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venerdì 7 maggio 2021

Zingaletta. - Marco Travaglio

 

Tra le notizie stupefacenti delle ultime ore, la più stupefacente è il pressing di Letta sul suo predecessore Zingaretti perché lasci la Regione Lazio con un anno d’anticipo e si candidi a sindaco di Roma. O, peggio ancora, lo faccia senza dimettersi, aspettando fino all’ultimo giorno utile (inizio settembre) per mollare la carica, così da far slittare le Regionali anticipate a qualche settimana dopo le Comunali. Il motivo è evidente: se si votasse lo stesso giorno per la Capitale e per la Regione, gli stessi elettori romani del centrosinistra dovrebbero votare separati per il sindaco (o la Raggi o Zingaretti, che già fanno scintille prima della sfida, figurarsi in campagna elettorale) e uniti per il cosiddetto “governatore” (verosimilmente espresso dalla coalizione giallorosa). Diciamo subito che questo trucchetto da magliari sarebbe umiliante per Zingaretti, per il Pd, per la coalizione, ma soprattutto per gli elettori. Un’indecenza etico-politica, oltreché la tomba di quel “nuovo centrosinistra” che il Pd di Zingaretti, con Conte, al M5S e a Leu, ha cercato faticosamente di costruire in questi 20 mesi e in cui Letta dice di credere.

Che Pd e M5S corrano separati alle Comunali è inevitabile: la Raggi aspira legittimamente al bis e il Pd non ha perso occasione di combatterla, con armi proprie e anche improprie, per tutto il mandato. Un accordo al primo turno è impensabile: nulla di strano se i dem presentano il loro candidato (Zingaretti aveva scelto Gualtieri, Letta l’ha ibernato): poi si vedrà chi fra lui e la Raggi passerà al ballottaggio e chi fra 5Stelle e Pd dovrà sostenere l’altro. Ma una forzatura assurda come sradicare Zingaretti dalla Regione sarebbe una dichiarazione di guerra al M5S alleato, che non resterebbe senza conseguenze. Il M5S sarebbe legittimato a rispondere schierando candidati forti a Milano, Torino e Bologna per mettere i bastoni fra le ruote a Sala e agli altri aspiranti sindaci Pd (per ora ignoti). E comunque i cittadini la prenderebbero malissimo: quelli del Lazio si domanderebbero che rispetto abbia Zingaretti a mollarli a metà della campagna vaccinale per traslocare al Campidoglio, fra l’altro dopo aver giurato per mesi che mai e poi mai l’avrebbe fatto; e quelli di Roma, già perplessi per la politica regionale sui rifiuti (molto simile al sabotaggio permanente della sindaca), si sentirebbero usati in una guerra di potere che non ha nulla di nobile (se è pronto Gualtieri, perché far saltare Zinga da una poltrona all’altra?). Davvero Letta pensa che basti spostare le Regionali un paio di settimane dopo le Comunali per far dimenticare agli elettori del Pd e del M5S la battaglia all’arma bianca fra Raggi e Zinga? Ma dove vive: sulla luna?

ILFQ

venerdì 5 marzo 2021

Faide Pd: Zinga si dimette Conte: “Un leader leale”. - Wanda Marra

 

Lo “stillicidio”, come lo definisce lui, andava avanti da giorni e giorni. E con quello, un rimuginare sull’addio che non trovava pace. Alla fine, Nicola Zingaretti ha annunciato le sue dimissioni. Quasi a freddo nei tempi e inconsuete nei modi, scegliendo un post Facebook. “Mi vergogno che nel Pd da 20 giorni si parli solo di poltrone e primarie, quando in Italia sta esplodendo la terza ondata del Covid”. Ma poi è stato ancora più diretto: “Visto che il bersaglio sono io, per amore dell’Italia e del partito, non mi resta che fare l’ennesimo atto per sbloccare la situazione”. Non una fredda comunicazione, ma un messaggio fortissimo, polemico, prima di tutto emotivo, da cui trapela la difficoltà dell’uomo di fronte a un tiro al piccione quotidiano. Ma anche uno scatto di orgoglio.

Non ha avvertito praticamente nessuno, se non il suo inner circle, che il dado era tratto, Zingaretti. Chi ci aveva parlato mercoledì sera e ieri mattina racconta che il quasi ex segretario (le dimissioni saranno formalizzate con una lettera alla presidenza del partito) pareva convinto ad andare avanti. Magari a presentarsi come traghettatore, fino al congresso in autunno, all’assemblea del 13 e 14 marzo. Oppure ad arrivare fino al 2023, sfidando le minoranze. Anche se negli ultimi due giorni, il passo indietro prendeva consistenza davanti al rinvio delle Amministrative a ottobre, con l’idea di candidarsi sindaco. L’annuncio ha lasciato tutti nella costernazione generale: non lo sapeva Goffredo Bettini, che spingeva per un rilancio; non lo sapeva Dario Franceschini, che la lavorato in queste settimane per convincerlo a rimanere.

D’altra parte, “Zinga” di sconfessioni implicite ed esplicite ne ha collezionate parecchie. Ha dato il via a malincuore al governo giallorosa per poi inchiodarsi al “Conte o voto” fino al momento in cui ha sentito dalle parole di Sergio Mattarella nella sala alla Vetrata che Mario Draghi era in campo. Ha accettato il governo con la Lega ed è dovuto restare fuori, per non far entrare Matteo Salvini. Ha visto praticamente fallire l’ipotesi dell’alleanza organica M5S, Pd, LeU con Giuseppe Conte federatore. E sull’“identità” del Pd era già pronta una battaglia sul sistema elettorale, che mezzo partito vuole più maggioritario di lui, per preservare l’idea di un partito plurale. Tutto questo, tra gli attacchi quotidiani di Base Riformista (la corrente di Lorenzo Guerini e Luca Lotti) e dei sindaci. Poi c’è stata la débâcle sui sottosegretari e la scivolata del tweet in sostegno di Barbara D’Urso. E la fatica di mandare giù l’indifferenza del premier e la freddezza di Mattarella nei suoi confronti.

“Ora tutti dovranno assumersi le proprie responsabilità”, scrive. Senza un percorso, il Pd rischia davvero l’implosione. E lui lo sa. Che questo basti a convincerlo a ripensarci è da vedere. Nonostante la richiesta che dopo un paio d’ore arriva praticamente da tutti a ripensarci. Da Franceschini a Guerini, da Andrea Orlando ad Andrea Marcucci. Amici e nemici. Oltre ai messaggi di solidarietà che il responsabile Organizzazione, Stefano Vaccari, raccoglie con cura. Non parla Stefano Bonaccini, il principale candidato alla successione. Giuseppe Conte gli telefona, per ribadire l’apprezzamento delle sue qualità umane e della sua lealtà. In fondo, i due condividono la stessa sorte: sono fuori, come voleva Matteo Renzi. Nel governo guardano con una certa preoccupazione a un Pd senza controllo, ma da quando è arrivato Draghi, a implodere sono stati i dem e i Cinque Stelle.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/03/05/faide-pd-zinga-si-dimette-conte-un-leader-leale/6122766/

lunedì 25 gennaio 2021

Zingaretti: “Renzi ci ha portato al rischio di elezioni anticipate. Il Pd non le vuole e lavora a un esecutivo autorevole con Conte”.

 

Nel primo giorno di una settimana che si preannuncia fondamentale per gli esiti della maggioranza, con lo spettro del ritorno alle urne che si fa sempre più concreto, il segretario del Pd attacca la "scelta" del leader d'Italia viva "con l'apertura della crisi" che ha fatto "materializzare il rischio di scivolare verso le elezioni anticipate". E spiega che il suo partito lavora a un nuovo governo "di stampo europeista, con Conte che è ovviamente il punto di equilibrio in questo momento più avanzato". Bettini: "Italia viva dia segnali". Patuanelli: "Non è soluzione".

È stata la “crisi al buio” aperta da Matteo Renzi a far “scivolare il Paese verso il rischio di elezioni anticipate”. Un rischio che il Partito democratico vuole evitare a tutti i costi e per questo lavora a un “esecutivo autorevole“. Guidato da chi? Sempre da Giuseppe Conte. Nel primo giorno di una settimana che si preannuncia fondamentale per gli esiti della maggioranza, con lo spettro del ritorno alle urne che si fa sempre più concreto, Nicola Zingaretti spiega a cosa sta lavorando il suo partito e di chi sono le colpe di una crisi che è precipatata in una situazione delicata. “Soffro perchè vedo un Italia che combatte e che ha paura. E dall’altra parte la politica che sta ragionando spesso purtroppo lontano dalla vita, per colpa della crisi. Lavoro per trovare soluzioni, non per creare problemi, questo è il ruolo del Pd. Il Pd non ha mai puntato e non vuole le elezioni: siamo stati chi s’è speso di più per non fare le elezioni, siamo stati responsabili e portato avanti la battaglia sui contenuti. È stata la scelta di Matteo Renzi con l’apertura della crisi a materializzare il rischio di scivolare verso le elezioni anticipate”, dice il numero uno dei dem a Radio Immagina, emittente vicina al Nazareno. “Qando abbiamo denunciato una crisi al buio, io pensavo esattamente a questa situazione. Una situazione -prosegue Zingaretti- nella quale proprio perchè non c’è stata la pazienza di salvaguardare il percorso di governo tutte le posizioni si stanno irrigidendo. Questa è una situazione dalla quale noi dobbiamo uscire ma è stata l’apertura della crisi che ha aperto quello che io giudico un rischio che però va in tutti i modi evitato”, prosegue il governatore della Regione Lazio.

“Conte punto di equilibrio più avanzato. Nessuno può superare sua fiducia” – Dunque come si evita il voto anticipato? “Il Pd si sta adoperando per garantire un governo autorevole e con una base parlamentare ampia, europeista”. Che tradotto vuol dire un nuovo governo. Guidato da chi? Sempre dall’attuale inquilino di Palazzo Chigi. “Risolvere problemi non vuol dire baci e abbracci ma impegnarsi con Conte visto che ha avuto la fiducia poco tempo fa, per un governo ampio ed europeista”. Un concetto che ricalca praticamente l’appello del presidente del consiglio in Parlamento la scorsa settimana, quando aveva chiamato a raccolta i “volenterosi” costruttori. “Credo – continua sempre Zingaretti – che l’idea di un governo che guardi all’interesse dell’Italia, al bene comune, di stampo europeista, con Conte ovviamente che è il punto di equilibrio in questo momento più avanzato. Ha preso la fiducia 4 giorni fa e io sfido chiunque a dimostrare che qualcun altro può superare quella soglia”.

Il nodo della giustizia – Un passaggio fondamentale, che anche dal fronte dem blinda Conte nella sua posizione di capo del governo. Problema: l’esecutivo al Senato è fermo a quota 156 voti: la scorsa settimana sono bastati per avere la fiducia con la maggioranza relativa, ma fino a questo momento non sono cresciuti. In più quei voti rischiano di diminuire tra mercoledì e giovedì, quando il guardasigilli, Alfondo Bonafede, esporrà la sua relazione sulla giustizia. Alcuni senatori che avevano votato la fiducia alla maggioranza – come Riccardo Nencini e Pier Ferdinando Casini – hanno già anticipato il loro voto contrario. Lo stesso ha fatto Italia viva, che sul governo si era astenuta: Renzi ha convocato i gruppi domani sera per decidere una linea sulla giustizia che per la verità sempre già decisa. “Ascolteremo, come abbiamo sempre fatto. Temo che sarà difficile votare diversamente da un no”, ha ripetuto ancora oggi Teresa Bellanova. Rappresenterebbe la prima saldatura dell’asse tra Matteo Renzi e Matteo Salvini, pronti a trasformare la giustizia in un campo minato per la maggioranza. Per questo motivo il vicesegretario del Pd, Andrea Orlandoaveva chiesto “segnali di apertura” da parte di Bonafede, cioè concessioni su un tema fondamentale come le riforme varate dal guardasigilli: dalla prescrizione al processo civile e penale. Un’ipotesi da scartare, stando a quanto dichiarato ieri da Luigi Di Maio: “Il voto di mercoledì è un voto sul governo, non si pensi che sia solo un voto su Alfonso Bonafede del Movimento 5 Stelle“, ha detto il ministro degli Esteri, spiegando che “o nei prossimi giorni si trova la maggioranza, altrimenti sono il primo a dire che stiamo scivolando verso il voto“. L’ex capo politico del M5s ha quantificato in 48 ore il tempo a disposizione dell’esecutivo per trovare i voti necessari a sopravviviere in Aula.

“Serve nuovo governo per le riforme” – Un tempo che per Zingaretti è bastevole visto che “il rischio di elezioni anticipate va in tutti i modi evitato e il Pd sta lavorando per garantire un governo che deve essere autorevole su una base parlamentare ampia, con un patto di legislatura”. Ma di che governo parla il capo del Pd? Un Conte ter? Sostenuto da chi? “Penso a un governo di legislatura che affronti il Covid, i vaccini, che chiuda la discussione sul Recovery, rilanci gli investimenti, dia lavoro e affronti il tema delle riforme istituzionali con la riforma elettorale. Insomma, abbiamo davanti un pacchetto di provvedimenti indispensabili per l’Italia”. E quindi un nuovo patto da Pd, M5s e Leu che sarebbe allargato anche ai responsabili provenienti da Forza Italia e dalla stessa Italia viva. “Però – sottolinea – bisogna lavorarci perchè gli equilibri parlamentari sono quelli usciti della sconfitta del 2018: ora quindi bisogna andare avanti ma senza strappi”. Tradotto: un esecutivo del genere non avrebbe il sostegno necessario alle Camere senza un corposo rimpasto. Un rimpasto talmente ampio che alla fine farebbe nascere un governo nuovo. E che, chiaramente, dovrebbe coinvolgere anche la giustizia, vero e proprio campo minato della maggioranza. Per questo motivo, mentre Di Maio definisce quello su Bonafede un voto su tutto il governo, fonti Pd hanno messo in guardia il premier sui rischi di andare in Aula per la relazione del ministro della Giustizia Alfonso Bonafede e sul fatto che il governo ne uscirebbe sconfitto visto che ad ora i numeri non ci sono.

Bettini: “Renzi dia segnali”. Patuanelli: “Non è soluzione” – Blinda ancora una volta il presidente del consiglio anche Goffredo Bettini, dirigente dem e primo pontiere tra Palazzo Chigi e il Parlamento. “Penso che non ci sia possibilità di partire altro che da Conte. Deve essere un governo nuovo, secondo me anche più qualificato, che dia il senso di una fase nuova ma Conte è imprescindibile. Non c’è nessun motivo per levare Conte”, dice l’ex eurodeputato a Omnibus su La7. Conte, ha aggiunto, “ha garantito il Paese, ha rimesso il Paese sui binari dell’Europa. Ha diviso il populismo fra quello mite e quello estremista”. La novità è che oggi Bettini ha aperto a Italia viva. “Se è un Renzi che ha rotto direi di no, se si mette nell’ottica di una responsabilità nazionale senza ricatti e senza prepotenze, si può guardare a una fase nuova. Dimostri effettivamente di avere il senso non dell’errore ma un pò del salto nel buio che lui ha procurato e incominci in Parlamento a dare qualche segnale, se ci sono delle aperture nella relazione del ministro sulla giustizia”. Per la verità però i renziani hanno già anticipato l’intenzione di votare contro Bonafede. “Penso sia giusto fare una verifica della maggioranza a anche sui temi della giustizia, sapendo però che in ogni caso bisogna aprire una fase nuova, con un governo con una maggioranza più larga”, ha rilevato. In ogni caso, ha aggiunto Bettini, “non è possibile ritrarsi di fronte a un nodo che dovrà essere sciolto. Se non c’è un accordo sulla giustizia, come si fa a pensare a un nuovo governo”. “Chi è il problema non può essere la soluzione. Non è una questione personale ma di affidabilità politica”, dice il ministro per lo Sviluppo Economico Stefano Patuanelli.

https://www.ilfattoquotidiano.it/2021/01/25/zingaretti-renzi-ci-ha-portato-al-rischio-di-elezioni-anticipate-il-pd-non-le-vuole-e-lavora-a-un-esecutivo-autorevole-con-conte/6077140/

lunedì 18 gennaio 2021

Zingaretti: “Porta aperta a Renzi? Solo a chi vota il governo”. Boccia ai parlamentari di Iv: “Stiano con il Pd, sono stati eletti con noi”.

 

VERSO LA CONTA ALLE CAMERE – Il segretario Pd al leader di Iv: “Il suo è un tragico errore, se mancano i numeri sarà un colpo all’Italia”. Bettini: “Conte premier dà fastidio a molti poteri”. Pontieri al lavoro fino all'ultimo per trovare nuove sponde alla maggioranza. Il ministro per gli Affari regionali su Rai3: "Deputati e senatori di Italia viva rispettino l'elettorato che li ha votati".

Il tempo per le trattative, le telefonate roventi e i calcoli con il pallottoliere è praticamente scaduto: tra poche ore il presidente del Consiglio Giuseppe Conte parlerà a Montecitorio dopo la rottura con Matteo Renzi, ritenuta ormai insanabile dallo stesso premier, dai 5 stelle e da una parte del Pd. Nonostante Nicola Zingaretti abbia fatto un ultimo appello alle “forze democratiche, liberali e europeiste” di unirsi “per salvare il paese”, i numeri soprattutto al Senato sembrano garantire, almeno per ora, una maggioranza relativa che basta per tenere in piedi il governo ma non a risolvere i problemi. I pontieri giallorossi sono stati impegnati fino all’ultimo nel cercare la pattuglia di “costruttori” che possa dare stabilità all’esecutivo. “Noi facciamo un appello alla luce del sole”, ha detto il leader del Pd, “e abbiamo il dovere, non il diritto, di rivolgerci al Parlamento per chiedere la fiducia“. I toni decisi del suo discorso in Direzione dem sono però più sfumati quando va in onda su Canale 5: “Porta aperta a Renzi? Lui ha compiuto un errore e la porta è aperta alle persone che vogliono dare speranza al Paese e votano la fiducia al governo“.

La doppia strategia di Renzi – L’opzione che i renziani possano fare retromarcia, però, al momento sembra la più improbabile: “I nostri 18 senatori non alimentano polemiche con il governo. Ad un governo che dice queste cose, la fiducia non gliela votiamo. Abbiamo dato disponibilità a votare il dl ristori e lo scostamento”, non altro, ha detto il leader di Iv a Mezz’ora in più su Rai3. Poi però si è autodefinito “un patriota” e ha smentito di aver problemi con Conte, rinnegando le accuse sul “vulnus democratico” lanciate in diretta streaming solo quattro giorni fa. La sua tattica è duplice: da un lato flirtare con un pezzo dei dem, dall’altro giocare sulla paura dei numeri. Già in un’intervista al Corriere ha tentato di rompere il fronte dei democratici: se qualcuno, dice, “nel Pd preferisce Mastella alla Bellanova o Di Battista a Rosato ce lo farà sapere. Noi vogliamo che si formi un governo di coalizione con un ruolo fondamentale per il Pd e per i suoi esponenti”. Il Pd sa, secondo Renzi, “che senza Italia viva non ci sono i numeri. Forse non sarà più amore, ma almeno è matematica“. Il mantra di Italia Viva è quello di spostare l’asticella a quota 161 per la maggioranza – quando in realtà per la fiducia basta che i Sì superino i No – e ripetere che Conte non ce la farà: “I numeri non ci sono. Prima ne prendono atto, prima possiamo iniziare a costruire il futuro”, ribadisce anche Maria Elena Boschi.

Più anime nel Pd – Parole che alimentano le speranze di quella quota di parlamentari Pd che sembrano remare contro il loro stesso governo. Dentro il partito, infatti, ci sono tante anime, a partire dal capogruppo al Senato ed ex renziano Andrea Marcucci. Ma Zingaretti ha tentato di sgombrare il campo dall’ipotesi di tornare a dialogare con i renziani: “Una cosa è rilanciare, rinnovare, cambiare, aprirsi e mettersi in discussione, altra cosa è distruggere, avere un approccio liquidatorio. Se non si rispettano le opinioni degli altri, avendo la presunzione di tenere in considerazione solo le proprie, allora viene meno la fiducia e la possibilità di lavorare insieme“. Significative anche le parole del suo braccio destro e principale pontiere di queste ore, Goffredo Bettini. A suo parere, lo spazio di un confronto concreto e sereno con Italia Viva “era grande” ma Matteo Renzi “ha voluto staccare la spina, spingendo l’Italia in una crisi al buio“. “Non solo per il suo carattere, ma per un disegno politico di rottura dell’alleanza tra Leu, 5 Stelle e Pd”.

Il pallottoliere – Il problema per il governo Conte restano i numeri: nonostante l’ottimismo iniziale, al momento il gruppo di “costruttori” che dovrebbe fare riferimento alla neoformazione Maie-Italia23 e centristi non ha attratto abbastanza parlamentari per garantire stabilità a un eventuale Conte ter. Sabato l’Udc, i cui senatori si sono più volte mostrati disponibili alla collaborazione, si è sfilata chiudendo a ogni dialogo. Azione e +Europa hanno aperto dopo l’appello di Zingaretti, ma per loro resta una condizione: “Siamo pronti a discutere di questo, ma certo non della prosecuzione di un esecutivo guidato da Conte, arrivato al capolinea“. Il Psi di Riccardo Nencini, invece, che a Palazzo Madama con il suo simbolo ha permesso ai renziani di costituire un gruppo autonomo, dopo il suo sì alla maggioranza dei giorni scorsi si mantiene sul filo dell’ambiguità. “Formare una maggioranza organica dentro un quadro politico certo, senza immaginare soluzioni di fortuna”, è la linea dettata dalla segreteria del suo partito. Ma il match, al netto delle sorprese che potrebbero avvenire in Aula, non è ancora chiuso. Per Palazzo Chigi al momento l’obiettivo è quello di avere un voto in più e spostare più avanti la costruzione di una maggioranza solida. Dopo un vertice di oltre un’ora tra i capigruppo di Pd, M5s e Leu, il premier, e il ministro dei Rapporti con il Parlamento Federico D’Incà, la parola d’ordine resta la stessa: “Massimo riserbo“.

A fine giornata, il vicesegretario dem Andrea Orlando ostenta sicurezza: “Lavoriamo perché il tentativo di fare cadere il governo sia sventato. Siamo convinti che ce la faremo“, scrive su Facebook. La speranza è che sulla strada dei responsabili alla fine possa incamminarsi anche qualche parlamentare di Italia viva. Il ministro Francesco Boccia, intervistato a Che tempo che fa su Rai3, è stato chiaro: “Sono stati eletti con il Pd, spero vogliano rispettare la volontà di quell’elettorato. Faccio appello a tutti gli eletti del Pd di votare con il Pd“, dice, senza però sbilanciarsi sull’esito del voto di fiducia. “La maggioranza ci sarà, se è relativa o meno lo diranno i numeri“. Ma se alla Camera Iv mostra crepe – dopo Vito De Filippo anche Michela Rostan annuncia che voterà la fiducia – a Palazzo Madama il gruppo di Matteo Renzi al momento tiene. A compattarlo c’è anche la decisione di non votare contro la fiducia in Aula, ma schierarsi per l’astensione.

L’obiettivo della crisi (e un possibile esito) – Per ottenere che cosa? Quello che sembra l’obiettivo finale del leader di Iv emerge tra le righe durante la sua intervista a Non è l’arena su La7. “Sarebbe un bene per il Paese se, invece di andare a caccia di responsabili, tutti insieme facessimo un progetto di riforme, tutti, da Conte a Salvini, da Berlusconi a Di Maio. Non un governo, ma le regole del gioco si scrivono insieme”, dice a Giletti. Certo è che per poter lavorare serve un esecutivo in carica. Quale? “Il premier ha detto di no al ritorno di Italia viva in maggioranza, ma noi non avevamo nessun veto su Conte”, ripete Renzi come un mantra, negando che la sua preda sia proprio il premier. Eppure è certo che in Parlamento un’altra maggioranza “si possa trovare“. E così Ettore Rosato torna all’attacco: “Il problema non è Renzi ma il metodo del presidente del Consiglio. Non è vero che i problemi non ci sono e che siamo i migliori del mondo”.

Perché ancora tanta acredine? Bettini al Corriere spiega che, come sempre, c’è di mezzo solo la tattica politica: “I 5 Stelle sono confluiti nel campo europeista. È questo che dà fastidio a tanti. Dà fastidio l’alleanza tra Leu, Pd e 5 Stelle. Dà fastidio Conte, che di questa alleanza è il raccordo. Dà fastidio la sua libertà da poteri vecchi e nuovi. Dà fastidio un ruolo più forte del Vecchio Continente”. Ora più che mai per il premier è necessario che Pd, 5 stelle e Liberi e uguali si compattino intorno al suo nome. I pentastellati hanno anche tracciato la linea del “no” al governo tecnico, il sogno di Renzi, escludendo ogni alternativa all’attuale capo dell’esecutivo. È ancora una volta Pier Luigi Bersani, con una delle sue metafore, a chiarirne il motivo: “Anche se nessuno vuole le elezioni, puoi tirare un filo per cui viene giù il maglione. Attenzione sul tema Conte, c’è un giudizio ingeneroso e anche irrealistico. E’ meglio di come in questi mesi è stato raccontato. Lì c’è un punto di equilibrio, se si toglie ritengo che la situazione potrebbe andare fuori controllo”. Talmente fuori controllo che, senza un rinforzo della maggioranza, alla fine si possa davvero “rotolare” alle urne. L’ultima parola per fermare la valanga, adesso, spetta al Parlamento.

https://www.ilfattoquotidiano.it/2021/01/17/da-zingaretti-appello-a-liberali-europeisti-democratici-in-aula-boccia-i-parlamentari-di-iv-votino-con-il-pd-sono-stati-eletti-con-noi/6068399/

venerdì 2 ottobre 2020

Il “Pastrocchium” di Zinga sembra la riforma di Renzi. - Giacomo Salvini

 


Scontro giallorosa sulla legge elettorale.

Tanti saluti alle riforme puntuali della Costituzione come il taglio dei parlamentari. Anzi: sì alla riproposizione di alcune – le peggiori – modifiche volute dalla coppia Renzi-Boschi nel 2016 e già bocciate dagli elettori. Sta tutta qui la riforma costituzionale presentata ieri al Nazareno dai vertici del Pd. Ma di nuovo nella proposta ispirata da Enzo Cheli e Luciano Violante c’è solo il ruolo del Parlamento che si riunirà in seduta comune sia per dare e togliere la fiducia al governo, sia per votare il Bilancio che per le comunicazioni del premier prima e dopo il Consiglio Europeo. Sul resto la grande riforma Pd è una minestra riscaldata di proposte ripescate dal ddl Renzi-Boschi e nuove regole per rafforzare il ruolo del governo legando di fatto le mani al Presidente della Repubblica con il meccanismo della sfiducia costruttiva alla tedesca.

Dalla riforma Renzi questo progetto ripesca un Senato depotenziato e che dovrebbe fare da collegamento con le Regioni. In primo luogo, con un nuovo “bicameralismo temperato”, le due Camere avranno un potere diverso sul processo legislativo: la supremazia spetterà all’aula di Montecitorio che avrà l’ultima parola sulle leggi ordinarie, mentre resta il bicameralismo paritario per le leggi elettorali e costituzionali. I senatori avranno il potere d’inchiesta e sulle politiche pubbliche con impatto sui territori, mentre nel processo ordinario saranno praticamente inutili: potranno esaminare le leggi approvate a Montecitorio entro 15 giorni e fare delle modifiche, ma la parola finale spetterà comunque alla Camera. Al Senato tornerebbe anche il dopo-lavoro per i consiglieri regionali: ai 200 senatori si aggiungono 21 consiglieri eletti dalle assemblee locali che dovrebbero fare la spola tra Rome e i capoluoghi. Ma ancora una volta il loro mandato sarebbe legato a quello dei consigli regionali (creando molta confusione).

Il presidente del Consiglio poi sarà rafforzato: avrà il potere di proporre al capo dello Stato la revoca di un ministro, ci vorrà la maggioranza assoluta per la sfiducia e viene introdotto il meccanismo della sfiducia costruttiva come in Germania indicando nella mozione chi dovrebbe guidare il prossimo governo. Problema: questa modifica rischia di esautorare i poteri del Capo dello Stato di nomina del premier visto che nella forma di governo italiana, rispetto a quella tedesca, il presidente non ha solo un potere formale ma sostanziale. La proposta non piace al M5S: “No alle riforme monstre e agli annunci di parte” dice il capogruppo alla Camera Davide Crippa e lo scontro continua anche sulla legge elettorale. Zingaretti ha detto che la soglia del 5% “non è in discussione” facendo arrabbiare LeU e che alle preferenze preferisce i “collegi uninominali sul modello delle province” incontrando l’ostilità di Italia Viva: “Sì alle preferenze, no al Provincellum” dice Maria Elena Boschi. Risultato: per il primo voto si dovrà aspettare il 2021.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/10/02/il-pastrocchium-di-zinga-sembra-la-riforma-di-renzi/5951358/

A me sa tanto che alla base di tutto ci sia ancora lo zampino di Napy. Ma, forse, è solo una mia fissazione.

sabato 29 agosto 2020

L’altra truffa a Zingaretti. I camici mai consegnati. - Vincenzo Bisbiglia

L’altra truffa a Zingaretti. I camici mai consegnati
Dopo il caso delle mascherine pagate 11 milioni (3 rientrati) e mai consegnate, alla Regione Lazio c’è quello dei camici e delle tute protettive. Mai arrivati, se non in minima parte e peraltro già sequest0rata dalla Guardia di Finanza. La Regione guidata da Nicola Zingaretti ha revocato l’ordine alla società Internazionale Biolife che quattro mesi fa si impegnò a consegnare “con estrema urgenza per fronteggiare l’emergenza” 850mila camici e 1 milione di tute. Alla fine ne sono arrivati meno di 150 mila, con la Regione ora pronta a chiedere indietro l’anticipo già versato, ossia 2,8 milioni di euro, più altri 1,4 milioni di penale. Guai però a chiamarlo buco (questa volta) perché con la stessa società “l’agenzia di Protezione Civile del Lazio non ha saldato una fornitura di mascherine, autorizzate e conformi, provenienti della stessa società” e quindi pari patta: una valutazione che non trova d’accordo le opposizioni.
Ma procediamo con ordine. In piena pandemia, l’ente assegna commesse per oltre 100 milioni di euro in via diretta a società minuscole, appena costituite o senza alcun know-how nel settore: le conseguenze sono ritardi e mancata consegna del materiale. È il 30 marzo quando la Regione decide di affidare alla Internazionale Biolife, con sede a Taranto e che vende prodotti omeopatici compresi quelli per il benessere sessuale, il corposo ordine da “fornire entro l’8 aprile, presso l’aeroporto di Fiumicino”. Il giorno dopo viene pagato l’acconto, 20% del totale, ma la prima consegna di camici avviene il 3 giugno. A metà del mese arrivano in tutto circa 150mila camici su un totale di 1 milione. E si arriva così al 26 agosto quando la Finanza notifica il sequestro “emesso dalla procura di Taranto nell’ambito di un procedimento penale che vede indagati i responsabili della Internazionale Biolife”. Per la società i ritardi sono dovuti alle procedure di sdoganamento presso le dogane turche e al porto di Bari, a cui si aggiunge la necessità di “rietichettatura delle confezioni” dei camici. La Regione però a questo punto decide per la revoca: “La condotta contrattuale della Biolife è chiaramente caratterizzata da inaffidabilità e inattendibilità dei tempi di esecuzione. Ha omesso di curare con la dovuta diligenza ed il necessario tempismo l’adempimento della propria obbligazione”.
Una versione che fa quasi sorridere l’amministratore delegato, Luciano Giorgetti: “Ai primi di agosto abbiamo chiuso un’altra commessa con gli stessi soggetti che pubblicamente ci accusano di essere inaffidabili, mi sembra un bel paradosso. Sul mio procedimento abbia fatto ricorso al Riesame. Inoltre abbiamo denunciato i fornitori: se non verremmo pagati chiederò il sequestro dei conti correnti”. Una storia che si preannuncia ricca di ulteriori colpi di scena, senza dimenticare il caso iniziale, anticipato dal fattoquotidiano.it, della EcoTech, un’azienda che vende lampadine a Led, ma che ha avuto una commessa da 35 milioni di euro per le mascherine, mai arrivate. “Purtroppo avevamo ragione, la Ecotech non era un caso isolato, sono stati confermati tutti i nostri dubbi anche sulle forniture della Internazionale Biolife. Sorprendente che il Direttore della protezione civile sia ancora al suo posto” incalza Roberta Angelilli di Fratelli d’Italia. Ecotech aveva corrisposto una parte dell’anticipo alla società svizzera Exor, che a sua volta, aveva chiesto l’approvvigionamento sempre alla Biolife, che poi dalla Regione riceverà la commessa dei camici.
Non sembra l’unico problema del Lazio, alle prese con i ritardi nei tamponi per chi rientra dalle vacanze: le Asl fanno attendere per giorni, romani e turisti in coda anche per 4 ore ad alcuni “drive in” per i test e il sindaco di Civitavecchia, snodo centrale degli arrivi dalla Sardegna e non solo, fatica a gestire il traffico e gli assembramenti.

venerdì 28 agosto 2020

Ecco perché ai partiti piace il Mes. - Gaetano Pedullà

NICOLA ZINGARETTI

Incurante del fatto che meno si sente più recupera consensi, il segretario del Pd Nicola Zingaretti è tornato a farsi vivo per chiedere al Governo, tra le altre cose, di prendere i soldi del Mes sanitario, cioè il fondo messo a disposizione dall’Europa apparentemente a condizioni di favore. Senza tornare per l’ennesima volta sulle evidenti insidie di questo pessimo strumento, da cui non a caso tutti i Paesi con problemi di sanità pubblica persino peggiori dei nostri si tengono alla larga, dobbiamo riconoscere che pochi possono parlare di sanità quanto Zingaretti, visto che guida una Regione, il Lazio, dove gli ospedali sono stati commissariati per anni a causa di un debito mostruoso, e che pertanto sono stati pesantemente ridimensionati, quando non del tutto chiusi.
Un disastro esploso all’epoca di un governatore precedente, Francesco Storace, del Centrodestra, nell’epoca in cui proprio quella parte politica rivendicava di voler trattare alla pari la sanità pubblica e quella privata, con la conseguenza di svuotare le casse alle Asl e far lievitare gli utili dei colossi delle cliniche. Quando poi arrivò la mannaia sulla spesa, il pubblico fu costretto a massacrare le strutture sanitarie decentrate e la medicina del territorio (con le conseguenze che abbiamo visto anche nella gestione del Covid), mentre ai privati non è stato torto un capello, tanto che tuttora restituiscono il favore alla classe politica che li ha beneficiati assumendone a vario titolo i vecchi leader.
Per chi vuol vedere dove altri fanno finta di nulla, a Roma Storace fa il vicedirettore del Tempo, giornale di proprietà della famiglia Angelucci, casualmente a capo di decine di cliniche in mezza Italia, mentre nella Milano di Formigoni, transitato a fine carriera nel Nuovo Centrodestra Ncd, l’ex segretario di quello stesso partito, Angelino Alfano, è presidente del Gruppo ospedaliero Rotelli, una delle maggiori holding sanitarie del Paese. Dopo aver fatto i danni che sappiamo, non stupisce che questa politica voglia appiopparci anche il Mes.

martedì 4 agosto 2020

Legge elettorale, Zingaretti vuole la bozza in aula prima del voto sul taglio dei parlamentari: “Preoccupazione, rispettare gli accordi”.

Legge elettorale, Zingaretti vuole la bozza in aula prima del voto sul taglio dei parlamentari: “Preoccupazione, rispettare gli accordi”

In una nota il segretario Dem è tornato a chiedere di inserire il tema nell'agenda parlamentare, dopo la bocciatura, grazie anche ai voti di Italia Viva, durante l’Ufficio di presidenza di Montecitorio. Rosato: "Non è la priorità, rimaniamo sulla strada della concretezza".

Nicola Zingaretti torna a chiedere il rispetto degli accordi di governo per arrivare a una riforma elettorale che anticipi il referendum sul taglio dei parlamentari, tema caro invece al Movimento 5 Stelle, entro il 20 settembre, giorno del voto. Lo fa con una nota in cui esprime “preoccupazione” per l’avvicinarsi della consultazione popolare senza che ancora la riforma chiesta dal Pd sia stata messa in testa all’agenda dell’esecutivo: “Le preoccupazioni espresse da molte personalità, in ultimo da Bartolomeo Sorge, sul pericolo di votare a favore del referendum sul taglio ai parlamentari senza una nuova legge elettorale, sono fondate e sono anche le nostre – scrive il Dem – Per questo il Partito Democratico un anno fa ha fatto inserire questo punto nel programma di Governo. Per questo, e non per perdere tempo, spesso in solitudine nelle ultime settimane, abbiamo riproposto questo tema da inserire nell’agenda parlamentare”.

Nel documento, il segretario del Pd si rivolge direttamente al Movimento 5 Stelle, spiegando che “su questa posizione, in questi giorni, ci sono stati pronunciamenti importanti da parte del M5s, da ultimo con il ministro Di Maio. Pronunciamenti che vanno tutti nel senso della volontà di rispettare gli accordi. Rinnovo dunque l’appello alla collaborazione a tutti gli alleati e a fare di tutto affinché, a partire dal testo condiviso dalla maggioranza, si arrivi entro il 20 settembre a un pronunciamento di almeno un ramo del Parlamento”.

Il messaggio ha come destinatario ultimo Italia Viva e il suo leader, Matteo Renzi, che tra gli alleati di governo è quello che più di tutti si è opposto a una revisione della legge in senso proporzionale con sbarramento al 5% (che penalizzerebbe, tenendo conto dei sondaggi, il partito dell’ex premier), come vorrebbe il Pd, a differenza di quanto pattuito quando i partiti hanno deciso di allearsi per dare vita al Conte 2. Inoltre, più volte dalle parti di Iv si è spiegato che, in una situazione di emergenza dovuta alla crisi del coronavirus, la riforma della legge elettorale non rappresenta una priorità per il Paese. Non a caso, a fine luglio, Italia Viva ha deciso di votare con il centrodestra durante l’Ufficio di presidenza di Montecitorio impedendo così alla bozza di arrivare in aula a luglio e anche di essere discussa in commissione.

Per fare pressione sui deputati renziani, Zingaretti chiede così l’aiuto proprio del Movimento che, nonostante abbia dimostrato la propria disponibilità a compiere passi avanti, non ha mai spinto sul tema. Ma pochi giorni fa il segretario Dem, pur ribadendo il mancato rispetto degli accordi da parte dei renziani, in un’intervista a SkyTg24 ha sostenuto la necessità di un ritorno rapido al confronto tra le forze di maggioranza per partorire una nuova proposta di riforma, aprendo anche alla possibilità di un maggioritario, avvicinandosi così alle posizioni del politico di Rignano. Un cambio di strategia che coincide anche con l’emorragia di consensi della Lega iniziata con l’arrivo della pandemia e che, secondo i sondaggi, ha riportato il Carroccio a percentuali vicine a quelle del Pd.

Ma da Italia Viva arriva sempre la stessa risposta. Su Twitter, il presidente Ettore Rosato ripete che “è il momento di fare delle scelte coraggiose, dare liquidità a famiglie e imprese, non perdere posti di lavoro, far riprendere la nostra economia. Cambiare la legge elettorale che dovrà essere utilizzata nel 2023 non è una priorità. Proseguiamo sulla strada della concretezza“.

https://www.ilfattoquotidiano.it/2020/08/04/legge-elettorale-zingaretti-vuole-la-bozza-in-aula-prima-del-voto-sul-taglio-dei-parlamentari-preoccupazione-rispettare-gli-accordi/5889571/