regionali, comunali e politiche. Ma chi pensa di sbaragliarlo bocciando una riforma che condivide è come quel coglione che, per far dispetto alla moglie, si tagliò i coglioni. E, se nel novero ci fosse solo Costacurta, poco male. Ma c’è pure tutto il fior fiore del potere, con giornalisti al seguito. Ieri al partito di Costacurta s’è iscritto il riportino più amato dal Sistema: Stefano Folli, il quale su Repubblica ci ammonisce che “Il referendum è un voto sui 5Stelle”. Apperò.

La prosa, al solito alquanto sepolcrale, è la consueta accozzaglia di nonsense: il M5S è “lacerato”, “schiacciato”, fallito, praticamente morto (infatti governa da due anni e mezzo col suo premier); e ha pure “rinnegato buona parte dei suoi principi” (infatti sta portando a casa anche il taglio dei parlamentari: e poi non è Folli a ripetere ogni giorno che al governo i 5Stelle fanno quel che vogliono e il Pd subisce?). Ma il meglio deve ancora venire: il referendum è “una zattera di salvataggio da afferrare come ultima salvezza prima che sia troppo tardi”, anzi “un plebiscito sul ‘grillismo’”. Questo notista politico che bivacca nei palazzi da 40 anni non s’è neppure accorto che i 5Stelle del referendum avrebbero fatto volentieri a meno: l’hanno voluto contro di loro 71 senatori, quasi tutti di FI e Lega che, subito dopo aver votato il taglio in Parlamento (l’ultima volta col 98%), hanno raccolto le firme per indire il referendum e rinviare l’entrata in vigore della riforma: speravano che intanto accadesse qualcosa, tipo una crisi di governo che ci mandasse al voto prima del referendum con 945 posti in palio anziché 600. Tutto volevano fuorché regalare la “zattera di salvataggio” e il “plebiscito” ai 5Stelle.
Ma ormai i fatti sono un optional e la logica un fastidioso impaccio sulla strada della Grande Restaurazione sognata da tutti i poteri, palesi e occulti. Che infatti sperano in una disfatta del centrosinistra alle Regionali e del Sì al referendum per abbattere l’ultimo diaframma che separa le loro zanne dal bottino del Recovery Fund (e magari del Mes): il governo Conte a trazione 5Stelle in alleanza col Pd tornato a sinistra dopo le sbornie napolitan-renziane. Si spera che gli elettori “grillini” l’abbiano capito e in Liguria, Puglia, Marche e Toscana votino di conseguenza. Del resto come spiegare l’incredibile campagna contro il Reddito di cittadinanza fondata sulla fake news che ne beneficiassero i presunti assassini di Willy? La verità è che lo ricevevano tre genitori; sono stati scoperti perché i controlli funzionano; e ora chi non ne aveva diritto restituirà fino all’ultimo cent. Ma questo vale per tutte le misure di welfare, in un paese ad altissimo tasso di criminalità, evasione e lavoro nero. Che si fa: si aboliscono le pensioni, la cassa integrazione, il sussidio di disoccupazione, gli sconti e i bonus ai poveri perché qualcuno potrebbe truffare o ammazzare? Anche qui, come sul No al referendum, ci si arrampica sugli specchi pur di non dire la verità: il Reddito di cittadinanza non piace perché funziona e l’han voluto i 5Stelle. Che restano l’unico ostacolo da rimuovere dalla scena politica, malgrado gli scandali che stanno emergendo sulla Lega e sono già emersi su FI. Anzi, proprio per quelli.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/09/19/la-voce-dei-padroni/5936649/?utm_source=newsletter&utm_medium=email&utm_campaign=commenti&utm_term=2020-09-19

sabato 12 settembre 2020

“Anche in Costituente c’era chi chiedeva meno parlamentari”. - Silvia Truzzi

 “Anche in Costituente c’era chi chiedeva meno parlamentari”

Nell’ultimo commento che ha scritto per il Fatto Quotidiano, Lorenza Carlassare, costituzionalista e professore emerito a Padova, ha motivato così la scelta al prossimo referendum sul taglio del numero dei parlamentari: “Se vince il No nulla verrà più cambiato. Se vince il Sì c’è almeno la speranza che, fra le modifiche rese indispensabili dal taglio, ci sia anche la modifica della legge elettorale”.

Professoressa Carlassare, prima di arrivare alla legge elettorale una premessa di metodo: l’altra volta si diceva che la riforma era troppo vasta, ora si obietta che la modifica, puntuale, non si porta dietro una riforma di sistema. La battaglia per il referendum è squisitamente politica?

La Costituzione non prevede in nessun modo riforme di sistema: al bisogno, si possono apportare modifiche puntuali. I costituzionalisti lo hanno più volte sottolineato, in particolare Alessandro Pace, che ha scritto tantissimo su questo tema. La mia impressione è che alcuni tra gli oppositori, non avendo argomenti validi, vadano a caccia di pretesti anche a costo di contraddirsi.

Perché si vuole riproporre oggi l’automatismo del 2016, quando la sorte del governo era legata all’esito del referendum?

Questo dimostra la vacuità dei discorsi. Renzi si doveva ritirare dalla politica: è ancora in Senato e parla tutti i giorni. Ribadisco quello che ho appena detto: quando mancano ragioni forti, si tenta di suggestionare gli elettori.

Come lei ha ricordato, la riforma del taglio dei parlamentari in ultima lettura è stata approvata con una maggioranza bulgara dalla Camera. A questo proposito Valerio Onida ha detto: “Votare No aggraverebbe il sentimento di sfiducia che già esiste nei cittadini verso le istituzioni”.

Sono d’accordissimo con Onida. Basta ricordare i numeri, che sono impressionanti: 553 deputati a favore, 14 contrari, 2 astenuti. È incredibile che nonostante questa totale adesione si abbia il coraggio di affermare che si tratta di una riforma che va contro il Parlamento! La verità è che a discapito della Costituzione si fanno piccoli giochi politici, in assenza di progetti da proporre. C’è una totale mancanza di convinzione perfino sulle regole democratiche. Mi pare che questi ripensamenti siano dettati da questioni di opportunità politica: aprire una crisi, far cadere il governo… Il risultato è che i cittadini sono sconcertati perché capiscono che non c’è nessuna serietà, nessun reale convincimento, e non si fidano più. Per questo, oltre a una nuova legge elettorale, è necessario riprendere in mano la legge del 2016 che prevedeva l’attuazione dell’articolo 49 della Costituzione.

Quello sul ruolo dei partiti?

La Costituzione dice che “Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”. I protagonisti sono i cittadini, i partiti uno strumento. La legge del 2016 prevedeva che i partiti pubblicassero il curriculum dei candidati e il certificato del casellario giudiziale.

Sulle maggioranze da modificare dopo il taglio, il punto principale riguarda il peso dei delegati delle Regioni nella platea elettorale che sceglie il presidente della Repubblica. Lei che ne pensa?

Si può ridurre, dimensionandolo alla nuova composizione del Parlamento in seduta comune. Ci vorrà una legge costituzionale, però è una questione davvero da poco. I Costituenti hanno immaginato una platea più vasta per l’elezione del capo dello Stato perché è colui che per sette anni rappresenta l’unità nazionale, quindi la voce delle Regioni deve avere un peso.

I Costituenti non hanno inserito il numero dei parlamentari nella Carta: perché?

Alla Costituente è stata fatta una scelta variabile, in proporzione alla popolazione. Sul numero si discusse: nelle sedute del 16 e 19 settembre 1947 l’onorevole Nitti ricordò quanto siano pochi, al confronto, i parlamentari di una delle più antiche democrazie, gli Stati Uniti, e l’onorevole Conti, relatore, disse: “Bisogna ridurre il numero dei deputati. Avremo così una Assemblea più snella e, se vogliamo davvero la Costituzione di uno Stato in cui tutti gli organi rappresentativi abbiano vigore e una grande autorità, dobbiamo tendere a fare della Camera dei deputati un’Assemblea nella quale la dignità, la coltura, se possibile, la sapienza siano immediatamente riconosciute dal Paese il giorno successivo alle elezioni. Non si deve dire: quanta gente che non vale nulla! Si deve riconoscere l’esistenza di un’Assemblea legislativa composta di uomini degni della loro funzione”. Ma continuiamo a discutere dei dettagli: ciò che influisce sulla rappresentanza è la legge elettorale. Per questa bisogna fare una battaglia.

Nell’articolo per il nostro giornale, lei ha scritto la sua “ricetta”: proporzionale con soglia di sbarramento non superiore al 3 e senza liste bloccate. L’obiezione che alcuni le muovono è che questo sistema pende troppo verso la rappresentanza e troppo poco verso la governabilità.

L’obiezione sulla governabilità risente del clima verticistico che a lungo ha dominato il nostro dibattito pubblico, facendo danni indescrivibili. La Consulta, nelle sentenze che hanno annullato Porcellum e Italicum, ha riconosciuto che la governabilità è un principio di cui tener conto, ma mai a discapito della rappresentanza che è un valore costituzionale. Credo però che l’ubriacatura maggioritaria sia scemata. Aggiungo che nella legge elettorale va anche inserito il divieto di pluricandidature! Il fatto che un candidato possa presentarsi in vari collegi consente al partito di far eleggere chi vuole.

Quali sono le riforme costituzionali assolutamente necessarie, cui si potrebbe lavorare dopo il referendum?

Quando sarà stata fatta la legge elettorale nel senso che abbiamo detto, io non cambierei nulla. Lascerei un po’ in pace la Carta: le Costituzioni sono fatte per durare.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/09/12/anche-in-costituente-cera-chi-chiedeva-meno-parlamentari/5929029/

Il Genio del Giorno. - Marco Travaglio

Anche oggi, molti candidati al premio speciale “Genio del Giorno”.

Giorgio Gori, il padre Alberto Gori è morto a 91 anni: il lutto

Giorgio Gori, sindaco Pd di Bergamo: “Io e tutta la mia giunta per il No. Il taglio dei parlamentari riduce di molto la rappresentanza ai territori”, che a Bergamo ne perderebbe 7-8 su 20 e questo “produce diversi danni”. Se chi difende la Costituzione l’avesse letta almeno una volta, conoscerebbe l’art. 67: “Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione…”. Non gli interessi dei bergamaschi o dei crotonesi, ma tutti gl’italiani: il che distingue la rappresentanza dal clientelismo. È il sindaco che dovrebbe rappresentare i bergamaschi: magari proteggendoli dal Covid anziché aiutarlo a suon di “Bergamo non ti fermare!” e facili ottimismi contro “un clima di preoccupazione molto al di là del necessario” il 26 febbraio, in pieno dramma in val Seriana.

Roberto Saviano spiega perché voterà no al taglio dei parlamentari (poi fa  a pezzi il Pd)

Roberto Saviano: “Dopo la scelta della direzione del Pd, voterò convintamente No. E il mio sarà un voto contro questa classe dirigente”. Cioè: per andare contro questa classe dirigente, vota per lasciarla tutta intera al suo posto. Non è meraviglioso?

Sandro Veronesi insulta Giorgia Meloni: "Vigliacca e traditrice, te e tua  sorella". Lei: "Commento all'altezza dei tuoi libri" – Libero Quotidiano

Sandro Veronesi: “Non c’è nessun disegno dietro questo taglio dei parlamentari”. A parte il taglio dei parlamentari, si capisce. “Il problema non è il taglio dei parlamentari ma l’antipolitica… un capriccio pericoloso dei 5Stelle”. La famosa antipolitica di Einaudi, Nitti, Bozzi, Iotti, Rodotà, tutti convinti che i parlamentari fossero troppi quando Di Maio non era nato. L’antipolitica del 98% della Camera che un anno fa votò il taglio all’insaputa di Veronesi. L’antipolitica del Pd che propose 400 deputati e 200 senatori già nel 2008, senza che nessun Veronesi strillasse. “Le persone vengono reclutate in base all’obbedienza a un capobastone, perciò emergono i meno dotati. E sarà anche peggio dopo il referendum”. No, sarà uguale finché non cambierà la legge elettorale (che col No nessuno toccherà e col Sì dovrà mutare per forza): i nominati non dipendono dal numero dei parlamentari, ma dalle liste bloccate del Rosatellum. Contro cui non si ricordano gli alti lai di Veronesi. Si ricorda invece ciò che disse due anni fa: “Se mi chiedete di firmare per far tornare Berlusconi e il suo governo domani, io firmo col sangue”. Ecco, appunto.

Mattia Santori, parla un'ex sardina: "Ci controllavano anche i social, liti  e tensioni. Era una guerra civile" – Libero Quotidiano

Mattia Santori rifiuta la tessera della “Sinistra per Salvini”: “È una critica da fuori di testa. Viene da chi arrampica sugli specchi e nega la genesi di questo referendum, che nasce nell’accordo giallo-verde”. No, gioia: il taglio dei parlamentari è da 40 anni nei programmi del centrosinistra. E questo referendum nasce dalla raccolta di 71 firme fra senatori, quasi tutti leghisti e forzisti (che avevano votato Sì). Se il 20-21 settembre vai a votare No, è grazie alla Lega. Studia, ogni tanto.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/09/12/il-genio-del-giorno/5928992/?utm_source=newsletter&utm_medium=email&utm_campaign=commenti&utm_term=2020-09-12

martedì 4 agosto 2020

Legge elettorale, Zingaretti vuole la bozza in aula prima del voto sul taglio dei parlamentari: “Preoccupazione, rispettare gli accordi”.

Legge elettorale, Zingaretti vuole la bozza in aula prima del voto sul taglio dei parlamentari: “Preoccupazione, rispettare gli accordi”

In una nota il segretario Dem è tornato a chiedere di inserire il tema nell'agenda parlamentare, dopo la bocciatura, grazie anche ai voti di Italia Viva, durante l’Ufficio di presidenza di Montecitorio. Rosato: "Non è la priorità, rimaniamo sulla strada della concretezza".

Nicola Zingaretti torna a chiedere il rispetto degli accordi di governo per arrivare a una riforma elettorale che anticipi il referendum sul taglio dei parlamentari, tema caro invece al Movimento 5 Stelle, entro il 20 settembre, giorno del voto. Lo fa con una nota in cui esprime “preoccupazione” per l’avvicinarsi della consultazione popolare senza che ancora la riforma chiesta dal Pd sia stata messa in testa all’agenda dell’esecutivo: “Le preoccupazioni espresse da molte personalità, in ultimo da Bartolomeo Sorge, sul pericolo di votare a favore del referendum sul taglio ai parlamentari senza una nuova legge elettorale, sono fondate e sono anche le nostre – scrive il Dem – Per questo il Partito Democratico un anno fa ha fatto inserire questo punto nel programma di Governo. Per questo, e non per perdere tempo, spesso in solitudine nelle ultime settimane, abbiamo riproposto questo tema da inserire nell’agenda parlamentare”.

Nel documento, il segretario del Pd si rivolge direttamente al Movimento 5 Stelle, spiegando che “su questa posizione, in questi giorni, ci sono stati pronunciamenti importanti da parte del M5s, da ultimo con il ministro Di Maio. Pronunciamenti che vanno tutti nel senso della volontà di rispettare gli accordi. Rinnovo dunque l’appello alla collaborazione a tutti gli alleati e a fare di tutto affinché, a partire dal testo condiviso dalla maggioranza, si arrivi entro il 20 settembre a un pronunciamento di almeno un ramo del Parlamento”.

Il messaggio ha come destinatario ultimo Italia Viva e il suo leader, Matteo Renzi, che tra gli alleati di governo è quello che più di tutti si è opposto a una revisione della legge in senso proporzionale con sbarramento al 5% (che penalizzerebbe, tenendo conto dei sondaggi, il partito dell’ex premier), come vorrebbe il Pd, a differenza di quanto pattuito quando i partiti hanno deciso di allearsi per dare vita al Conte 2. Inoltre, più volte dalle parti di Iv si è spiegato che, in una situazione di emergenza dovuta alla crisi del coronavirus, la riforma della legge elettorale non rappresenta una priorità per il Paese. Non a caso, a fine luglio, Italia Viva ha deciso di votare con il centrodestra durante l’Ufficio di presidenza di Montecitorio impedendo così alla bozza di arrivare in aula a luglio e anche di essere discussa in commissione.

Per fare pressione sui deputati renziani, Zingaretti chiede così l’aiuto proprio del Movimento che, nonostante abbia dimostrato la propria disponibilità a compiere passi avanti, non ha mai spinto sul tema. Ma pochi giorni fa il segretario Dem, pur ribadendo il mancato rispetto degli accordi da parte dei renziani, in un’intervista a SkyTg24 ha sostenuto la necessità di un ritorno rapido al confronto tra le forze di maggioranza per partorire una nuova proposta di riforma, aprendo anche alla possibilità di un maggioritario, avvicinandosi così alle posizioni del politico di Rignano. Un cambio di strategia che coincide anche con l’emorragia di consensi della Lega iniziata con l’arrivo della pandemia e che, secondo i sondaggi, ha riportato il Carroccio a percentuali vicine a quelle del Pd.

Ma da Italia Viva arriva sempre la stessa risposta. Su Twitter, il presidente Ettore Rosato ripete che “è il momento di fare delle scelte coraggiose, dare liquidità a famiglie e imprese, non perdere posti di lavoro, far riprendere la nostra economia. Cambiare la legge elettorale che dovrà essere utilizzata nel 2023 non è una priorità. Proseguiamo sulla strada della concretezza“.

https://www.ilfattoquotidiano.it/2020/08/04/legge-elettorale-zingaretti-vuole-la-bozza-in-aula-prima-del-voto-sul-taglio-dei-parlamentari-preoccupazione-rispettare-gli-accordi/5889571/

Forza Italia, renziani e Pd in trincea contro i Cinque Stelle per affossare il taglio dei parlamentari. Di Maio blinda la riforma: E’ una promessa mantenuta. - Laura Tecce

LUIGI DI MAIO

Patti chiari e amicizia lunga. Il messaggio è forte e chiaro: sul referendum sul taglio dei parlamentari, previsto il 20 settembre in concomitanza col voto per le regionali, il Movimento 5 stelle non transige. Del resto una delle basi sottostanti alla nascita del secondo Governo Conte erano proprio le riforme istituzionali: il taglio del numero dei parlamentari, la riforma della base elettiva del Senato e del presidente della Repubblica e la legge elettorale. Ed proprio su quest’ultima che si è innescata l’ennesima querelle all’interno della maggioranza giallorossa.
Ad accendere la miccia il dirigente del Pd Goffredo Bettini (molto vicino al segretario Nicola Zingaretti) che in un’intervista a Repubblica ha parlato di “pericolo per il sistema democratico”. “Senza una riforma istituzionale e elettorale, dimezzare i parlamentari può essere perfino pericoloso per il regime democratico. La situazione si complica. Non è un azzardo votare Sì”, queste le parole di Bettini, che poi sottolinea come il suo partito non abbia nessuna responsabilità sul fatto sul fatto che sia saltato l’accordo sulla legge elettorale sottoscritto da tutta la maggioranza. Il convitato di pietra è sempre lui, Matteo Renzi, che alla vigilia del voto in commissione alla Camera ha cambiato idea.
Mentre Pd e M5s non vogliono andare al voto con la vecchia legge, il Rosatellum bis – sistema che non a caso deve il suo nome al relatore Ettore Rosato, attuale coordinatore nazionale di Iv)-, i renziani puntano ad abbassare la soglia di sbarramento (visti i sondaggi…) con un sistema che garantisca loro da una parte una rappresentanza (dalla quota proporzionale) e dall’altra di essere decisivi nei collegi in bilico. Bettini non lo cita ma il Pd ha accusato apertamente Renzi di aver tradito l’accordo iniziale siglato lo scorso 8 gennaio, ovvero quello di sostituire il Rosatellum con una legge proporzionale che prevede una soglia di sbarramento nazionale al 5%.
Sulla necessità di una nuova legge elettorale è stato molto chiaro (e coerente) anche il ministro pentastellato Luigi Di Maio: “Il taglio dei parlamentari dovrà essere accompagnato da una nuova legge elettorale che sia rappresentativa al massimo. C’è un accordo tra le forze politiche di maggioranza e va rispettato. Bisogna dimostrare serietà”. E ovviamente il ministro degli Esteri ribadisce come la misura sia una delle battaglie storiche del M5S: “Si tratta di una delle tante promesse mantenute dal MoVimento, una riforma che ho fortemente voluto e per cui sono stato attaccato in ogni modo. Raccontavano che sarebbe caduto il governo. Hanno fatto terrorismo psicologico in ogni sede. Ma non abbiamo mai mollato. E il 20 e il 21 voteremo per ridurre i deputati da 630 a 400 e i senatori da 315 a 200, con grandi risparmi per le casse dello Stato e dei cittadini. Il 20 e il 21 settembre possiamo cambiare la storia e riportare l’Italia ad essere un Paese normale”.
Infine, sull’ ennesimo sparigliamento delle carte ad opera di Renzi interviene anche il deputato di LeU Stefano Fassina: “È molto grave la giravolta di Iv. Non può prevalere la rassegnazione di fronte a tale atto di inaffidabilità, nonostante la necessità dei renziani per la sopravvivenza dell’attuale maggioranza. La violazione del patto di governo per meri calcoli di bottega deve determinare conseguenze. Sarebbe grave se il Pd e il M5S lasciassero correre. Il Presidente Conte deve intervenire. La legge elettorale è, per natura, materia parlamentare. Ma in questo caso, è asse decisivo del programma di governo”. Il senatore di Rignano sempre più isolato dunque all’interno della maggioranza. E questa non è novità.
Forza Italia Viva. La trincea di Renzi, Silvio & C.
Difficile illudersi che Renzi potesse accettare la riforma elettorale proposta dal presidente della Commissione Affari costituzionali, il pentastellato Giuseppe Brescia: un proporzionale con lista di sbarramento al 5 per cento che preclude ai micro-partitini (non solo Iv, ma anche i movimenti guidati da Carlo Calenda ed Emma Bonino) ogni speranza di rimettere piede a Montecitorio e palazzo Madama. In ogni caso uno strappo rilevante quello del senatore fiorentino perché è la rottura di un accordo politico stretta nel momento in cui tutti in maggioranza avevano deciso di far viaggiare la legge elettorale sullo stesso binario del referendum sul taglio dei parlamentari.
Ma se l’ex premier è il bastian contrario in casa dei giallorossi, nella coalizione di centrodestra ci pensa Forza Italia a giocare in quel ruolo. Non solo sul famigerato Mes ma anche sulla consultazione referendaria il partito di Silvio Berlusconi va controcorrente tanto che tra i soci fondatori del comitato “Noi no” che si batte per il No al referendum confermativo alla riforma Fraccaro ci sono i deputati Simone Baldelli  e Deborah Bergamini e i senatori Giacomo CaliendoAndrea Cangini e Nazario Pagano. Baldelli ci ha addirittura scritto un libro, “Il coraggio di dire no al taglio della nostra democrazia”, oltre ad essere attivissimo sui social con l’hashtag #iovotono, mentre il senatore Pagano ha definito la decisione di abbinare il referendum al voto per le regionali addirittura “una violenza di parte”.
E l’ha spiegata così: “Se c’è la necessità di allungare lo stato d’emergenza e quindi non ci possono essere assembramenti, che senso ha proporlo (il referendum, ndr) se poi si prevede che si debba andare a votare?”. Non si capisce però perché il ragionamento sugli assembramenti debba valere perché c’è l’abbinamento al referendum. Per le sole regionali non ci sarebbero stati problemi? Misteri azzurri.

venerdì 7 febbraio 2020

IL TEMPO DEGLI SCIACALLI. - Roberta Labonia

L'immagine può contenere: una o più persone, folla e spazio all'aperto

In queste ore sono tanti, tantissimi, a sparare a palle incrociate sul Movimento 5 Stelle. Voi mi direte: e dov'è la novità? La novità sta nel fatto che l'attacco è salito di livello. E' condotto su larga scala, non c'è più ritegno. Ieri sera un'allucinata Carfagna sproloquiava con sussiego contro Di Maio definendolo "uomo di sistema". E tutto il serraglio di piddini radunato dalla Gruber li, ad applaudirla. Quasi nello stesso tempo un incartapecorito Del Noce, da una poltrona di Mediaset , riferendosi al Movimento 5 Stelle, lo definiva "un morto che cammina". E anche lì una claque di destrorsi pronta a dargli ragione.
Questi siparietti mi hanno fatto balenare davanti un immagine nitida, quella di quando gli sciacalli, percependo la fine imminente delle loro prede, prima segnano il territorio poi gli si avventano addosso.
È un po' quello che sta accadendo in questi giorni sulla scena politica. Il Movimento sta vivendo un travaglio interno, è sotto gli occhi di tutti. Luigi Di Maio ha fatto quel passo indietro che molti, dentro il Movimento, invocavano da tempo, e si è dimesso da Capo Politico. In casa pentastellata, da pochi giorni, è iniziata la reggenza di Vito Crimi, un grillino della prima ora, uomo affidabile, ma certo non un leader e già la mancanza di Luigi Di Maio si sta facendo sentire, ed è percepibile anche all'esterno.
I tanto invocati Stati Generali, che dovranno disegnare il percorso del Movimento dei prossimi 10 anni, sono stati spostati a fine aprile, meno di 3 mesi ma come fossero 3 anni, se rapportati all'attuale contesto politico. I 5 Stelle oggi sono deboli, esposti, vulnerabili, facile preda di attacchi esterni. Attacchi tangibili. Come quello che sta maturando in queste ore da parte dei 700 senatori, fra cui molti esemplari della prima e della seconda Repubblica, che incuranti di operare in pieno conflitto di interessi, si sono già scritti le motivazioni del provvedimento, prima ancora di deliberarselo, grazie al quale rimetteranno le grinfie su tutto il malloppo, quei vitalizi a fronte dei quali molti di loro non hanno versato uno straccio di contributo. Uno schiaffo davanti a tanti giovani italiani che forse, una pensione, non l'avranno mai. Un torto, un ingiustizia a cui il Movimento aveva rimediato da pochi mesi , rimodulando il privilegio all'importo dei contributi effettivamente versati e che ora la Casta sta riattribuendosi per intero con sfacciataggine inaudita, in ossequio al motto del famoso Marchese del Grillo per il quale lui era lui e gli altri non erano un cazzo. Contro questa provocazione Il Movimento sta chiamato in queste ore alla piazza tutti gli italiani di buona volontà. Il 15 febbraio prossimo l'appuntamento per tutti è sotto Palazzo Madama. Una reazione forte me la auguro, perchè vorrebbe dire non solo che il Movimento è vivo ma che l'Italia tutta è viva e lotta per non vedersi calpestata nella sua dignità. Io ci sarò e ci conteremo.


Ma la guerra che sta montando in questi giorni ai 5 Stelle è multilivello, non si esaurisce con il reintegro dei vitalizi. Uno ad uno il partito unico dei privilegi sta attaccando frontalmente ogni provvedimento di giustizia sociale promosso e tradotto in legge dal Movimento durante questi suoi primi 2 anni di Governo. Va inquadrato in questa ottica l'attacco concentrico all'ottimo Guardasigilli Alfonso Bonafede che si va consumando in queste ore, un pentastellato all'apparenza mite ma con una resilienza e preparazione non comuni. In meno di 2 anni, in tema di Giustizia, Bonafede ci ha fatto recuperare agli occhi dell'Europa e di tutta la Comunità Internazionale, parecchie posizioni quanto a credibilità ed efficienza. Senza le sue leggi saremmo rimasti in fondo alle graduatorie mondiali. Dopo la spazzacorrotti e la riforma della prescrizione, generati nel Conte I, portano la sua firma in questo Conte II il codice rosso, il carcere agli evasori, la riforma del processo civile e la riforma del processo penale di imminente discussione in Consiglio dei Ministri. Se guardo alle passate legislature non rammento niente che possa avvicinarsi a questa poderosa produzione in tema giustizia in neanche 2 anni di governo. Ora il pentastellato Bonafede è diventato per tutti il bersaglio grosso da colpire. L'apparato del centro sinistra, in buona compagnia con quello del centro destra, per "colpa" sua si è visto sfilare via, una ad una, tutte le garanzie di "sistema" che si era andato conquistando, legislatura dopo legislatura, in 30 anni di dis-onorata carriera politica. Bonafede, con le sue leggi, ha messo uno stop all'impunità dei colletti bianchi beccati con le mani nella marmellata, ora chi di loro sgarra , andrà in galera. Ha messo quelle piccole diavolerie informatiche, i trojan, nei telefoni degli amministratori pubblici infedeli che oggi, per la prima volta, si sentono vulnerabili, come hanno ampiamente dimostrato gli scandali del CSM e la "sanitopoli" umbra, scoperti, appunto, grazie ai trojan di Bonafede. Bonafede è quello che ha sancito le manette ai grandi evasori, gli stessi che, grati della sostanziale immunità da sempre a loro riservata, il vecchio apparato politico l'hanno sempre foraggiato. Bonafede è anche quel servitore delle Istituzioni che ha stoppato al primo grado di giudizio la prescrizione, riallineandoci agli standard giuridici internazionali.
Ora non vedremo più, grazie a lui e a quello sgangherato Movimento quale è oggi quello dei 5 Stelle, tanti impostori politici farla franca. Dal primo gennaio di quest'anno non ci saranno più i Berlusconi, uno che di processi vanificati dalla tagliola della prescrizione ne ha collezionati ben otto! Si inquadra in questo contesto l'acrimonia con cui un resuscitato Renzi, che di Berlusconi è, politicamente parlando, il figlio illegittimo, sta tentando in tutti i modi di boicottarla la norma Bonafede, tanto da dirsi pronto a votare con l'opposizione pur di abrogarla. Il suo sogno segreto è quello di dichiarare lo sfratto a questo Esecutivo per imbastire, senza passare per le urne, un bel Governo di "salvezza nazionale" modello Monti, con tutti dentro e i grillini all'angolo.
Ma la guerra non dichiarata ai 5 Stelle non si limita a boicottare i soli provvedimenti Bonafede, il taglio dei vitalizi, agli occhi della casta i 5 Stelle sono anche quelli colpevoli di aver quasi dimezzato i seggi a sua disposizione. Alle prossime urne molti di loro dovranno dire addio ai privilegi , dovranno tornare a lavorare come i comuni cittadini, se ancora conoscono il significato del termine. E già sanno che non servirà quell'inutile quanto costoso referendum promosso a suon di firme in Parlamento, a restituirglielo.
Sono gli stessi soggetti che pensando alle risorse impegnate dai 5 stelle nel primo vero sostegno alla povertà che l'Italia abbia mai avuto, quasi sette miliardi nel reddito di cittadinanza, hanno gridato allo "spreco" (pancia piena non pensa a quella vuota) e ora tramano un ennesimo golpe a colpi di firme in aula per indire un'altro referendum confermativo (leggi la Meloni), che si tradurrebbe in una sorta di triste braccio di ferro fra chi ha qualcosa da difendere e chi non ha niente.

Insomma il processo di restaurazione è già in atto, solo chi è digiuno politicamente o è in malafede può dire di non vederlo. A contrastarlo c'è rimasto un piccolo gruppo di cittadini in Parlamento e al Governo, i 5 Stelle che, se da un lato si oppongono stoicamente all'attacco, dall'altro sembrano aver perso la loro comunità d'intenti. Una debolezza che gli potrebbe essere fatale, il partito unico è già lì pronto a dargli la zampata definitiva. Balleranno a breve circa 400 rinnovi di nomine pubbliche, grasso che cola per i mestieranti della politica, tocca far presto. Così non fosse 2 anni di conquiste sociali, di civiltà ritrovata, finiranno alle ortiche.

E gli sciacalli stanno già apparecchiandosi per il banchetto.


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giovedì 11 luglio 2019

Taglio parlamentari, ddl costituzionale approvato al Senato: 180 sì. Ora resta solo il voto finale alla Camera.

Taglio parlamentari, ddl costituzionale approvato al Senato: 180 sì. Ora resta solo il voto finale alla Camera

Il Senato ha approvato il ddl costituzionale sul taglio dei parlamentari. E’ il terzo via libera. Il testo passa alla Camera per per quello che potrebbe essere l’esame definitivo del provvedimento: la discussione è prevista a settembre. A votare la riforma che prevede la diminuzione dei seggi a 400 alla Camera e a 200 al Senato sono stati in 180 (per l’approvazione serviva la maggioranza assoluta di 161 voti favorevoli). Oltre alla maggioranza M5s-Lega si è aggiunto anche il gruppo di Fratelli d’Italia, come anticipato nei giorni scorsi dalla presidente del partito Giorgia Meloni. Contrari il Pd e il resto del centrosinistra (50 i no in tutto), mentre Forza Italia non ha partecipato al voto.
Luca Ciriani, capogruppo di Fratelli d’Italia, ha spiegato che la scelta di votare la riforma nonostante “molte lacune e criticità affatto risolte” è perché “è quello che abbiamo promesso ai nostri elettori in campagna elettorale e perché appartiene alla nostra storia”. “Non c’è una nuova maggioranza – ha chiarito Ciriani – La nostra resta un’opposizione di patria, non c’è stata nessun trattativa né scambio per chiedere alcunché”.
In Aula a Palazzo Madama per il voto molti ministri M5s: il vicepremier e leader del M5s Luigi Di Maio, il ministro per i Rapporti con il Parlamento Riccardo Fraccaro, il Guardasigilli Alfonso Bonafede e il ministro ai Trasporti Danilo Toninelli. Per la Lega erano presenti la ministra per la Funzione pubblica Giulia Bongiorno.