Salvini, nuovo Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, ha lanciato il nuovo CODICE DEGLI APPALTI.
Un diario, dove annoto tutto ciò che più mi colpisce. Il mio blocco per gli appunti, il mio mondo.
venerdì 31 marzo 2023
VIVA I REATI NEGLI APPALTI! - Viviana Vivarelli.
sabato 12 febbraio 2022
Amianto, la nuova legge è finita in un cassetto. Fu consegnata dagli esperti a giugno del 2020. Osservatorio nazionale: “7mila morti l’anno non bastano, al governo non interessa”. - Thomas Mackinson
La legge sull'amianto del 1992 non garantisce alle vittime tutele e giustizia. L'ex ministro Costa aveva nominato una commissione (presieduta da Guariniello) che ha consegnato in tempi record una relazione, con tanto di articolato di legge. Poi cade il governo, e da un anno e mezzo non se ne sa nulla. Il presidente dell'Ona: "Manca la volontà politica, a qualcuno interessa più il nucleare". Ecco il testo dimenticato.
“Nel Pnrr non c’è quasi nulla. Il ministro Cingolani non ci convoca, né ci sconvoca. Della nostra bozza di riforma si son perse pure le tracce. Settemila morti l’anno, evidentemente, non bastano”. Parole di Ezio Bonanni, fondatore e presidente dell’Osservatorio nazionale sull’amianto (Ona) che arrivano proprio mentre il Parlamento celebra la simbolica iscrizione della tutela ambientale in Costituzione. Il giorno prima era riuscito a ottenere dal Tribunale di Genova l’ultimo indennizzo per i familiari di un operaio dello stabilimento Fincantieri di Riva Trigoso ucciso in sei mesi dal mesotelioma. Per Bonanni, però, non è tempo di festeggiare. Perché anche il “governo dei migliori” mette l’amianto sotto il tappeto. “Non c’è una vera agenda, nel recovery c’è giusto un incentivo per sostituire i tetti delle fattorie, nulla rispetto ai 40 milioni di tonnellate da bonificare. Nel superbonus 110% entra la rimozione amianto, ma solo se ristrutturi tutto. Tutti micro interventi, mentre serve una riforma strutturale che era pure già scritta, ma è finita nel nulla”.
L’Italia aveva l’occasione storica del recovery per affrontare questa grande battaglia di salute pubblica e ambientale che si trascina irrisolta dagli anni Novanta, quando la fibra fu messa al bando per legge, continuando però a mietere vittime. Solo il mesotelioma uccide ogni anno 7mila persone: considerato il periodo di latenza delle patologie asbesto-correlate, il picco delle morti cadrà intorno al 2028-2030, solo da lì inizierà una lenta decrescita dei casi. “Ma alla politica, a quanto pare, non importa” accusa Bonanni, che chiama in causa il ministro dell’ambiente: “Forse, lo dico col dovuto rispetto, a Cingolani sta più a cuore il nucleare”.
Bonanni pensa a un’altra occasione storica che si è persa per strada, di cui si sa poco o nulla. Due anni fa una speciale commissione di esperti, guidati dall’ex magistrato simbolo della lotta all’eternit Raffaele Guariniello, aveva lavorato alla stesura di una serie di proposte concrete di riforma organica della legge del ’92 che toccasse tutte le tematiche, gli aspetti giuridici, scientifici, sanitari, tecnici, procedurali, previdenziali e assistenziali per aggiornare la norma. “La commissione ha lavorato finché c’è stato il Conte II, da allora non è più stata convocata e né io né gli altri commissari sappiamo più niente. L’ultima riunione è del 15.12.2020, successivamente ho redatto una nota del 16.12.2020 alla quale non è stato dato alcun riscontro. A tutt’oggi attendiamo le determinazioni del Ministro”. Ma negli uffici di via Cristoforo Colombo si fatica pure a trovare quel testo.
A spingere per la riforma fu l’allora ministro dell’Ambiente Sergio Costa. A marzo del 2019, per decreto, nomina il gruppo esperti in materia. A presiederla è proprio Guariniello, l’ex magistrato che istruì l’omonimo processo a Torino, primo caso al mondo in cui i vertici aziendali vengono condannati. Anche Bonanni ne fa parte, insieme all’ex generale Giampiero Cardillo, nominati il 30 aprile 2019. Gli esperti si mettono al lavoro e a tempo record, meno di tre mesi dopo, presentano una corposa relazione con tanto di articolato di legge. “Guardi ho anche la data, era il 30 giungo 2020. Gli elaborati li consegnai di persona al ministro Costa, che ringrazio ancora per questa opportunità”, conferma Guariniello in un’intervista al fattoquotidiano.it in cui lancia l’allarme sul rischio di crescenti profili di impunità cui prestano il fianco le norme ora in vigore.
Fonti dell’ex segreteria del ministero spiegano : “Almeno la parte della relazione relativa agli aspetti penali e sanzionatori eravamo riusciti a inserirla nel collegato ambientale, poi ci fu la crisi di governo, e anche quella parte rimase al Dipartimento Affari Giuridici della Presidenza del Consiglio”. Da allora, non se ne sa più nulla. Guariniello non demorde: “Non è stato formalmente recepito come proposta di legge dal governo, auspico che si arrivi alla discussione parlamentare e confido molto nel lavoro delle commissioni. Sarebbe di aiuto alle tante comunità che aspettano risposte e giustizia, un giusto riconoscimento a tutti gli autorevoli membri della commissione che hanno profuso tanto impegno”. Prima però bisogna ripartire dal testo, impresa non proprio facile. Solo alla fine di un lungo giro di chiamate, con malcelato imbarazzo degli interlocutori, la bozza fantasma salta fuori dal cassetto (scarica).
E’ un documento di 58 pagine che riformula diversi articoli della 257/92 in modo da dare piena attuazione ad alcuni e aggiornare altri, alla luce delle conoscenze medico-scientifiche, epidemiologiche, giuridiche, economiche emerse in 30 anni. Tra gli altri, si prevedeva di bandire una volta per tutte l’amianto già posto in opera, facendo saltare le soglie di tolleranza limite. Di operare una stretta sui controlli delle dispersioni della lavorazione e degli smaltimenti, sull’obbligo di informazione alla autorità sanitarie elusi dalle imprese sottoposte oggi a una “sanzione meramente amministrativa di incerta applicazione”. Idem per gli adempimenti delle Asl che hanno compiti di vigilanza “non applicati sistematicamente”. Si ipotizza di rilanciare e sostenere le bonifiche con una strategia che integra finanziamento pubblico e credito di imposta per chi le fa, così da incentivare l’iniziativa privata. Di istituire un vero fondo per le vittime, pagato dagli inquinatori, che consenta l’indennizzo diretto da parte dello Stato che poi può rivalersi. Tema sentitissimo dalle associazioni delle vittime che se riconosciute tali dall’Inail devono poi sostenere lunghe cause per avere ragione di chi li ha fatti ammalare. “Oggi – spiega Bonanni, che in 20 anni ne ha patrocinate migliaia – siamo al paradosso per cui l’avvocato serve alla vittima, non a chi la uccide”.
E ancora: istituire una Procura nazionale sulla sicurezza del lavoro, operare una “radicale trasformazione della fattispecie criminosa che oggi si limita all’ammenda punita con contravvenzione”, rafforzare le pene legate all’inosservanza degli obblighi dei privati, alla punibilità degli enti e amministratori pubblici. Rivedere il sistema di sorveglianza e prevenzione epidemiologica. “Oggi censisce solo il mesotelioma, non le altre sostanze cancerogene. Il VI Rapporto risale all’autunno 2018 ed è basato su dati 2014-2015. Con un sistema di rilevazione più puntuale, attuale ed efficace i dati già allarmanti renderebbero meglio la dimensione e la progressione della carneficina in atto”. L’elenco è lungo e variegato, ma a distanza di un anno e passa, è ancora tutto sulla carta. Tanto caro agli attuali governanti che si fatica pure a trovarlo.
mercoledì 14 aprile 2021
CHE PAESE MERAVIGLIOSO! - Rino Ingarozza
martedì 13 ottobre 2020
Lega, il commercialista e le srl “ritrovate” in Lussemburgo. - Davide Milosa
Film Commission - Ricostruita la rete di Scillieri, che porta a 4 nuove società oltreconfine.
Michele Scillieri commercialista lo è dagli anni Novanta. Vita agiata e casa in una delle vie più note di Milano. Poi il terremoto del caso Lombardia Film Commission (Lfc), i domiciliari, il legame con Di Rubba e Manzoni. Nel suo studio la Lega di Salvini ha eletto domicilio. Da qui tutto frana. E oggi, dopo gli arresti, la Procura indaga sui suoi rapporti con società in Lussemburgo. Il dato inedito emerge da una annotazione della Finanza agli atti del fascicolo coordinato dal procuratore aggiunto Eugenio Fusco e dal pm Stefano Civardi.
Nella rete societaria tra i vecchi soci compaiono soggetti con “precedenti penali o di polizia” per reati finanziari e riciclaggio. Molti di loro risultano coinvolti nelle inchieste sull’ex costruttore romano Danilo Coppola. Sono tre le srl amministrate da Scillieri e tutte portano a 4 società anonime in Lussemburgo con sede in Rue de la Boucherie 4-6. Le tre italiane hanno il domicilio in via Angelo May 24 a Bergamo, indirizzo, scrive la Gdf, “coincidente con i luoghi di esercizio delle società riferibili a Manzoni e Di Rubba”. La prima società è la Dacop. Qui Scillieri diventa amministratore dall’aprile 2018. Dacop nasce nel 2002. Nel luglio 2009 il 99% delle quote passa a Danilo Coppola. Due mesi dopo, il pacchetto va alla lussemburghese Europeenne d’Investissement Sa per finire oggi alla 68 Galtier Prima Sa. La seconda società è la Seasi, che come Dacop è una immobiliare. Scillieri entra nell’aprile 2018, trasferendo la sede in via Angelo May 24. Socio di Seasi è la Taurus Prima Sa. La società è destinataria di una segnalazione di Bankitalia per “comportamento sospetto”. La terza srl è la Programmi immobiliari con sede in via May 24. Scillieri è stato amministratore dal marzo 2019 fino al 19 settembre, nove giorni prima del suo arresto. La Programmi immobiliari è partecipata al 100% da Si.Pa. immobiliare con un pegno di banca Arner. Socio unico di Si.Pa, che in Italia ha sede in via May 24, è la Sunrise 14 Sa, quarta lussemburghese. Queste società a gennaio 2018 – pochi mesi prima dell’ingresso di Scillieri – le ritroviamo nella costituzione di un pegno a garanzia di un prestito di 20 milioni dalla Swiss Merchant Corporation Sa. A redigere l’atto è il notaio Angelo Busani (non indagato), che secondo Bankitalia nel 2018 bonificherà 18 milioni al notaio Mauro Grandi (non indagato) che si è occupato del caso Lfc.
Denaro che ripartirà verso l’estero. A Busani è riferibile la Credit Swiss servizi fiduciari che ha fatto da trustee al trust Diva di Andrea Dini, cognato di Attilio Fontana coinvolto nell’inchiesta sui camici. Per la costituzione del pegno le lussemburghesi sono rappresentate da Andrea Giovanni Carini, avvocato di origine libica. Carini risulta con un “precedente di polizia” per riciclaggio. Sia Dacop sia Seasi hanno l’indirizzo in Rue de la Boucherie “presso la Guarnieri & Partners Cabinet d’Avocats Luxembourg Sa, il cui comitato è formato anche da Carini”. Al pegno partecipano anche società italiane. Tra queste la Partecipazioni immobiliari (fallita nel 2019) riferibile a Manuel Rossetto che, non indagato, compare tra gli ex dirigenti delle società amministrate da Scillieri. C’è poi la Si.Pa già riconducibile indirettamente a Scillieri e altre 4 società di Rossetto, alcune in liquidazione, e con sede in via May 24. Nell’atto è scritto che i 20 milioni andavano restituiti in 7 anni. Ma già il 30 maggio 2018 il pegno è cancellato.
venerdì 2 ottobre 2020
La tangente di Angelucci. E i pm volevano arrestarlo. - Valeria Pacelli e Vincenzo Bisbiglia
Roma - Il deputato di FI indagato: “Promise 250mila euro all’assessore alla Sanità del Lazio”. Respinti i domiciliari per una presunta evasione.
La tegola giudiziaria che cade sulla testa del deputato di Forza Italia, Antonio Angelucci, porta la firma di Alessio D’Amato. È l’assessore alla Sanità della Regione Lazio che ha denunciato una presunta offerta da parte dell’editore dei quotidiani Libero e Il Tempo, di una mazzetta (rifiutata) da 250mila euro. Così Angelucci ora rischia il processo per istigazione alla corruzione e per un episodio di corruzione. Accuse che il deputato respinge, dichiarando la propria totale estraneità ai fatti contestati. L’indagine intanto è stata chiusa, atto che di norma prelude a una richiesta di rinvio a giudizio.
Ma a Roma il deputato ha anche un’altra grana da risolvere: nei suoi confronti c’è stata, nei giorni addietro, anche una richiesta di rinvio a giudizio per un’ulteriore vicenda, quella che lo vede indagato di associazione per delinquere finalizzata alla omessa dichiarazione. È questa un’altra vicenda per la quale, come ricostruito dal Fatto, più di un anno fa la Procura aveva addirittura chiesto gli arresti domiciliari per Angelucci, rigettati dal gip dopo molti mesi. Ma procediamo con ordine.
Partiamo dunque dall’accusa di istigazione alla corruzione. La vicenda rientra nell’ambito di un “tavolo di conciliazione” avviato dell’allora prefetto di Roma alla luce di una “crisi occupazionale minacciata dal Gruppo San Raffaele, che non vedeva riconosciute le proprie pretese economiche”. Secondo i pm, il deputato “in quanto esponente della famiglia Angelucci, proprietaria di numerose strutture sanitarie accreditate con la Regione Lazio facenti capo al ‘Gruppo San Raffaele’”, nel 2017 durante un incontro in Regione, ha promesso a D’Amato il pagamento di 250mila euro, di cui 50mila “consegnati subito” qualora il dirigente avesse avallato la sua richiesta. Ossia quella di sbloccare il pagamento di pretesi crediti del San Raffaele di Velletri al quale la Regione aveva revocato l’accredito “a causa di gravi irregolarità”, “cui era conseguito – riporta il capo di imputazione – un procedimento penale, allora pendente”. Una richiesta che D’Amato riteneva “infondata e irricevibile”. Ed è proprio l’assessore che denuncia la presunta tangente promessa: “Sono convinto – spiega D’Amato – che quando un pubblico ufficiale viene a conoscenza di una notizia di reato, peraltro di tale gravità, debba sempre rivolgersi alle autorità”.
In questo caso la corruzione quindi non si concretizza. A differenza, secondo i pm, di un altro episodio contestato ad Angelucci. Stavolta sotto accusa ci è finito pure Salvatore Ladaga, indagato per corruzione per l’esercizio della funzione. Si tratta del coordinatore di Forza Italia a Velletri, suocero, tra l’altro, di Gabriele Bianchi (dal quale ha preso le distanze), il giovane accusato assieme ad altri tre dell’omicidio di Willy Monteiro Duarte. Per i pm, Ladaga, allora consigliere comunale di Velletri, in attesa di riconferma alle elezioni del 2018, avrebbe agito per “favorire le iniziative imprenditoriali di Angelucci e in particolare la riapertura della casa di cura San Raffaele Velletri”.
A Roma però Angelucci risulta indagato anche per un’altra vicenda, per la quale la Procura più di un anno fa ha chiesto i domiciliari, rigettati dal gip Maria Paola Tomaselli. In questo caso i pm prospettano l’esistenza di “una associazione per delinquere transazionale promossa e capeggiata da Antonio Angelucci finalizzata a commettere reati (…) in relazione alla omessa dichiarazione in Italia dei redditi delle società denominate Spa di Lantigos Sca e T.h.S.A”. Si tratta di società di diritto lussemburghese che, secondo i magistrati, avrebbero “il carattere di capogruppo della holding Angelucci” e che non dispongono di “un’autonoma organizzazione ” e che “consentirebbero di occultare il patrimonio di Angelucci operando all’occorrenza, – come ricostruisce il gip – tramite un complesso meccanismo, il finanziamento delle società del gruppo secondo le decisioni assunte dall’indagato”.
Il deputato non risulta avere ruoli in nessuna società né in Italia né all’estero. In ogni modo, secondo i magistrati, l’evasione risalirebbe agli anni di imposta dal 2008 al 2013 “sia in relazione alla omessa dichiarazione dei redditi” delle società lussemburghesi “sia in relazione alla dichiarazione delle persone fisiche”. Ma per il giudice non ci sono elementi per dimostrare la reiterazione del reato e quindi la richiesta di domiciliari è stata rigettata.
(foto: ilFQ)
venerdì 7 febbraio 2020
Cavilli di battaglia. - Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano del 7 Febbraio
Dicevamo delle tecniche e delle tattiche dilatorie per allungare i processi e mandarli in prescrizione. Quelle che molti avvocati di imputati eccellenti usano a piene mani, salvo poi negare di saperne niente. I processi a B. ne hanno offerto il catalogo più esaustivo, nel silenzio-assenso dell’avvocatura organizzata e altri improvvisati cultori della “ragionevole durata”.
All Iberian. B. e Craxi sono imputati dal 1996 per finanziamento illecito (23 miliardi di lire in Svizzera da Fininvest-All Iberian nel 1991, subito dopo la legge Mammì) e B. anche per i falsi in bilancio sulle centinaia di miliardi di fondi neri del sistema offshore All Iberian. Giugno ’98: dopo un anno e mezzo il processo, salta su un legale di B.: “La Procura non ha citato la Fininvest come parte lesa dei falsi in bilancio”: cioè come vittima dei reati del suo padrone e degli altri top manager Fininvest. Così la Fininvest non ha potuto costituirsi parte civile contro B., che non ha potuto chiedersi i danni da solo. Pare una barzelletta, invece è tutto vero. Il processo per tangenti prosegue, ma quello per falso in bilancio deve ripartire dall’udienza preliminare. Lì i pm citano come parte lesa la Fininvest, che ovviamente non si costituisce contro B., che intanto ha guadagnato 2 anni. Il processo-bis riparte nell’ottobre ’98, ma si riblocca subito: i difensori dicono che il capo d’imputazione è generico, non si capisce la differenza tra Fininvest Spa e gruppo Fininvest. I nuovi giudici annullano il rinvio a giudizio: terza udienza preliminare sulle stesse carte. B. finge di voler patteggiare e avvia trattative con i pm. Ma bluffa: pretende una condannina a 3 mesi, commutabile in multa. La Procura gli ride in faccia, ma intanto s’è perso altro tempo. Il terzo rinvio a giudizio arriva a fine 1999 e il secondo dibattimento parte a maggio 2000: tre anni e mezzo buttati. Gli avvocati ricusano la nuova presidente, che sarebbe prevenuta anche se ha dato loro ragione annullando il primo rinvio a giudizio. La Corte d’appello respinge l’istanza, ma la Cassazione l’accoglie: altri 9 mesi di udienze buttati. Il processo riparte per la terza volta il 27 marzo 2001. La difesa B. ricusa i due giudici a latere: respinta. Poi B. “riforma” il falso in bilancio: pene più basse, prescrizione più breve e niente più reato se la società è quotata e non è stata querelata da un socio. Siccome Fininvest è quotata e B. non si è querelato da solo, il reato è abolito. Nel 2005, dopo 9 anni di processo di primo grado, la sentenza: B. assolto perché “il fatto non è più previsto dalla legge come reato”. Cioè perché l’imputato se l’è depenalizzato.
Scandalo Mills. Nel 2005 la Procura scopre che David Mills, consulente inglese di B. per le società estere All Iberian, è stato corrotto con 600 mila dollari nel 2000 per mentire nei processi GdF e All Iberian. B. e Mills sono indagati per corruzione giudiziaria. B. vara subito la legge ex Cirielli: la prescrizione per corruzione giudiziaria scende da 15 a 10 anni. Udienza preliminare: solita ricusazione del gup, respinta. Nel 2007 il processo: ennesima gimkana fra cavilli, impedimenti e trappole varie. Nel 2008 B. torna premier e si mette al riparo col lodo Alfano: verrà giudicato solo quando non sarà più premier. Mills invece è condannato a 4 anni in primo e secondo grado per essere stato corrotto da B. La Cassazione sentenzia il 25 febbraio 2010: siccome la tangente fu incassata il 29 febbraio 2000, restano 4 giorni prima della prescrizione. Ma la Corte va dietro agli avvocati e retrodata la tangente a tre mesi prima: non quando Mills la incassò, ma quando i soldi finirono su un fondo. Colpevole e infatti condannato a risarcire lo Stato, Mills si salva per prescrizione. Intanto B. è tornato imputato, perché la Consulta ha cancellato il lodo Alfano. Il processo di primo grado avanza a passo di lumaca, anche grazie al calendario al ralenty chiesto dai legali e generosamente concesso dal Tribunale (un’udienza ogni 15 giorni). E finisce il 27 gennaio 2012 con le arringhe. Detratti i tempi morti delle leggi ad personam, la prescrizione scatta il 15 febbraio: ci sono 19 giorni almeno per la prima sentenza. Ma gli avvocati bloccano i giudici sull’uscio della camera di consiglio con l’ennesima ricusazione. La Corte d’appello, per istanze così pretestuose, di solito impiega pochi giorni per respingerle. Ma stavolta dorme per un mese e respinge solo il 23 febbraio. La sentenza arriva il 25: tempo scaduto e “reato estinto per sopraggiunta prescrizione” (10 giorni prima).
Diritti Mediaset. B. è imputato per falso in bilancio, frode fiscale e appropriazione indebita per 368 milioni di dollari nascosti all’estero gonfiando il prezzo dei film Usa acquistati da Mediaset. Fatti commessi nel 1995-98 con effetti fiscali fino al 2003. Il primo grado dura dal 2006 al 2012: 6 anni di corsa a ostacoli, mentre si prescrivono tutti i falsi in bilancio, tutte le appropriazioni e le frodi più vecchie. B. è condannato a 4 anni in primo e secondo grado, dove la prescrizione si mangia tutti i reati superstiti, salvo le ultime due frodi sugli ammortamenti 2002 (4,9 milioni) e 2003 (2,4 milioni). La prescrizione scatta il 1° agosto 2013 e, per scongiurarla, la Cassazione tratta il caso con gli altri urgenti nella sezione feriale presieduta da Antonio Esposito. B. e i suoi strillano alla negazione del “diritto alla prescrizione”: il centrodestra impone al Parlamento un giorno di serrata in segno di lutto. La sentenza arriva il 1° agosto, ultimo giorno utile, e conferma la condanna. La prima e unica definitiva, sfuggita per puro caso alla regola ferrea dell’impunità. Tant’è che ancora se ne parla, a palazzo, con comprensibile orrore. Lo capite adesso perché tutti, a parte le persone oneste e le vittime dei reati, strillano contro la legge blocca-prescrizione?
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giovedì 18 ottobre 2018
Agenzia delle Entrate, 562 dipendenti accusati di manipolazione dei dati. - Ivan Cimmarusti
Stando ai dati forniti dalla stessa Agenzia delle Entrate, al 31 dicembre 2017 sono finiti sotto inchiesta 455 dipendenti, mentre in 107 sono stati condannati.
Indagando su questi fronti, la Procura di Roma ha arresto un dipendente dell’Agenzia Roma 2. Bastava una tangente e le tasse erano facilmente aggirabili. Debiti fiscali, liste di controlli preventivi e operazioni correttive erano manipolabili attraverso il sistema informatico dell’Agenzia delle Entrate.
L’innesto del procedimento è un whistleblower (disciplinato dall'articolo 1 comma 51 della legge 6 novembre 2012, n. 190), ossia un dipendente dell’Agenzia che ha denunciato un suo collega, colto in flagrante a contare i soldi di una tangente in un bar. I pm hanno ottenuto l’arresto di Orazio Orrei, funzionario accusato di essere stato corrotto da Maurizio Sinigagliesi, commercialista romano. Gli accertamenti - supportati anche da verifiche svolte dall’Agenzia tramite audit - hanno confermato l’attività illecita del dipendente: in pochi i giorni, dal primo dicembre del 2015 al 17 febbraio del 2016, il funzionario ha alterato dati fiscali per oltre 2.278 pratiche per fare ottenere ai clienti del commercialista una diminuzione dell’importo dell’imposta dovuta.
Gli inquirenti hanno scoperto che avrebbe ottenuto il denaro per «alterare i dati fiscali di numerosi contribuenti, in modo da ridurne i debiti erariali; trasmettere con ritardo le dichiarazioni presentate dai contribuenti in cartaceo presso l’ufficio territoriale, in modo da impedire tanto la liquidazione automatizzata quanto il successivo contro formale». Inoltre i magistrati ritengono che abbia garantito «l’inserimento di alcune dichiarazioni nelle liste di controlli preventivi – c.d. “preruoli”, nelle quali confluiscono le dichiarazioni tardive (pervenute oltre 90 giorni dopo la scadenza) per verificare se queste siano state effettivamente presentate con ritardo dal contribuente ovvero se siano state tempestivamente presentate, ma trasmesse in ritardo dall’ufficio – acquisendo al contempo numeri di protocollo idonei a dimostrare (falsamente) la presentazione all’ufficio di una dichiarazione cartacea tempestiva. In tal modo, Orrei impediva la liquidazione manuale dell’imposta nonché gli accertamenti automatici».