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giovedì 3 ottobre 2019

Da Allianz a Deutsche Bank, i big tedeschi attaccano la Bce ultra-accomodante di Draghi. - Isabella Bufacchi

Oliver Bate, amministratore delegato di Allianz (Afp)

Monta la rivolta a cielo aperto dei falchi contro la Bce, capitanata dai tedeschi: prima il presidente della Bundesbank Jens Weidmann e il ceo di Deutsche bank Christian Sewing, poi il membro del Board Sabine Lautenschläger, da ultimo durissimo il ceo del gruppo assicurativo Allianz, Oliver Bate. Scontenti sul QE2 i governatori di Austria, Olanda, Estonia, a sorpresa la Francia prende le distanze.

L’attacco rivolto contro il presidente della Bce Mario Draghi dal ceo del gruppo assicurativo tedesco Allianz Oliver Bate in un'intervista al Financial Times è il più duro di una lunga serie, e l’ultimo in ordine di tempo.

Gli scettici e i critici della politica monetaria ultra-accomodante della Banca centrale, soprattutto dopo l’ultimo pacchetto di misure di stimolo annunciate il 12 settembre, stanno alzando i toni. I tassi negativi riducono i margini delle banche e pesano sulla redditività; il crollo sotto zero dei rendimenti dei bond mette alle corde il mondo del risparmio gestito, i prodotti vita delle assicurazioni, i fondi pensione.
E non basta: anche il modo in cui Mario Draghi ha tenuto conto delle posizioni dei falchi all’interno del Consiglio direttivo, facendoli sentire come fossero relagati in un angolo, ha alimentato nel tempo il malcontento di alcuni, che ora sta affiorando, tanto più si avvicina il passaggio di testimone tra Draghi e Christine Lagarde alla presidenza della banca.
Il presidente della Bundebank Jens Weidmann (da quando è entrato nel Consiglio direttivo della Bce ha esternato le sue posizioni contrarie come per esempio sulle OMT del whatever-it-takes ), ha iniziato la polemica nei confronti delle posizioni delle colombe con un’intervista alla F.A.Z., sollevando in anticipo i dubbi sulla necessità di un forte nuovo pacchetto di stimoli alla vigilia della riunione del Consiglio direttivo del 12 settembre. Mario Draghi aveva pre-annunciato la mossa a Sintra. Agli inizi di settembre, anche il ceo di Deutsche bank Christian Sewing si spinge a sostenere che «nel lungo periodo, i bassi tassi di interesse rovinano il sistema finanziario».
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Il pacchetto Draghi è la goccia che fa traboccare il vaso
Il Consiglio direttivo tuttavia, con una decisione collegiale, decide il 12 settembre di annunciare il pacchetto Draghi, come proposto dal presidente: taglio dei tassi delle deposit facilities da -0,40% a -0,50%; avvio del QE2 e riapertura del programma di acquisti netti di attività (dal primo novembre al ritmo di 20 miliardi al mese senza scadenza prestabilita), condizioni più favorevoli per le banche dei prestiti a lungo termine mirati all’economia TLTRO III, il tiering per mitigare gli effetti collaterali dei tassi negativi, una forward guidance più ancorata all’andamento dell’inflazione sul medio termine. Il Consiglio è unanime sulla necessità di fare qualcosa: ma sul QE2, che non è andato al voto, sono contrari in sette: i governatori delle Banche centrali di Germania, Austria, Olanda, Francia, Estonia, e due membri del Board la tedesca Sabine Lautenschläger e il francese Benoît Cœuré.
In una dura intervista a Bild, subito dopo la decisione del Consiglio, Jens Weidmann bolla il pacchetto «eccessivamente ampio», sebbene il giornale tedesco abbia criticato aspramente il taglio dei tassi con un ritratto del presidente della Bce come «Conte Draghila».
In un insolito comunicato pubblicato sul sito della banca centrale olandese il giorno dopo il varo del pacchetto Draghi, il governatore Klaas Knot scrive che “questo ampio pacchetto di misure, in particolare il riavvio del Qe, e' sproporzionato rispetto alle attuali condizioni economiche e vi sono solide ragioni per dubitare della sua efficacia”.
A sorpresa, anche la Francia inizia a prendere le distanze da Draghi, in maniera eclatante. Si esprimono contro il QE2 Cœuré e il governatore della Banque de France Francois Villeroy de Galhau: in un discorso il 24 settembre alla Paris School of Economics, Villeroy critica la decisione della Bce di riavviare gli acquisti di bond, definanendola una mossa non necessaria in questo momento con i rendimenti e gli spread a lungo termine molto bassi.
Le critiche non si placano, anzi, montano.
Altra sorpresa: il membro del Comitato direttivo Sabine Lautenschläger, da tempo in disaccordo con Draghi, rassegna le dimissioni con due anni di anticipo: il 31 ottobre sarà il suo ultimo giorno nel Board.
E infine il ceo del gruppo assicurativo tedesco Allianz, Oliver Bate, in un'intervista al Financial Times, critica la politica monetaria della Banca centrale a guida Draghi. Non considera Draghi un banchiere centrale “indipendente” perchè stampa moneta quando non dovrebbe farlo, consentendo alla politica fiscale di stare a guardare. «Il motivo per cui non stiamo facendo riforme fiscali è perché stai rendendo facile per le persone spendere soldi che non hanno», ha sostenuto Bate, allargando la critica al nodo irrisolto dell’esposizione eccessiva al rischio sovrano da parte di molte banche e mettendo sul tavolo il rischio di una prossima crisi bancaria. Il dente avvelenato di Bate si può capire: il crollo dei rendimenti dei bond, asset a basso rischio che piacciono agli investitori istituzionali come le compagnie di assicurazione, sta mettendo sotto pressione la gestione dei prodotti vita con rendimento garantito al 2%-3%.
Mustier: trasferire i tassi negativi ai grandi clienti.
Sul tema è intervenuto anche il Ceo di Unicredit Jean Pierre Mustier, in qualità di presidente dell'Ebf, l'Abi delle banche europee. Per assicurare «la massima efficienza» alla politica monetaria della Bce, ha detto, «sarebbe estremamente importante che i tassi negativi non si fermassero nei bilanci bancari». «È importante che la Bce dica alle banche, “per favore passate i tassi negativi ai vostri clienti”, proteggendo naturalmente i piccoli clienti con depositi inferiori ai 100 mila euro».

mercoledì 7 agosto 2013

Mps, le larghe intese di Giuseppe Mussari per diventare numero uno dell’Abi. - Davide Vecchi

Giuseppe Mussari


Nell'agenda dell'ex presidente di Rocca Salimbeni gli appuntamenti con politici di destra e sinistra nonché rappresentanti del governo nel periodo tra febbraio e giugno 2010. I viaggi a Roma si intensificano in vista della nomina a capo dell'associazione delle banche: prima Palazzo Chigi, poi (per due volte) visita privata al Quirinale.

Giuliano Amato, Massimo D’Alema e Nicola Latorre, ma anche Enrico e Gianni Letta, Gianfranco Fini, Pierferdinando Casini, Maurizio Gasparri, Daniela Santanchè. Nel 2010, l’allora presidente del Monte dei Paschi di SienaGiuseppe Mussari, andava con frequenza a Roma per incontrare gli amici di vecchia data, come D’Alema e Latorre, ed esponenti del centrodestra all’epoca al governo. Già iscritto nel registro degli indagati per l’aeroporto di Ampugnano (rinviato a giudizio per i reati di concorso morale in ordine ai reati di falso e turbativa d’asta) Mussari era impegnato nella conquista della presidenza dell’Abi, con l’approvazione di Banca d’Italia nonostante via Nazionale avesse già avviato le indagini sulla situazione patrimoniale di Rocca Salimbeni, mentre la Procura cominciava a interessarsi all’acquisizione di Antonveneta.
A scorrere l’agenda di Mussari, allegata agli atti della prima parte dell’inchiesta su Mps, chiusa il 31 luglio scorso per evitare i termini della prescrizione, si ha l’idea dei rapporti che il mondo economico ha (o è costretto ad avere) con la politica. Già dai verbali di interrogatorio dell’ex parlamentare e sindaco di Siena,Franco Ceccuzzi, era evidente come fosse la politica a definire gli incarichi in Rocca Salimbeni. Quando Mussari lascia la presidenza di Mps, per dire, Ceccuzzi dice di essersi rivolto a D’Alema per convincere Alessandro Profumo a prendere le redini della banca. Mentre l’ex presidente della Fondazione, Gabriello Mancini, sempre a verbale, racconta di essersi rivolto a Gianni Letta che con l’approvazione di Berlusconi gli indicò chi inserire nel cda.
Così, in vista della sua candidatura alla guida dell’Abi, di cui si comincia a parlare in via informale nelfebbraio 2010 ed è ufficializzata il 23 giugno, Mussari frequenta amici vecchi e nuovi dei Palazzi romani. Oltre a D’Alema le frequentazioni più assidue sono con Latorre, uomo di fiducia del leader pugliese. Ma non solo. Il 6 aprile in poche ore incontra il sottosegretario alla difesa del Pdl, Guido Crosetto, il presidente della Cassa depositi e prestiti, Franco Bassanini, il presidente del Copasir, D’Alema e il sottosegretario alla presidenza del Consiglio del governo Berlusconi, Santanchè. Pochi giorni dopo incontra il presidente della Camera, Gianfranco Fini, poi Enrico Letta, allora vicesegretario nazionale del Pd e Latorre. Nell’agenda sono segnate anche le convocazioni in tribunale per la questione Ampugnano. La notifica della Guardia di Finanza è segnata in agenda alle ore 10 del 25 febbraio. Dopo una settimana di ferie, Mussari rientra e vola a Roma per incontrare prima Amato poi Latorre. Passano 48 ore e riceve D’Alema che lo raggiunge a Siena.
Sono i giorni in cui Mussari è impegnato nelle riunioni che devono portare il Consiglio di amministrazione ad approvare il bilancio nel quale, secondo quanto ipotizzato dai pm, vennero camuffate le perdite derivanti dall’acquisizione Antonveneta e messi in atto “trucchi” per celare gli impatti patrimoniali del contratto Alexandria. Uno dei bilanci camuffati, secondo l’accusa, è stato presentato a Piazza Affari il 26 marzo, come annotato in agenda.
I viaggi verso Roma si intensificano tra aprile e giugno. Numerosi gli incontri con Latorre, con cadenza quasi settimanale, e anche con Fini. Con l’ufficialità della nomina alla guida dell’Abi e la conquista della presidenza, le porte si spalancano ulteriormente. Mussari sale due volte al Quirinale “per udienza privata con Giorgio Napolitano”, annota in agenda. Ai soliti Amato, D’Alema, Latorre, si aggiungono Pierluigi Bersani, Fabrizio Cicchitto, Luciano Violante, Gianfranco Conte, Antonio Tajani. Nel frattempo cominciano a emergere notizie di stampa della situazione patrimoniale che sta attraversando il Monte dei Paschi e, soprattutto, la Fondazione. L’1 settembre 2011 Mussari segna in agenda: “Guardia di Finanza per Notifica atto”. La procura indaga. Banca d’Italia, secondo quanto ricostruito, aveva le comunicazioni adeguate per comprendere cosa accadeva, ma non intervenne. “Ho piena fiducia in via Nazionale”, ha detto Napolitano invitando poi la stampa, lo scorso febbraio, a “sopire” le informazioni su Mps. 
Il monito è arrivato dopo le dimissioni di Mussari dalla guida dell’Abi: ha lasciato l’incarico il 22 gennaio 2013, quando il Fatto Quotidiano diede notizia dell’accordo segreto che aveva siglato con Nomura per ristrutturare il debito di Mps.