Visualizzazione post con etichetta Vittorio Grilli.. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Vittorio Grilli.. Mostra tutti i post

venerdì 4 gennaio 2013

Antiriciclaggio, stop al bancomat e il Vaticano cambia gli assegni in Germania. - Marco Lillo



Bankitalia nega il permesso di operare con Deutsche Bank e non conferma Giovanni Castaldi alla guida dell'Unità di informazione finanziaria, l'organismo contro il lavaggio di denaro sporco che a Strasburgo non aveva preso posizione sull'iscrizione dello Stato pontificio nella lista dei Paesi canaglia.

La banca del Vaticano è ormai all’angolo. Dopo aver perso la possibilità di negoziare gli assegni in Italia, dopo la chiusura dell’unico conto operativo alla Jp Morgan di Milano, dal primo gennaio non può nemmeno incassare i pagamenti elettronici tramite Pos all’interno delle mura leonine. Alla farmacia e ai musei accettano solo il bancomat dello Ior, quello che si annuncia con la scritta in latino “Inserito scidulam”, mostrata in un servizio di Report. Altro che “problema tecnico” come ieri minimizzava la Sala Stampa della Santa Sede. Lo stop alle carte di credito e ai bancomat per pagare i farmaci e i biglietti è stato imposto dalla Banca d’Italia in conseguenza di un provvedimento che risale al 6 dicembre scorso: la negazione dell’autorizzazione a Deutsche Bank Italia del permesso ad operare con il Pos in Vaticano.
La motivazione è chiara: il Vaticano continua ad applicare una legislazione bancaria a maglie larghe che non prevede un sistema di vigilanza degno dei parametri internazionali degli organismi antiriciclaggio. Il bando della moneta elettronica italiana è solo l’ultimo di una serie di provvedimenti che stanno restringendo sempre più l’operatività del Vaticano e dell’Istituto per le Opere di Religione. Ormai da tempo le banche italiane, a causa del pressing di Bankitalia, rifiutano di negoziare gli assegni bancari dello Ior. Il Vaticano è costretto così a spedirli fisicamente in Germania dove le autorità tedesche consentono alla casa madre della Deutsche Bank quello che non sarebbe permesso alla sua filiale di Roma. Ora tocca al Pos. La vigilanza della Banca d’Italia già nel 2010 aveva contestato a Deutsche Bank Italia di permettere a uno Stato extracomunitario, quale il Vaticano, di usare i terminali installati nelle mura leonine senza l’autorizzazione prevista dal Testo Unico Bancario. A quel punto Deutsche Bank aveva presentato un’istanza di autorizzazione che somigliava a un condono. Ma a dicembre invece è arrivato il no della vigilanza di Bankitalia.
La banca cara al Papa tedesco e al suo amico, oggi consigliere forte dello Ior e in passato amministratore di Deutsche Bank, Ronaldo Herman Schmitz, ha dovuto cessare le attività in Vaticano dal 31 dicembre. Ormai sono davvero poche le strade del Signore per far girare la vil pecunia. Una via per fare circolare i contanti fuori dalla Città del Vaticano è quella dei conti delle congregazioni, degli istituti e degli enti che dispongono di rapporti bancari in Italia e all’estero. I soldi partono mediante bonifico dal conto italiano a quello tedesco di uno di questi enti e poi – sempre con bonifico – tornano al conto Ior di Deutsche Bank Italia. Talvolta i movimenti sono effettuati con gli assegni circolari intestati a terzi su disposizione dello Ior da una delle poche banche che ancora permettono questa operazione, come la Banca del Fucino.
Insomma sono lontani i tempi in cui lo Ior faceva girare decine di milioni sui conti italiani senza comunicare a nessuno il reale intestatario dei fondi. Il braccio di ferro con l’Autorità di vigilanza bancaria e la magistratura italiana è in corso da quasi tre anni. A settembre del 2010 la Procura di Roma ha sequestrato 23 milioni di euro sul conto Ior del Credito Artigiano contestando la violazione degli obblighi di comunicazione in materia di antiriciclaggio. I due schieramenti che si combattono da allora sono divisi dal fronte della trasparenza ma non rispecchiano i confini tra i due Stati. I pm romani Nello Rossi e Stefano Fava dal 2010 indagano l’allora presidente Ettore Gotti Tedeschi, e il direttore generale Paolo Cipriani. Dopo l’interrogatorio dai pm, i due manager Ior però scelgono strade diverse: Gotti si spende, con l’appoggio del cardinale Attilio Nicora, per convincere il Papa a intraprendere la strada della trasparenza.
Il 30 dicembre del 2010 con la legge 127, Benedetto XVI emana tramite motu proprio le disposizioni per avvicinare il Vaticano alle normative internazionali e istituisce l’Autorità antiriciclaggio interna, l’AIF, guidata da Attilio Nicora. L’AIF dovrebbe dialogare con l’omologo ufficio italiano, l’UIF, diretto dall’ex dirigente di Banca d’Italia, Giovanni Castaldi. Per qualche mese le cose sembrano funzionare. La procura revoca il sequestro sui 23 milioni ma presto arrivano le prime impuntature. Il Segretario di Stato Tarcisio Bertone, consigliato dall’avvocato Michele Briamonte, partner dello studio Grande Stevens, impone all’AIF e allo Ior di non comunicare nulla sui movimenti precedenti all’aprile 2011, data di entrata in vigore della legge. A febbraio del 2012 arriva la retromarcia: una nuova legge revoca i poteri all’AIF e rimette il pallino nelle mani della Segreteria di Stato. Il Cardinale Nicora è sconfitto e poco dopo, il 24 maggio scorso, salta anche il presidente dello Ior Ettore Gotti Tedeschi.
A luglio l’organismo antiriciclaggio Moneyval dovrebbe decidere se mettere il Vaticano nella lista nera degli Stati canaglia. I pronostici sono negativi. Teoricamente gli ispettori di Moneyval prima di decidere dovrebbero ascoltare la posizione della delegazione dell’UIF della Banca d’Italia. Invece l’UIf non prende la parola per controbattere alla versione della delegazione spedita a Strasburgodal Segretario di Stato Tarcisio Bertone. Il Ministro dell’economia Vittorio Grilli, notoriamente molto vicino al Vaticano, chiede ai rappresentanti UIF di non prendere la parola. Il direttore dell’organismo antiriciclaggio, Giovanni Castaldi, ritira la delegazione dell’UIF e il Vaticano ottiene una mezza bocciatura che però, date le condizioni iniziali, suona come una promozione. E così si arriva all’epilogo del 2013: nel giorno in cui i bancomat del Vaticano si fermano per mancato rispetto delle regole di Bankitalia, il direttore dell’UIF, Giovanni Castaldi, lascia il suo incarico. Per mano di Bankitalia. Il Governatore Ignazio Visco e il direttorio dell’istituto non lo hanno confermato al termine del suo mandato quinquennale. Amen. 

venerdì 21 dicembre 2012

Cinque per mille, mancano all’appello 80 milioni di euro donati dai contribuenti.


Cinque per mille, mancano all’appello 80 milioni di euro donati dai contribuenti


Il Forum del Terzo Settore: "Risposte incoerenti e ambigue dal ministro Grilli. Lo Stato non ha alcun diritto o potere di trattenere o decurtare gli importi incassati, essendo invece obbligato a trasferirli interamente ai soggetti indicati dal contribuente".

Sono 463 i milioni di euro che i contribuenti hanno assegnato al 5 per mille per l’anno 2010, ma sono solamente 383 quelli che sono stati ripartiti alle associazioni. Mancano quindi all’appello 80 milioni. E’ quanto emerge dalla risposta che il ministro dell’Economia, Vittorio Grilli, ha inoltrato al Forum del Terzo Settore in seguito alle ripetute richieste di chiarimenti circa l’effettivo ammontare delle erogazioni del 5 per mille del 2010 e delle modalità con cui questi fondi verranno distribuiti. Lo ha reso lo stesso Forum in una nota.
Nel maggio scorso, ricorda il Forum, era stato lanciato l’allarme da alcuni organi di stampa sul fatto che dal totale della somma complessivamente raccolta in base alle scelte dei contribuenti, vi era una riduzione di circa il 17% nella erogazione a favore dei soggetti beneficiari. Il Forum aveva allora chiesto spiegazioni, che sono arrivate ora. La documentazione allegata alla risposta del ministro Grilli, che riporta un carteggio tra la Ragioneria di Stato e l’Agenzia delle Entrate, secondo il Forum “è incoerente e ambigua”.
Se infatti da un lato l’Agenzia delle Entrate conferma la somma dei 463 milioni di euro che i contribuenti hanno destinato al 5 per mille, dall’altro ribadisce che l’effettiva disponibilità è di soli 383 milioni. D’altro canto la nota del Dipartimento della Ragioneria Generale dello Stato segnala  invece una disponibilità totale di risorse per 409,3 milioni di euro. “Oltre a un ritardo inaccettabile nei tempi di pagamento, si aggiungono risposte confuse che destano allarme e preoccupazione tra i soggetti che hanno ricevuto o sono in attesa di ricevere l’erogazione del 5 per mille. Sappiamo bene quanto questo strumento sia di vitale importanza per il mondo degli enti non profit” si legge nella nota.
Il Forum sottolinea che lo Stato non ha alcun diritto o potere di trattenere o decurtare gli importi incassati – come ribadito anche dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 202 del 2007 – essendo invece obbligato a trasferirli interamente ai soggetti indicati dal contribuente. “Se così fosse ci troveremmo di fronte a una violazione gravissima delle leggi e del patto di fiducia tra Stato e cittadini”, sostiene il Forum, che chiede “risposte urgenti e definitive in merito alla reale distribuzione delle risorse del 5 per mille. Porteremo avanti il nostro impegno perché uno strumento di sussidiarietà fiscale, così importante per le associazioni venga applicato come previsto dalla legge”.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/12/21/cinque-per-mille-mancano-allappello-80-milioni-di-euro-donati-dai-contribuenti/452902/

E' inaccettabile che il Governo calpesti in continuazione quanto sancito dalla Costituzione!

giovedì 8 novembre 2012

Tutti i misteri dei debiti di Lisa Lowenstein, ex moglie del ministro Vittorio Grilli. - Giorgio Meletti


Vittorio Grilli


Nel 1998 la signora dell'allora alto dirigente del Tesoro fonda una società che viene generosamente finanziata dalle banche, ma che dopo qualche anno accumula debiti per 2,3 milioni di euro.Poi fa perdere le sue tracce, ma gli istituti di credito non si preoccupano di recuperare il credito. La storia è riemersa per un'intercettazione del maggio scorso tra Gotti Tedeschi e Giuseppe Orsi.

Che fine hanno fatto i debiti di Lisa Lowenstein, ex moglie americana di Vittorio Grilli? E perché le maggiori banche italiane erano così generose con lei? Attorno a questo mistero girano le indagini del procuratore della Repubblica di Busto Arsizio, Maurizio Fusco. Tutto parte dall’intercettazione ambientale del 23 maggio scorso tra il numero uno Finmeccanica Giuseppe Orsi e l’ex presidente dello Ior Ettore Gotti Tedeschi. Dice Orsi: “Grilli aveva una moglie americana… gli ha lasciato qualche casino in giro, di buchi”.
Sia Orsi, sia Grilli, sia la stessa Lowenstein hanno ripetutamente smentito che il gruppo Finmeccanica abbia dato alla Lowenstein consulenze per aiutarla a uscire dai suoi “casini”, cioè debiti. Fusco però ha già interrogato l’amministratore delegato di Mediobanca, Alberto Nagel, che Orsi indica nell’intercettazione come fonte delle sue informazioni. E non è detto che abbiano parlato solo di consulenze. La dimensione dei cosiddetti “casini” apparirebbe difficilmente affrontabile con qualche consulenza, sia pure ricca. La conversazione tra Orsi e Gotti Tedeschi fa chiaramente riferimento a un problema imbarazzante per il ministro, e riecheggia voci che da mesi si rincorrono insistenti.
Nel 1998 l’allora moglie dell’alto dirigente del Tesoro fonda una società chiamata Made in Museum, per produrre e vendere ai turisti oggetti ispirati alle opere d’arte. Colpisce che un’attività appena agli inizi venga generosamente finanziata da diverse banche di primaria importanza. Nel 1998, primo anno di attività, la società chiude i conti con appena 5mila euro di ricavi e ben 71mila euro di perdite, ma già ottiene 266mila euro di finanziamenti: 40mila euro dalla Bnl, 50mila euro dalla sua controllata Efibanca, 100mila euro da Unicredit. Nel 1999 i ricavi della società salgono a 119mila euro e le perdite a 129mila euro, anche perché i conti sono gravati da ben 37mila euro di oneri finanziari: un terzo del fatturato se ne va in interessi.
Ma le banche credono nel talento imprenditoriale della moglie di Grilli: mentre le perdite salgono, come abbiamo visto, da 71mila a 129mila euro, il credito bancario balza da 266mila a 723mila euro. E’ ancora Bnl a fare la parte del leone: il suo prestito alla Made in Museum balza a 174mila euro, mentre la controllata Efibanca passa da 50mila a 300mila euro di esposizione. Aprono i cordoni della borsa anche Banco di Sicilia e Banca Nazionale dell’Agricoltura. Così ben foraggiata dalle banche, la società cresce e investe. Made in Museum apre un negozio dentro il duty free di Fiumicino e un altro all’aeroporto di Pisa.
Ma con l’11 settembre 2001 arriva la crisi del turismo e crollano gli affari. La signora Lowenstein chiude il bilancio 2002 con numeri da incubo: 644mila euro di fatturato e perdite per668 mila euro, un debito di 2,3 milioni di euro (quattro volte il fatturato), un patrimonio netto negativo per 192mila euro. Nel bilancio 2002 scompare dalla nota integrativa la specifica delle banche esposte con la società. Gli ultimi dati noti, nel 2001, vedono in testa alla classifica la Bnl con 360mila euro. Ma c’è anche l’Antonveneta, che dopo aver incorporato la Banca Nazionale dell’Agricoltura aumenta la sua generosità verso la signora Lowenstein, e le presta 270mila euro. Arriva anche la Banca Commerciale con un finanziamento di oltre 60mila euro. L’elenco delle banche fiduciose si completa con le solite Efibanca, Unicredit e Banco di Sicilia.
Dopo l’anno orribile 2002 la Made in Museum fa perdere le sue tracce e non deposita più i bilanci. Nei dieci anni trascorsi la società dà solo una volta notizia di sè, il 23 febbraio 2006, quando davanti al notaio romano Paolo Pistilli Lisa Lowenstein e suo fratello Arieh Daniel cedono tutte le azioni della loro srl ai signori Pier Paolo Montalto di Frascati (Roma) e Rolando Vassallo di Pomezia (Roma), per un prezzo assai contenuto: 1600 euro in tutto.
A tutt’oggi, però, la società ha ancora come amministratore unico la signora Lowenstein. Non si hanno tracce di liquidazioni, fallimenti o altre procedure di chiusura. Non si sa se qualcuno abbia pagato i 2,3 milioni di debiti, né se le banche abbiano fatto qualcosa per recuperare il denaro così abbondantemente prestato. Le voci corrono, e creano qualche imbarazzo nel governo. Nessuno sa come la coppia Grilli-Lowenstein, prima della rottura, abbia risolto il problema di quel debito. E nessuno riesce a capire come mai il ministro dell’Economia dichiari di possedere solo un appartamento gravato da mutuo e una polizza vita del valore di 134mila euro. Possibile che dopo anni da direttore generale del Tesoro con stipendio attorno ai 500 mila euro l’anno non sia riuscito a mettere da parte neppure un piccolo Bot da mille euro? Il 6 ottobre scorso, intervistata da Repubblica, la Lowenstein ha negato di aver mai preso consulenze da Finmeccanica, ha specificato di non parlare con l’ex marito dal 2008, ma ha aggiunto una frase sibillina: “Questa è una storia molto, molto più complicata di quello che crede”.