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venerdì 17 luglio 2020

Ior: scandali, soldi, misteri e la guerra di Francesco. - Pino Corrias

Ior: scandali, soldi, misteri e la guerra di Francesco

Chiudere le porte dello Ior e riaprire quelle del Paradiso. Sarà vero? Riuscirà papa Francesco a rimediare ai molti peccati commessi dalla banca vaticana, disfacendone le trame, i cristalli, il salone di marmo che si specchia dentro al cerchio magico del Torrione Niccolò V, dove i santissimi soldi transitano da ottant’anni in un rumoroso silenzio, sgocciolando delitti, tradimenti e sangue?
Tanti gironi capovolti ne hanno segnato la storia, il più profondo inciso da Paul Marcinkus, atletico di spalle e di sguardo, che regnò vent’anni – dal 1969 all’89, anno di molti portenti – dentro la sua nuvola di sigari Avana, trafficando in miliardi di dollari, conti sempre cifrati di correntisti anonimi, poteri oscuri, massoneria italiana e americana, dittatori sudamericani, banche tropicali, amabili signore del jet set, campi da golf.
Nato a Cicero, quartiere di Chicago, due isolati dal villone di Al Capone, figlio di un lavavetri lituano, Paul Casimir Marcinkus, detto Chink, detto Il Gorilla, scalò la vita in clergyman, Rolex al polso e scarpe fatte a mano. Fu guerriero di due papi, l’esangue Paolo VI che se ne invaghì nominandolo vescovo e principe della santa cassaforte dove non sono ammessi assegni, solo oro, contante e bugie. E poi Karol Woytila, che lo arruolò nella sua guerra planetaria contro il comunismo, mandandolo a finanziare Solidarnosc, la piccola leva scovata nei cantieri di Danzica, con cui avrebbe sollevato l’intero mondo d’Oltrecortina.
Tra i due papi – già diventati santi grazie alle impazienze del marketing vaticano – la sottile interferenza di papa Luciani, quello del “Dio è più mamma che padre”, che il trentaduesimo giorno del suo papato stabilì l’urgenza di rimuovere Marcinkus dal suo vascello pirata, ma che purtroppo fu rimosso per sempre nella notte del suo trentatreesimo giorno, sepolto senza autopsia, con coda infinita di sospetti e cattive leggende sui veleni che assomigliano a infarti, e infarti che assecondano la cattiva provvidenza.
Nei suoi vent’anni di presidenza Ior, non c’è scandalo italiano, o mistero, come la scomparsa di Emanuela Orlandi, dove prima o poi non compaia la sua fuoriserie nera, con l’autista al volante e la sacca delle mazze da golf nel portabagagli. Sta parcheggiata al centro della bancarotta del Banco Ambrosiano di Roberto Calvi che a forza di finanziare i generali argentini, tramite la P2 di Licio Gelli, sbrigare il traffico di tangenti socialiste e democristiane – compresa la maxi tangente Enimont, 108 miliardi in certificati del tesoro portati dal giovane Luigi Bisignani, figlioccio di Andreotti, pupillo di Gianni Letta – e infine riciclare i soldi dei diavoli di Cosa nostra, chiude la sua parabola a Londra, appeso al Ponte dei Frati neri. E la coda della sua Mercedes 500 Sl, transita dentro l’avventura dell’altro campione della finanzia andreottiana, Michele Sindona, patron della Banca Privata, oltre che titolare dei flussi del denaro mafioso che navigavano attraverso lo Ior fino alle isole Cayman, Barbados, Antigua per ritornare indietro immacolati.
Avventura che costò la vita a Giorgio Ambrosoli che per conto del tribunale di Milano ricostruiva la segreta contabilità di quel gigantesco scandalo, ucciso da un killer venuto apposta dall’America, ingaggiato da Sindona. A sua volta liquidato nel carcere di Voghera, da un caffè avvelenato, altro dettaglio offerto dell’identica cattiva provvidenza.
E pensare che lo Ior era nato a fin di bene. Voluto da Pio XII nel cupo anno 1942, mentre il tallone di ferro del Terzo Reich ancora si estendeva fino a Stalingrado. Diventa operativo a fine guerra, quando il primo presidente, il laico Bernardino Nogara, trasforma le piccole monete della fede raccolte dalle migliaia di cattedrali e parrocchie d’ogni latitudine, in grandi investimenti immobiliari del Vaticano, un migliaio di palazzi a Roma, un milione nel mondo.
La minuscola Città del Vaticano, 0,44 chilometri quadrati, 900 abitanti, moltiplica il suo potere, protetta dai riverberi millenari della croce, più prosaicamente dalla politica al di qua del Tevere che in base ai Patti lateranensi le concede tutti gli onori dello Stato estero: 180 ambasciate accreditate, una poltrona in tutte le principali istituzioni transnazionali, a cominciare dall’Onu. Nessun onere. Lo Ior viaggia dentro il medesimo privilegio. E sa come sfruttarlo, rendendosi impermeabile a tutte indagini, a tutte le rogatorie.
Quando Giovani Paolo II decide di rimuovere il suo amico Marcinkus dal suo stremato vascello, alla vigilia degli Anni Novanta, gli scandali non finiscono. Tocca ai nuovi rampanti affacciarsi nel suo unico salone, protetto da nove metri di mura esterne, con un unico sportello e un unico bancomat che offre i suoi servizi anche in latino. Entrano in scena i rinnovati eroi dell’era berlusconiana, la cricca dei costruttori romani ingaggiati dal re della Protezione civile Guido Bertolaso ai tempi del G8 alla Maddalena, bruciati 400 milioni di euro, e poi a L’Aquila, passerella planetaria sulle macerie e i morti. Imprenditori come Diego Anemone, quello del Salaria Sport Village, e Angelo Balducci, gentiluomo di sua santità, tutti titolari di conti allo Ior, proprio come Andreotti ai tempi suoi, o l’incredibile Luciano Moggi, estimatore ricambiato del cardinal Ruini.
Poi tocca ai Giampiero Fiorani, presidente della Popolare di Lodi che confesserà i versamenti in nero nelle casse vaticane. Siamo ai tempi dei “furbetti del quartierino”, a cui seguono quelli dei Vatileaks, rivelazoni sulla gestione e il riciclaggio dei soldi, coinvolto nelle indagini il cardinale Tarcisio Bertone, quello dell’attico da 750 metri, con traffico di documenti segreti, e un colpevole scovato a tempo di record, un tale Paolo Gabriele, niente meno che il maggiordomo, come nei gialli da due lire. Il quale non chiude il danno, ma lo spalanca, fino alle impensabili dimissioni di Benedetto XVI: “Gli eventi hanno portato tristezza nel mio cuore”.
Così che quando papa Francesco si affaccia per la prima volta dai sacri palazzi, 17 marzo 2013, augurando “buon pranzo!”, sta parlando a tutti, tranne che agli gnomi dello Ior. Da allora vara una riforma all’anno dell’Istituto, liquida i presidenti, cambia i consigli di amministrazione, ma neanche l’elogio della povertà, né la santa Amazzonia fanno il miracolo. Probabile che fino a quando non verranno smantellate le mura, il sacro Torrione resterà la prigione che era nel Quattrocento, ma con un unico prigioniero, il Vaticano.

giovedì 5 settembre 2013

Ior, nell’archivio di Gotti Tedeschi trattative segrete tra Vaticano e Pdl.

Vaticano


Da Alfano a Tremonti, così si mettevano d'accordo sulle leggi. Agli atti delle procure scambi su leggi, Ici Chiesa, nomine Rai e San Raffaele fra i massimi rappresentanti di Santa Sede e Cei negli anni di Ratzinger e i vertici del centrodestra durante il governo Berlusconi e Monti.

Trattative segrete tra Vaticano e Pdl nell’archivio segreto dell’ex presidente dello Ior Ettore Gotti Tedeschi. Lo dimostrano migliaia di email, lettere e raccomandazioni fra i massimi rappresentanti di Santa Sede e Cei negli anni del Pontificato Ratzinger e i vertici del Pdl durante i governi Berlusconi e Monti. Un archivio agli atti di tre Procure: Napoli, Roma e Busto Arsizio che indagano sulla banca del Vaticano e il suo ex numero uno, licenziato dal Cardinal Bertone poco prima dell’inizio di Vatileaks.
Nelle 40mila pagine di corrispondenza, riportate da diversi quotidiani italiani, si va dalle lettere dell’ex sottosegretario Alfredo Mantovano, che a monsignor Angelo Bagnasco chiedeva suggerimenti per la stesura della legge sul testamento biologico, alle contrattazioni con la Cei, sollecitate dall’allora ministro Giulio Tremonti, per risolvere il problema dell’Ici. E ancora le lettere di raccomandazione, come quella per la nomina di Lorenza Lei a dg della Rai. Sul testamento biologico il 6 febbraio 2011 Alfredo Mantovano scrive a Gotti: “Caro Ettore, perdonami, ma sulla questione del testamento biologico vi è necessità che dalla Cei vi sia qualche segnale”, chiedendo una “valutazione” sulla lettera scritta a Bagnasco.
In merito all’Ici, il 30 settembre 2011 Gotti invia al cardinale Bertone un documento “riservato e confidenziale di sintesi del problema Ici” e specifica che la memoria “mi è stata suggerita riservatamente dal ministro Tremonti”. Sottolinea il rischio che la Comunità europea, dopo aver avviato “una procedura contro lo Stato italiano per aiuti di Stato non accettabili alla Chiesa Cattolica”, potrebbe imporre “il recupero delle imposte non pagate dal 2005”. E suggerisce “tre strade percorribili: abolire le agevolazioni Ici (Tremonti non lo farà mai); difendere la normativa passata (strada non percorribile); modificare la vecchia norma. Il tempo disponibile per interloquire – prosegue – è molto limitato. Il responsabile Cei che finora si è occupato della procedura è monsignor Rivella. Ci viene suggerito di incoraggiarlo ad accelerare un tavolo di discussione conclusiva dopo aver chiarito la volontà dei vertici della Santa Sede”.
Sul fronte delle raccomandazioni, l’11 marzo 2011 Gotti scrive a Bertone e suggerisce di “interloquire con la Lega”, che “vuole contare in Rai”, per sostenere la candidatura di Lorenza Lei a dg. “Risulta che la dottoressa Lei avrebbe in un paio di occasioni sussurrato che il cardinal Bertone ha ricevuto assicurazioni da Berlusconi sulla sua nomina. Queste dichiarazioni hanno però provocato una certa opposizione interna ed esterna a detta designazione Oltretevere”. Quanto al San Raffaele, poco prima del terremoto giudiziario Gotti scrive a padre Georg: “Il professore Giovanni Maria Flick, in qualità di consigliere di amministrazione della Fondazione San Raffaele, da tempo esprime disagio verso la gestione dell’attuale processo. Questo disagio lo ha anche più volte esternato senza esito”. Padre Georg risponde subito, ma l’appuntamento viene rinviato.

venerdì 4 gennaio 2013

Antiriciclaggio, stop al bancomat e il Vaticano cambia gli assegni in Germania. - Marco Lillo



Bankitalia nega il permesso di operare con Deutsche Bank e non conferma Giovanni Castaldi alla guida dell'Unità di informazione finanziaria, l'organismo contro il lavaggio di denaro sporco che a Strasburgo non aveva preso posizione sull'iscrizione dello Stato pontificio nella lista dei Paesi canaglia.

La banca del Vaticano è ormai all’angolo. Dopo aver perso la possibilità di negoziare gli assegni in Italia, dopo la chiusura dell’unico conto operativo alla Jp Morgan di Milano, dal primo gennaio non può nemmeno incassare i pagamenti elettronici tramite Pos all’interno delle mura leonine. Alla farmacia e ai musei accettano solo il bancomat dello Ior, quello che si annuncia con la scritta in latino “Inserito scidulam”, mostrata in un servizio di Report. Altro che “problema tecnico” come ieri minimizzava la Sala Stampa della Santa Sede. Lo stop alle carte di credito e ai bancomat per pagare i farmaci e i biglietti è stato imposto dalla Banca d’Italia in conseguenza di un provvedimento che risale al 6 dicembre scorso: la negazione dell’autorizzazione a Deutsche Bank Italia del permesso ad operare con il Pos in Vaticano.
La motivazione è chiara: il Vaticano continua ad applicare una legislazione bancaria a maglie larghe che non prevede un sistema di vigilanza degno dei parametri internazionali degli organismi antiriciclaggio. Il bando della moneta elettronica italiana è solo l’ultimo di una serie di provvedimenti che stanno restringendo sempre più l’operatività del Vaticano e dell’Istituto per le Opere di Religione. Ormai da tempo le banche italiane, a causa del pressing di Bankitalia, rifiutano di negoziare gli assegni bancari dello Ior. Il Vaticano è costretto così a spedirli fisicamente in Germania dove le autorità tedesche consentono alla casa madre della Deutsche Bank quello che non sarebbe permesso alla sua filiale di Roma. Ora tocca al Pos. La vigilanza della Banca d’Italia già nel 2010 aveva contestato a Deutsche Bank Italia di permettere a uno Stato extracomunitario, quale il Vaticano, di usare i terminali installati nelle mura leonine senza l’autorizzazione prevista dal Testo Unico Bancario. A quel punto Deutsche Bank aveva presentato un’istanza di autorizzazione che somigliava a un condono. Ma a dicembre invece è arrivato il no della vigilanza di Bankitalia.
La banca cara al Papa tedesco e al suo amico, oggi consigliere forte dello Ior e in passato amministratore di Deutsche Bank, Ronaldo Herman Schmitz, ha dovuto cessare le attività in Vaticano dal 31 dicembre. Ormai sono davvero poche le strade del Signore per far girare la vil pecunia. Una via per fare circolare i contanti fuori dalla Città del Vaticano è quella dei conti delle congregazioni, degli istituti e degli enti che dispongono di rapporti bancari in Italia e all’estero. I soldi partono mediante bonifico dal conto italiano a quello tedesco di uno di questi enti e poi – sempre con bonifico – tornano al conto Ior di Deutsche Bank Italia. Talvolta i movimenti sono effettuati con gli assegni circolari intestati a terzi su disposizione dello Ior da una delle poche banche che ancora permettono questa operazione, come la Banca del Fucino.
Insomma sono lontani i tempi in cui lo Ior faceva girare decine di milioni sui conti italiani senza comunicare a nessuno il reale intestatario dei fondi. Il braccio di ferro con l’Autorità di vigilanza bancaria e la magistratura italiana è in corso da quasi tre anni. A settembre del 2010 la Procura di Roma ha sequestrato 23 milioni di euro sul conto Ior del Credito Artigiano contestando la violazione degli obblighi di comunicazione in materia di antiriciclaggio. I due schieramenti che si combattono da allora sono divisi dal fronte della trasparenza ma non rispecchiano i confini tra i due Stati. I pm romani Nello Rossi e Stefano Fava dal 2010 indagano l’allora presidente Ettore Gotti Tedeschi, e il direttore generale Paolo Cipriani. Dopo l’interrogatorio dai pm, i due manager Ior però scelgono strade diverse: Gotti si spende, con l’appoggio del cardinale Attilio Nicora, per convincere il Papa a intraprendere la strada della trasparenza.
Il 30 dicembre del 2010 con la legge 127, Benedetto XVI emana tramite motu proprio le disposizioni per avvicinare il Vaticano alle normative internazionali e istituisce l’Autorità antiriciclaggio interna, l’AIF, guidata da Attilio Nicora. L’AIF dovrebbe dialogare con l’omologo ufficio italiano, l’UIF, diretto dall’ex dirigente di Banca d’Italia, Giovanni Castaldi. Per qualche mese le cose sembrano funzionare. La procura revoca il sequestro sui 23 milioni ma presto arrivano le prime impuntature. Il Segretario di Stato Tarcisio Bertone, consigliato dall’avvocato Michele Briamonte, partner dello studio Grande Stevens, impone all’AIF e allo Ior di non comunicare nulla sui movimenti precedenti all’aprile 2011, data di entrata in vigore della legge. A febbraio del 2012 arriva la retromarcia: una nuova legge revoca i poteri all’AIF e rimette il pallino nelle mani della Segreteria di Stato. Il Cardinale Nicora è sconfitto e poco dopo, il 24 maggio scorso, salta anche il presidente dello Ior Ettore Gotti Tedeschi.
A luglio l’organismo antiriciclaggio Moneyval dovrebbe decidere se mettere il Vaticano nella lista nera degli Stati canaglia. I pronostici sono negativi. Teoricamente gli ispettori di Moneyval prima di decidere dovrebbero ascoltare la posizione della delegazione dell’UIF della Banca d’Italia. Invece l’UIf non prende la parola per controbattere alla versione della delegazione spedita a Strasburgodal Segretario di Stato Tarcisio Bertone. Il Ministro dell’economia Vittorio Grilli, notoriamente molto vicino al Vaticano, chiede ai rappresentanti UIF di non prendere la parola. Il direttore dell’organismo antiriciclaggio, Giovanni Castaldi, ritira la delegazione dell’UIF e il Vaticano ottiene una mezza bocciatura che però, date le condizioni iniziali, suona come una promozione. E così si arriva all’epilogo del 2013: nel giorno in cui i bancomat del Vaticano si fermano per mancato rispetto delle regole di Bankitalia, il direttore dell’UIF, Giovanni Castaldi, lascia il suo incarico. Per mano di Bankitalia. Il Governatore Ignazio Visco e il direttorio dell’istituto non lo hanno confermato al termine del suo mandato quinquennale. Amen.