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venerdì 14 agosto 2020

Poteri a Consob su Borsa Spa E il governo pensa all’acquisto. - Marco Palombi

Poteri a Consob su Borsa Spa E il governo pensa all’acquisto

Nella versione finale del dl Agosto tornano i poteri all’Autorità per bloccare operazioni sgradite: ora il Tesoro valuta un’offerta a LSE.
Il cosiddetto “decreto agosto” ieri sera è uscito dagli uffici nebbiosi del Tesoro e oggi dovrebbe essere pubblicato in Gazzetta Ufficiale (otto giorni dopo la sua approvazione formale in Consiglio dei ministri). Il testo che Il Fatto ha potuto visionare, rispetto a quello degli ultimi giorni, contiene però una novità non da poco: viene effettivamente ampliato il potere concesso a Consob, l’autorità che vigila sui mercati, di impedire operazioni sgradite su Borsa Italiana Spa. In sostanza, il diritto di chiedere informazioni su eventuali passaggi di quote rilevanti della società (o della società che la controlla) e, se del caso, intervenire fermando tutto.
Questi maggiori poteri, seppure in capo ad Autorità simili in altri Paesi europei, erano spariti dalle bozze degli ultimi giorni, ma evidentemente la pressione di un pezzo della maggioranza (5 Stelle in testa) ha riportato le cose al punto di partenza. Non una novità da poco se, come riporta (non smentita) Milano Finanza, il governo ha rotto gli indugi sulla questione Borsa Italiana e – in una prossima riunione tra Giuseppe Conte e il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri (ma dovrebbe esserci anche il sottosegretario Riccardo Fraccaro, il cui staff ha curato il dossier fin dall’inizio) – darà il via libera a un’offerta alla London Stock Exchange per rilevare Piazza Affari e tutto quel che contiene.
La situazione è complessa e va spiegata. Privatizzata nel 1998, Borsa Italiana fu ceduta alla società che gestisce anche la piazza londinese (LSE appunto) nel 2007 garantendo una plusvalenza miliardaria alle banche e agli intermediari finanziari che l’avevano rilevata dallo Stato. La nostra Borsa non è un mercato enorme, ma è una società efficiente che produce utili nelle sue varie divisioni (particolarmente rilevante in questo contesto è Mts, cioè la piattaforma su cui vengono intermediati i titoli di Stato italiani). Problema: LSE vuole fondersi col gigante dei dati Refinitiv, la cui controllata Tradeweb sarebbe un doppione di Mts. Per aggirare i limiti dell’Antitrust europea e fare cassa, i londinesi sono costretti a cedere Borsa Italiana: la vicenda ha subito una brusca accelerazione in questi ultimi giorni, tanto che LSE – e i suoi advisor Goldman Sachs e Morgan Stanley – hanno avviato l’asta e si aspettano le prime offerte entro venerdì 21 agosto e quelle vincolanti per settembre.
E qui torniamo al ruolo del governo italiano. Piazza Affari, e in particolare Mts, possono essere considerate asset strategici: sicuramente interessati all’acquisto sono Euronext (che riunisce alcune Borse europee a partire da Parigi) e i tedeschi di Deutsche Börse, ora si aggiunge pure il governo italiano non si sa bene in che forma e se in alleanza coi francesi.
Il dossier è infatti da mesi sulle scrivanie del governo e si arriva a questa accelerazione senza le idee chiare. Il piano sponsorizzato in primo luogo dal sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Riccardo Fraccaro, prevede che Borsa Italiana finisca in Euronext, ma con l’ingresso nell’azionariato di Cdp all’8% (la stessa quota che nella società ha già la Cassa depositi francese).
Il problema è che Euronext non ha i soldi per fare da sola un’operazione che costa almeno 3,3 miliardi (le servirebbe un aumento di capitale) e ha già dimostrato nel recente passato di non gradire le aste troppo competitive (ha lasciato agli svizzeri di Six la Borsa di Madrid per non rilanciare).
E qui arrivano i nuovi poteri concessi a Consob, che sostanzialmente ne ampliano il potere negoziale nel caso di un cambio di azionariato di Borsa Spa (o persino della sua controllante). Di fatto Consob deve ricevere preventiva comunicazione da parte di qualunque operazione superiore al 10% del capitale su LSE o Borsa Spa ed entro 90 giorni persino opporsi alla chiusura dell’affare: in ipotesi, non solo la vendita di Borsa Italiana, ma persino la fusione tra LSE e Refinitiv potrebbe essere ostacolata da questa modifica normativa (in odore di violazione delle norme europee).
È evidente insomma che chi volesse partecipare all’asta per Piazza Affari– con una tale spada di Damocle sulla testa e il contestuale interesse dello Stato a entrare nell’azionariato – non lo farà senza un preventivo accordo col governo italiano: la cosa non farà piacere a Londra perché rischia di abbassare il prezzo di vendita (o almeno non farlo alzare). Ora resta da capire come vogliono muoversi Conte e soci.

mercoledì 19 dicembre 2018

"Compra, ho parlato con Renzi". Imputazione coatta per il broker di De Benedetti. - Giovanni Neve



Da Renzi seppe che il decreto sulle popolari sarebbe passato e al broker fece investire 5 milioni di euro. L'operazione gliene fruttò 600mila.

Non sarà archiviata l'indagine per "ostacolo all'esercizio delle funzioni delle autorità pubbliche di vigilanza (la Consob, ndr)" a carico di Gianluca Bolengo, il broker di Intermonte Sim spa a cui al telefono, il 16 gennaio 2015, Carlo De Benedetti disse che il decreto sulle banche popolari sarebbe passato per averlo saputo dall'allora premier Matteo Renzi e che investì per conto dello stesso imprenditore 5 milioni in azioni delle Popolari.
La riforma fu approvata quattro giorni dopo e, grazie a quella operazione, l'Ingegnere guadagnò circa 600mila euro.
L'accusa per Bolengo è di ostacolo alle funzioni di vigilanza. Con un provvedimento di 63 pagine, il gip Gaspare Sturzo ha respinto la richiesta di archiviazione avanzata dal pm Stefano Pesci ordinando che venga formulata l'imputazione coatta. La procura si era espressa per l'archiviazione del procedimento ritenendo che non vi fosse la prova che De Benedetti fosse venuto in possesso, nei giorni che precedettero la telefonata con Bolengo, di notizie price sensitive e non vi fosse la prova che queste notizie fossero state comunicate allo stesso broker. Per il giudice Sturzo, invece, dall'esame degli atti emergono "logici elementi" per ritenere Bolengo "consapevole di trovarsi innanzi all'obbligo di dover comunicare (l'operazione finanziaria, ndr) come sospetto alla Consob". Già lo scorso marzo il gip aveva respinto la richiesta di archiviazione per il broker di Intermonte Sim spa ordinando invece un supplemento di indagini.

venerdì 10 novembre 2017

La caduta degli Dèi. - Gianni Del Vecchio



La politica processa senza riguardo le istituzioni. Un gioco pericoloso destinato a ritorcerglisi contro.


Ci sono giorni in cui anche gli Dèi cadono. Ed è stata appunto una di queste giornate a palazzo San Macuto, sede della Commissione d'inchiesta sulle banche. Lì le due principali istituzioni che hanno il compito di vigilare sulla stabilità del sistema finanziario – Bankitalia e Consob – sono state messe alla sbarra, nel vero senso della parola, dal Parlamento, che ha deciso di avocare a se i poteri propri della magistratura trasformando due semplici audizioni in testimonianze. Con un corollario non da poco: chi mente potrà essere incriminato per falsa testimonianza. Di più, le due istituzioni sono state anche umiliate, come quando il grillino Carlo Sibilia ha chiesto alla guardia di Finanza di "controllare" il capo della vigilanza della Banca d'Italia Carmelo Barbagallo affinché non assistesse di nascosto alla deposizione dell'omologo Consob, Angelo Apponi. Purtroppo davanti alla linea dura scelta dai parlamentari i due alti dirigenti degli organismi di vigilanza, Barbagallo e Apponi, non hanno fatto altro che rimpallarsi accuse reciproche sul mancato controllo di ciò che ha portato nell'ultimo decennio al crack delle due banche venete, Veneto Banca e Popolare di Vicenza. Al di là dei tecnicismi: il Parlamento, come si diceva, ha processato Consob e Bankitalia, con queste ultime che hanno fatto una magra figura ricorrendo al più classico degli strumenti, lo scaricabarile. E solo il fatto che alla fine sia saltato un confronto all'americana fra Apponi e Barbagallo, ha evitato una scena più desolante, con i due alla stregua di due bambini che vis-à-vis non avrebbero potuto far altro che incolparsi a vicenda su chi in precedenza avesse rovesciato il barattolo di marmellata.
Insomma, quello che è andato in scena a San Macuto è una delle rotture istituzionali più sorprendenti e destabilizzanti degli ultimi anni. Un'istituzione politica, – il Parlamento – già abbondantemente screditato e ai minimi di fiducia da parte dell'opinione pubblica, ha gettato nel fango altre due istituzioni tecniche – Bankitalia e Consob – lasciando che si delegittimassero a vicenda. Sia chiaro: non si tratta di voler nascondere sotto il tappeto le responsabilità dei due enti controllori, che pur ci sono e non sono trascurabili. Ma la modalità scelta dai partiti vuole intenzionalmente darli in pasto all'opinione pubblica, indicandoli come gli unici colpevoli delle crisi degli istituti bancari italiani in una specie di lavacro pubblico delle proprie responsabilità. Un modo per presentarsi prossimamente agli elettori mondati dalla macchia di non aver saputo tutelare imprese e risparmiatori, chiudendo spesso e volentieri un occhio (o forse due) sulle malefatte di banchieri che sono stati tutt'altro che distanti dalla politica, sia locale che nazionale. E a nessuno pare importare che presto l'onda lunga possa arrivare a lambire i piani alti di Francoforte e cioè l'ufficio del presidente della Bce, Mario Draghi. Quello che importa è solo la campagna elettorale.
Ora, quello che resta dopo questa giornata campale per le istituzioni – e che purtroppo sarà solo l'inizio come ben scrivono qui Angela Mauro e Alessandro De Angelis - sono tre domande. Quali saranno le conseguenze di questo gioco al massacro? Davvero la sostituzione di Visco avrebbe fermato questa deriva, come ritengono ai piani alti del Nazareno? E infine: la politica può realmente tirarsi fuori da quello che è successo in questi anni a Mps, Banca Etruria e banche venete?
1. Le conseguenze sono molto rischiose per l'Italia. Non tanto oggi ma fra sei mesi. Supponiamo che si vada a votare a marzo 2018. Da oggi fino al voto quasi tutti i partiti dell'arco istituzionale faranno campagna contro Bankitalia, Consob e probabilmente lo stesso Draghi. La faranno i 5 Stelle, la farà il Pd, la farà la Lega, la farà Fratelli d'Italia, la farà l'ala più intransigente di Forza Italia. Se si mettono assieme le percentuali di voto che hanno secondo gli ultimi sondaggi, viene fuori un dato eclatante: più del 70 per cento del prossimo parlamento picconerà le massime istituzioni finanziarie senza ritegno. Il risultato? A campagna elettorale finita ci ritroveremo con la forte delegittimazione di quegli istituti che finora hanno sempre provveduto a fornire le cosiddette "riserve della Repubblica". Da Bankitalia infatti sono passati infatti una miriade di presidenti del consiglio e ministri dell'Economia (Ciampi, Dini, Saccomanni e tanti altri) che più di una volta hanno tirato fuori dai guai il paese nei frequenti casi di default della politica. Ed è proprio questo il punto: ad aprile è molto probabile che la politica non riesca a esprimere una chiara maggioranza visto come è congegnato il Rosatellum. Quindi c'è il concreto rischio di trovarsi in una fase di stallo politico con l'ulteriore difficoltà di non poter attingere facilmente al tradizionale bacino di "tecnici", ormai svuotato e delegittimato.
2. Diverse fonti dem vicine al segretario Renzi sostengono che se il premier Gentiloni e il presidente Mattarella non si fossero intestarditi sulla riconferma del Governatore Visco, la Commissione Banche non si sarebbe ritrovata a dover infliggere a Bankitalia tale umiliazione. Tesi vera? Probabilmente no. No perché ormai il treno delle audizioni in Commissione era partito e i renziani non avrebbero potuto lasciare la linea dura e pura a 5 stelle e Lega dopo la mozione anti-Visco. E poi la campagna elettorale è iniziata e lo stesso Renzi ha deciso di cavalcare il tema dell'attacco alle "alte burocrazie dello Stato" per dirla con parole sue. Quindi Visco o non Visco, Bankitalia sarebbe rimasta comunque nel mirino.
3. I partiti non possono scaricare tutte le responsabilità sui vigilanti, i quali, come detto, non sono stati impeccabili. Partiamo da Mps, che negli ultimi dieci anni ha bruciato circa 20 miliardi. La crisi della banca senese parte nel 2008 con la sciagurata acquisizione di Antonveneta per una cifra totalmente fuori mercato. Da quel momento è stato un susseguirsi di perdite e aumenti di capitale finiti nel nulla che hanno portato l'istituto sull'orlo del fallimento e al salvataggio finale fatto dallo Stato. Bankitalia non ha vigilato correttamente? Può anche darsi. Ma chi era l'azionista di controllo che ha espresso per anni i vertici – in primis Giuseppe Mussari – che a loro volta hanno portato la banca al crack? La Fondazione Mps, che ai bei tempi deteneva addirittura il 55% del capitale. E da chi era controllata la Fondazione? Semplice: da comune e provincia di Siena e cioè dalla politica locale, più in particolare dai Ds prima e dal Pd poi. 
Passiamo a Banca Etruria. Qui è ancora più facile, visto che nel board dell'istituto ha militato per anni fino a ricoprire la carica di vicepresidente, Pier Luigi Boschi, padre della renzianissima sottosegretaria alla presidenza del consiglio Maria Elena. Infine le banche venete: come è possibile immaginare che nessun politico locale abbia avuto mezzo dubbio sulla bontà del "sistema Zonin", che distribuiva crediti facili al territorio vicentino e dividendi corposi agli azionisti in un momento storico in cui le banche nazionali chiudevano i rubinetti a seguito della crisi finanziaria? Semplice, anche in questo caso: Zonin aveva rapporti trasversali con tutti gli schieramenti che hanno guidato il Veneto e Vicenza in particolare.
Insomma, è giusto, per dirla alla Renzi, che "chi ha sbagliato deve pagare" e che "non si tratta di populismo ma di giustizia". Ma così come Bankitalia e Consob si stanno sorbendo oggi la loro quota di fiele, è probabile che la stessa quantità toccherà a quei partiti che oggi si arrogano il diritto a essere giudici inquisitori.
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Non credo che i cittadini si lascino ulteriormente ingannare dalla politica con il rimpallo delle responsabilità perchè sono ben consci del fatto che è la politica a nominare i responsabili delle istituzioni ed è sempre la politica a dettare le regole del gioco. 
In quanto a Renzi, lui ostacolava la rinomina di Visco per proteggere la Boschi alla quale è legato da patti segreti che solo loro e Napolitano conoscono; ma Visco, al contempo, DOVEVA essere riconfermato perchè a conoscenza di fatti che avrebbe potuto rendere pubblici. 
Il classico cane che si morde la coda.

giovedì 6 ottobre 2016

Deutsche Bank accusata di collusione con Mps.

Deutsche Bank

Deutsche Bank accusata per collusione con Mps per aver nascosto le perdite dell’istituto italiano. L'istituto di credito tedesco nel 2013 avrebbe trasformato crediti in derivati.


Deutsche Bank, incriminata per collusione con Monte dei Paschi  per nascondere le perdite dell’istituto italiano, avrebbe occultato la transazione e decine di altre nei propri bilanci, secondo una verifica dell’istituto di vigilanza della Germania. E’ la ricostruzione fatta da Blomberg che ha potuto visionare una delle perizie.

I dirigenti di Deutsche Bank avrebbero trattato 103 operazioni simili, per un valore complessivo di 10,5 miliardi di euro (11,8 miliardi di dollari) per 30 clienti secondo la perizia, una copia della quale è stata vista da Bloomberg. L'istituto di credito tedesco avrebbe regolato la contabilizzazione di 37 di quei trade nel 2013, oltre a quello di Monte Paschi , trasformandoli da crediti, che erano stati tenuti fuori dai bilanci, in derivati.
L'uso diffuso di una transazione che è ora oggetto di un procedimento penale mette in evidenza l'appetito del creditore per la complessità in un momento in cui la banca stava espandendo il suo impero a reddito fisso. Mentre Deutsche Bank da allora ha tagliato le attività rischiose ed eliminato migliaia di posti di lavoro per rafforzare il capitale, enormi spese legali sono diventate una fonte di crescente preoccupazione per gli investitori, facendo crollare le azioni.
L'audit ha rilevato che, mentre Monte Paschi  è stato l'unico cliente che ha usato una transazione per fare un maquillage ai propri bilanci, Deutsche Bank non ha registrato correttamente operazioni simili con banche fatte dall’Italia all’Indonesia tra il 2008 e il 2010. Il rapporto ha anche detto che i vertici non hanno autorizzato correttamente l’operazione Monte Paschi , o rivisto adeguatamente la transazione dopo aver ricevuto un mandato di comparizione da parte della Federal Reserve Usa nel 2012.
Monte Paschi ha rivisto i conti nel 2013, dopo che queste transazioni sono venute alla luce, e ulteriormente rivisto i risultati nel 2015 su richiesta dell’autorità di vigilanza italiana. Deutsche Bank ha riaffermato che l’operazione non ha influenzato la sua redditività, e che la banca non ha rivisto gli utili prima del 2013, perché l'effetto complessivo non era significativo, ha sottolineato l'audit. Deutsche Bank alla fine di settembre del 2013 aveva un patrimonio di circa 1800 miliardi di euro.
"Deutsche Bank nel settembre 2013 ha riclassificato il modo in cui registrava sui libri contabili un certo numero di cosiddette operazioni pronti contro termine, riclassificazione che però non ha avuto alcun impatto sugli utili di Deutsche Bank", riportava la mail di Adrian Cox, portavoce della sede londinese della banca. "Il fatto che tali operazioni sono state trasformate in prestiti non comporta una connessione tra loro e con il caso particolare di Monte Paschi ."
Deutsche Bank e sei dirigenti, attuali ed ex, tra cui Michele Faissola (che ha curato i tassi globali a quel tempo) e Ivor Dunbar (ex co-responsabile del mercato dei capitali), sono stati incriminati da un tribunale di Milano il 1 ° ottobre 2008 per la transazione Monte Paschi  . Entrambi, insieme al co-ceo di Deutsche Bank Anshu Jain, hanno lasciato l'azienda.

Di recente la richiesta del Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti di 14 miliardi di dollari per risolvere un'indagine sulla vendita di titoli garantiti da mutui residenziali, che è stata respinta dalla banca, ha sollevato le domande tra alcuni investitori e clienti circa la capacità di Deutsche Bank di resistere ai costi legali in attesa del giudizio. Il ceo John Cryan ha inviato una nota al personale la scorsa settimana dicendo che la banca è più sicura che in qualsiasi momento negli ultimi due decenni.

“I mercati sono rimasti scossi dalla possibilità che altri incidenti del genere debbano ancora accadere”, ha spiegato un analista londinese di Kepler Cheuvreux ai clienti il 29 settembre. L'istituto di credito ha circa 29 miliardi di euro di asset cosiddetti di livello 3, che sono i più difficili da valutare: il loro valore di mercato di circa 16 miliardi di euro fa tremare i polsi.

La verifica è stata effettuata dalla società di revisione contabile Peters Schoenberger & Partner, ed è stata commissionata da BaFin, il regolatore finanziario mercati tedesco, nel gennaio 2014 per esaminare il ruolo di Deutsche Bank nell’operazione Monte Paschi  e come i manager avevano reagito alla successiva indagine interna. La banca italiana aveva utilizzato il credito per nascondere una perdita da trading in una precedente operazione condotta con Deutsche Bank, come riportato da Bloomberg nel 2013. La verifica si è conclusa nel dicembre 2014.
Secondo l’audit, “La gestione del rischio da parte di Deutsche Bank per quanto riguarda una complessa operazione di finanziamento strutturato come quella con Mps  era palesemente inadeguata e inefficace, dati i rischi reputazionali impliciti”.

Conosciuti internamente come pronti contro termine migliorati, i deal sono stati tenuti fuori bilancio da Deutsche Bank annullandoli attraverso passività separate create nelle transazioni, secondo i documenti esaminati da Bloomberg. Deutsche Bank ha venduto le garanzie dei prestiti che il mutuatario aveva fornito, come per esempio i titoli di Stato, creando un obbligo per la banca di restituire alla fine i bond. Nella contabilità originale il credito è stato compensato da tale obbligazione, facendola di fatto scomparire. Tutto ciò avrebbe dato al bilancio Deutsche Bank un aspetto più sano aumentando i coefficienti patrimoniali.
Secondo la perizia, l’operazione di maquillage ha permesso di non contabilizzare subito le perdite e di poter invece beneficiare della contabilità per competenza e quindi di contabilizzarle nel corso di un periodo di tempo più lungo.

La revisione ha detto che Fed controllo di accordo Monte Paschi  di Deutsche Bank alla fine del 2011 ha portato a un mandato di comparizione qualche mese più tardi. BaFin ha espresso preoccupazione per la Deutsche Bank di "cosmesi di bilancio" poco dopo.

venerdì 23 gennaio 2015

Riforma banche popolari, esposto M5S-Adusbef a Consob per aggiotaggio. - Antonio Pitoni e Giorgio Velardi

Riforma banche popolari, esposto M5S-Adusbef a Consob per aggiotaggio

Nel mirino del grillino Barbanti la “fuga di notizie” sulla riforma che impone la trasformazione in spa delle dieci più grandi: “Nessuno è intervenuto per bloccare le contrattazioni sui titoli”. E con un’interrogazione chiede di verificare anche l’operato dell'authority presieduta da Vegas. Che una petizione online vuole abolire: "Funzioni passino all'Antitrust".

I rialzi record registrati in Borsa dai titoli delle dieci banche popolari interessate dalla riforma varata dal governo stanno per piombare sul tavolo della Consob. Con un esposto che il Movimento 5 Stelle sta mettendo a punto insieme all’Adusbef e che sarà trasmesso a breve alla Commissione nazionale per le società e la Borsa, nel quale, chiedendo di fare luce su quanto accaduto lunedì a Piazza Affari, si arriva ad ipotizzare addirittura il reato di aggiotaggio. Una vicenda che il deputato Sebastiano Barbanti, componente della commissione Finanze di Montecitorio, ricostruisce nei suoi passaggi salienti. “Tutto comincia venerdì scorso quando, nella frenetica rincorsa dell’annuncio, Matteo Renzi sceglie la vetrina della direzione del Pd per anticipare imminenti provvedimenti sul credito”, ricorda. Notizia ripresa all’indomani dai principali quotidiani nazionali che, però, iniziano a diffondere anche i primi dettagli della riforma, studiata per le popolari con attivi superiori agli 8 miliardi, citando (in alcuni casi) “fonti dell’esecutivo”. C’è perfino l’indicazione della data prevista per il via libera. Quella del martedì successivo, quando il decreto sarà poi effettivamente varato dal Consiglio dei ministri.
Governo esposto - Per il M5S non ci sono dubbi: si tratta di una vera e propria fuga di notizie che, dopo il primo generico annuncio del premier (il venerdì) e le anticipazioni della stampa (il sabato), ha determinato alla riapertura dei mercati (il lunedì) l’impennata delle quotazioni azionarie dei dieci istituti di credito interessati dal provvedimento. “Vogliamo che la Consob indaghi per chiarire se, come sospettiamo, la turbativa del mercato innescata dalla divulgazione di quelle notizie configuri il reato di aggiotaggio”, spiega Barbanti. Avvertendo che, in caso di inerzia della Commissione presieduta da Giuseppe Vegas, non è escluso “un ulteriore esposto” alla Procura della Repubblica. “Anche un bambino – aggiunge – avrebbe potuto prevedere le ripercussionidi quelle dichiarazioni alla riapertura delle contrattazioni”. Quando, effettivamente, i titoli delle popolari destinatarie del decreto sono schizzati alle stelle. Come nel caso di Bpm che ha guadagnato il 14,89%, Ubi il 9,68%, Creval il 9,63%, Bper l’8,51%, Banco Popolare l’8,33% e Popolare di Sondrio l’8,06%. “Peraltro – aggiunge l’esponente del M5S – è davvero inspiegabile perché, di fronte all’evidente fuga di notizie del fine settimana, né il governo né la Consob abbiano ritenuto di intervenire per bloccare le contrattazioni sulle popolari prima della riapertura dei mercati di lunedì”.
Vigilare sul vigilante – Ma non finisce qui. Perché se dopo la presentazione dell’esposto Barbanti si aspetta che l’organo di vigilanza sulla borsa faccia chiarezza sull’accaduto, con un’interrogazione parlamentare in commissione Finanze alla Camera il deputato chiederà al ministero dell’Economia di verificare se la stessa Consob “abbia assunto tutte le azioni prescritte normativamente in particolar modo in materia di aggiotaggio”. Insomma, una richiesta all’esecutivo di vigilare sul vigilante. Non solo, il deputato del M5S solleva anche un’altra questione. Dal momento che la riforma delle popolari è stata adottata per decreto che cosa accadrebbe se, in sede di conversione, l’articolo che la introduce venisse soppresso o modificato? Domanda che nell’interrogazione viene riproposta al Mef, con l’invito a valutare l’opportunità di “assumere iniziative volte a bloccare e sanzionare ogni forma di vendita allo scoperto (vendita di azioni senza averne la proprietà, nella speranza di comprarle a un prezzo più basso prima di consegnarle al compratore, ndr) sulle banche popolari quotate”. Per scongiurare, conclude Barbanti “nuovi possibili attacchi speculativi sui titoli, stavolta al ribasso”.
Tutto all’Antitrust - Intanto, l’Adusbef guidata da Elio Lannutti, che sta collaborando con il M5S per redigere l’esposto, continua la sua battaglia contro la Consob. L’associazione dei consumatori ha addirittura dato vita a una petizione online suchange.org per chiedere al presidente del Consiglio, Matteo Renzi, di abolirla trasferendone poteri e funzioni all’Antitrust. L’Adusbef denuncia nel testo come la vigilanza sulle banche sia ormai ridotta a uno “spezzatino” a quattro: “La Consob per l’attività finanziaria; la Banca d’Italia per quella strettamente bancaria; l’Ivass (ex Isvap) per le attività assicurative (che ormai, vista la massiccia diffusione di prodotti “misti”, è sempre più un mercato assicurativo-finanziario) e infine per la repressione delle condotte anticoncorrenziali l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato”. La petizione mira inoltre a scongiurare l’idea del governo di “assorbire le competenze della Consob in Banca d’Italia”. Meglio sarebbe, secondo l’associazione dei consumatori, trasferirle all’authority per la concorrenza che, si legge nel testo, “sin dalle origini nel 1990, ha rappresentato una felice eccezione nel desolante panorama delle autorità indipendenti italiane”.

giovedì 22 maggio 2014

Fusione Unipol-Sai, Fiamme Gialle a Bologna. Indagato Cimbri per aggiotaggio.

Fusione Unipol-Sai, Fiamme Gialle a Bologna. Indagato Cimbri per aggiotaggio

L'ispezione è stata disposta dalla magistratura per i presunti illeciti nella fusione tra Unipol Assicurazioni, Premafin Finanziaria, Milano Assicurazioni e Fondiaria Sai sostenuta da Mediobanca in quanto creditrice di entrambi i gruppi. Guardia di Finanza anche in Consob.
L’amministratore delegato di UnipolSai Carlo Cimbri è indagato per aggiotaggio dalla Procura di Milano nell’inchiesta che riguarda presunti illeciti nell’operazione di fusione tra il gruppo assicurativo delle coop e l’ex polo della famiglia Ligresti che ha dato vita alla società. Sono indagati per lo stesso reato anche altri tre manager: Roberto Giay, già amministratore delegato di Premafin Finanziaria; Fabio Cerchiai, ex presidente del consiglio di amministrazione di Milano Assicurazioni e Vanes Galanti, in passato presidente del consiglio di amministrazione di Unipol Assicurazioni. Per tutti l’ipotesi di reato è aggiotaggioLa notizia è emersa mentre a Bologna, nella sede di UnipolSai, erano in corso delle perquisizioni della Guardia di Finanza che sono state disposte dalla magistratura in relazione a presunti illeciti commessi nel corso della fusione avvenuta tra Unipol Assicurazioni, Premafin Finanziaria, Milano Assicurazioni e Fondiaria Spa che ha dato vita a UnipolSai. Del resto sono tante le criticità che erano emerse sull’operazione fin dalla sua gestazione orchestrata da Mediobanca e si erano via via intensificate a ridosso del suo perfezionamento. Nel silenzio generale delle autorità di vigilanza.
Come per esempio la Consob che, nonostante le intercettazioni telefoniche raccolte dalla Guardia di finanza di Torino su come a Bologna si cercasse in tutti i modi di far quadrare i conti, interpellata in merito da ilfattoquotidiano.it alla vigilia del via libera alla fusione, non si è interessata alla questione e non ha messo in forse l’assemblea che il 25 ottobre scorso ha approvato l’operazione. Eppure il reato di aggiotaggio contestato Cimbri, a Giay, Cerchiai e Galanti si riferisce proprio ai valori di concambio delle azioni delle società coinvolte, cioè il controvalore dell’operazione, al momento della fusione delle società. Tema al centro delle intercettazioni venute a galla alla vigilia dell’assemblea. Tanto che secondo l’ipotesi di reato per la quale procede il procuratore Orsi, i concambi tra le società sarebbero stati valutati in modo erroneo e artificioso.  A viziare i concambi, sospettano gli inquirenti, sarebbe stato il ritocco al rialzo del valore reale degli immobili e dei titoli strutturati in pancia a Unipol, con impatto sul valore effettivo delle azioni emesse da Unipol. Ne sarebbero derivate significative alterazioni dei prezzi delle azioni e riflessi sul “peso” degli azionisti nella nuova società UnipolSai.
Sempre in relazione ai concambi nel corso dell’indagine la Procura ha acquisito, tra l’altro, il Progetto Plinio, il rapporto sui conti del 2011 della compagnia bolognese commissionato dai vertici di FonSai a Ernst & Young nel quadro sulla negoziazione dei concambi per la futura fusione e le cui risultanze erano ben diverse da quelle a cui giungevano i consulenti di Unipol. Secondo lo studio, le valutazioni sul bilancio del gruppo bolognese variavano, di molto, a secondo del consulente di riferimento. Una guerra di valutazioni che, secondo la società di revisione, poteva addirittura comportare per Unipol un patrimonio negativo. Anche su questo punto, all’epoca della diffusione del rapporto, si era registrato un certo immobilismo da parte della Consob che si era mossa solo dopo che le sollecitazioni della Procura di Milano con il pm Luigi Orsi, lo stesso che ha iscritto Cimbri nel registro degli indagati, aveva fatto recapitare una lettera alla Commissione di Giuseppe Vegas in cui chiedeva alla Consob se avesse riscontrato i dati su Unipol evocati dal progetto Plinio che circolavano in rete e se questi avessero potuto interferire con la trasparente formulazione dei prospetti.
Inoltre il magistrato domandava se il piano di risanamento finanziario della holding dei Ligresti, Premafin, fosse stato stato interamente divulgato al mercato o esistessero patti occulti con la famiglia siciliana. Solo a seguito della lettera di Orsi la Consob ha avviato un’analisi sul portafoglio di titoli strutturati di Unipol, che ai tempi della fusione rappresentava circa un quarto degli investimenti della compagnia bolognese. Nel corso della sua analisi la Commissione ha contestato la conformità del bilancio 2011 e della semestrale 2012 ad alcuni principi contabili internazionali nelle modalità di contabilizzazione di alcuni derivati. L’adozione dei principi indicati dalla Consob ha comportato 28,2 milioni di perdite in più nel 2011 e una riduzione del patrimonio netto di 49,2 milioni. Nel 2013 Unipol, riesponendo il bilancio 2011 per accogliere i rilievi, ha inoltre comunicato che l’affinamento delle metodologie di stima dei suoi derivati adottate nel corso del 2012, quando la magistratura aveva acceso un faro sul suo bilancio, aveva determinato un taglio di 240 milioni al fair value (valore di mercato) del portafoglio strutturati. L’analisi della vigilanza si è chiusa senza ulteriori rilievi a fine 2013.
Ma quello della Consob, che giovedì ha ricevuto anch’essa una visita della Guardia di finanza per l’acquisizione di nuova documentazione, non è un caso isolato. Dalle carte dell’inchiesta sul fallimento del gruppo Ligresti del procuratore milanese Orsi, nei mesi scorsi era emerso chiaramente il ruolo dell’Isvap, l’ex organismo di vigilanza delle assicurazioni, per agevolare la discussa fusione che stava molto a cuore a Mediobanca creditrice di entrambi i gruppo. In particolare la Procura aveva preso nota dell’attivismo del vicedirettore dell’Isvap, Flavia Mazzarella in costante contatto sia con il vigilato Cimbri che con Piazzetta Cuccia, Bankitalia e Consob ai tempi del via libera delle autorità all’operazione, nel 2012.
Fatti che non hanno avuto alcuna ripercussione sulla posizione della Mazzarella che risulta ancora dirigente in staff dell’Ivass, l’ente di vigilanza delle assicurazioni che ha preso il posto dell’Isvap. Ma neanche sugli assetti della Consob i cui funzionari erano in confidenza con i vigilati, rassicurandoli sull’esito di decisioni che solo la Commissione poteva prendere. A dimostrarlo, tra il resto, una serie di telefonate del luglio 2012 raccolte dalla Procura di Milano tra il capo della divisione emittenti della Consob, Angelo Apponi e la Mazzarella, nel corso della quale è lo stesso funzionario a raccontare al numero due dell’Isvap di aver incontrato Cimbri che “era preoccupato (per le decisioni in corso sulla fattibilità della fusione, ndr) ma lui lo ha rassicurato”. Pochi giorni dopo arrivò il via libera della Commissione all’esenzione di Unipol dal lancio di una costosa Offerta pubblica di acquisto sulla Milano Assicurazioni, con il conseguente crollo in Borsa (-10,72%) della compagnia dei Ligresti. Un esito che avrebbe fatto ricco chiunque l’avesse saputo prima degli altri. 
Tornando ai giorni nostri, la notizia del nuovo filone di indagine ha avuto ripercussioni immediate sui mercati finanziari. In scia agli eventi il titolo UnipolSai in Borsa ha imboccato la via del ribasso e dopo aver toccato un picco negativo superiore al 6% ha chiuso in calo del 3,8% a 2,27 euro. Peggio ancora è andata alla controllante Unipol Gruppo Finanziario che è precipitata del 7,33% a 4,17 euro. Non va tanto meglio a Mediobanca che sta perdendo il 2,84% a 6,67 euro.  E proprio qui si attacca Unipol che, incurante del paradosso rispetto alle accuse di aggiotaggio, “stigmatizza che la notizia delle indagini” sulla fusione da cui è nata UnipolSai “sia divenuta oggi di pubblico dominio con immediati, conseguenti e gravi impatti sul corso dei titoli del gruppo Unipol”. La società, si legge in una nota, “si riserva ogni opportuna valutazione a tutela propria e dei propri azionisti”.

venerdì 25 ottobre 2013

Nozze FonSai-Unipol, al via la fusione a freddo che piace a Mediobanca. - Gianni Barbacetto

Nozze FonSai-Unipol, al via la fusione a freddo che piace a Mediobanca

Alberto Nagel

Oggi le assemblee dei soci che dovranno approvare l'unione tra il gruppo assicurativo delle coop e quello che fu spolpato dai Ligresti, sotto gli occhi di Piazzetta Cuccia che ora vuole l'operazione per risolvere il propri guai. Le zone d'ombra sono molte.

Oggi si aprono le assemblee societarie da cui nascerà la Grande Unipol. Con la fusione per incorporazione di Unipol, Premafin e Milano Assicurazioni in FonSai, dal cappello a cilindro della compagnia delle coop “rosse” uscirà UnipolSai, un colosso, la seconda impresa assicurativa italiana dopo Generali. Chissà come la prenderà Gianni Consorte, che era arrivato ai vertici di Unipol quando questa era “l’assicurazione dei comunisti”, l’aveva fatta entrare nel giro della grande finanza e poi nel 2005 aveva provato a conquistare una banca (la Bnl). Fu fermato, come gli altri “furbetti del quartierino” che senza andare troppo per il sottile avevano tentato di scalare a debito Antonveneta e Corriere della sera.
Oggi l’aria è cambiata e il colpaccio provato dal suo successore, Carlo Cimbri, sta per riuscire, malgrado i dubbi sui conti di Unipol, inzeppati di derivati, e i comportamenti delle autorità di vigilanza, che sembrano la fotocopia aggiornata di quello che successe nel 2005. Questa volta però Mediobanca è della partita e l’aria di larghe intese ha steso un velo di silenzio sui buchi neri dell’operazione.
Confessione per lettera. È una lunga storia che inizia nel 2001, quando la Mediobanca di Vincenzo Maranghi si mette in moto per impedire alla Fiat, che si era lanciata alla conquista di Montedison, di mettere le mani su Fondiaria, una bella compagnia d’assicurazione con base a Firenze che era controllata da Montedison. Il successore di Enrico Cuccia non voleva farla uscire dalla sua sfera d’influenza. La mette allora nelle mani di un amico silenzioso e fedele che ha molti motivi di riconoscenza nei confronti di Mediobanca: Salvatore Ligresti, che possedeva già la torinese Sai. Nasce così Fonsai, non senza trucchi da brivido per aggirare le regole che proteggono il mercato ed evitare l’Opa.
Maranghi sa di aver fatto delle forzature e lo ammette in una lettera del 30 maggio 2002 a Ligresti resa nota ieri dal Corriere, in cui dice che l’operazione Fonsai è stata un “obiettivo raggiunto pagando un prezzo assai elevato in termini di immagine e di rapporti personali”. Chiede poi proprio per questo un “cambio di passo” nella conduzione del gruppo, che non potrà più avere, si raccomanda Maranghi, “un taglio famigliare”. Resterà una predica senza risultati. Ligresti governerà la Fonsai per un decennio proprio come fosse un bene di famiglia, mettendo ai vertici manager di sua assoluta fiducia. E spolpandola via via fino al buco che lo ha portato al crollo.
Mediobanca è sempre stata al suo fianco: è stato Maranghi a concedergli il prestito subordinato di 400 milioni di euro per permettergli di impossessarsi di Fondiaria. E già nel 2001 il debito totale di Ligresti nei confronti di Mediobanca era di 930 milioni. Uscito di scena Maranghi, arriva Alberto Nagel, ma Mediobanca continua a seguire passo passo Ligresti, che si lancia in bagni di sangue come le acquisizioni di Liguria assicurazioni o della compagnia serba Ddor. Nel 2008, arriva l’ultimo regalo di Mediobanca,350 milioni. Poi il rubinetto si chiude. In un decennio l’istituto di Nagel ha buttato ben 1,2 miliardi di euro in Fonsai. Comincia allora a cercare una via d’uscita da una situazione ormai ingestibile.
Ligresti tenta un’alleanza con i francesi di Groupama, ma senza risultati. Nel 2011 Unicredit (che aveva messo un mucchio di soldi in Premafin, la holding dei Ligresti che controllava Fonsai) tenta di salvare la baracca con un aumento di capitale da 450 milioni. Operazione oggi sotto inchiesta a Torino, dove ha sede Fonsai, perché la ricapitalizzazione sarebbe stata realizzata barando sulla riserva sinistri, taroccata di 538 milioni. Seguirà l’arresto di Salvatore Ligresti e delle figlie Jonella e Giulia. Ma già prima Mediobanca aveva trovato come sostituirli: che cosa c’è di meglio, in Italia, che unire due debolezze, mantenendo Fonsai in mani amiche?
Il prescelto questa volta è Carlo Cimbri. La sua Unipol, indebitata con Mediobanca, dal matrimonio con Fonsai potrà uscire rafforzata e rigenerata. Ecco allora, dal gennaio 2012, le grandi manovre per arrivare alle nozze. 
Il ruolo di Consob. Il piano iniziale prevede che Unipol compri (a buon prezzo) la maggioranza di Premafin (che vale poco o niente, avendo più debiti che attivo): così Ligresti può uscire di scena contento e con un po’ di soldi; e Unipol se la cava con un’opa facile e concordata, perché le azioni di Premafin sono quasi per l’80 per cento nelle mani dei Ligresti. Una volta acquisita la holding, è conquistata anche la vera preda, cioè le sottostanti Fonsai e Milano Assicurazioni, senza bisogno di Opa e alla faccia degli azionisti di minoranza e del mercato. C’era un’offerta alternativa, che era stata avanzata nel dicembre 2011 dalla Palladio Finanziaria di Roberto Meneguzzo e da Matteo Arpe.
Ma questi volevano comprare Fondiaria, non Premafin, che era una scatola vuota, anzi piena di debiti, che sarebbero restati sul groppone di Mediobanca. Ecco allora che la loro offerta è stoppata, anche grazie alla puntigliosità della Consob di Giuseppe Vegas, che invece è molto più “fluido” nei confronti della soluzione Unipol, voluta da Nagel. Il primo progetto (Opa su Premafin) è chiaramente al di sotto delle soglie minime di decenza, così Nagel a gennaio riunisce nella sede di Mediobanca i protagonisti della vicenda e mette a punto il piano definitivo. Alla presenza di Vegas: l’arbitro si presta a fare da “consulente privato” per un’operazione su cui dovrebbe vigilare. Manca soltanto il bacio in fronte che il banchiere Gianpiero Fiorani, evidentemente più espansivo, nel 2005 scoccò in fronte a un altro arbitro non proprio sopra le parti, l’allora governatore di Bankitalia Antonio Fazio.
Il nuovo piano prevede non l’acquisto, ma un aumento di capitale riservato di Premafin, sottoscritto da Unipol, senza obbligo di opa sulle società sottostanti: così la compagnia bolognese conquista il controllo della holding e, a cascata, delle vere prede sottostanti, cioè Fonsai e Milano Assicurazioni. Eppure ai francesi di Groupama era stato detto, pochi mesi prima, che se volevano Fonsai dovevano fare l’Opa. Unipol no: lo certifica la Consob nella sua delibera del 24 maggio 2012, sostenendo che la sua è considerata un’operazione di salvataggio, dunque esente da Opa. Anche se poi dovrà essere l’Ivass (l’autorità di controllo sulle assicurazioni) a formulare il giudizio finale sulla questione.
Questo è arrivato, ma non si esprime in modo chiaro. Unipol, con la fusione, salirà dal 42 al 50 per cento nella nuova Fonsai: con questo salto, è d’obbligo l’Opa “di consolidamento”. Ma noi non la dobbiamo fare, ribatte Cimbri, perché stiamo completando, con la fusione e gli aumenti di capitale, un’unica, anche se lunga e complessa, “operazione di salvataggio” già autorizzata dalle autorità di vigilanza ed esente da Opa. Dunque niente “consolidamento”? Il problema resta aperto e Ivass dovrebbe sciogliere le ambiguità.
La bomba a orologeria. Invece finora si è limitata a raccomandare a Cimbri di non occupare troppe poltrone nella catena di società che controlleranno Fonsai. Più delicata l’altra “raccomandazione” di Ivass, che riguarda il portafoglio derivati: per alcuni analisti una vera e propria bomba a orologeria nei bilanci della società. A proposito dei derivati in pancia a Unipol, la Consob di Vegas, più che vigilare, sembra aver finora proseguito quella azione di “consulenza privata” che ha già prodotto alcune rettifiche di bilancio, per circa 280 milioni. Ma la chiarezza su quanto pesino i titoli strutturati non è ancora stata raggiunta, anche perché Vegas ha rallentato in tutti i modi le verifiche della struttura interna alla Consob diretta da Marcello Minenna.
L’unica cosa certa è che i Ligresti sono usciti di scena. Non prima però di aver tentato di portare a casa quello che ritenevano fosse loro dovuto. Sfumato il piano iniziale (Opa su Premafin), pensavano di aver comunque ottenuto, nella riunione con Nagel e Vegas a Mediobanca, garanzie su buonauscita e manleva legale (la rinuncia a cause civili per danni nei loro confronti). Dovute, secondo i Ligresti, perché convinti che Mediobanca e Unicredit abbiano sempre “eterodiretto” Fonsai. Ma nel maggio 2012 la Consob aggiunge i “paletti”: per concedere a Unipol l’esenzione dall’opa, devono essere escluse manleve e buonuscite. Ecco allora saltar fuori il “papello”: l’elenco delle cose a cui ritenevano di aver diritto, 45 milioni di euro, consulenze, auto, segretarie, posti al villaggio vacanze…
Nagel nega, sostenendo che la sua firma su quel foglio a quadretti scritto a mano da Jonella non era un patto segreto con i Ligresti, ma soltanto una sigla per presa visione, un modo per far star buono don Salvatore. “Volevamo salvare la compagnia e non Ligresti”, dice Nagel ai magistrati di Torino. Ma i progetti iniziali tentavano di “salvare” entrambi: con un’operazione che, come dice l’amministratore delegato di Mediobanca a proposito del primo aumento di capitale Premafin, “proteggeva la nostra esposizione”. Quanto a proteggere il mercato e gli azionisti di minoranza, pochi in questa storia sembrano pensarci.
Nagel nega, ma non sa che la dicitura "per presa visione" deve essere scritta perchè venga ritenuta valida? Son stupidi loro o ritengono che siamo stupidi tutti?


Unipol-FonSai, ecco i documenti dei finanzieri che non interessano alla Consob. - Gaia Scacciavillani


Unipol-FonSai, ecco i documenti dei finanzieri che non interessano alla Consob
Giuliano Amato e Giuseppe Vegas

Il metodo dell'ad di Bologna, Carlo Cimbri? La "mutualità dei bilanci" secondo il responsabile dei documenti contabili di Fondiaria Sai ascoltato dalla Guardia di Finanza mentre lavorava al prezzo del "matrimonio" con il gruppo delle Coop. Sullo sfondo l'analisi del malandato stato di salute di via Stalingrado effettuata da Piergiorgio Peluso.

A meno di 24 ore dal via libera alle nozze tra Unipol e l’ex impero assicurativo dei Ligresti, l’elenco delle criticità dell’operazione finanziaria italiana più rilevante degli ultimi anni continua ad allungarsi. Dopo il revisore dei conti indagato per falso in bilancio, nei giorni scorsi sono spuntate delle intercettazioni telefoniche della Guardia di Finanza di Torino che aprono uno spaccato inedito su come è stato messo a punto il piano di fusione oggi al voto degli azionisti, che sarebbe stato meritevole quanto meno di un approfondimento.
Consob non è interessata. Eppure davanti alla loro parziale pubblicazione da parte dell’agenzia di stampa Adnkronos, la Consob di Giuseppe Vegas non si fa né in qua né in là. “Sono frammenti di conversazioni abbastanza confusi, trascritti malamente e da cui si capisce poco, per di più a proposito di una materia sulla quale Consob non vigila – è stata la replica della vigilanza interpellata in merito dal Fatto Quotidiano -. Consob quello che poteva fare l’ha fatto. E comunque la Commissione non può fare riferimento a queste cose, fa riferimento ai documenti contabili, ai registri pubblici”. Poco importa, quindi, se sui documenti contabili c’è l’ombra di qualche maneggio come emerge dalla trascrizione integrale delle intercettazioni vidimate dalle Fiamme Gialle che Il Fatto Quotidiano ha potuto visionare e che si riferiscono alle settimane in cui il progetto di fusione varato a dicembre 2012, era in fase di elaborazione.

Le svalutazioni a cazzo. “I due interlocutori discutono di svalutazioni di alcune poste di bilancio probabilmente riconducibili a Banca Sai. In particolare si segnalano alcune “ingerenze” sulla valutazione contabile di alcune specifiche voci (es. immobili) da parte dell’amministratore delegato di Unipol e, dal 5 novembre scorso, di Fondiaria Sai, Carlo Cimbri”, annota la Guardia di Finanza a proposito di una conversazione del 31 ottobre 2012 tra il dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili, Massimo Dalfelli e Riccardo Quagliana, consigliere di Popolare Vita, altra società del gruppo.
“Ho parlato con Raimondi, ma sono dei pazzi indopatici gravi”, esordisce Quagliana secondo il quale “facendo in questo modo (come chiede Cimbri, ndr) la ragione della Banca per erogare nuova finanza viene completamente meno. Ora, premesso che i vecchi consiglieri non te lo fanno, lo fanno dei nuovi che un minuto dopo vengono arrestati perché sono pazzi”. E poi chiede: “Ma non ho capito, questi hanno chiamato insieme lì il povero Raimondi dicendo riapri i conti della Banca svaluta tutto?”. Non proprio. “No, no, Cimbri ha chiamato Colombini e gli ha fatto lo sciaquone – spiega Dalfelli e poi dettaglia meglio – Colombini ha chiamato il suo interlocutore in Banca Unipol, hai capito? […] Ha sciacquato lui, contemporaneamente Erbetta, sai com’è fatto Emanuele, in maniera un po’ più posata ha provato a chiamare Raimondi, gli ha detto qualche cosa lì, un po’ di sottecchi, Raimondi ha capito bene, però, era poco convinto, poi ha chiamato me [...] lui ha detto io lo riapro pure, però voglio una lettera della controllante”. “Certo, che per altro gli dice azzera il credito, ma con l’altra mano facciamo una bella operazione di … per preservare i nostri di check, ma guarda che è veramente da pazzi”, commenta l’altro per il quale “avranno fatto i piani e dal tavolo dei piani emerge che sessantuno e settanta non ci sta, quindi staranno grattando il barile per farci svalutare l’impossibile”. A quel punto i due si lanciano in un coro sul fatto che “non è che si puoi svalutare a cazzo così” e che “la situazione è complicata”.
“Viene fuori una di quelle magie!”. Film analogo quando la stessa sera a parlare con un interlocutore rimasto anonimo, è Claudia Motta, dirigente responsabile del ramo pianificazione strategica e controllo di gestione di FonSai che premette di essere da due giorni a Bologna e di aver dovuto chiudere al più presto dei piani previsionali riguardanti delle valutazioni ancora non ufficiali da proporre alle banche nell’ottica di una prima stima del prezzo della fusione, ossia i concambi. “Insomma … dove magicamente sono un pò tornati anche i numeri che loro volevano che tornassero tra stand alone, risultato congiunto, valore delle sinergie e l’ipotesi è che su carta bianca, quindi niente di ufficiale, niente email, niente pezzi dal carta intestata … li danno … danno questi piani alle banche lunedì … con lo scopo di cominciare a farli ragionare … per capire con questi numeri dove porterebbero i concambi, nel senso che se portano nel senso giusto ottimo, se portano nel senso sbagliato come se non glieli avessimo dati”.
“Ho capito tutto – replica l’interlocutore -, le banche al momento non hanno avuto nessun tipo di indicazione se è così meglio, secondo me, poi alla fine con quello che stanno combinando sul Dif probabilmente si arriverà dove vogliono loro comunque, perchè adesso sul fatto … con questo ricalcolo del Dif che include tutte le minusvalenze sui titoli allocati a vita … cioè viene fuori una di quelle magie che …”, mentre la Motta conclude parlando di “convergenza perfetta”.
La scoperta di Peluso: “Loro non stanno peggio di noi”. Ancora tutto da esplorare, poi, un altro fascicolo agli atti della Procura di Torino dove spunta una mail del 2012 di Pergiorgio Peluso, il figlio del ministro della Giustizia Anna Maria Cancellieri che all’epoca era direttore generale della compagnia che ha lasciato con 3,6 milioni di buonuscita, con allegate le “ Considerazioni su criticità bilancio civilistico Unipol 2010” dove si sottolinea ai colleghi e ai consulenti finanziari e legali che “a quanto pare non siamo gli unici ad avere problemi di solvibilità …” e si suggerisce di organizzzare una riunione per fare il punto su “quanto stiamo scoprendo”.

I dubbi sui conti Unipol 2010. Nel documento allegato sono indicate le criticità del bilancio Unipol 2010 sollevate da alcuni analisti interpellati, a partire dall’avviamento (200 milioni) per il quale “non sono fornite indicazioni sulla recuperabilità”. Dubbi sono espressi anche sulle valutazioni del mattone con “il valore corrente degli immobili è maggiore del 7% rispetto al valore di carico. Fondiaria Sai nel 2011 esprime a livello civilistico un +30% nonostante le forti svalutazioni contabilizzate”. Si suggeriscono poi approfondimenti (“Indubbiamente anche in questo ambito servirebbero ulteriori informazioni per una più approfondita analisi”) sulle due società di sviluppo immobiliare Midi srl e Unifimm: la prima sta costruendo uffici per il gruppo, la seconda sta realizzando una torre ad uso teriazio nella periferia di Bologna.
Il vuoto informativo su Unipol Banca. Per quanto concerne gli investimenti in imprese del gruppo, “manca il prospetto che mette a confronto per le controllate il valore di carico con le corrispondenti quote di patrimonio netto al fine di quantificare e motivare la differenza (….). Assenza di informazioni su UGF banca (511 milioni di euro di valore di carico) e Vivium (148 milioni). Sugli altri investimenti finanziari, “ si denota una significativa presenza di titoli valutati al fair value livello 3 cioé calcolati tramite tecniche di valutazione che prendono come riferimento parametri non osservabili sul mercato (1,2 miliardi di euro il 13,6% sul totale Fair Value, dato consolidato in quando non disponibile dettaglio a livello civilistico – da confrontarsi con i 77 milioni di FonSai 2010”.
L’esposizione miliardaria all’estero su finanziarie quasi insolventi. Il documento evidenzia poi come dai colloqui con gli analisti sia emersa una esposizione verso Corsair Finance Ireland Ltd per 1,3 miliardi che sommate ad altri due veicoli speciali, Art Five e Willow, porta l’esposizione nei confronti di società veicolo di Jp Morgan per più di 2,2 miliardi. Il veicolo Corsair ha per altro ricevuto da S&P e Moody’s un taglio del rating a un livello vicino alla CCC che significa che il pericolo di insolvenza è realistico. “ I tre veicoli sono stati segnalati alla Finanza e ricompresi nel minipaniere di 10 titoli oggetto di approfondimento ai fini del conteggio a fair value per la determinazione dei valori di concambio”.
Serve un aumento di capitale. Per i derivati, da una prima analisi, si evidenziano minusvalenze latenti per 285 milioni. C’è poi in Unipol una significativa esposizione ai titoli governativi spagnoli (534 milioni al 31 dicembre 2010) contro i 97 milioni di FonSai. “Altrettanto significativa è l’esposizione verso obbligazioni subordinate (1.897 milioni di euro al 31/12/2010), mentre FonSai ne ha in portafoglio 613 milioni: ciò può essere visto come un segnale di maggiore illiquidità degli asset posseduti”, si legge nel documento. Infine rispetto al margine di solvibilità, gli esperti notano come per Ugf è “eccedente rispetto al margine richiesto”, mentre è carente quella di Holmo spa che avrebbe già “posto in essere le azioni al fine di consentire al conglomerato di ripristinare entro il 2011 le condizioni di adeguatezza patrimoniale richieste dalla normativa vigente”. Infine, nel verbale del consiglio di amministrazione di Unipol Assicurazioni del 22 dicembre 2011 emerge “l’esigenza di rafforzare la struttura patrimoniale attraverso un incremento dei mezzi propri di massimo 200 milioni richiedendo alla controllante UGF un versamento in Conto futuro aumento di capitale sociale da eseguirsi in una o più tranche”. Nel caso di Fondiaria-Sai, a livello civilistico, il bilancio esprime una “eccedenza del 153%”.
La mutualità di bilancio secondo Cimbri. La situazione non dev’essere migliorata di molto se, tornando alla trascrizione delle intercettazioni di Torino, si legge quanto riportato dai finanzieri a proposito di un’altra conversazione registrata il 31 ottobre 2012 tra Daffelli e Massimo Aliverti. “Comunque il messaggio del nuovo ad (Cimbri, ndr) è stato chiaro, della serie: qui siamo tutti per uno, mo si fa mutualità, punto. Ha copiato il mio, la mia locuzione, perché ho detto, vabbè che le assicurazioni sono mutualistiche, mi sa che mi tocca fare mutualità di bilancio, mi spiego”, esordisce il dirigente a capo della redazione dei documenti contabili. “Ma oggi c’era Cimbri? [...] E ha detto questo?”, replica l’altro. “Sì, sì, mi son divertito eh, perché è uno veramente istrione”, è stata la conferma. E poi largo ai motteggi tra un “qua se c’è da fare mutualità siamo a posto!” E un: “Infatto, per le loro (di Unipol, ndrriserve Rca“, esclamazioni chiosate da un “minchia, vabbè, non avevo dubbi che fosse così, dai!” di Aliverti, cui Dalfelli replica: “Sì, lo hanno anche ammesso, che non gliela fanno su quel duecento e che noi siamo andati molto oltre e quindi se le ritrovano comode. Però sai, il messaggio è tutto un altro, con me è stato molto chiaro eh!”.