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mercoledì 19 aprile 2023

Il Pd si astiene nel voto per fermare l’inceneritore di Roma. - Giulio Cavalli

 

Foto Pixabay





Domani in Parlamento il Pd si asterrà sugli ordini del giorno di M5S e Verdi-Sinistra per bloccare l'inceneritore della Capitale.

A perderci è solo il Pd, comunque vada. La lotta contro l’inceneritore di Roma è sbarcata in Parlamento a suon di mozioni e ordini del giorno. In prima linea gli ecologisti dell’Alleanza verdi sinistra e il Movimento 5 Stelle che, collegati al decreto Pnrr, presenteranno due Odg per revocare i poteri commissariali in capo al sindaco di Roma, Roberto Gualtieri, per ostacolare il percorso di realizzazione dell’impianto.
I due documenti saranno sottoposti al voto probabilmente già domani. Uno dei fronti aperti all’interno del partito guidato da Elly Schlein è sulla riduzione della portata dell’impianto che Gualtieri ha ipotizzato in 600 mila tonnellate annue di scarti indifferenziati. Nella segreteria del nuovo Pd la delega all’ambiente è stata affidata a Annalisa Corrado che proprio sul termovalorizzatore di Roma ha sempre espresso una netta contrarietà.
Ma l’inceneritore, com’era immaginabile, è anche una leva per regolamenti di conti interni e esterni. Ieri il dem Orfini ha spiegato che “il termovalorizzatore va fatto” e che “la scelta spetta all’amministrazione e ai cittadini romani” criticando una mozione “con l’unico obiettivo di creare imbarazzi al Pd” presentata da “forze che dovrebbero esser nostre alleate”, ha spiegato.
Il termovalorizzatore, com’era immaginabile, è anche una leva per regolamenti di conti interni e esterni
A ruota Stefano Bonaccini (che Orfini ha sostenuto per la corsa alla segreteria) ha messo in guardia la segretaria Schlein augurandosi che il partito non si spacchi: “Mi auguro di no. – ha detto in un’intervista radiofonica -. I gruppi parlamentari hanno la loro autonomia. Sa come la penso io e, credo, la gran parte del Pd”. Anche qui il messaggio rivolto a Elly Schlein è chiaro: nonostante la vittoria alle primarie della segretaria le truppe parlamentari hanno intenzione di far valere equilibri diversi da quelli usciti dalle urne. Così è fin troppo facile per il leader del Movimento 5 Stelle rigirare il coltello nella piaga: “Il Pd deve chiarire le posizioni al suo interno e spero possano far sintesi. E occorre far subito, perché stanno per partire i lavori di un termovalorizzatore da 600mila tonnellate” – dice Giuseppe Conte a Sky.
Per il leader pentastellato, riguardo al tema dell’inceneritore, il sindaco di Roma, Roberto Gualtieri, “ha fatto una piroetta, una capovolta a 360 gradi. Noi siamo favorevoli a tecnologie eco-compatibili”. Quindi Conte ha aggiunto: “Alcuni giornali vicini al Pd si sono dispiaciuti, vorrei chiarire che il Movimento 5 Stelle non abbasserà mai l’asticella delle sue battaglie. Battaglie importanti per la tutela del pianeta e per la salute dei cittadini”.
Prova a calmare gli animi il capogruppo del Pd al Senato Francesco Boccia: “Io avevo capito che domani in Aula alla Camera andasse il dl Pnrr e io penso – spiega il senatore – che, soprattutto per le opposizioni, sia molto importante costrui re. Noi facciamo opposizione al governo Meloni, mi auguro che gli altri partiti di opposizione facciano lo stesso, perché se c’è qualcuno che si illude con un odg di provare a creare problemi ad altri partiti di opposizione, io penso che questa pratica non aiuti nessuno”. “Se la domanda è ‘siete favorevoli o contrari ai termovalorizzatori?’, – spiega Boccia – se chiudono un ciclo la risposta è sì, se sono il ciclo la risposta è no. Ma se si pensa che questa sia la politica, allora ho la sensazione che ci sono forze politiche che non han capito in che pezzo di storia siamo”.
Nonostante le promesse sul Green la neo segretaria Schlein è costretta a subire i diktat delle solite correnti
La linea del capogruppo è la linea della segretaria Schlein: le priorità sono altre ed è il sindaco Gualtieri ad avere la responsabilità politica dell’operazione. In Parlamento l’astensione dal voto sarà la scelta del Partito democratico. Intanto ieri, in serata, perfino Fratelli d’Italia ha sfruttato l’occasione: “Elly Schlein non risponde al suo sindaco, a Giuseppe Conte continuando a trincerarsi dietro un impenetrabile silenzio. È ancora in vacanza?”, chiede il deputato meloniano Massimo Milani. Il terzo gode.

domenica 21 novembre 2021

Open, ecco perché su Renzi il Senato non può sostituirsi all’autorità giudiziaria: lo dice la Consulta. - Piercamillo Davigo

 

IL MARCHESE DEL GRILLO - Lo “scudo” parlamentare reclamato a più riprese dall’ex premier non trova alcuna giustificazione. La Consulta è stata chiara su quali siano i reali confini della tutela dei parlamentari.

Nel testo originario della Costituzione, era previsto che nessun membro delle Camere (Camera dei deputati e Senato della Repubblica) potesse essere sottoposto a procedimento penale senza l’autorizzazione della Camera di appartenenza.

A fronte dell’indignazione popolare conseguente all’uso fatto del diniego di autorizzazioni, non solo sulla base di sacrosante ragioni di tutela della libertà dell’attività parlamentare, ma anche per assicurare l’impunità per reati comuni (persino per un omicidio colposo conseguente a incidente stradale), l’art. 68 della Costituzione fu modificato con la legge costituzionale 29 ottobre 1993, n. 3.

Rimase la necessità di autorizzazione per perquisizioni personali e domiciliari, intercettazioni di conversazioni o comunicazioni e sequestro di corrispondenza, oltre che per le ipotesi di limitazione della libertà personale. Invero, se è comprensibile la tutela della libertà personale, è incomprensibile come possano essere subordinate ad autorizzazione preventiva atti a sorpresa quali perquisizioni o intercettazioni. Infatti un dibattito nella assemblea di cui il parlamentare fa parte vanificherebbe l’utilità dell’atto. Solo uno sciocco, per esempio, saputo che si sta per perquisirlo, per esempio per trovare stupefacenti, continuerebbe a detenere ciò che gli inquirenti ricercano. Altrettanto deve dirsi per le intercettazioni: chi converserebbe sapendo che è stata autorizzata una intercettazione nei suoi confronti?

Gli atti a sorpresa non possono perciò essere compiuti, ma può capitare (e concretamente capita) che intercettando altro soggetto si acquisiscano conversazioni rilevanti in sede penale con un parlamentare. In questi casi l’autorità giudiziaria deve chiedere alla Camera di appartenenza l’autorizzazione all’utilizzo di tali conversazioni.

La Corte costituzionale è più volte intervenuta su dinieghi di autorizzazione all’utilizzo di intercettazioni.

Con sentenza n. 74 del 26.02.2013 la Corte costituzionale, in riferimento a un procedimento penale per concorso esterno in associazione mafiosa, ha annullato la deliberazione della Camera dei deputati di diniego dell’autorizzazione alla utilizzazione, da parte della magistratura procedente, di intercettazioni telefoniche coinvolgenti casualmente il parlamentare, a seguito di ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato promosso dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere. Il tutto affermando che: “Non spettava alla Camera dei deputati negare, con deliberazione del 22 settembre 2010, l’autorizzazione, richiesta dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Napoli, a utilizzare quarantasei intercettazioni telefoniche nei confronti di N. C., membro della Camera dei deputati all’epoca dei fatti, nell’ambito del procedimento penale nel quale il predetto parlamentare risulta imputato. Invero, premesso che ai sensi dell’art. 6, della legge n. 140 del 2003, il criterio alla stregua del quale deve essere valutata la correttezza dell’esercizio del potere giurisdizionale nei confronti dei membri delle Camere è costituito dalla ‘necessità’ processuale e la valutazione circa la sussistenza di tale necessità spetta all’autorità giudiziaria richiedente, mentre al Parlamento compete di verificare che la richiesta di autorizzazione sia coerente con l’impianto accusatorio, accertando che il giudice abbia indicato gli elementi sui quali la richiesta si fonda e che questa sia motivata in termini non implausibili, nella deliberazione impugnata la motivazione formulata dal GIP a giustificazione della necessità di acquisire le intercettazioni non è stata in alcun modo esaminata e il diniego espresso dalla Camera è fondato su argomenti che hanno solo una remota attinenza con il requisito della necessità e comunque non concernono la plausibilità o sufficienza della motivazione del giudice, essendo volti piuttosto a negare in modo assiomatico rilievo decisivo al valore probatorio delle comunicazioni intercettate. Conseguentemente la delibera della Camera risultando assunta sulla base di valutazioni che trascendono i limiti del sindacato previsto dall’art. 68, terzo comma Cost. e interferiscono con le attribuzioni assegnate in via esclusiva al giudice penale, deve essere annullata”.

Semplificando: la Camera di appartenenza non può sostituirsi all’autorità giudiziaria nell’esercizio dei poteri di questa.

Ciò che è avvenuto per quanto riguarda le conversazioni di Matteo Renzi finite agli atti dell’inchiesta della Procura di Firenze non ha rappresentato “una utilizzazione parcellizzata e disconnessa dalla posizione dei parlamentari”, bensì una “utilizzazione che ha evidenti e inequivocabili incidenze sulla loro posizione nell’ambito del procedimento penale”.

Nella recente vicenda che riguarda le indagini sulla Fondazione Open, il 4 ottobre la Procura di Firenze ha dichiarato il non luogo a provvedere rispetto all’istanza dei legali di Renzi, che qualche giorno prima avevano avanzato “formale intimazione al Procuratore aggiunto, dott. Luca Turco, di astenersi dallo svolgimento di qualsivoglia attività investigativa preclusa in base all’articolo 68 della Costituzione (sulle guarentigie dei parlamentari, ndr)” e dall’utilizzo di “conversazioni e corrispondenza casualmente captate (…) senza la previa autorizzazione della Camera di appartenenza”. Ciò in quanto l’utilizzazione dei dati processuali in questione è stata operata non già nei confronti di Renzi, ma di un altro indagato che non essendo parlamentare non poteva invocare quelle garanzie riconosciute agli eletti.

Il senatore Renzi ha richiesto che l’Assemblea valutasse tale situazione e il senatore Pietro Grasso aveva segnalato come, al momento, non risultasse l’uso nei confronti del parlamentare di dati sequestrati a un terzo.

Con sentenza n. 390 del 2007 24.10.2007 la Corte costituzionale ha dichiarato “costituzionalmente illegittimo l’art. 6, commi 2, 5 e 6, della legge 20 giugno 2003, n. 140, nella parte in cui stabilisce che la disciplina ivi prevista si applichi anche nei casi in cui le intercettazioni debbano essere utilizzate nei confronti di soggetti diversi dal membro del Parlamento, le cui conversazioni o comunicazioni sono state intercettate. Infatti, le disposizioni impugnate sono incompatibili con il fondamentale principio di parità di trattamento davanti alla giurisdizione, accordando al parlamentare una garanzia ulteriore rispetto alla griglia dell’art. 68 Cost., che finisce per travolgere ogni interesse contrario, poiché si elimina, a ogni effetto, dal panorama processuale una prova legittimamente formata, anche quando coinvolga terzi che solo occasionalmente hanno interloquito con il parlamentare. Così si introduce una disparità di trattamento non solo fra il parlamentare e i terzi, ma anche fra gli stessi terzi, posto che la posizione del comune cittadino, cui gli elementi desumibili dalle intercettazioni nuocciano o giovino, viene a risultare differenziata in ragione della circostanza, casuale, che il soggetto sottoposto ad intercettazione abbia avuto come interlocutore un membro del Parlamento. Quel che rende contrastante l’art. 6, commi 2, 5 e 6, non solo con il principio di eguaglianza ma anche con il parametro della razionalità intrinseca è il fatto che sia stato delineato un meccanismo integralmente e irrimediabilmente demolitorio, omettendo qualsiasi apprezzamento della posizione dei terzi, anch’essi coinvolti nelle conversazioni”.

Una pronuncia del Senato di segno contrario alle decisioni della Corte costituzionale ricorderebbe il celebre motto del Marchese del Grillo: “Io so’ io e voi non siete un c…”.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/11/20/lautorizzazione-a-non-procedere/6399183/

lunedì 17 maggio 2021

Dal Piano Ue ai decreti il Parlamento ormai s’è ridotto a passacarte. - Giacomo Salvini

 

Immobilismo - Si decide tutto con i Dl del governo.

Mercoledì 12 maggio, interno Senato. Di fronte alle due mozioni di Lega e Forza Italia in cui si chiedeva di “abolire il coprifuoco”, il ministro dei Rapporti col Parlamento Federico D’Incà è costretto a riunire i capigruppo di maggioranza per evitare la spaccatura in Aula. Il centrodestra vorrebbe eliminare subito il coprifuoco e riaprire tutti i locali al chiuso, ma Pd e M5S si oppongono. E così inizia una lunga trattativa sull’ordine del giorno di maggioranza da presentare il giorno successivo. Il capogruppo leghista Massimiliano Romeo vorrebbe usare la parola “abolizione” in riferimento al coprifuoco ma è troppo, il fronte rigorista spinge per “allungamento”. Alla fine, dopo una buona mezz’ora di litigi, arriva la mediazione: “Superamento progressivo”. E così via: su ogni singola virgola, una trattativa. E raccontano che questo copione si ripeta sempre più spesso nella maggioranza del governo Draghi. Risultato: il Parlamento è immobile da mesi. “L’iniziativa legislativa delle Camere ormai è ferma – racconta un ministro – e ne vedremo delle belle quando in Parlamento arriveranno le riforme legate al Recovery”. E non è un caso che sabato Matteo Salvini lo abbia detto senza tanti giri di parole: “Questo governo non farà le riforme”.

D’altronde basta seguire i lavori parlamentari per farsi un’idea. Il Parlamento, da quando si è insediato il governo Draghi, ha solo fatto da passacarte all’esecutivo: dal 13 febbraio le Camere hanno approvato 9 leggi, escludendo le 4 ratifiche, di cui 8 conversioni di decreti approvati dal governo (4 di questi risalgono al Conte-2). Una media di 3 leggi al mese, molto più bassa, secondo i dati di OpenPolis, della media di 4,9 dall’inizio della legislatura. L’unica legge di iniziativa parlamentare approvata è stata quella che ha istituito la giornata nazionale in memoria delle vittime del Covid, il 18 marzo.

Di fronte all’immobilismo delle Camere, è stato il governo a sostituire di fatto il potere legislativo. Nei primi 90 giorni, l’esecutivo ha approvato 10 decreti legge e 5 decreti legislativi. Per quanto riguarda i decreti legge, se già il Conte-2 ne aveva fatto largo uso per rispondere all’emergenza pandemica, il governo Draghi non si è fatto problemi: ha una media di 3,3 al mese. La più alta degli ultimi 10 anni, secondo i dati OpenPolis: il governo giallorosa aveva una media di 3 decreti al mese, quello di Enrico Letta di 2,78 e di Mario Monti di 2,41. Senza considerare che questa settimana ne arriveranno altri due: il nuovo dl sulle riaperture e il Sostegni bis.

Che i parlamentari ormai siano diventati solo degli “schiaccia bottoni” lo dimostra anche l’iter delle conversioni dei decreti. Le Camere sono talmente ingolfate che non c’è mai il tempo per il doppio passaggio parlamentare – almeno uno alla Camera e uno al Senato – e quindi, visti i tempi contingentati (entro 60 giorni un decreto decade), ognuno degli 8 dl convertiti è stato veramente discusso in una sola delle due Camere prima di arrivare blindato nell’altra. Senza alcuna discussione. Con l’effetto tragicomico che, per quanto riguarda i decreti Covid, quando vengono convertiti risultano già superati da un decreto successivo: il Parlamento deve ancora approvare quello del 31 marzo e del 21 aprile.

L’immobilismo del Parlamento è dovuto anche dalle divisioni di una maggioranza così ampia. E così ci sono progetti di legge che non vedono mai la luce. Il caso più noto è il ddl Zan che fa litigare Lega e Pd-M5S: è fermo in Senato da 192 giorni. Ma non è nemmeno quello che da più mesi giace nei cassetti delle commissioni. La legge sul conflitto d’interessi è ferma da 220 giorni, il voto ai 18enni per il Senato da 247 e la legge elettorale “Brescellum” da 246. Per non parlare del ddl sul processo penale su cui si è posato uno strato di polvere: per arrivare alla presentazione degli emendamenti ci sono voluti 420 giorni. In Parlamento ora sono arrivati anche il ddl sullo Ius Soli e sul fine vita. Ma, vista la malaparata, se ne riparla dalla prossima legislatura.

IlFQ

mercoledì 16 settembre 2020

Arresti referendari. - Marco Travaglio


Tetragono sul Sì fino all’altroieri, confesso che inizio a titubare. Più passano i giorni e più il fronte del No si popola di personaggi di preclara moralità che mi inducono a ripensarci. Come si fa a votare Sì quando Silvio B. (4 anni definitivi per frode fiscale, senza contare il resto), Roberto Formigoni (5 anni e 10 mesi per associazione a delinquere, corruzione e finanziamento illecito), Paolo Cirino Pomicino (1 anno e 10 mesi per finanziamento illecito e corruzione) e Vittorio Sgarbi (6 mesi e 10 giorni per truffa allo Stato e falso) tifano No? Vabbè, faccio finta di niente. Poi però mi imbatto, sul “Riformatorio”, in uno straziante appello dei “socialisti per il No” contro “questo taglio reazionario” e “illiberale che ha in sé l’indebolimento dello Stato di diritto”. Tra i firmatari, i migliori ragazzi dello Zoo di Bettino. Nel ramo incensurati, spiccano Acquaviva, Boniver, Cazzola, Cicchitto (la tessera P2 numero 2232 che combatte i “tagli reazionari” è sempre uno spasso), Covatta, Bobo Craxi & C. Segue la sezione pregiudicati (per tacere dei prescritti e dei miracolati): Carlo Tognoli (3 anni e 3 mesi per ricettazione), Paolo Pillitteri (4 anni per corruzione), Stefania Tucci vedova De Michelis (3 anni definitivi per la maxitangente Enimont), Beppe Garesio (8 mesi per corruzione e finanziamento illecito), Luigi Crespi (6 anni 9 mesi in appello per bancarotta fraudolenta e falso in bilancio, annullati dalla Cassazione per ridurre la pena dopo la controriforma Renzi), a cui Bobo ha voluto aggiungere la buonanima di papà Bettino che “se fosse vivo voterebbe No” (10 anni definitivi per corruzione e finanziamento illecito). Più che un appello, un’ora d’aria.

Sempre sul Riformatorio, un altro giovane virgulto garofanato, Claudio Martelli (8 mesi per finanziamento illecito, più una condanna prescritta per la bancarotta fraudolenta del Banco Ambrosiano), annuncia coram populo il suo No e subito i Circoli de l’Avanti! (da lui stesso diretto) lo candidano a presidente della Repubblica. Totale: 52 anni e 10 mesi di reclusione. Come non essere della partita? Mentre pencolo fra il Sì e il No, un altro giureconsulto di chiara fame s’aggiunge a nobilitare il fronte del No: Attilio Fontana, sgovernatore di Lombardia, per ora solo indagato e dunque incompatibile con gli appelli di cui sopra: “La nostra Costituzione è equilibrata e ha una serie di pesi e contrappesi” (purtroppo insufficienti a metterci al riparo da lui), “per cambiarla è necessario farlo in maniera assolutamente serio (sic, ndr)”. Quindi mi sa che è meglio rinviare il referendum in attesa che la Costituzione la riformi lui in maniera assolutamente serio: a quattro mani con Gallera. O con suo cognato, alle Bahamas.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/09/16/arresti-referendari/5932954/

giovedì 3 settembre 2020

Chi sta tradendo i Cinque Stelle. - Gaetano Pedullà

PIERA AIELLO

La deputata Piera Aiello (nella foto) ha lasciato i 5 Stelle. Non è una buona notizia per il Movimento, perché si tratta di una parlamentare simbolo della lotta alla mafia, essendo stata una testimone di giustizia, e per questo messa sotto scorta dallo Stato. Ma quella della Aiello non è una buona notizia nemmeno per lei stessa, in quanto come gli altri suoi colleghi pentiti di essersi fatti eleggere dai grillini, ha annunciato seraficamente che si terrà il seggio, facendo finire così in barzelletta la lealtà verso gli elettori che l’hanno scelta in quanto M5S, e di conseguenza la credibilità delle sue stesse battaglie per la legalità.
D’altra parte sono poco credibili, ma sarebbe meglio dire pretestuose, le stesse ragioni della fuga, che si rifanno pure al finto scoop di Giletti, dove purtroppo era vera l’uscita di galera di numerosi boss, ma non l’attribuzione di tale responsabilità al ministro Bonafede, visto che la decisione di spedire i mafiosi ai domiciliari è stata dei loro giudici di sorveglianza, e non certo del Guardasigilli che li ha riportati dentro. Una vicenda che inevitabilmente si lega alla fronda pentastellata sul decreto Covid e l’assenza ingiustificata di alcuni deputati al voto. La prova provata del Movimento a pezzi e della guerra dichiarata a Conte, hanno concluso autorevoli giornali, che al solito raccontano le cose come vogliono e non come sono.
Gli onorevoli assenti ingiustificati erano infatti solo 7, e non 28 come si è detto, e ciò non ha impedito all’Esecutivo di incassare agevolmente la fiducia. I problemi con alcuni miracolati portati in Parlamento da Grillo ci sono, ma da qui a dire che Conte è spacciato e i 5 Stelle di più, come al solito ce ne corre. Ai giornali però questa cosa piace da impazzire, facendo sperare le opposizioni e gli spasimanti di Draghi & Company. Peccato per loro che manca il finale dove tutti insieme vivono felici e contenti, perché finché le Piera Aiello, i Paragone, il comandante De Falco e quant’altri resteranno una riserva indiana a stare più sereni saranno gli italiani, con la destra più becera di sempre a bocca asciutta, a dire tutto e il contrario di tutto su Covid, immigrati, scuola e tasse non si sa come da tagliare.

mercoledì 19 agosto 2020

Il Parlamento sembra il Palio, ma quasi mai vince il cavallo migliore. - Daniele Luttazzi

File:Il Palio di Siena luglio 2008 4.jpg - Wikipedia

Il Palio di Siena 2020 non si correrà (FQ Magazine, 14 maggio 2020).
Il leghista Paolo Paternoster si toglie la mascherina. Il presidente Fico prova ripetutamente a convincerlo a rimettersela (“Non possiamo andare avanti così”), fino a sospendere la seduta per cinque minuti. Poi si riprende, con la Lega sempre nervosissima (FQ, 1 maggio 2020).
Il Parlamento è come un Palio di cui i presidenti delle due camere sono i mossieri, che giudicano la regolarità del dibattito in aula, richiamando e ammonendo i politici in caso di comportamento scorretto. In Parlamento, la politica si respira tutto l’anno, ma diventa una cosa che si può toccare con mano a ridosso della corsa elettorale, quando i candidati, nella speranza di mettersi in luce e di essere scelti, fanno la loro apparizione ufficiale in programmi tv dove i conduttori, come veterinari, li sottopongono a una visita accurata. I partiti impongono agli elettori il candidato che gli pare: a volte, la giustizia ne tiene in carcere qualcuno fino al giorno in cui, moralmente smacchiato e disinfettato, viene catapultato in Parlamento, cui apporta la legittima allegria che proviene da un acquisto così insperato.
Chiunque può essere candidato al Parlamento: nel giugno dell’83, per esempio, il Msi di Almirante mise in lista l’avvocato Manfredi Orbetello d’Aragona: era morto qualche settimana prima, ma portava migliaia di voti. Il Msi prese parte alla tribuna politica con la bandiera repubblichina abbrunata, su un cuscino i piedi del parlamentare deceduto, insieme con il fiore (un tulipano bianco) inviato dal partito nemico, il Pci di Berlinguer. Ho detto nemico, perché i partiti hanno rapporti di alleanza con altri partiti, ma soprattutto hanno un rapporto di fiera inimicizia con il loro nemico. Il fatto che non vinca il nemico è più importante della vittoria stessa, e contro il partito avversario si indirizzano canti dai versi a volte pesanti, che vengono pareggiati da quelli indirizzati in senso inverso. I capicorrente si incontrano in gran segreto per stipulare accordi con i quali cercano di danneggiare i nemici: ogni partito, anche se ha avuto in sorte dei brocchi, vuole vincere.
Questi accordi fanno parte del gioco bello che si chiama politica italiana, che, lo avete ormai capito, non è una corsa nella quale vince il migliore. Il giorno prima del silenzio elettorale, che proibisce la propaganda, i candidati cercano di apparire un’ultima volta da Vespa (“il cencio”, come lo chiamano affettuosamente in Rai): nello studio tv c’è un grande silenzio, perché i candidati, a quest’ora già abbondantemente trattati con sostanze stimolanti, non si innervosiscano. Una volta eletti, impareranno presto a conciliare ciò che avevano in programma con ciò che viene loro consigliato dall’opportunità, dalla convenienza e dall’inevitabile; e capiranno che, spesso, rimediare a grandi ingiustizie metterebbe in gioco interessi ai quali nessuno vuole rinunciare. Momenti che verranno rivissuti nei giorni a venire con racconti alla buvette, dove si ride ancora della volta che un giornalista cercò di attaccar bottone con Andreotti parlando della legge elettorale, e Andreotti lo tacitò dicendo: “Guardi, ho ottant’anni e non mi sono mai interessato di politica”. Il Parlamento, infatti, vive di tradizione orale: è una cosa politica fatta dai politici per i politici. I giornalisti possono interessarsene, ma in punta di piedi, senza disturbare. E così la cronaca politica diventa storia, diventa leggenda, diventa mito.

venerdì 17 luglio 2020

Conflitto d’interessi, ecco la legge con i super paletti. - Ilaria Proietti

Conflitto d’interessi, ecco la legge con i super paletti

Rieccole, ma è presto per dire se sia davvero la volta buona. Alla Camera sono pronte le nuove norme sul conflitto di interessi: il testo base elaborato dalla commissione Affari costituzionali, dopo una lunga serie di audizioni, andrà in aula il 27 luglio. È presto per dire se si riuscirà ad approvarlo rapidamente: l’ambizione è di fare entrare in vigore le nuove regole già a partire dal 1 gennaio 2021, ma serve che la maggioranza ne faccia una priorità. Almeno è quanto spera il presidente della commissione, Giuseppe Brescia (M5s) a cui è toccato fare “una sintesi, ma al rialzo” delle proposte già depositate a Montecitorio (dei 5 Stelle e l’altra del Pd ma firmata al tempo anche da Italia Viva) che ora dovrà superare la prova degli emendamenti. Impresa certo non facile. Ma urgente, come sottolinea il pentastellato: “I conflitti d’interesse dei detentori di cariche politiche, siano essi al governo o in Parlamento, hanno più volte creato interferenze e condizionamenti su una corretta e imparziale azione politica, fino a minare la fiducia dei cittadini nelle istituzioni e nella gestione della res publica. Analogo effetto hanno avuto i casi di conflitti di interesse nella Pubblica Amministrazione”.
E infatti ce n’è un po’ per tutti. A partire da chi vorrà ricoprire incarichi di governo che per questo dovrà rinunciare praticamente a qualunque carica, ufficio o funzione svolta in imprese, società, enti pubblici o privati e mettersi in aspettativa. Mentre se si tratta di liberi professionisti scatterà la sospensione di diritto dagli albi a cui sono iscritti per tutta la durata della carica nell’esecutivo. Ma non è tutto. È prevista anche l’incompatibilità patrimoniale per i titolari della carica di governo (ma anche del coniuge e dei parenti entro il secondo grado) che posseggano partecipazioni superiori al 2 per cento del capitale di alcune imprese. Quali? Quelle in regime di autorizzazione o concessione rilasciata dallo Stato, dalle regioni o dagli enti locali o che operi in regime di monopolio. Oppure nei settori della difesa, del credito, dell’energia, delle comunicazioni, dell’editoria, della raccolta pubblicitaria o delle opere pubbliche o svolga altra attività di interesse nazionale.
A vigilare sarà l’Antitrust che avrà il potere di far decadere chi non si liberi da una posizione di conflitto di interessi o si rifiuti di conferire le proprie attività a una società fiduciaria o nei casi più estremi, a vendere beni e attività patrimoniali incompatibili con l’incarico politico ricoperto. Obblighi stringenti abbinati al divieto di aggiudicarsi anche per interposta persona lavori, servizi e forniture. Questo quanto al governo e ai membri della autorità indipendenti. Ma la nuova disciplina riguarda anche parlamentari, consiglieri e assessori regionali e non solo. Sentite qui.
Saranno ineleggibili alla Camera o al Senato, direttori e vicedirettori di testate giornalistiche nazionali se hanno esercitato l’incarico nei 6 mesi prima dell’accettazione della candidatura. Ma anche i sindaci nei comuni con meno di 20 mila abitanti, i capi e i vicecapi di gabinetto dei Ministri. E chiunque abbia anche incarichi di natura dirigenziale, gestionale, amministrativa, di controllo o di vigilanza, di qualsiasi società o impresa costituita in qualsiasi forma, anche a partecipazione pubblica o mista, che svolga la propria attività in regime di autorizzazione o concessione. 
Qualunque titolo che sia rilasciato dallo Stato, ma anche da amministrazioni pubbliche, istituzioni, e altri enti pubblici o anche da regioni e province. Insomma vincoli stringenti che riguarderanno anche i magistrati. Per i quali si cerca di limitare le porte girevoli con la politica, innanzitutto con l’innalzamento da 6 mesi a 2 anni prima dell’accettazione della candidatura del periodo di ineleggibilità per correre nelle circoscrizioni dove esercitano le loro funzioni. “Chi va al governo o in Parlamento per realizzare l’interesse della nazione e non quello personale e particolare non ha nulla da temere da questo testo e anzi lo può votare con convinzione”, dice il presidente della commissione Brescia, convinto che solo così si potrà restituire credibilità “non solo all’azione politica, ma anche ai tanti imprenditori e a tanti altri soggetti e professionisti che si affacciano all’esperienza politica”.

mercoledì 17 giugno 2020

Ue, Conte: il Parlamento voterà su proposta definitiva. Il governo è unito su progetto di riforme ambizioso.

Conte al Senato per parlare del Mes: la diretta live - Corriere.it

Il premier alla Camera per l'informativa in vista del consiglio Ue. La Lega abbandona l'Aula dopo l'intervento del loro capogruppo Molinari. 

"Anche se non rientra nel perimetro di questa informativa confermo che il governo vuol farsi trovare pronto" all'utilizzo delle risorse europee "e già in questi giorni ho avviato un'ampia consultazione per elaborare un piano di rilancio da cui potrà essere preparato un più specifico Recovery Plan che l'Italia presenterà a settembre. Quando il progetto" sarà più definito "verrò doverosamente in Parlamento per riferire dei suoi contenuti pronto a raccogliere proposte e suggerimenti". Ha detto il premier. "La proposta di Next Generation Eu è una buona base di partenza di cui condivido la logica e lo spirito. Per far ripartire le nostre economie è fondamentale raggiungere l'obiettivo primario di un consenso il prima possibile sull'adozione tempestiva" del Recovery Plan: "Una decisione tardiva sarebbe già di per sé un fallimento". Ha sottolineto Conte. "La poposta di Next Generation Eu conferma che la commissione europea non ha mancato l'appuntamento con la storia così come non l'ha mancato la Bce. In queste settimane è il Consiglio europeo ad essere chiamato all'appuntamento con la storia".
Al momento "manca la proposta formale di un quadro finanziario pluriennale da Michel e l'incontro avrà una natura solo consultiva per fare emergere convergenze e dissensi. Prima di un accordo definitivo sarò in Parlamento per chiedere il vostro voto alla luce proposta formale dell'Italia"- ha sottolineato Conte. "La decisione politica del Consiglio Ue è un obiettivo storico davanti alla peggiore crisi economica da oltre 70 anni , noi non possiamo permetterci liturgie e compromessi al ribasso, non lo permettono le vittime del Covid e le famiglie, i giovani e le imprese che affrontano le consegue economiche e sociali. Per questa ragione politica e morale tutti gli stati membri sono chiamati a decisioni di alto profilo", ha precisato il premier sottolineando"L'talia chiede che la proposta non si discosti dalla proposta della Commisisone quanto al volume delle e rimanendo fermo il principio del finanziamento straordinario a lungo termine"."Dobbiamo far ripartire l'economia italiana su nuove basi per un progetto di riforme ambizioso per dare un futuro migliore al paese. Il governo è coeso, ci spinge la fiducia" nel rilanciare l'Italia. Così il premier Giuseppe Conte nell'informativa alla Camera in vista del consiglio ue.
"In queste settimane sono in gioco la reputazione, un miglior futuro dell'Europa e dei suoi stati membri. E' il momento di agire con spirito di piena coesione anche sul piano nazionale perché la sfida non rechi all'Italia il doppio danno di vederla perdere la sfida europea e quella, forse più difficile, di vedere riformare alcune criticità. Coesi in Italia per cogliere subito e per intero l'opportunità che l'Europa offre a se stessa e ai Paesi più colpiti dal Covid. Questo spirito auspico caratterizzi il dibattito politico italiano in questa fase cruciale per la futura generazione""L'esperienza della coraggiosa risposta all'emergenza, della resilienza dimostrata da molti settori economici pubblici e privati, sono le stesse leve che consentiranno di far ripartire l'economia italiana su nuove basi che assicurino una rapida ripresa e un nuovo modello di sviluppo che superi i ritardi e gli ostacoli del vecchio. Le decisioni del Consiglio europeo consentiranno di mettere in campo ulteriori risorse economiche importanti per rafforzare gli investimenti pubblici in Italia, che sono su livelli assai inferiori rispetto agli altri Paesi europei", ha concluso Conte.  
Da parte dell'Ue "è in atto una manovra a tenaglia", da una parte con il Mes, il fondo Sure e il Recovery Fun aspetta che l'Italia si indebiti "per venirci poi a prendere casa". Lo ha detto il capogruppo della Lega alla Camera Maurizio Molinari intervenendo in Aula dopo le comunicazioni del premier Conte. "Se lei da avvocato degli italiani si è trasformato nel commissario liquidatore noi la aspetteremo qui in Parlamento", ha concluso. La Lega ha abbandonato l'Aula della Camera dopo l'intervento del capogruppo Maurizio Molinari, dopo l'informativa del premier Conte.

lunedì 2 dicembre 2019

Fumata nera su Mes. Tensione Pd-M5S, "decidano Camere".- Michele Esposito

Giornalisti attendono fuori palazzo Chigi il vertice di Governo © ANSA                 Giornalisti attendono fuori palazzo Chigi il vertice di Governo

Franceschini, nessun rinvio. Ma Di Maio, no luce verde Gualtieri.

Quattro ore lunghe e tese che portano non ad un accordo ma a quella che è una fumata grigia sul fondo Salva-Stati. Il vertice di Palazzo Chigi convocato dal premier Giuseppe Conte ad una manciata d'ore dal nuovo redde rationem tra il premier e Matteo Salvini in Parlamento non chiude la partita del Mes in maggioranza. Le posizioni di M5S e Pd "sono diverse", ammette lo stesso Luigi Di Maio. E Conte opta per affidare la decisione definitiva sull'ok alla riforma al Parlamento. La data da segnare con il rosso è l'11 dicembre quando, dopo le comunicazioni del premier in vista del Consiglio Ue, la maggioranza sarà chiamata a varare una risoluzione comune. Ed è lì che il governo rischia il baratro. A Palazzo Chigi ci sono il ministro dell'Economia Roberto Gualtieri, i capi delegazione di Pd, M5S e Leu, Dario Franceschini, Luigi Di Maio e Roberto Speranza, il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Riccardo Fraccaro e il ministro per gli Affari Ue Enzo Amendola. Presente anche il titolare del Mise, Stefano Patuanelli, visto che nella riunione si parla anche della norma per il prestito ponte a Alitalia. A chiamarsi fuori è Italia Viva.
"Non abbiamo nulla su cui litigare, se la vedessero tra loro. Gli italiani sono stanchi di questi vertici, vogliono risposte", spiega Matteo Renzi. E una risposta definitiva, sul Mes, ancora non c'è. "In vista dell'Eurogruppo del 4 dicembre 2019 il Governo affronterà il negoziato riguardante l'Unione Economica e Monetaria (completamento della riforma del Mes, strumento di bilancio per la competitività e la convergenza e definizione della roadmap sull'unione bancaria) seguendo una logica di "pacchetto", spiegano fonti di Palazzo Chigi specificando che, sulla riforma del Mes, "ogni decisione diventerà definitiva solo dopo che il Parlamento si sarà pronunciato". Ovvero, dopo le risoluzioni che seguiranno alle comunicazioni di Conte in Aula dell'11 dicembre, proprio in vista del Consiglio Ue. Palazzo Chigi, in realtà, non parla di rinvio. E, dopo la riunione, è questo il punto che tiene a sottolineare Franceschini. "Bene l'incontro di stasera sul Mes. Nessuna richiesta di rinvio all'Ue ma un mandato che rafforza il ministro Gualtieri a trattare al meglio l'accordo", spiega il ministro della Cultura specificando, anche lui, come "ovviamente" sarà il Parlamento a pronunciarsi in modo definitivo. A tarda notte, da Palazzo Chigi, escono, uno dopo l'altro, Di Maio e Franceschini. Tirando ognuno acqua al proprio mulino.
"Nessuna luce verde è stata data a Gualtieri finché il Parlamento non si esprimerà", scandisce il titolare della Farnesina anticipando che l'11 dicembre il M5S presenterà una risoluzione in cui si chiederà a Conte di chiedere il miglioramento, al Consiglio Ue di dicembre, dell'intero pacchetto di riforme dell'Unione Economica e Monetaria. Pacchetto in cui, avverte Di Maio, "c'è tanto da cambiare". Dieci giorni, quindi, per trovare una quadra. Dando mandato a Gualtieri di anticipare all'Eurogruppo la trincea italiana. Dieci giorni, per il leader M5S, per trovare una quadra all'interno dei gruppi sul sì ad una riforma sulla quale, in tanti pentastellati, sono disposti a tutto. Con un rischio: che la risoluzione sul Mes diventi un doppione di quella che, sulla Tav, anticipò la fine del governo. "Mi auguro che su questa impostazione emergano le differenze macroscopiche che ci sono tra il M5S e il Pd e quindi si finisca con questo Governo", sottolinea Gianluigi Paragone. In tanti, nel Movimento, gli rispondono via facebook. A testimonianza che, dietro il Mes, la partita che si gioca tra i pentastellati è un'altra: se andare avanti con il governo giallo-rosso

mercoledì 7 agosto 2019

Oggi o mai più. - Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano del 7 Agosto




Uno dei leader No Tav, Alberto Perino, continua a ripetere che i 5Stelle sono traditori e la loro mozione in Senato contro il Tav “è una presa per i fondelli”. Attaccare i più vicini anziché i più ostili è un vecchio vizio, tipico dell’estremismo settario. In realtà quella di oggi, per il movimento No Tav, è una giornata storica: per la prima volta dopo 30 anni, un partito mette ai voti in Parlamento la cancellazione del cosiddetto Tav Torino-Lione, cioè l’opera pubblica più inutile, costosa, dannosa e demenziale della storia d’Europa. Più ancora del Ponte sullo Stretto, che almeno avrebbe il pregio dell’unicità, mentre il Tav non è un Tav, non andrebbe né a Torino né a Lione, e soprattutto è un assurdo doppione di un treno merci già esistente (il Torino-Modane), senza contare il Tgv Parigi-Milano per i passeggeri. A questo passaggio parlamentare, trattandosi di un’opera decisa da un trattato internazionale fra Italia, Francia e Ue, prima o poi bisognava arrivare. E questa legislatura è la più propizia per votare, visto che mai si era avuto né più si avrà in Parlamento un numero così alto di senatori contrari alla boiata: più di un terzo (circa 115 su 315: i 107 del M5S, 3 dei 4 di LeU, 3 o 4 ex grillini passati al gruppo misto). Certo, è pur sempre una minoranza: ma la più ampia che i No Tav abbiano mai avuto e mai avranno.

Se le mozioni fossero due, una pro Tav e l’altra anti Tav, i giochi sarebbero fatti: passerebbe la seconda. Ma oggi ciascun gruppo (tranne la Lega) presenterà la propria e i 5Stelle sono quello di gran lunga più numeroso. Ecco le formazioni in campo: M5S 107, FI 62, Lega 58, Pd 51, FdI 18, Misto 15, Autonomie 8, più 2 senatori sciolti. In una situazione normale, ciascun gruppo voterebbe la propria mozione e boccerebbe quelle altrui: così verrebbero tutte respinte, perchè nessuna raggiungerebbe la metà più uno dei votanti. Ma questa non è una situazione normale. La maggioranza è un ircocervo di due forze spaccate, diverse, spesso incompatibili fra loro: e proprio sul Tav stanno agli antipodi. Le opposizioni, quando vogliono fare un complimento al governo Conte, l’accusano di “distruggere l’Italia”. Il Pd ci aggiunge il fascismo, il razzismo, l’autoritarismo, l’emergenza democratica, l’invasione delle cavallette, l’Apocalisse: mai visto niente di peggio nella storia repubblicana. Tant’è che Zingaretti annuncia una “mobilitazione” per tutta l’estate e “una grande manifestazione nazionale in autunno” per abbattere il mostro e tornare “subito al voto”. Bene: se fosse vero che il Pd pensa questo e vuole questo, non ha bisogno di attendere l’autunno.

Oggi ha l’occasione d’oro, unica e irripetibile, per incunearsi tra i gialli e i verdi e allargarne la spaccatura fino a mandare in pezzi la maggioranza. Come? Trasformando il voto sul Tav nella tomba del governo Conte e nello smacco mai visto per il nemico principale, cioè Salvini. Il sistema è semplice. I 5Stelle e LeU hanno presentato due mozioni No Tav e se le approveranno a vicenda. Il Pd, FI, FdI e la Bonino (con Monti, Nencini, il LeU dissidente Errani e quel monumento di coerenza dell’ex pentastellato De Falco) ne hanno presentate quattro Sì Tav. La Lega non ha presentato mozioni, ma voterà per le quattro altrui, compresa quella del Pd, e contro quelle dei 5 Stelle (così violando platealmente il Contratto di governo, che impegna a ridiscutere integralmente il Tav e rende nullo il patto di governo se uno dei due contraenti vota contro l’altro su un tema previsto dal testo) e di Leu. L’unico sistema per far esplodere la maggioranza, è dunque fare in modo che venga approvata la mozione dei 5Stelle e la linea della Lega venga sconfitta. Il che può avvenire solo se le opposizioni lasciano soli i due soci di maggioranza ed escono dall’aula quando si vota la mozione dei 5Stelle, così da abbassare il quorum e trasformare i grillini da maggioranza relativa in maggioranza assoluta. I senatori al completo sono 315: se sono tutti presenti quando si vota la mozione dei 5Stelle, il quorum è 158 e i senatori M5S+LeU anti-Tav arrivano a stento a 115. Se escono Pd e FI, i presenti sono al massimo 202, il numero legale è garantito, ma il quorum scende a 102 e i 115 anti-Tav diventano maggioranza assoluta. Dunque la mozione No Tav viene approvata. A quel punto Salvini finisce al tappeto per il cazzottone in pieno grugno ed è capace di tutto: dalla crisi di governo alla lotta armata (di cazzate). E anche Conte esce malconcio, avendo annunciato che, fallita la mediazione con Macron e Juncker, il Tav va fatto (anche se poi ha aperto una porticina alla revoca in caso di voto parlamentare).

Ricapitolando: se davvero il Pd ritiene che questo governo sia un “regime” pericoloso e che vada abbattuto a ogni costo, oggi o mai più: per centrare il suo obiettivo, non gli resta che uscire dall’aula con gli amici di FI quando si vota la mozione M5S, liberarsi dell’abbraccio mortale di Salvini e scatenare l’inferno. Se lo farà, si dimostrerà coerente, oltre che abile nell’arte della politica. E potrà vantarsi davanti agli elettori superstiti, e anche a qualcuno di ritorno, di aver liberato l’Italia dal pericolo pubblico numero uno. 

In caso contrario, vorrà dire che Zinga&C. facevano ancora una volta ammuina, sceneggiata, teatrino dell’assurdo, ma in realtà sono i principali fan del governo e sarebbero disposti a tutto, anche di iscriversi alla Lega, pur di salvare gli affaristi del Tav ed evitare le elezioni. Quindi siano gentili: d’ora in poi ci risparmino gli allarmi democratici, gli stracciamenti di vesti, la militanza antifascista, i proclami tonitruanti contro il Duce redivivo, le mobilitazioni estive, le manifestazioni autunnali e altre esche per gonzi. E dicano una volta per tutte la verità: Partito degli Affari comanda e picciotto risponde.

mercoledì 24 luglio 2019

NO ALLA TAV TORINO/LIONE. - Luigi Di Maio

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Ho ascoltato attentamente le parole del Presidente Conte, che rispetto. Il Presidente è stato chiaro, ora è il Parlamento a doversi esprimere.
Sarà il Parlamento, nella sua centralità e sovranità, che dovrà decidere se un progetto vecchio di circa 30 anni e che sarà pronto tra altri 15, risalente praticamente alla caduta del muro di Berlino, debba essere la priorità di questo Paese.
Sarà il Parlamento ad avere la responsabilità di avallare un progetto prevalentemente di trasporto merci (e sottolineo trasporto merci) mentre non esiste ancora l’alta velocità per le persone in moltissime aree del Paese.
Sarà il Parlamento a dover decidere se è più importante la tratta Torino-Lione, cioè se è più importante fare un regalo ai francesi e a Macron, piuttosto che realizzare, ad esempio, l’alta velocità verso Matera, capitale europea della cultura, o la Napoli-Bari.
Nel corso del tempo si sono succeduti nove governi, sono passati - ripeto - quasi 30 anni. Non esisteva ancora l’iPhone, non esistevano nemmeno gli smartphone, non esisteva il web come lo conosciamo oggi quando si discuteva della Torino-Lione. Parliamo di un’era oramai remota, eppure qualcuno, adesso, vorrebbe farci credere che la priorità del Paese sia questa.
Media, giornali, apparati, tutto il sistema schierato a favore.
Non noi. Non il MoVimento 5 Stelle. Per noi la Torino-Lione era e resta un’opera dannosa.
Ogni volta che ci siamo trovati davanti a un tema ci siamo posti una domanda. E oggi la poniamo a voi.
Chiedetevi perché l’Europa ci ha sempre ignorato su tutto, continua a ignorarci su tutto e poi d’improvviso mette sul piatto nuovi investimenti comunitari per la Tav Torino-Lione.
Chiedetevi perché se chiediamo flessibilità per costruire scuole, strade, ospedali l’Europa ci sbatte la porta in faccia e poi tira fuori milioni di euro per questo progetto di 30 anni fa.
Chiedetevi allora se l’Europa lo fa davvero per l’Italia o se per qualcun altro, visto che parecchi soldi degli italiani andranno ai francesi.
Il MoVimento 5 Stelle presenterà un atto per dire che le priorità sono altre, un atto che non è altro che il cambiamento che abbiamo promesso: entrare al governo e decidere diversamente da come avrebbe deciso un Pd o un Berlusconi qualsiasi.
Non abbiamo paura di restare soli, siamo sempre stati soli davanti ai partiti ed è sempre stato motivo di orgoglio. Avremmo anche potuto governare da soli, se tutti gli altri non si fossero messi d’accordo per fare una legge elettorale, poco prima del voto, che ci impedisse di guidare autonomamente il Paese.
Questo è un no forte, convinto, deciso. Uno di quei NO che fanno bene.
Sappiamo di stare dalla parte giusta della storia. Qui lo sviluppo non c’entra un bel nulla, qui gli interessi sono altri.
Negli ultimi giorni abbiamo ricevuto attacchi fantasiosi, letto ricostruzioni farneticanti di una nostra presunta alleanza in Europa col Pd. Tutto falso. Pura diffamazione.
Ma fra non molto potremo vedere con i nostri occhi chi decide di andare a braccetto con Renzi, Monti, Calenda, la Fornero e Berlusconi. Il Parlamento restituirà a tutti la verità dei fatti.
Noi non molleremo mai.

Noi non lasceremo mai il Paese a questa gente!