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venerdì 2 ottobre 2020

La tangente di Angelucci. E i pm volevano arrestarlo. - Valeria Pacelli e Vincenzo Bisbiglia

 

Roma - Il deputato di FI indagato: “Promise 250mila euro all’assessore alla Sanità del Lazio”. Respinti i domiciliari per una presunta evasione.

La tegola giudiziaria che cade sulla testa del deputato di Forza Italia, Antonio Angelucci, porta la firma di Alessio D’Amato. È l’assessore alla Sanità della Regione Lazio che ha denunciato una presunta offerta da parte dell’editore dei quotidiani Libero e Il Tempo, di una mazzetta (rifiutata) da 250mila euro. Così Angelucci ora rischia il processo per istigazione alla corruzione e per un episodio di corruzione. Accuse che il deputato respinge, dichiarando la propria totale estraneità ai fatti contestati. L’indagine intanto è stata chiusa, atto che di norma prelude a una richiesta di rinvio a giudizio.

Ma a Roma il deputato ha anche un’altra grana da risolvere: nei suoi confronti c’è stata, nei giorni addietro, anche una richiesta di rinvio a giudizio per un’ulteriore vicenda, quella che lo vede indagato di associazione per delinquere finalizzata alla omessa dichiarazione. È questa un’altra vicenda per la quale, come ricostruito dal Fatto, più di un anno fa la Procura aveva addirittura chiesto gli arresti domiciliari per Angelucci, rigettati dal gip dopo molti mesi. Ma procediamo con ordine.

Partiamo dunque dall’accusa di istigazione alla corruzione. La vicenda rientra nell’ambito di un “tavolo di conciliazione” avviato dell’allora prefetto di Roma alla luce di una “crisi occupazionale minacciata dal Gruppo San Raffaele, che non vedeva riconosciute le proprie pretese economiche”. Secondo i pm, il deputato “in quanto esponente della famiglia Angelucci, proprietaria di numerose strutture sanitarie accreditate con la Regione Lazio facenti capo al ‘Gruppo San Raffaele’”, nel 2017 durante un incontro in Regione, ha promesso a D’Amato il pagamento di 250mila euro, di cui 50mila “consegnati subito” qualora il dirigente avesse avallato la sua richiesta. Ossia quella di sbloccare il pagamento di pretesi crediti del San Raffaele di Velletri al quale la Regione aveva revocato l’accredito “a causa di gravi irregolarità”, “cui era conseguito – riporta il capo di imputazione – un procedimento penale, allora pendente”. Una richiesta che D’Amato riteneva “infondata e irricevibile”. Ed è proprio l’assessore che denuncia la presunta tangente promessa: “Sono convinto – spiega D’Amato – che quando un pubblico ufficiale viene a conoscenza di una notizia di reato, peraltro di tale gravità, debba sempre rivolgersi alle autorità”.

In questo caso la corruzione quindi non si concretizza. A differenza, secondo i pm, di un altro episodio contestato ad Angelucci. Stavolta sotto accusa ci è finito pure Salvatore Ladaga, indagato per corruzione per l’esercizio della funzione. Si tratta del coordinatore di Forza Italia a Velletri, suocero, tra l’altro, di Gabriele Bianchi (dal quale ha preso le distanze), il giovane accusato assieme ad altri tre dell’omicidio di Willy Monteiro Duarte. Per i pm, Ladaga, allora consigliere comunale di Velletri, in attesa di riconferma alle elezioni del 2018, avrebbe agito per “favorire le iniziative imprenditoriali di Angelucci e in particolare la riapertura della casa di cura San Raffaele Velletri”.

A Roma però Angelucci risulta indagato anche per un’altra vicenda, per la quale la Procura più di un anno fa ha chiesto i domiciliari, rigettati dal gip Maria Paola Tomaselli. In questo caso i pm prospettano l’esistenza di “una associazione per delinquere transazionale promossa e capeggiata da Antonio Angelucci finalizzata a commettere reati (…) in relazione alla omessa dichiarazione in Italia dei redditi delle società denominate Spa di Lantigos Sca e T.h.S.A”. Si tratta di società di diritto lussemburghese che, secondo i magistrati, avrebbero “il carattere di capogruppo della holding Angelucci” e che non dispongono di “un’autonoma organizzazione ” e che “consentirebbero di occultare il patrimonio di Angelucci operando all’occorrenza, – come ricostruisce il gip – tramite un complesso meccanismo, il finanziamento delle società del gruppo secondo le decisioni assunte dall’indagato”.

Il deputato non risulta avere ruoli in nessuna società né in Italia né all’estero. In ogni modo, secondo i magistrati, l’evasione risalirebbe agli anni di imposta dal 2008 al 2013 “sia in relazione alla omessa dichiarazione dei redditi” delle società lussemburghesi “sia in relazione alla dichiarazione delle persone fisiche”. Ma per il giudice non ci sono elementi per dimostrare la reiterazione del reato e quindi la richiesta di domiciliari è stata rigettata.

(foto: ilFQ)

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/10/02/la-tangente-di-angelucci-e-i-pm-volevano-arrestarlo/5951362/?utm_source=newsletter&utm_medium=email&utm_campaign=oggi-in-edicola&utm_term=2020-10-02

venerdì 17 luglio 2020

Ior: scandali, soldi, misteri e la guerra di Francesco. - Pino Corrias

Ior: scandali, soldi, misteri e la guerra di Francesco

Chiudere le porte dello Ior e riaprire quelle del Paradiso. Sarà vero? Riuscirà papa Francesco a rimediare ai molti peccati commessi dalla banca vaticana, disfacendone le trame, i cristalli, il salone di marmo che si specchia dentro al cerchio magico del Torrione Niccolò V, dove i santissimi soldi transitano da ottant’anni in un rumoroso silenzio, sgocciolando delitti, tradimenti e sangue?
Tanti gironi capovolti ne hanno segnato la storia, il più profondo inciso da Paul Marcinkus, atletico di spalle e di sguardo, che regnò vent’anni – dal 1969 all’89, anno di molti portenti – dentro la sua nuvola di sigari Avana, trafficando in miliardi di dollari, conti sempre cifrati di correntisti anonimi, poteri oscuri, massoneria italiana e americana, dittatori sudamericani, banche tropicali, amabili signore del jet set, campi da golf.
Nato a Cicero, quartiere di Chicago, due isolati dal villone di Al Capone, figlio di un lavavetri lituano, Paul Casimir Marcinkus, detto Chink, detto Il Gorilla, scalò la vita in clergyman, Rolex al polso e scarpe fatte a mano. Fu guerriero di due papi, l’esangue Paolo VI che se ne invaghì nominandolo vescovo e principe della santa cassaforte dove non sono ammessi assegni, solo oro, contante e bugie. E poi Karol Woytila, che lo arruolò nella sua guerra planetaria contro il comunismo, mandandolo a finanziare Solidarnosc, la piccola leva scovata nei cantieri di Danzica, con cui avrebbe sollevato l’intero mondo d’Oltrecortina.
Tra i due papi – già diventati santi grazie alle impazienze del marketing vaticano – la sottile interferenza di papa Luciani, quello del “Dio è più mamma che padre”, che il trentaduesimo giorno del suo papato stabilì l’urgenza di rimuovere Marcinkus dal suo vascello pirata, ma che purtroppo fu rimosso per sempre nella notte del suo trentatreesimo giorno, sepolto senza autopsia, con coda infinita di sospetti e cattive leggende sui veleni che assomigliano a infarti, e infarti che assecondano la cattiva provvidenza.
Nei suoi vent’anni di presidenza Ior, non c’è scandalo italiano, o mistero, come la scomparsa di Emanuela Orlandi, dove prima o poi non compaia la sua fuoriserie nera, con l’autista al volante e la sacca delle mazze da golf nel portabagagli. Sta parcheggiata al centro della bancarotta del Banco Ambrosiano di Roberto Calvi che a forza di finanziare i generali argentini, tramite la P2 di Licio Gelli, sbrigare il traffico di tangenti socialiste e democristiane – compresa la maxi tangente Enimont, 108 miliardi in certificati del tesoro portati dal giovane Luigi Bisignani, figlioccio di Andreotti, pupillo di Gianni Letta – e infine riciclare i soldi dei diavoli di Cosa nostra, chiude la sua parabola a Londra, appeso al Ponte dei Frati neri. E la coda della sua Mercedes 500 Sl, transita dentro l’avventura dell’altro campione della finanzia andreottiana, Michele Sindona, patron della Banca Privata, oltre che titolare dei flussi del denaro mafioso che navigavano attraverso lo Ior fino alle isole Cayman, Barbados, Antigua per ritornare indietro immacolati.
Avventura che costò la vita a Giorgio Ambrosoli che per conto del tribunale di Milano ricostruiva la segreta contabilità di quel gigantesco scandalo, ucciso da un killer venuto apposta dall’America, ingaggiato da Sindona. A sua volta liquidato nel carcere di Voghera, da un caffè avvelenato, altro dettaglio offerto dell’identica cattiva provvidenza.
E pensare che lo Ior era nato a fin di bene. Voluto da Pio XII nel cupo anno 1942, mentre il tallone di ferro del Terzo Reich ancora si estendeva fino a Stalingrado. Diventa operativo a fine guerra, quando il primo presidente, il laico Bernardino Nogara, trasforma le piccole monete della fede raccolte dalle migliaia di cattedrali e parrocchie d’ogni latitudine, in grandi investimenti immobiliari del Vaticano, un migliaio di palazzi a Roma, un milione nel mondo.
La minuscola Città del Vaticano, 0,44 chilometri quadrati, 900 abitanti, moltiplica il suo potere, protetta dai riverberi millenari della croce, più prosaicamente dalla politica al di qua del Tevere che in base ai Patti lateranensi le concede tutti gli onori dello Stato estero: 180 ambasciate accreditate, una poltrona in tutte le principali istituzioni transnazionali, a cominciare dall’Onu. Nessun onere. Lo Ior viaggia dentro il medesimo privilegio. E sa come sfruttarlo, rendendosi impermeabile a tutte indagini, a tutte le rogatorie.
Quando Giovani Paolo II decide di rimuovere il suo amico Marcinkus dal suo stremato vascello, alla vigilia degli Anni Novanta, gli scandali non finiscono. Tocca ai nuovi rampanti affacciarsi nel suo unico salone, protetto da nove metri di mura esterne, con un unico sportello e un unico bancomat che offre i suoi servizi anche in latino. Entrano in scena i rinnovati eroi dell’era berlusconiana, la cricca dei costruttori romani ingaggiati dal re della Protezione civile Guido Bertolaso ai tempi del G8 alla Maddalena, bruciati 400 milioni di euro, e poi a L’Aquila, passerella planetaria sulle macerie e i morti. Imprenditori come Diego Anemone, quello del Salaria Sport Village, e Angelo Balducci, gentiluomo di sua santità, tutti titolari di conti allo Ior, proprio come Andreotti ai tempi suoi, o l’incredibile Luciano Moggi, estimatore ricambiato del cardinal Ruini.
Poi tocca ai Giampiero Fiorani, presidente della Popolare di Lodi che confesserà i versamenti in nero nelle casse vaticane. Siamo ai tempi dei “furbetti del quartierino”, a cui seguono quelli dei Vatileaks, rivelazoni sulla gestione e il riciclaggio dei soldi, coinvolto nelle indagini il cardinale Tarcisio Bertone, quello dell’attico da 750 metri, con traffico di documenti segreti, e un colpevole scovato a tempo di record, un tale Paolo Gabriele, niente meno che il maggiordomo, come nei gialli da due lire. Il quale non chiude il danno, ma lo spalanca, fino alle impensabili dimissioni di Benedetto XVI: “Gli eventi hanno portato tristezza nel mio cuore”.
Così che quando papa Francesco si affaccia per la prima volta dai sacri palazzi, 17 marzo 2013, augurando “buon pranzo!”, sta parlando a tutti, tranne che agli gnomi dello Ior. Da allora vara una riforma all’anno dell’Istituto, liquida i presidenti, cambia i consigli di amministrazione, ma neanche l’elogio della povertà, né la santa Amazzonia fanno il miracolo. Probabile che fino a quando non verranno smantellate le mura, il sacro Torrione resterà la prigione che era nel Quattrocento, ma con un unico prigioniero, il Vaticano.

venerdì 8 novembre 2019

Per Alessandro. - Marco Travaglio

L'immagine può contenere: 4 persone, persone che sorridono

Alessandro Morricella era nato a Martina Franca, aveva 35 anni, una moglie e due bambini di 2 e 6 anni. Era un bravo operaio dell’Ilva di Taranto, sequestrata nel 2012 dai giudici di Taranto e subito riaperta per decreto da Monti e dai suoi successori.

L’8 giugno 2015 si è avvicinato, come sempre, al foro di colata dell’altoforno 2 per controllare la temperatura. E, probabilmente per un accumulo anomalo di gas, certamente per la scarsa sicurezza del vetusto impianto, è stato investito da una fiammata mista a ghisa incandescente, che l’ha trasformato in una torcia umana.

Ricoverato in ospedale, è morto dopo quattro giorni di atroce agonia il 12 giugno, proprio nel giorno dedicato alle vittime del lavoro. Una data tutt’altro che casuale: il 12 giugno 2003, sempre all’Ilva, Paolo Franco e Pasquale D’Ettorre erano stati uccisi dal crollo di una gru e subito dimenticati da tutti.

Fuorché dal rapper pugliese Caparezza, che dedicò loro il brano Vieni a ballare in Puglia: (“Tieni la testa alta quando passi vicino alla gru perché può capitare che si stacchi e venga giù”). E dai coraggiosi magistrati di Taranto, che da 7 anni tentano di imporre il minimo rispetto per la sicurezza dei lavoratori e per la salute dei cittadini, facendo lo slalom fra decreti salva-Ilva e scudi penali sfornati dai governi dei più svariati colori per garantire l’impunità a chi gestisce il più grande impianto siderurgico d’Europa.

Dopo la morte di Alessandro, quinta vittima dell’Ilva in tre anni, l’allora procuratore Franco Sebastio indaga vari dirigenti per omicidio colposo e inosservanza delle norme di sicurezza sul lavoro e additano il mancato ammodernamento degli altiforni dell’“area a caldo” dell’Ilva come “concausa non trascurabile” della sua e delle altre quattro morti.

E ottengono il sequestro dell’altoforno 2, poi dissequestrato il 31 ottobre. Ma a condizione che vengano attuate 7 prescrizioni, fra cui l’automazione del campo di colata che ha ucciso Alessandro e gli altri.

Obblighi che in quattro anni non saranno mai rispettati, malgrado il miliardo di evasione fiscale sequestrato dai pm di Milano ai Riva e destinato alla gestione commissariale per gli interventi sulla sicurezza, più il miliardo che i nuovi titolari di Arcelor Mittal prometteranno di investire allo scopo.

Ma intanto il governo Renzi, nel 2015, ha varato l’ennesimo decreto salva-Ilva che autorizza l’uso dell’altoforno 2 appena sequestrato. E ha addirittura regalato l’impunità penale ai commissari di governo, anche per i morti in fabbrica. Nel 2018 la Consulta boccia il decreto Renzi sull’altoforno 2 come incostituzionale.

Motivo: il dl “privilegia in modo eccessivo l’interesse alla prosecuzione dell’attività produttiva, trascurando del tutto le esigenze di diritti costituzionali inviolabili legati alla tutela della salute e della vita stessa”, diritti “cui deve ritenersi inscindibilmente connesso il diritto al lavoro in ambiente sicuro e non pericoloso”.

Invece sullo scudo, studiato per i commissari e poi finito a coprire Arcelor-Mittal, la Consulta non può pronunciarsi perché viene revocato e poi parzialmente ripristinato da 5Stelle e Lega, e infine cancellato da M5S, Pd, LeU e Iv.

Il 31 luglio 2019, visto che nessuno degli obblighi è stato rispettato, i giudici di Taranto tornano a sequestrare l’altoforno 2. E poi a dissequestrarlo, ma a patto che entro 100 giorni vengano finalmente eseguiti i lavori per mettere in sicurezza l’impianto entro il prossimo 13 dicembre.

Ma l’altro ieri il gruppo franco-indiano comunica al governo la disdetta del contratto che lo impegnava a gestire in affitto e dal 2021 a rilevare gli stabilimenti ex Ilva accampando due scuse.

1) “Con effetto dal 3 novembre 2019 il Parlamento italiano ha eliminato la protezione legale necessaria alla Società per attuare il suo piano ambientale senza il rischio di responsabilità penale, giustificando così la comunicazione di recesso”.

2) “In aggiunta, i provvedimenti emessi dal Tribunale penale di Taranto obbligano i Commissari straordinari di Ilva a completare talune prescrizioni entro il 13 dicembre 2019, termine che gli stessi Commissari hanno ritenuto impossibile da rispettare – pena lo spegnimento dell’altoforno numero 2”, quello che ha ucciso Alessandro.

Cioè: Mittal ha scoperto con sgomento che in Italia esistono una Costituzione e un Codice penale. E sfodera due alibi che non reggono: lo scudo penale non esiste in nessun Paese d’Europa, dove Mittal gestisce quasi tutte le acciaierie, con standard di sicurezza e ambiente molto più stringenti di quelli che pretende di perpetuare in Italia; quanto alle prescrizioni sull’altoforno 2, non sono una novità, visto che i giudici le invocano dal 2012 (quando sequestrarono per la prima volta l’Ilva) e ancor più stringentemente dal 2015 (quando morì Alessandro) e nel 2018 la Consulta ha già sentenziato che l’altoforno 2 non può restare aperto se non è messo in sicurezza.

In 7 anni si sono succeduti 6 governi (Monti, Letta, Renzi, Gentiloni, Conte 1 e Conte 2) e 3 gestioni manageriali (Riva, commissari di governo, Arcelor Mittal). I manager hanno sempre disobbedito alla legge, ai giudici e alla Costituzione.

I governi, fino al 2018, han permesso loro di farlo impunemente, sulla pelle dei morti e dei malati. Ora che finalmente la musica è cambiata, si scatena la canea: non contro chi se ne fotteva allegramente del diritto alla vita e alla salute, ma contro chi ha smesso di fottersene.

Ps. Un mese fa, il 1° ottobre, si è aperto al Tribunale di Taranto il processo a sette dirigenti Ilva imputati di omicidio colposo per la morte di Alessandro. Fuori dall’aula, i suoi amici hanno riassunto in uno striscione di sei parole gli ultimi sette anni di storia dell’Ilva:

“Giustizia per Morricella, morto per decreto”.

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mercoledì 10 aprile 2013

“Il tempo è scaduto” strilla Confindustria. Le banche non ascoltano e volano in borsa. MPS gode, all’improvviso, di ottima salute ritrovata. - Sergio Di Cori Modigliani


clessidra
Siamo ormai ai film riciclati, alle copie sbiadite, al già visto e digerito. Approfittando dell’Alzheimer sociale italiano, caratteristica principale di questa nostra nazione priva di memoria, pensano di potersela cavare riproponendo un copione che appartiene a una sceneggiatura già vista, che nel passato ha prodotto un film fallimentare. E quando dico “passato” non sto parlando del 1932, neppure del 1978.  Intendo dire il 2011, cioè (quantomeno nella mia mente) l’altro ieri. Mi riferisco qui all’iniziativa della Confindustria di acquistare una pagina pubblicitaria sul quotidiano la Repubblica (e da domani su tutti gli altri quotidiani) apparsa oggi, mercoledì 10 aprile 2013, in cui si vede una clessidra con la polverina tricolore e lo slogan “Il tempo è scaduto”, a metà tra l’annuncio necrologico e una velata minaccia non si sa bene rivolta a chi. Pagina identica all’editoriale pubblicato su Il sole 24 ore ai primi di ottobre del 2011 con il titolo “fate presto”, che poi produsse il governo Napolitano/Monti, il peggiore che l’Italia abbia mai avuto dal 1946 a oggi. Editoriale che faceva da “sequel” alla pagina pubblicitaria acquistata e pubblicata sul corriere della sera da parte dell’imprenditore Diego Della Valle nel mese di settembre del 2011.
Considerando la questione dal punto di vista della comunicazione, mi sembra di capire due cose ormai, ahinoi, molto chiare:
A). Stanno per varare uno straccio di governo (proprio come nel novembre del 2011) che esalterà lo spirito democratico della cupola mediatica e dei giornalisti televisivi, la variante di Monti/Passera, riadattata alle esigenze del 2013, con applausi in tutta Europa, salamelecchi di varia natura, magari qualche laurea honoris causa. Il tutto condito con espressioni del tipo “i mercati hanno reagito benissimo” e diversi articoli dei corrispondenti da New York, Washington e Londra dove importanti finanzieri, banchieri, economisti di fama, spiegheranno che finalmente l’Italia ha davvero svoltato e stanno per arrivare fiumi di danaro di investimenti. Traghetteranno il paese dalle olgettine di Arcore -via professoroni supercompetenti della Bocconi- al nuovo orizzonte luminoso del caro leader presidenziale, chiunque egli sia, il quale ci regalerà la bella pensata che stanno cucinando in questi giorni. E’ chiaro come il sole. Il copione è identico. Le comparse pure. Lo sceneggiatore anche. Così come il regista e il produttore. Ah, dimenticavo di aggiungere “i finanziatori”: neanche a dirlo, sono sempre gli stessi, saremo noi cittadini che paghiamo le tasse. Tanto per rinfrescare la memoria, ricordo che nel maggio del 2012 –soltanto undici mesi fa- Mario Monti dichiarò di ritorno dal suo secondo viaggio in Usa (raccontato su tutta la stampa mainstream come “il trionfo del premier a Wall Street” con applausi e lacrime da parte del PDL e del PD) “il successo del decreto salva-Italia e l’avvio del grande piano di ripresa dell’economia è stato salutato con tale favore dai mercati americani e dai grandi investitori, da potermi consentire di vedere, oggi, con chiarezza e ottimismo, la luce in fondo al tunnel. Grazie all’azione del mio governo, già nell’ultimo trimestre di quest’anno, l’Italia, grazie ai suoi conti messi a posto, si avvierà verso una nuova, e lasciatemi dire, luminosa ripresa economica. Stiamo sulla strada giusta”. Non contento di questa bella pensata, invitò il supertecnico multi laureato extra professore hightech Grilli a dir la sua; eccola: “Possiamo davvero respirare una nuova aria, soprattutto le imprese, perché i dati parlano chiaro e ci confortano; alla fine di quest’anno la ripresa segnerà una netta inversione di tendenza producendo un aumento positivo del pil intorno a un +1,2% per avviare poi già nel primo trimestre del 2013 un aumento del pil intorno a un sicuro +2%”. Risultato reale al 31 dicembre 2012: pil crollato a un -3%. Elezioni anticipate. Crollo dei consumi con una economica ritornata ai livelli del 1993. Produzione industriale crollata a un -7,8%. 1 milione di licenziamenti. 8 milioni di italiani al di sotto della soglia di povertà. Il 20% delle famiglie italiane considerate “tecnicamente” povere. Dati che inchiodano l’Italia identificandola come un paese definitivamente declinante. Un aumento dei suicidi del 24% rispetto all’anno precedente. L’azzeramento del settore micro-imprese con il fallimento di decine di migliaia di aziende e l’avvio di un nuovo trend “ufficiale”: in Italia chiudono, falliscono, e restituiscono la partita IVA, una azienda ogni 15 minuti, ovverossia 4 all’ora, che corrisponde a 100 al giorno. Alla fine dell’anno saranno all’incirca 40.000 imprese di meno. Nei primi tre mesi del 2013 hanno chiuso 10.150 aziende che comporteranno un abbassamento del gettito fiscale e quindi un aumento della spesa pubblica. Hanno sbagliato tutti i conti, tutte le previsioni. Eppure, sono le stesse identiche persone che oggi stanno formando un nuovo potenziale e possibile “governo di emergenza”.
B). La situazione reale è ben più drammatica di quanto non dicano, non scrivano, non raccontino. Se non fosse così non si comporterebbero come nell’ottobre del 2012. Eppure, leggendo le notizie di oggi, si comincia a respirare una strana e curiosa aria che fa comprendere come –quantomeno in Europa-  Milano e Roma non siano poi così distanti da Pyongyang. Così come i nord-coreani non sono al corrente della situazione reale del loro paese, nonostante siano alla fame vera e alla disperazione; così, noi italiani non ci rendiamo conto di ciò che sta accadendo, nonostante tutti i chiari sintomi. Entrambi i popoli sono innocenti. I nord-coreani, a dire il vero, molto più di noi. Loro non hanno sistemi di comunicazione, sono un paese povero, non hanno accesso per Legge a internet e non sanno neppure che esista. Ma una volta tanto, devo spezzare una lancia a favore del mio popolo, che considero mediamente innocente nel proprio abbrutimento analfabeta. Con una argomentazione che è la seguente: sono stati pubblicati dieci giorni fa i dati ufficiali delle 4 agenzie dell’ONU che, a nome delle 174 nazioni che hanno aderito al programma, stilano una classifica relativa a tre voci: 
a) libertà di stampa e di comunicazione; 
b) livello di corruzione della classe politica dirigente e amministrativa; 
c) libertà di accesso al mercato da parte dei singoli cittadini suddivisi per categorie professionali. 
Ebbene, in tutti e tre i campi, si registra un crollo verticale. Tradotto vuol dire: poiché questi dati sono il pane di qualunque investitore internazionale, che usufruisce di tali tabelle per identificare e definire ciò che loro chiamano “rischio paese”, si capisce perché non arriveranno i soldi, non ci sarà nessun investimento, e non esisterà alcuna ripresa. Stanno raccontando delle bugie, delle frottole. Dei Falsi. Per quanto riguarda la libertà di stampa, nel 1996 l’Italia era al 23esimo posto al mondo e già c’era da vergognarsi; nel 2008 eravamo arrivai al 47esimo; 50 nel 2009; 51 nel 2011; 57 nel glorioso 2012, e gli osservatori internazionali riferiscono che alla fine del 2013 (se prosegue questo trend) toccheremo la cifra di 65: veniamo dopo l’Iran, dopo l’Arabia Saudita, dopo l’Azerbaijan. La nostra nazione è stata identificata come maestra nella costruzione di falsi, nella pubblicazione di notizie false, nella produzione mediatica di attività tese a delegittimare concorrenti, oppositori, antagonisti, e nella presentazione di elementi che non fanno riferimento alla realtà. Come dire: siamo “ufficialmente” un paese di mitomani. Quantomeno i giornalisti. Noi lo sapevamo già, se è per questo, ma forse non lo sapevano tanti investitori potenziali. Siamo la nazione dell’emisfero occidentale che vanta il primato del paese con la minor libertà di stampa esistente e con la pubblicazione del più alto numero di falsi, notizie inattendibili, con il più basso indice di indipendenza dai partiti politici che controllano il paese. Siamo la Corea del Nord d’Europa.
Questo siamo. Così ci vedono. Così ci percepiscono.
E hanno ragione. Anche per questo non investiranno da noi. Per quanto riguarda la corruzione non siamo gli ultimi in Europa. Ci battono i bulgari. In compenso abbiamo superato i greci e gli spagnoli: sono molto meno corrotti di noi, il che è tutto dire. Qui il calcolo va fatto in maniera inversa, perché al primo posto c’è il più onesto, limpido e virtuoso (il Canada, beati loro!) mentre al 174esimo posto si trova lo Zimbabwe. Nel 2008 (e non era certo una delizia) eravamo al 44esimo posto con somma vergogna degli spiriti più puri nudi e crudi. Nel 2012 abbiamo toccato il livello 72: Sopra di noi la Romania (che era nel 2011 al posto 79) e al 70 la Turchia (che nel 2011 era al posto 84); i turchi stanno facendo passi da gigante: là ogni giorno mettono in galera funzionari pubblici e hanno avviato un processo di pedagogia sociale per incitare al disprezzo sociale nei confronti degli amministratori che rubano. E in galera (non credo che le carceri turche siano una meraviglia) lì li lasciano, non finiscono in un convento a fare le marmellate passeggiando tra le rose, come nel caso del senatore Luigi Lusi, il quale seguita a percepire il suo solido stipendio mensile di 22.000 euro perché a nessuno è venuto in mente di chiederne l’espulsione dal Senato per indegnità e ignominia, e le recenti cronache giornalistiche italiane (lo capite adesso che cosa vuol dire la libertà di stampa?) ci hanno spiegato che è diventato un adorabile intellettuale credente, adorato dai fraticelli perché il bravo Lusi sembra si impegni davvero tanto a mandare a memoria le liriche immortali di San Francesco d’Assisi, che declama tra una passeggiata e l’altra. In teoria, e a norma di Legge, dovrebbe stare in carcere, a condividere il suo triste destino con altri poveretti. Lui, invece, passeggia e canta le lodi del Signore. Nessuno ha spiegato come sia possibile. Ciò che conta: nessun giornalista è mai andato a chiederlo al giudice. Un paese da squallida operetta, consentitemi lo sfogo.
Non ho la minima idea di che cosa si siano detti Berlusconi e Bersani ieri sera. Che cosa abbiano deciso, stabilito, per il nostro futuro. Preferisco seguire i dati dell’Onu. So soltanto che oggi sui giornali economici italiani compare la notizia che “il MPS sembra aver ben digerito le recenti travagliate vicissitudini” (così presentano i padreterni della cupola mediatica il più grande scandalo finanziario italiano degli ultimi 120 anni: una vicissitudine). La medaglia spetta all’agenzia nazionale Teleborsa, che lavora per Milano Finanza e Il Sole 24 ore, che spiega ai propri abbonati come le cose in Italia vadano davvero bene, con la borsa al rialzo che va su che è una meraviglia, perché stanno arrivando milioni a palate da parte di investitori che si gettano a  Piazza Affari (purtroppo non è vero niente) grazie al fatto che l’import in Cina è in aumento. La follia di notizie come queste non necessita commenti. Ecco l’estratto.
Notizie Teleborsa – Finanza
Banche in rally a Piazza Affari e in Europa. 
(Teleborsa 10 aprile 2013. Ore 11.15) – Piovono acquisti sulle banche quotate a Piazza Affari. Il clima disteso sui mercati e l’allentamento delle tensioni sulle periferie dell’Eurozona sta favorendo un ritorno di interesse degli investitori sui finanziari tricolori, stamane in gran fermento, ma anche sull’intero comparto europeo, al momento in rialzo del 2% sul relativo DJ Stoxx. Di grande aiuto al sentiment generale anche il balzo dell’import in Cina, segno di una possibile accelerazione della domanda interna. Maglia rosa al Banco Popolare, in rialzo di quasi 5 punti percentuali a 0,9705 euro con volumi sostenuti. Tra gli altri Istituti quotati a Piazza Affari, ancora in forte rialzo Mediobanca di riflesso alle speculazioni sull’aggregazione tra Telecom Italia e 3 Italia. Piazzetta Cuccia è, assieme a Intesa Sanpaolo e Generali, tra i soci di Telco, a sua volta azionista di riferimento dell’operatore di tlc. Anche Intesa sta correndo con un rialzo del 3% mentre il Leone di Trieste segna un +2%. Volano anche Unicredit, la BPER, UBI e soprattutto MPS. Quest’ultima sembra aver messo da parte le vicende giudiziarie legate allo scandalo sui derivati e all’operazione Antonveneta lanciandosi verso la propria ricapitalizzazione.
Fine della nota d’agenzia.
Tutte le altre agenzie specializzate italiane sono sulla stessa lunghezza d’onda. Questa sera, il bravo Enrico Mentana, aprendo il suo telegiornale, sarà costretto a raccontarci che in borsa va benissimo e che le nostre banche sono davvero solide. Che cosa deve fare, poveretto! Lui legge le notizie da fonte ufficiale e le riferisce, è il suo mestiere: non le produce lui. E le notizie che  oggi il sistema produce, sono queste. Il che vuol dire che, evidentemente, Giorgio Squinzi è un pazzo pessimista. Seguendo i giornalisti economici italiani, all’improvviso si legge che va tutto a meraviglia. Il post finisce qui, con la notizia del giorno: “MPS ha superato le sue vicissitudini”. Siamo contenti. Non spiegano come, ma non ha importanza; bisogna pur sempre rispettare il fatto che stiamo al 57esimo posto come libertà di stampa e al 72esimo come livello di corruzione. Ignoro totalmente che cosa sia avvenuto ieri sera, alle ore 18, nell’incontro tra l’on. Pierluigi Bersani e il senatore Silvio Berlusconi. In compenso so che cosa pubblica oggi la stampa economica. Che va tutto bene, che milioni a palate piovono a Piazza Affari e che il Monte dei Paschi di Siena ha risolto le sue vicissitudini. Forse, a breve, è in cantiere un gemellaggio Milano-Pyongyang. Prima di ironizzare sul bambino delirante asiatico, pensateci due volte. Non siamo poi tanto distanti da loro.
La Corea del Nord è vicina.
Noi siamo, niente di più, che una sua copia sbiadita, si intende, modello  europeo.