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giovedì 3 ottobre 2019

Da Allianz a Deutsche Bank, i big tedeschi attaccano la Bce ultra-accomodante di Draghi. - Isabella Bufacchi

Oliver Bate, amministratore delegato di Allianz (Afp)

Monta la rivolta a cielo aperto dei falchi contro la Bce, capitanata dai tedeschi: prima il presidente della Bundesbank Jens Weidmann e il ceo di Deutsche bank Christian Sewing, poi il membro del Board Sabine Lautenschläger, da ultimo durissimo il ceo del gruppo assicurativo Allianz, Oliver Bate. Scontenti sul QE2 i governatori di Austria, Olanda, Estonia, a sorpresa la Francia prende le distanze.

L’attacco rivolto contro il presidente della Bce Mario Draghi dal ceo del gruppo assicurativo tedesco Allianz Oliver Bate in un'intervista al Financial Times è il più duro di una lunga serie, e l’ultimo in ordine di tempo.

Gli scettici e i critici della politica monetaria ultra-accomodante della Banca centrale, soprattutto dopo l’ultimo pacchetto di misure di stimolo annunciate il 12 settembre, stanno alzando i toni. I tassi negativi riducono i margini delle banche e pesano sulla redditività; il crollo sotto zero dei rendimenti dei bond mette alle corde il mondo del risparmio gestito, i prodotti vita delle assicurazioni, i fondi pensione.
E non basta: anche il modo in cui Mario Draghi ha tenuto conto delle posizioni dei falchi all’interno del Consiglio direttivo, facendoli sentire come fossero relagati in un angolo, ha alimentato nel tempo il malcontento di alcuni, che ora sta affiorando, tanto più si avvicina il passaggio di testimone tra Draghi e Christine Lagarde alla presidenza della banca.
Il presidente della Bundebank Jens Weidmann (da quando è entrato nel Consiglio direttivo della Bce ha esternato le sue posizioni contrarie come per esempio sulle OMT del whatever-it-takes ), ha iniziato la polemica nei confronti delle posizioni delle colombe con un’intervista alla F.A.Z., sollevando in anticipo i dubbi sulla necessità di un forte nuovo pacchetto di stimoli alla vigilia della riunione del Consiglio direttivo del 12 settembre. Mario Draghi aveva pre-annunciato la mossa a Sintra. Agli inizi di settembre, anche il ceo di Deutsche bank Christian Sewing si spinge a sostenere che «nel lungo periodo, i bassi tassi di interesse rovinano il sistema finanziario».
Ferrari, premi record: ai dipendenti fino a 13mila euro
Il pacchetto Draghi è la goccia che fa traboccare il vaso
Il Consiglio direttivo tuttavia, con una decisione collegiale, decide il 12 settembre di annunciare il pacchetto Draghi, come proposto dal presidente: taglio dei tassi delle deposit facilities da -0,40% a -0,50%; avvio del QE2 e riapertura del programma di acquisti netti di attività (dal primo novembre al ritmo di 20 miliardi al mese senza scadenza prestabilita), condizioni più favorevoli per le banche dei prestiti a lungo termine mirati all’economia TLTRO III, il tiering per mitigare gli effetti collaterali dei tassi negativi, una forward guidance più ancorata all’andamento dell’inflazione sul medio termine. Il Consiglio è unanime sulla necessità di fare qualcosa: ma sul QE2, che non è andato al voto, sono contrari in sette: i governatori delle Banche centrali di Germania, Austria, Olanda, Francia, Estonia, e due membri del Board la tedesca Sabine Lautenschläger e il francese Benoît Cœuré.
In una dura intervista a Bild, subito dopo la decisione del Consiglio, Jens Weidmann bolla il pacchetto «eccessivamente ampio», sebbene il giornale tedesco abbia criticato aspramente il taglio dei tassi con un ritratto del presidente della Bce come «Conte Draghila».
In un insolito comunicato pubblicato sul sito della banca centrale olandese il giorno dopo il varo del pacchetto Draghi, il governatore Klaas Knot scrive che “questo ampio pacchetto di misure, in particolare il riavvio del Qe, e' sproporzionato rispetto alle attuali condizioni economiche e vi sono solide ragioni per dubitare della sua efficacia”.
A sorpresa, anche la Francia inizia a prendere le distanze da Draghi, in maniera eclatante. Si esprimono contro il QE2 Cœuré e il governatore della Banque de France Francois Villeroy de Galhau: in un discorso il 24 settembre alla Paris School of Economics, Villeroy critica la decisione della Bce di riavviare gli acquisti di bond, definanendola una mossa non necessaria in questo momento con i rendimenti e gli spread a lungo termine molto bassi.
Le critiche non si placano, anzi, montano.
Altra sorpresa: il membro del Comitato direttivo Sabine Lautenschläger, da tempo in disaccordo con Draghi, rassegna le dimissioni con due anni di anticipo: il 31 ottobre sarà il suo ultimo giorno nel Board.
E infine il ceo del gruppo assicurativo tedesco Allianz, Oliver Bate, in un'intervista al Financial Times, critica la politica monetaria della Banca centrale a guida Draghi. Non considera Draghi un banchiere centrale “indipendente” perchè stampa moneta quando non dovrebbe farlo, consentendo alla politica fiscale di stare a guardare. «Il motivo per cui non stiamo facendo riforme fiscali è perché stai rendendo facile per le persone spendere soldi che non hanno», ha sostenuto Bate, allargando la critica al nodo irrisolto dell’esposizione eccessiva al rischio sovrano da parte di molte banche e mettendo sul tavolo il rischio di una prossima crisi bancaria. Il dente avvelenato di Bate si può capire: il crollo dei rendimenti dei bond, asset a basso rischio che piacciono agli investitori istituzionali come le compagnie di assicurazione, sta mettendo sotto pressione la gestione dei prodotti vita con rendimento garantito al 2%-3%.
Mustier: trasferire i tassi negativi ai grandi clienti.
Sul tema è intervenuto anche il Ceo di Unicredit Jean Pierre Mustier, in qualità di presidente dell'Ebf, l'Abi delle banche europee. Per assicurare «la massima efficienza» alla politica monetaria della Bce, ha detto, «sarebbe estremamente importante che i tassi negativi non si fermassero nei bilanci bancari». «È importante che la Bce dica alle banche, “per favore passate i tassi negativi ai vostri clienti”, proteggendo naturalmente i piccoli clienti con depositi inferiori ai 100 mila euro».

sabato 23 giugno 2018

Spuntano carte e prove bollenti, crolla l’impero di Napolitano: TG e media di regime nascondono la verità agli italiani sullo spread. - Maurizio Blondet



(MB: Non ci posso credere. Ci sarebbe dunque un giudice a Milano?)
Alla sbarra i responsabili del crollo finanziario dell’Italia, per favorire il commissariamento del paese con la regia di Giorgio Napolitano? La prima banca tedesca, Deutsche Bank, con alcuni dei suoi ex top manager è indagata dalla Procura di Milano per la mega-speculazione in titoli di Stato italiani effettuata nel primo semestre del 2011. Operazione che contribuì a far volare lo spread dei rendimenti tra i Btp e i Bund tedeschi e a creare le condizioni per dimissioni del governo Berlusconi, a cui subentrò l’esecutivo di Mario Monti, con in tasca la ricetta “lacrime e sangue” per l’Italia, dalla legge Fornero sulle pensioni al pareggio di bilancio in Costituzione. Secondo l’“Espresso”, che ricostruisce la vicenda svelandone i dettagli, l’ipotesi di reato è la manipolazione del mercato, avvenuta attraverso operazioni finanziarie finite sotto la lente dei pm per un totale di circa 10 miliardi di  euro.
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Affari realizzati da Deutsche Bank dopo il crac della Grecia, quando la crisi del debito pubblico cominciava a minacciare altri paesi mediterranei, tra cui Italia e Spagna, scrive Marcello Zacché sul “Giornale”.
A onor del vero, scrive Zacché, l’indagine sul gruppo bancario di Francoforte è vecchia di due anni, avviata dalla Procura pugliese di Trani (già attivasi in altri procedimenti finanziari come per esempio quello contro le agenzie di rating). E nel settembre scorso è arrivato l’avviso di conclusione delle indagini, con i magistrati pugliesi pronti a chiedere il rinvio a giudizio di cinque banchieri che guidavano il gruppo nel 2011 (tra cui l’ex presidente Josef Ackermann e gli ex ad Anshuman Jail e Jurgen Fitschen) e della stessa Deutsche Bank. Poi però non se n’era saputo più nulla. Ora invece si apprende che l’indagine è stata trasferita a Milano dalla Corte di Cassazione, per motivi di competenza territoriale, su richiesta dei difensori della banca. «Come noto – ricorda il “Giornale” – la vicenda riguarda la forte riduzione negli investimenti in titoli di Stato italiani avvenuta nei primi sei mesi del 2011, quando Deutsche Bank smobilitò 7 dei circa 8 miliardi dei Btp che deteneva, comunicando tutto soltanto il 26 luglio». Una notizia bomba, tanto che il “Financial Times” titolò in prima pagina sulla «fuga degli investitori internazionali dalla terza economia dell’Eurozona».
Ora l’indagine che i pm milanesi hanno riaperto ricostruisce l’intera serie di operazioni decise dalla banca tedesca. E, secondo l’accusa, emergerebbe che già alla fine dello stesso mese di luglio del 2011, Deutsche Bank aveva ripreso a comprare Btp (per almeno due miliardi) senza annunciarlo, mentre altri 4,5 miliardi di titoli italiani erano posseduti da un’altra società tedesca acquisita nel 2010 dalla stessa mega-banca. Il 26 luglio, dunque, «Deutsche Bank comunicò le vendite avvenute entro il 30 giugno, ma non gli acquisiti successivi», avendo quindi «venduto prima del crollo dei prezzi, e ricomprato dopo». Una speculazione «che sembra aver fatto perno sulla crisi finanziaria italiana, causandone poi anche quella politica». 
Mario Monti, incaricato da Napolitano, ha così avuto modo di fare quello che i “mercati” (la Germania) chiedevano da tempo: demolire la domanda interna del paese, il cui Pil è crollato di colpo del 10% insieme alla produzione industriale, calata vertiginosamente del 25% aprendo la porta all’acquisto, a prezzi di saldo, di alcune tra le migliori firme del made in Italy. 

giovedì 6 ottobre 2016

Deutsche Bank accusata di collusione con Mps.

Deutsche Bank

Deutsche Bank accusata per collusione con Mps per aver nascosto le perdite dell’istituto italiano. L'istituto di credito tedesco nel 2013 avrebbe trasformato crediti in derivati.


Deutsche Bank, incriminata per collusione con Monte dei Paschi  per nascondere le perdite dell’istituto italiano, avrebbe occultato la transazione e decine di altre nei propri bilanci, secondo una verifica dell’istituto di vigilanza della Germania. E’ la ricostruzione fatta da Blomberg che ha potuto visionare una delle perizie.

I dirigenti di Deutsche Bank avrebbero trattato 103 operazioni simili, per un valore complessivo di 10,5 miliardi di euro (11,8 miliardi di dollari) per 30 clienti secondo la perizia, una copia della quale è stata vista da Bloomberg. L'istituto di credito tedesco avrebbe regolato la contabilizzazione di 37 di quei trade nel 2013, oltre a quello di Monte Paschi , trasformandoli da crediti, che erano stati tenuti fuori dai bilanci, in derivati.
L'uso diffuso di una transazione che è ora oggetto di un procedimento penale mette in evidenza l'appetito del creditore per la complessità in un momento in cui la banca stava espandendo il suo impero a reddito fisso. Mentre Deutsche Bank da allora ha tagliato le attività rischiose ed eliminato migliaia di posti di lavoro per rafforzare il capitale, enormi spese legali sono diventate una fonte di crescente preoccupazione per gli investitori, facendo crollare le azioni.
L'audit ha rilevato che, mentre Monte Paschi  è stato l'unico cliente che ha usato una transazione per fare un maquillage ai propri bilanci, Deutsche Bank non ha registrato correttamente operazioni simili con banche fatte dall’Italia all’Indonesia tra il 2008 e il 2010. Il rapporto ha anche detto che i vertici non hanno autorizzato correttamente l’operazione Monte Paschi , o rivisto adeguatamente la transazione dopo aver ricevuto un mandato di comparizione da parte della Federal Reserve Usa nel 2012.
Monte Paschi ha rivisto i conti nel 2013, dopo che queste transazioni sono venute alla luce, e ulteriormente rivisto i risultati nel 2015 su richiesta dell’autorità di vigilanza italiana. Deutsche Bank ha riaffermato che l’operazione non ha influenzato la sua redditività, e che la banca non ha rivisto gli utili prima del 2013, perché l'effetto complessivo non era significativo, ha sottolineato l'audit. Deutsche Bank alla fine di settembre del 2013 aveva un patrimonio di circa 1800 miliardi di euro.
"Deutsche Bank nel settembre 2013 ha riclassificato il modo in cui registrava sui libri contabili un certo numero di cosiddette operazioni pronti contro termine, riclassificazione che però non ha avuto alcun impatto sugli utili di Deutsche Bank", riportava la mail di Adrian Cox, portavoce della sede londinese della banca. "Il fatto che tali operazioni sono state trasformate in prestiti non comporta una connessione tra loro e con il caso particolare di Monte Paschi ."
Deutsche Bank e sei dirigenti, attuali ed ex, tra cui Michele Faissola (che ha curato i tassi globali a quel tempo) e Ivor Dunbar (ex co-responsabile del mercato dei capitali), sono stati incriminati da un tribunale di Milano il 1 ° ottobre 2008 per la transazione Monte Paschi  . Entrambi, insieme al co-ceo di Deutsche Bank Anshu Jain, hanno lasciato l'azienda.

Di recente la richiesta del Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti di 14 miliardi di dollari per risolvere un'indagine sulla vendita di titoli garantiti da mutui residenziali, che è stata respinta dalla banca, ha sollevato le domande tra alcuni investitori e clienti circa la capacità di Deutsche Bank di resistere ai costi legali in attesa del giudizio. Il ceo John Cryan ha inviato una nota al personale la scorsa settimana dicendo che la banca è più sicura che in qualsiasi momento negli ultimi due decenni.

“I mercati sono rimasti scossi dalla possibilità che altri incidenti del genere debbano ancora accadere”, ha spiegato un analista londinese di Kepler Cheuvreux ai clienti il 29 settembre. L'istituto di credito ha circa 29 miliardi di euro di asset cosiddetti di livello 3, che sono i più difficili da valutare: il loro valore di mercato di circa 16 miliardi di euro fa tremare i polsi.

La verifica è stata effettuata dalla società di revisione contabile Peters Schoenberger & Partner, ed è stata commissionata da BaFin, il regolatore finanziario mercati tedesco, nel gennaio 2014 per esaminare il ruolo di Deutsche Bank nell’operazione Monte Paschi  e come i manager avevano reagito alla successiva indagine interna. La banca italiana aveva utilizzato il credito per nascondere una perdita da trading in una precedente operazione condotta con Deutsche Bank, come riportato da Bloomberg nel 2013. La verifica si è conclusa nel dicembre 2014.
Secondo l’audit, “La gestione del rischio da parte di Deutsche Bank per quanto riguarda una complessa operazione di finanziamento strutturato come quella con Mps  era palesemente inadeguata e inefficace, dati i rischi reputazionali impliciti”.

Conosciuti internamente come pronti contro termine migliorati, i deal sono stati tenuti fuori bilancio da Deutsche Bank annullandoli attraverso passività separate create nelle transazioni, secondo i documenti esaminati da Bloomberg. Deutsche Bank ha venduto le garanzie dei prestiti che il mutuatario aveva fornito, come per esempio i titoli di Stato, creando un obbligo per la banca di restituire alla fine i bond. Nella contabilità originale il credito è stato compensato da tale obbligazione, facendola di fatto scomparire. Tutto ciò avrebbe dato al bilancio Deutsche Bank un aspetto più sano aumentando i coefficienti patrimoniali.
Secondo la perizia, l’operazione di maquillage ha permesso di non contabilizzare subito le perdite e di poter invece beneficiare della contabilità per competenza e quindi di contabilizzarle nel corso di un periodo di tempo più lungo.

La revisione ha detto che Fed controllo di accordo Monte Paschi  di Deutsche Bank alla fine del 2011 ha portato a un mandato di comparizione qualche mese più tardi. BaFin ha espresso preoccupazione per la Deutsche Bank di "cosmesi di bilancio" poco dopo.

sabato 1 ottobre 2016

Deutsche Bank, il primo istituto tedesco spolpato dagli illeciti e il rischio di un effetto domino sul sistema finanziario. - Muro Del Corno

Deutsche Bank, il primo istituto tedesco spolpato dagli illeciti e il rischio di un effetto domino sul sistema finanziario

La banca oggi vale in borsa 15 miliardi di euro contro i 30 di un anno fa e sono schizzati all'insù i Credit default swap con cui gli investitori si assicurano contro il suo fallimento. Le sue strette interconnessioni con il sistema bancario e assicurativo teutonico e con i big della finanza globale fanno pensare che se la situazione degenera interverrà il governo tedesco. Cosa che farebbe però scattare il bail in.

Si è conclusa l’ennesima e non ultima settimana di passione per Deutsche Bank. La prima banca tedesca ha visto le sue azioni muoversi sulle montagne russe, sprofondare sui minimi degli ultimi 24 anni e poi in parte risollevarsi. Un anno fa la banca valeva in borsa 30 miliardi di euro, oggi circa 15. Il prezzo dei suoi bond convertibili (i primi ad essere colpiti in caso di ristrutturazione) è precipitato mentre sono schizzati sopra i 500 punti, dai 90 di gennaio, i Credit default swap, titoli con cui gli investitori si assicurano contro il fallimento di una società o uno stato. Il segnale più preoccupante è stata però la decisione di dieci hedge fund di ritirare liquidità e ridurre la loro esposizione verso la banca tedesca.
Durante la settimana si sono rincorse dichiarazioni e ipotesi su un possibile aiuto pubblico alla banca. Su diversi organi di stampa tedeschi sono comparse ipotesi di questo tipo, il governo tedesco ha però smentito, così come i vertici della banca. Il numero uno della Bce Mario Draghi, in visita a Berlino, sollecitato più volte su una valutazione della situazione della banca non ha rilasciato dichiarazioni. L’annuncio di mercoledì della cessione della compagnia assicurativa britannica Abbey life per 1 miliardo di euro ha fornito un po’ di ossigeno alla banca. Ma si è trattato di una tregua effimera. All’origine della nuova bufera c’è l’annuncio del dipartimento di Giustizia statunitense di una possibile multa fino a 14 miliardi di dollari per comportamenti scorretti nella vendita di obbligazioni legate ai mutui subprime prima e durante la crisi del 2008. Come sempre accade in questi casi la sanzione sarà drasticamente ridimensionata: secondo indiscrezioni l’accordo dovrebbe collocarsi intorno ai 5,4 miliardi di dollari. Per vicende molto simili Goldman Sachs ha versato 5 miliardi, JP Morgan poco più di 3 miliardi. Tuttavia, anche in caso di accordo, la multa del dipartimento di giustizia a stelle e strisce prosciuga quasi completamente i 5,5 miliardi di euro accantonati da Deutsche Bank per far fronte a sanzioni e contenziosi nel 2016.
Non solo. La disputa con il tesoro Usa è solo l’ultima di una serie di vicende legate a comportamenti scorretti della banca, che sono sinora costate al colosso tedesco circa 20 miliardi di euro. E all’orizzonte si profilano già altre nubi nere . La banca sarebbe stata infatti parte attive in una serie di operazioni finanziarie che hanno consentito a società e miliardari russi di trasferire soldi all’estero aggirando le sanzioni contro Mosca per il conflitto in Ucraina. Una causa che secondo fonti della banca sarebbe molto difficile da quantificare nelle sue ripercussioni economiche.
Le conseguenze di ripetuti comportamenti illegali stanno di fatto spolpando le risorse di una banca che pur registrando ricavi in crescita oltre i 33 miliardi di euro si trova come molti istituti europei a fronteggiare un calo della redditività. Deutsche Bank deve anche gestire un’ingente quantità di titoli tossici ancora iscritti a bilancio. In particolare i derivati di livello 3, ossia quelli a cui si può affibbiare un prezzo solo ipotetico non essendo trattabili sui mercati e non essendoci strumenti simili a cui rapportarne il valore, ammontano a 30 miliardi di euro. Un valore però del tutto teorico e calcolato dalla stessa banca con modelli interni. Alla prova dei fatti i titoli potrebbero valere parecchio di meno. La banca dispone di un capitale di 62 miliardi di euro e il valore di borsa si è ormai ridotto ad appena lo 0,2% di questa cifra. Questo significa tra le altre cose che il mercato crede che questa dotazione finanziaria verrà probabilmente erosa in futuro da ulteriori perdite. Deutsche Bank ha inoltre un’elevata leva finanziaria, pari a quasi 1 a 30. Ossia ha molti investimenti in rapporto al capitale di cui dispone, che verrebbe quindi azzerato completamente anche in caso di perdite relativamente modeste. Circa due mesi fa l’istituto di ricerca tedesco Zew ha calcolato che per reggere in una situazione di generalizzata crisi finanziaria Deutsche Bank avrebbe bisogno di rafforzare il suo capitale per 19 miliardi euro rispetto ai valori attuali. Il gap più alto d’Europa insieme alle francesi Société Générale (13 miliardi) e Bnp paribas (10 miliardi).
Questi numeri dicono anche che il gruppo tedesco prende molti soldi a prestito con varie modalità. Una condizione che solleva un altro problema: le fortissime ed estese interconnessioni che la banca tedesca ha in essere con tutte le altre principali banche e istituzioni finanziarie del mondo che ne fanno uno dei soggetti che presenta il più elevato rischio sistemico al mondo. In altri termini è la banca la cui ipotetica bancarotta avrebbe le conseguenze più devastanti per il sistema finanziario mondiale,come ha sottolineato anche il Fondo monetario internazionalelo scorso giugno. Posta al centro del sistema finanziario tedesco, Deutsche Bank ha strette connessioni con i colossi assicurativi AllianzMunich ReHannover Re e con tutto il sistema bancario teutonico. Ma il problema va ben oltre i confini nazionali. Tutti i big della finanza sono più o meno strettamente connessi con la banca tedesca, a cominciare da HSBCBarclaysUbs, Credit Agricole, Bnp Paribas e Unicredit. Difficile quindi che qualcuno non si muova qualora la situazione degeneri. A Berlino i soldi per fronteggiare l’emergenza non mancano, ma un intervento pubblico farebbe scattare la nuova regolamentazione sui salvataggi bancari (bail in) coinvolgendo quindi anche azionisti,obbligazionisti e correntisti con più di 100mila euro sul conto. La buona notizia è solo che, a differenza ad esempio di Mps, i bond subordinati (i primi ad essere aggrediti in caso di salvataggio) sono collocati in prevalentemente presso investitori istituzionali.
L’emergenza Deutsche Bank ha posto un po’ in secondo piano quello che sta accadendo all’altra grande banca tedesca,Commerzbank, a sua volte alle prese con una complessa ristrutturazione che le permetta di ritrovare redditività ed utili. Ieri Commerzbank ha annunciato il taglio di quasi 10mila posti di lavoro e lo stop all’erogazione di dividendi. Il terzo trimestre dovrebbe infatti chiudersi con una perdita. La banca, che presenta un rischio sistemico decisamente più contenuto rispetto a Deustche Bank, non si è mai pienamente ripresa dalla crisi del 2008, superata solo grazie a un importante sostegno pubblico. Tra i fattori di preoccupazione c’è anche l’esposizione nei confronti del mondo del trasporto delle merci marittime, in grave difficoltà come ha dimostrato la recente bancarotta della sudcoreana Hanjin. Commerzbank ha chiuso questo business nel 2012, ma avrebbe ancora a bilancio prestiti verso il settore per circa 8 miliardi di euro.

venerdì 4 gennaio 2013

Antiriciclaggio, stop al bancomat e il Vaticano cambia gli assegni in Germania. - Marco Lillo



Bankitalia nega il permesso di operare con Deutsche Bank e non conferma Giovanni Castaldi alla guida dell'Unità di informazione finanziaria, l'organismo contro il lavaggio di denaro sporco che a Strasburgo non aveva preso posizione sull'iscrizione dello Stato pontificio nella lista dei Paesi canaglia.

La banca del Vaticano è ormai all’angolo. Dopo aver perso la possibilità di negoziare gli assegni in Italia, dopo la chiusura dell’unico conto operativo alla Jp Morgan di Milano, dal primo gennaio non può nemmeno incassare i pagamenti elettronici tramite Pos all’interno delle mura leonine. Alla farmacia e ai musei accettano solo il bancomat dello Ior, quello che si annuncia con la scritta in latino “Inserito scidulam”, mostrata in un servizio di Report. Altro che “problema tecnico” come ieri minimizzava la Sala Stampa della Santa Sede. Lo stop alle carte di credito e ai bancomat per pagare i farmaci e i biglietti è stato imposto dalla Banca d’Italia in conseguenza di un provvedimento che risale al 6 dicembre scorso: la negazione dell’autorizzazione a Deutsche Bank Italia del permesso ad operare con il Pos in Vaticano.
La motivazione è chiara: il Vaticano continua ad applicare una legislazione bancaria a maglie larghe che non prevede un sistema di vigilanza degno dei parametri internazionali degli organismi antiriciclaggio. Il bando della moneta elettronica italiana è solo l’ultimo di una serie di provvedimenti che stanno restringendo sempre più l’operatività del Vaticano e dell’Istituto per le Opere di Religione. Ormai da tempo le banche italiane, a causa del pressing di Bankitalia, rifiutano di negoziare gli assegni bancari dello Ior. Il Vaticano è costretto così a spedirli fisicamente in Germania dove le autorità tedesche consentono alla casa madre della Deutsche Bank quello che non sarebbe permesso alla sua filiale di Roma. Ora tocca al Pos. La vigilanza della Banca d’Italia già nel 2010 aveva contestato a Deutsche Bank Italia di permettere a uno Stato extracomunitario, quale il Vaticano, di usare i terminali installati nelle mura leonine senza l’autorizzazione prevista dal Testo Unico Bancario. A quel punto Deutsche Bank aveva presentato un’istanza di autorizzazione che somigliava a un condono. Ma a dicembre invece è arrivato il no della vigilanza di Bankitalia.
La banca cara al Papa tedesco e al suo amico, oggi consigliere forte dello Ior e in passato amministratore di Deutsche Bank, Ronaldo Herman Schmitz, ha dovuto cessare le attività in Vaticano dal 31 dicembre. Ormai sono davvero poche le strade del Signore per far girare la vil pecunia. Una via per fare circolare i contanti fuori dalla Città del Vaticano è quella dei conti delle congregazioni, degli istituti e degli enti che dispongono di rapporti bancari in Italia e all’estero. I soldi partono mediante bonifico dal conto italiano a quello tedesco di uno di questi enti e poi – sempre con bonifico – tornano al conto Ior di Deutsche Bank Italia. Talvolta i movimenti sono effettuati con gli assegni circolari intestati a terzi su disposizione dello Ior da una delle poche banche che ancora permettono questa operazione, come la Banca del Fucino.
Insomma sono lontani i tempi in cui lo Ior faceva girare decine di milioni sui conti italiani senza comunicare a nessuno il reale intestatario dei fondi. Il braccio di ferro con l’Autorità di vigilanza bancaria e la magistratura italiana è in corso da quasi tre anni. A settembre del 2010 la Procura di Roma ha sequestrato 23 milioni di euro sul conto Ior del Credito Artigiano contestando la violazione degli obblighi di comunicazione in materia di antiriciclaggio. I due schieramenti che si combattono da allora sono divisi dal fronte della trasparenza ma non rispecchiano i confini tra i due Stati. I pm romani Nello Rossi e Stefano Fava dal 2010 indagano l’allora presidente Ettore Gotti Tedeschi, e il direttore generale Paolo Cipriani. Dopo l’interrogatorio dai pm, i due manager Ior però scelgono strade diverse: Gotti si spende, con l’appoggio del cardinale Attilio Nicora, per convincere il Papa a intraprendere la strada della trasparenza.
Il 30 dicembre del 2010 con la legge 127, Benedetto XVI emana tramite motu proprio le disposizioni per avvicinare il Vaticano alle normative internazionali e istituisce l’Autorità antiriciclaggio interna, l’AIF, guidata da Attilio Nicora. L’AIF dovrebbe dialogare con l’omologo ufficio italiano, l’UIF, diretto dall’ex dirigente di Banca d’Italia, Giovanni Castaldi. Per qualche mese le cose sembrano funzionare. La procura revoca il sequestro sui 23 milioni ma presto arrivano le prime impuntature. Il Segretario di Stato Tarcisio Bertone, consigliato dall’avvocato Michele Briamonte, partner dello studio Grande Stevens, impone all’AIF e allo Ior di non comunicare nulla sui movimenti precedenti all’aprile 2011, data di entrata in vigore della legge. A febbraio del 2012 arriva la retromarcia: una nuova legge revoca i poteri all’AIF e rimette il pallino nelle mani della Segreteria di Stato. Il Cardinale Nicora è sconfitto e poco dopo, il 24 maggio scorso, salta anche il presidente dello Ior Ettore Gotti Tedeschi.
A luglio l’organismo antiriciclaggio Moneyval dovrebbe decidere se mettere il Vaticano nella lista nera degli Stati canaglia. I pronostici sono negativi. Teoricamente gli ispettori di Moneyval prima di decidere dovrebbero ascoltare la posizione della delegazione dell’UIF della Banca d’Italia. Invece l’UIf non prende la parola per controbattere alla versione della delegazione spedita a Strasburgodal Segretario di Stato Tarcisio Bertone. Il Ministro dell’economia Vittorio Grilli, notoriamente molto vicino al Vaticano, chiede ai rappresentanti UIF di non prendere la parola. Il direttore dell’organismo antiriciclaggio, Giovanni Castaldi, ritira la delegazione dell’UIF e il Vaticano ottiene una mezza bocciatura che però, date le condizioni iniziali, suona come una promozione. E così si arriva all’epilogo del 2013: nel giorno in cui i bancomat del Vaticano si fermano per mancato rispetto delle regole di Bankitalia, il direttore dell’UIF, Giovanni Castaldi, lascia il suo incarico. Per mano di Bankitalia. Il Governatore Ignazio Visco e il direttorio dell’istituto non lo hanno confermato al termine del suo mandato quinquennale. Amen. 

mercoledì 19 dicembre 2012

Milano, il giudice condanna 4 banche. “Truffa sui derivati ai danni del Comune”.


Milano, il giudice condanna 4 banche. “Truffa sui derivati ai danni del Comune”


Deutsche Bank, Ubs, Jp Morgan e Depfa dovranno pagare una multa di un milione ciascuno. Confiscati 88 milioni di euro. Pene fino a 8 mesi inflitte a 9 manager. Assolto il direttore generale di Palazzo Marino all'epoca della giunta Albertini. Il pm Robledo: "Sentenza storica". Era un processo "pilota" a livello internazionale.

Il tribunale di Milano ha condannato 4 banche accusate di una truffa sui derivati ai danni del Comune di Milano. Il giudice Oscar Magi ha condannato a una pena pecuniaria di un milione di euro ciascuno Deutsche Bank, Ubs, Jp Morgan e Depfa Bank. La sentenza ha anche disposto la confisca di 88 milioni di euro ai quattro istituti di credito. I fatti contestati risalgono al 2005.
Magi ha condannato 9 imputati tra manager o ex a pene comprese tra i sei mesi e gli otto mesi e 15 giorni, e ne ha assolti quattro, come richiesto dall’accusa. I condannati sono Marco Santarcangelo e Antonia Creanza (8 mesi e 15 giorni di carcere e 90 euro di multa ciascuno), Tommaso Zibordi (7 mesi e 15 giorni e 80 euro di multa), Gaetano Bassolino (7 mesi e 70 euro di multa), Carlo Arosio, William Francis Marrone, Fulvio Molvetti e Matteo Stassano (6 mesi e 15 giorni di reclusione e 60 euro di multa), Alessandro Foti (6 mesi e 50 euro di multa).  Tra gli imputati assolti due funzionari delle banche, Simone Rondelli (JP Morgan) e Francesco Rossi Ferrini (JP Morgan), e Mario Mauri e Giorgio Porta, rispettivamente all’epoca dei fatti consulente e dirigente del comune sotto la giunta Albertini. Gli istituti sono stati condannati per la violazione della legge 231 del 2001, quella che dispone la responsabilità amministrativa delle aziende per reati commessi dai propri dipendenti. Si conclude così uno dei primi processi a livello internazionale con al centro i derivati. In caso di condanne e assoluzioni il giudice ha accolto le richieste della stessa Procura.
Secondo la Procura, il Comune di Milano sarebbe stato raggirato dalle quattro banche che avrebbero fornito cattive informazioni all’amministrazione comunale in relazione ai contratti stipulati. L’oggetto del processo è uno swap trentennale stipulato nel 2005 su un bond bullet da 1,68 miliardi di euro con scadenza nel 2035.
Una perizia disposta dal giudice Magi aveva stabilito, lo scorso maggio, che le banche, in sostanza, avrebbero male informato il Comune, il quale però avrebbe avuto fretta di concludere l’operazione. Il pm nella sua requisitoria aveva parlato di “aggressione alla comunità per l’opacità dell’operazione”. Lo scorso 21 marzo, invece, il giudice aveva deciso il dissequestro di 108 milioni di euro, sequestrati alle banche in fase di indagini, anche sulla base dell’accordo transattivo raggiunto nei mesi scorsi tra Comune e istituti di credito che porterà nelle casse dell’amministrazione oltre 400 milioni di euro nel giro di alcuni anni. Unica parte civile è l’associazione dei consumatori Adusbef che riceverà 50 milioni di lire di risarcimento.
Il giudice Oscar Magi ha trasmesso alla procura gli atti del processo sui derivati in relazione alla posizione di Angela Casiraghi, ex dirigente a capo del settore finanza del comune di Milano, “in ordine al reato di falsa testimonianza”. La donna condusse le trattative per conto di palazzo Marino con le banche. La Casiraghi era stata sentita sia in fase di indagini che nel corso del processo e la presunta falsa testimonianza farebbe riferimento ad alcune sue affermazioni rese da teste nel dibattimento.
Il procuratore Robledo parla di “sentenza storica, perché è stato riconosciuto il principio fondamentale che ci deve essere trasparenza da parte delle banche nel contrattare con la pubblica amministrazione”.
”Deutsche Bank rimane convinta di avere agito correttamente, come pure i suoi dipendenti. La banca intende, quindi, ricorrere in appello confidando in una risoluzione positiva del processo”. E’ quanto fa sapere l’istituto di credito in una nota diffusa dopo la lettura del dispositivo. Dello stesso avviso anche Ubs e Jp. Sul processo, in ogni caso, incombe anche il rischio prescrizione, “tagliola” che, per la prima parte delle operazioni, potrebbe scattare già da metà gennaio prossimo.